MATTEO ADDABBO ORGAN TRIO “L’Asino che vola”

MATTEO ADDABBO ORGAN TRIO “L’Asino che vola”

MATTEO ADDABBO ORGAN TRIO “L’Asino che vola”

Dodicilune Records. CD, 2023

di alessandro nobis

Tutti, o almeno gli appassionati di jazz, conoscono l’albero genealogico degli organisti (per lo più hammondisti) la cui origine si trova negli cinquanta, quando cioè il ruolo dell’organo passò dall’accompagnamento di cori gospel nei luoghi di culto ad un vero e proprio ruolo nella musica jazz e blues soprattutto grazie a Jimmy Smith. Anche in Italia l’organo jazz ha un suo proprio ruolo nel jazz soprattutto ad Alberto Marsico, Roberto Gorgazzini e più recentemente a Matteo Addabbo · che di Marsico è stato allievo ·. In questo suo nuovo “L’asino che vola” pubblicato dalla Dodicilune presenta il suo “Organ Trio” con il chitarrista Andrea Mucciarelli e il batterista Andrea Beninati coinvolgendo anche Stefano Negri, tenorista, e Cosimo Boni, trombettista, nello swingante “A scuola da Joe” (Di Francesco?). Per i restanti otto brani c’è l’Organ Trio, l’ambientazione è quella dal maistream del tempo passato ma non si tratta di ricalcare standard pluri·suonati ma piuttosto di creare nuova musica con i caratteri assimilati dallo studio e dagli ascolti dei grandi Maestri; sono composizioni uscite dalla penna di Addabbo durante l’isolamento forzato dei lunghissimi mesi della pandemia di Covid·19 che ha “costretto” parecchi musicisti a concentrarsi sulla composizione vista l’inevitabile e forzata assenza di concerti. A parte il già citato “A scuola di Joe” voglio segnalare le due ballad “Carlos” e “Se mi vedi guardami” entrambe introdotte dalla pulitissima chitarra di Andrea (Mucciarelli), la bossa nova di “O la Bossa o la Vita” · carino il gioco di parole del titolo · e ancora “Il Ladro dello Swing” che inizia con l’hammond in “odore di spiritual” per poi riportarci ai nostri tempi, un po’ una brevissima sintesi della storia di questo strumento. L’apporto ritmico della batteria · che ricordo in questo genere di trio spesso non lavora con il contrabbasso ma con le linee dettate da Addabbo · e quello della splendida chitarra di Mucciarelli · un altro che deve conoscere bene la storia del suo strumento nella musica afroamericana · è davvero decisivo alla riuscita del disco.

Scrive Matteo Addabbo nelle liner notes del disco: “Mi piacerebbe che questo disco fosse inteso dall’ascoltatore non solo come l’ascolto di una musica evocativa di emozioni, di ricordi, di paesaggi e di persone, ma anche come una sorta di monito a reagire quando nella vita ci troviamo davanti ad un momento di difficoltà apparentemente insormontabile.

Se questo era il suo obbiettivo, è stato centrato, senza ombra di dubbio.

http://www.dodicilune.it

Pubblicità

CRISPINO · LANCIAI · BASILE · SABELLI “Kobayashi”

CRISPINO · LANCIAI · BASILE · SABELLI “Kobayashi”

CRISPINO · LANCIAI · BASILE · SABELLI “Kobayashi”

Dodicilune Records. CD, 2023

di alessandro nobis

Basta un ascolto di questo sorprendente “Kobayashi” per intuire come le provenienze culturali di Luca Crispino (chitarra), Roberto Lanciai (sax baritono), Fabio Basile (basso elettrico a sei corde) e Luigi Sabelli (batteria) non siano rigorosamente accademiche, ma provengano da frequentazioni musicali · come musicisti e come ascoltatori attenti · estremamente variegate con interessi diciamo “multipli” e lo si può intuire attraverso i numerosi indizi che i quattro forniscono all’attento fruitore. Il jazz più legato al mainstream, l’uso mai invasivo dell’elettronica, certi ritmi più legati al rock, il gusto per la melodia il tutto abilmente fuso nelle nove tracce composte da Crispino, Lanciai e Basile che costituiscono questo lavoro di un quartetto a cui auguro lunga vita artistica. Il baritonista Lanciai sposta ad esempio il baricentro verso il jazz più vicino al maistream con tre ballate tra le quali tengo a segnalare in modo del tutto personale “Jungle“, una languida ballad dal sapore caraibico con il tema esposto dal sax ed un bel solo di chitarra, il bassista Basile scrive ad esempio anche lo splendido brano finale, “Strummer“, ispirato da quel rock intriso di reggae del quale inventori furono appunto i Clash (e il titolo sembra confermare ciò) con altro bel solo di baritono, il tutto permeato da elaborazioni elettroniche per mano di Crispino che compone tre brani tra i quali segnalo l’intrigante “Ombre sul Borgo” dal ritmo compassato e guidato dalla chitarra che dialoga con il sax. L’album nonostante i compositori siano tre risulta molto omogeneo, piacevolissimo anche all’ascolto ripetuto, e naturalmente il ruolo della sezione ritmica è decisivo, il drumming di Sabelli si adatta alla perfezione ai vari paesaggi sonori ed il basso di Basile è struttura portante della musica, il fatto che Basile sia anche ottimo chitarrista e che qui abbia scelto il basso a sei corde gli consente di andare oltre il limite del suo strumento in modo del tutto efficace. L’affiatamento e l’interplay mi paiono sempre adeguati, sembra quasi che i “quattro” si frequentino musicalmente da tempo, molto tempo. Mah!

SERGIO ARMAROLI “Vibraphone solo in four part(s)”

SERGIO ARMAROLI “Vibraphone solo in four part(s)”

SERGIO ARMAROLI “Vibraphone solo in four part(s)”

Dodicilune Records. CD ED536, 2023

di alessandro nobis

“Introspezione”. È la prima parola alla quale ho pensato appena finito di ascoltare questo disco in “solo” del vibrafonista Sergio Armaroli registrato nel 2022 e pubblicato dalla Dodicilune, un musicista il cui interesse si muove attorno al jazz, alla musica contemporanea, alla sperimentazione ed alla creazione istantanea come testimonia la sua discografia delle sue più recenti frequentazioni: dalle composizioni di Monk alle collaborazioni con Schiaffini, Curran, Prati e Centazzo per citarne alcune.

Questo “Vibraphone solo in four part(s)” come si evince facilmente dal titolo è un percorso di ricerca in completa solitudine che Armaroli ha compiuto con il suo strumento, un viaggio in quattro tappe che attraversa il quotidiano non solo nei suoni più reconditi del vibrafono ma anche dentro sè stesso, introspettivo appunto.

La costruzione delle quattro tracce è una creazione spontanea e il poter riascoltare il processo di concretizzazione delle idee dà l’esatta percezione non solo della tecnica e della conoscenza delle potenzialità del vibrafono ma anche della visione musicale “solistica” che Sergio Armaroli ha pensato lasciando a sè stesso la più totale libertà mentale e quindi creativa. Dal vivo sarà tutto diverso, come si conviene ………..

Non è certo uno dei dischi più facili da ascoltare prodotti dall’etichetta pugliese · tra le più attive ed attente al panorama jazz e dintorni italiano · , non ci sono melodie da seguire o assoli da apprezzare, ma per questo di certo è uno dei più interessanti perchè consente di apprezzare uno strumento e la musica che ne scaturisce in tutta la sua purezza e bellezza.

Di Sergio Armaroli ne avevo parlato anche qui:

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/01/27/armaroli-%c2%b7-schiaffini-4tet-monkish-round-about-thelonious/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/03/14/schiaffini-%c2%b7-armaroli-deconstructing-monk-in-africa/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2020/06/03/centazzo-%c2%b7-schiaffini-%c2%b7-armaroli-trigonos/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/10/17/walter-prati-sergio-armaroli-close-your-eyes-oper-your-mind/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/03/24/schiaffini-prati-gemmo-armaroli-luc-ferrari-exercises-dimprovisation/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/12/23/sergio-armaroli-5et-with-billy-lester-to-play-standards-amnesia/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/12/01/curran-schiaffini-c-neto-armaroli-from-the-alvin-curran-fakebook-the-biella-sessions/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/05/29/sergio-armaroli-fritz-hauser-structuring-the-silence/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/08/26/sergio-armaroli-trio-with-giancarlo-schiaffini-micro-and-more-exercises/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/03/21/sergio-armaroli-axis-quartet-vacancy-in-the-park/)

FRANCESCO DEL PRETE “Rohesia Violinorchestra”

FRANCESCO DEL PRETE “Rohesia Violinorchestra”

FRANCESCO DEL PRETE “Rohesia Violinorchestra”

Dodicilune · Controvento Records. CD, 2023

di alessandro nobis

Lo confesso, per me che non sono un bevitore di alcolici risulta davvero difficile se non impossibile descrivere le sensazioni che un possibile fruitore provi abbinando la musica di Francesco Del Prete alle proprietà organolettiche dei cinque vini “prescelti” prodotti dall’azienda vitivinicola pugliese di Paolo Cantele; mi perdoneranno quindi i musicisti ed i proprietari della cantina se mi atterrò ai fatti musicali, che non sono pochi, contenuti in questo notevole “Rohesia Violinorchestra” lasciando il resto ai più quotati sommellier · musicologi in circolazione.

Il lavoro dunque si compone di cinque composizioni ispirate come detto dai profumi e gusti di altrettanti vini, ed ognuno di questi spartiti viene presentato in modo abbastanza inusuale con due diversi arrangiamenti curati dallo stesso Del Prete: prima si fruisce degli arrangiamenti più elaborati con il coinvolgimento di effetti elettronici e poi si ascoltano quelli più “cameristici”, se vogliamo più essenziali, ma comunque entrambi contraddistinti da grande cantabilità e raffinatezza. In effetti, non me ne vorrà il Del Prete, ho ascoltato il cd in un diverso ordine da quello proposto, ovvero le due versioni di ogni composizione vicine per cercare di capir meglio il progetto: come la splendida “Rohesia Rosso” con quel dialogo tra l’arpa di Angela Cosi ed il violino di Del Prete (nella versione “La Danza delle Rose“) e nel delicato arrangiamento con sovraincisioni ed un pizzo di elettronica nella prima versione, o ancora il sapore di Argentina nelle due varianti di “Teresa Manara“, la seconda con i violoncelli di Anna Carla Del Prete e Marco Schiavone e quell’ottone che espone il tema ed infine “Amativo” con gli archi protagonisti della solennità della prima parte e dell’andamento della più vivace e briosa  seconda parte con il ritmo sottolineato dal basso.

Un disco che come il precedente “Cor Cordis” del 2021 pubblicato sempre dalla Dodicilune nella collana Controvento, conferma il talento compositivo e di arrangiatore di Francesco Del Prete, abile alchimista che mutua diversi idiomi come la classica, il jazz e la tradizione creandone uno nuovo, personale ed interessante. Da ascoltare, al di là della vostra passione per il vino ……..

LIVIO BARTOLO VARIABLE UNIT “Star From Scratch”

LIVIO BARTOLO VARIABLE UNIT “Star From Scratch”

LIVIO BARTOLO VARIABLE UNIT “Star From Scratch”

Dodicilune Dischi. CD, 2022

di alessandro nobis

A leggerla prima dell’ascolto, la dotta presentazione di Davide Ielmini che accompagna la pubblicazione di questo “Star From Scratch” del compositore · chitarrista Lino Bartolo e della sua Variable Unit, potrebbe quasi intimorire un semplice ascoltatore come chi scrive ma se questa viene letta dopo numerosi ascolti la sua complessità si dipana, come del resto la musica di questi cinque movimenti che costituiscono questo lavoro. Sia chiaro, sono composizioni che necessitano di una grande attenzione per scoprirne i segreti o meglio ancora i dettagli; si gravita nell’ambito della musica contemporanea “sensu strictu” che tanto ha influenzato Bartolo sia durante i suoi studi che nel suo percorso artistico durante il quale, se consideriamo la sua giovane età non deve essere stato così lungo, ha intelligentemente saputo cogliere le lezioni di Shoenberg e Stockhausen come di Threadgill, Minton e Rypdal, linguaggi diversi ma che qui sono mutuati dal talento e dalle idee del compositore. Rigoroso radicalismo mi verrebbe da dire, nel quale le soluzioni timbriche giocano un ruolo fondamentale per colorare sia i momenti “obbligati” che quelli più “liberi”, ed i cinque compagni di viaggio ovvero Anais Drago al violino, Francesca Remigi alla batteria, Andrea Campanella ai clarinetti, Aldo Davide Di Caterino ai flauti e Pietro Corbascio alla tromba sono tra loro complementari e totalmente coinvolti nell’assecondare ed arricchire le idee di Bartolo: gli accordi di chitarra, gli archi e quindi la batteria nell’incipit del movimento conclusivo “Ending“, il clarinetto, il flauto e la batteria che danno il via al suggestivo quarto movimento “Scherzo” o ancora il lungo brano di apertura “Start” (significativi il dialogo chitarra · violino intorno al minuto quattro ed il solo di chitarra sul finire) che già al primo ascolto dà al fruitore le coordinate sulle quali si muove questo interessante progetto, secondo capitolo per la Dodicilune dopo “Don’t Beat a Dead Horse” del 2020. Decisamente da ascoltare e riascoltare ….. poi mi saprete dire.

PAOLA ARNESANO · VINCE ABBRACCIANTE “Opera!”

PAOLA ARNESANO · VINCE ABBRACCIANTE “Opera!”

PAOLA ARNESANO · VINCE ABBRACCIANTE “Opera!””

Dodicilune Dischi. CD, 2022

di alessandro nobis

Questa idea – invero brillante – di cantare e suonare le arie d’opera più popolari non soddisferà forse il “fine” palato dei melomani più ortodossi, ma questo lavoro di Paola Arnesano e Vince Abbracciante va ascoltato a mio modesto avviso in modo molto attento per comprendere bene il progetto della cantante barese e del fisarmonicista brindisino Vincenzo “Vince” Abbracciante. Dal canto loro i jazzofili più puri e più curiosi non avranno difficoltà – viste le qualità dei due protagonisti – ad avvicinarvisi scoprendo come la cantante e ed il fisarmonicista hanno pensato di affrontare questo insidioso repertorio che conferma come si possa translare dall’ambito classico a quello jazzistico un patrimonio importante come quello del melodramma.

Innanzitutto il repertorio, scelto con particolare cura tra brani · canzoni · più conosciuti e meno conosciuti dalle opere verdiane come “Il Trovatore“, “La Traviata” e “I Vespri Siciliani” al repertorio pucciniano di “La Bohème” e “Tosca” fino a Gaetano Donizetti (“Lucrezia Borgia“) giusto per citarne qualcuno: poi l’accurato lavoro per arrangiare questi “totem” musicali che come si può ben immaginare rispecchiano le melodie originali fino ad un certo punto per poi lasciare al talento dello straordinario fisarmonicista Abbracciante ed alla splendida voce di Paola Arnesano di imprimere un’impronta jazzistica fatta di abbellimenti, assoli e soprattutto l’intenso interplay tra i due protagonisti di questo importante progetto che si distingue a mio avviso nel panorama del jazz moderno per originalità e l’ardimento nel “toccare” un repertorio così importante per la cultura italiana.

In “Mercé, Dilette Amiche” dai Vespri Siciliani di Verdi (libretto di Charles Duveyrier” Paola Arnesano assume le vesti di Helene, in “Ecco Respiro Appena” quelli di Adriana Lecouvreur (dall’omonima opera di Francesco Cilea con il libretto di Arturo Colautti) ed ancora di Cho Cho San nella “Madame Butterfly” pucciniana (libretto di Giuseppe Giacosa) ed infine ancora Puccini in “O mio babbino caro” con un delicato ed efficace assolo vocale: sempre le melodie sono permeate dal suono della fisarmonica di Abbracciante, sempre preciso, fantasioso, oserei dire perfetto (non a caso gli esperti jazzofili lo considerano uno straordinario interprete del jazz moderno).

Disco tra i più significativi tra quelli pubblicati di recente, quasi quasi mi vien voglia di ascoltare le opere nella loro versione originale …

P. S. Magari nelle grandi città queste arie · e le opere cui appartenevano · si ascoltavano nei teatri o nei salotti delle famiglie borghesi dove erano accompagnate dal pianoforte, ma mi piace (molto) pensare che il popolo le abbia conosciute attraverso il suono dei mandolini magari nelle botteghe dei barbieri, o nelle piazze e mercati dove il canto era accompagnato non già da una fisarmonica ma dal suono più antico dell’organetto diatonico contribuendo magari attraverso “fogli volanti” alla alla diffusione.

Di Arnesano e Abbracciante ne avevo parlato anche in occasione del loro “MPB!” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/03/28/paola-arnesano-vince-abbracciante-mpb/)

FRANCESCO CALIGIURI · NICOLA PISANI “Monastere Enchanté · L’Ensemble Créatif”

FRANCESCO CALIGIURI · NICOLA PISANI “Monastere Enchanté · L’Ensemble Créatif”

FRANCESCO CALIGIURI · NICOLA PISANI “Monastere Enchanté · L’Ensemble Créatif”

Dodicilune Dischi Ed529. CD, 2022

di alessandro nobis

Questo è davvero un disco “fuori dall’ordinario”. Intanto per l’idea che sta dietro al progetto, ovvero quello di suonare, ri-scrivere la musica antica introducendo metodologie esecutive che appartengono ad un linguaggio lontano da essa cinque secoli, almeno, ovvero quello del jazz e delle metodologie improvvisative. Poi perchè coinvolge due ensemble, il quartetto “Monastere Enchanté” e il sestetto “Ensemble Creative” guidati rispettivamente dai fiatisti e compositori Francesco Caligiuri e Nicola Pisani che si alternano nell’esecuzione dei brani secondo il progetto di “Locrum Sacrum” festival di Spezzano, sulla Sila calabrese, uno dei pochi festival jazz che non si limita ad assemblare un programma scegliendo dai roster delle agenzie ma che produce eventi come questo. L’idea di due ensemble sullo stesso disco potrebbe far storcere il naso a qualcuno, ma l’ascolto testimonia una grande piacevolezza e curiosità con un equilibrio sonoro davvero invidiabile nonostante i due gruppi si muovano su terreni apparentemente diversi.

L’ambientazione è quella di una sorta di “rinascimento al limite dell’apocrifia”; le otto composizioni di Caligiuri (con lui ci sono Michel Godard, Paolo Damiani e Luca Garlaschelli) si ispirano a quello straordinario periodo storico, ne rispettano ritmi e suoni (“C’est la bonheur“) ma inseriscono assoli come quello di Godard e di Damiani di chiara ambientazione jazzistica con uno straordinario quanto inedito risultato: “Sombra Misterieux I” è un bellissimo brano per solo violoncello (e qui il ricchissimo repertorio per viola da gamba viene “richiamato” all’ascoltatore) con un’improvvisazione incastonata nella struttura del brano mentre la seconda parte è più vicina all’idioma jazzistico visto che il baritono di Caligiuri ne è l’assoluto protagonista (il sassofonista pugliese ha davvero fatto sua bene la lezione di un tal John Surman).

D’altro canto l’Ensemble Créatif di Nicola Pisani sceglie un percorso diverso, ovvero quello di intrepretare brani del repertorio storico (a parte due interpretazioni di Charlie Haden · Our Spanish Living Song” e “Silence” · rese perfettamente “coeve” a questo progetto): lo fa sì rispettando gli spartiti ma lasciando grande libertà espressiva ai musicisti come ad esempio in “O Let Me Weep (The Plaint)”  composta da Henry Purcell e Thomas Betterton facente parte della semi-opera “La regina delle fate” (The Fairy-Queen; Catalogo Purcell numero Z.629) eseguita per la prima volta nel 1692 (lo spartito venne perso e ritrovato quattro secoli più tardi). L’inizio con la voce magnifica di Francesca Donato rispetta l’originale partitura, ma poi si susseguono improvvisazioni (il flauto di Eugenio Colombo e le percussioni, il trombone di Giuseppe Oliveto, il sassofono di Pisani, i cordofoni di Checco Pallone) che separano le strofe cantate in modo efficacissimo: un perfetto mosaico di suoni e di storie musicali che raramente mi è capitato di ascoltare.

Che ascoltiate il disco rispettandone la scaletta o separando i brani dei due ensemble – andando contro quindi l’idea originale, ma ne vale la pena per capirne di più – non ne cambia la sua straordinarietà; credo che quel geniaccio indimenticato di David Munrow (1942 · 1972) che ebbe secondo i puristi l’ardire mezzo secolo fa di mettere a contatto due mondi paralleli come quelli della musica medioevale e quello del folk inglese avrebbe senz’altro apprezzato moltissimo questo progetto. Due generi lontani in apparenza che oggi si incontrano, il jazz e la musica antica: un nuovo sentiero da percorrere, tutto da scoprire e da ascoltare.

SERENA SPEDICATO “Io che amo solo te: le voci di Genova”

SERENA SPEDICATO “Io che amo solo te: le voci di Genova”

SERENA SPEDICATO “Io che amo solo te: le voci di Genova”

DODICILUNE RECORDS. CD + libro 20 x 20 cm,, 2022

di alessandro nobis

Per chi come me ha una conoscenza epidermica della canzone d’autore italiana ed in particolare della cosiddetta “scuola genovese”, questo recentissimo album di Serena Spedicato mi sembra il punto iniziale perfetto per approfondirne la conoscenza; per chi invece ha seguito da sempre e segue ancora oggi il gruppo degli straordinari poeti e musicisti che ne fanno parte, questo cd rappresenta un modo diverso di affrontare allo stesso tempo le diversità, le poetiche e le musiche che hanno portato quei musicisti ad essere ancora celebrati dopo mezzo secolo godendone di una prospettiva filtrata dagli autori del progetto.

Io che amo solo te: le voci di Genova” è un recital, come si diceva un tempo, un esempio di “teatro canzone” dove si narra di Luigi Tenco, Fabrizio De André, Ivano Fossati, Gino Paoli, Sergio Endrigo, Umberto Bindi e Bruno Lauzi, dove si ascoltano le loro canzoni e dove si ascoltano le parole di Osvaldo Piliego dalla voce narrante di Serena Spedicato con gli arrangiamenti curati dal fisarmonicista Vince Abbracciante che assieme al chitarrista Nando Di Modugno e il contrabbassista Giorgio Vendola hanno curato la parte musicale.

Il disco si ascolta tutto d’un fiato, il narrato è in perfetto equilibrio con il cantato e la scelta degli autori e dei brani mi pare molto indovinata: i brani sono autentici “standards” della canzone d’autore italiana ed il loro valore musicale risalta ancor più perchè si adattano ad ambientazioni musicali diverse.

Del resto la capacità di Serena Spedicato di raccontare sè stessa affrontando repertori inaspettati (vedi l’ottimo lavoro sulle composizioni di Sylvian – https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/10/11/serena-spedicato-nicola-andrioli-the-shining-of-things/ -) è ben nota e la bravura e duttilità di Vince Abbracciante (appena pubblicato “Opera!” con Paola Arnesano) si completano in modo efficace come sono convincenti i ruoli di Vendola e Di Modugno. “Io che amo solo te” con l’intro di chitarra e contrabbasso sono una toccante rilettura del brano di Sergio Endrigo, “Il nostro concerto” di Umberto Bindi, la rilettura con tempo più andante di “Un giorno dopo l’altro” di Tenco ed infine la conclusione con il narrato che precede una essenziale versione di “Anime Salve” sono solamente i quattro brani che segnalo, quattro brani di un disco davvero ben riuscito, un omaggio alla scuola genovese, omaggio delicato, di rara raffinatezza e quel che più conta, davvero originale.

Il cd è accompagnato da un volumetto che oltre a riportare i testi di Piliego, ospita le fotografie di Marina Damato e Maurizio Bizzocchetti.

http://www.dodicilune.it

MASSIMILIANO CIGNITTI “Buio in Sala”

MASSIMILIANO CIGNITTI “Buio in Sala”

Massimiliano Cignitti “Buio in Sala”

DODICILUNE DISCHI 1299. CD, 2022

di alessandro nobis

Un quintetto (Massimiliano Cignitti al basso, Mauro Scardini alle tastiere, Giancarlo Ciminelli alla tromba e flugelhorn, Marco Guidolotti ai fiati e Marco Rovinelli alla batteria) con una nutrita serie di ospiti di gran caratura per una riuscitissima dedica al Cinema ed ai suoi più importanti protagonisti siano essi registi, autori di colonne sonore ed attori; non parliamo dell’ennesima riproposta dei “temi celebri dalle colonne sonore” ma di composizioni originali di Massimiliano Cignitti, fatte naturalmente tre debite eccezioni.

Gli arrangiamenti del bassista romano, Scardini e Nguyên Lê sono davvero indovinati e pur essendo omogenei nel suono globale riescono sempre a valorizzare nel migliore dei modi le composizioni come nella serrata black music di “Shaft is back” con i soli al piano elettrico di Scardini, di chitarra dello straordinario Nguyên Lê e del sax di Guidolotti o nella ballad ” O Venezia venusia venaga” che apre il lavoro, una delle “citazioni” in questo caso di Nino Rota con un arrangiamento cucito appositamente sul suono piuttosto riconoscibile della chitarra del franco – vietnamita. Il brano che magari non ti aspetti, anche se legato al cinema di Kubrick, è ovviamente la coltissima citazione di Bartok Béla, il secondo movimento di uno dei suoi capolavori, “Musica per Archi, percussioni e celesta“: la dimostrazione non solo dell’attenzione e profonda conoscenza che Cignitti & C. hanno del cinema ma anche della capacità di reinventare (ricostruire?) uno dei brani “intoccabili” con una lettura “diversa” fatta con i migliori crismi che trasporta questo brano dal 1936 al miglior jazz contemporaneo; qui ospite la batteria di Mark Colenburg ed i soli di chitarra e della tromba di Ciminelli. “Buio in Sala” con la voce di Valentina Petrossi è un appropriato e convincente spartito di Cignitti dedicato alla Dolce Vita ed al suo cinema, perfetto allora come ora per rifugiarsi nei propri sogni e purtroppo illusioni in un’Italia che viveva il suo “sogno globale” finito magari troppo presto.

Buio in Sala” è un altro di quei lavori piacevolissimi sin dal primo ascolto e la cui complessità ed intensità  invitano chi ne fruisce a reiterare gli ascolti alla scoperta dei suoi “angoli” nascosti.

MALOO “Fuzzland”

MALOO “Fuzzland”

MALOO “Fuzzland”

DODICILUNE / CONTROVENTO Records. CD, 2022

di alessandro nobis

“Intrigante” è stato il primo aggettivo che mi è venuto in mente ascoltando questo lavoro ad opera di Valeriano Ulissi (chitarra, elettronica), Carlo Bolognini (basso), Giovanni Zannini (batteria, elettronica) e Federico Zannini (percussioni, elettronica), a.k.a. “Maloo”, che segue “Everything needs time” disco d’esordio del 2016; intrigante perchè si presta a diversi livelli di ascolto, quello diciamo così piacevolmente epidermico e quello più approfondito se si vuole andare alla scoperta delle origini e del lavoro di produzione. L’idea è cercare un equilibrio più vicino alla perfezione creando una fusione musicale nella quale siano comunque riconoscibili gli elementi che la compongono, e per poter realizzare un progetto del genere è necessario avere alla base una conoscenza dello spettro musicale odierno più ampio possibile che, mi sembra di poter dire, i quattro componenti abbiano.

Sorprendente la bella rilettura di un brano che non ti aspetti ovvero “In Bloom” dei Nirvana (era su “Nevermind” del ’91) con l’uso di registrazioni vocali originali probabilmente proveniente da una trasmissione televisiva e con un accurato utilizzo – ma questa considerazione vale per tutto “Fuzzland” – dell’elettronica ottimamente combinata con le tessiture ritmiche del brano; una modalità di intrecciare suoni reali e alloctoni che a qualcuno di noi “reduci” di decenni di ascolti non può non ricordare il geniale lavoro di Brian Eno e David Byrne, quel “My life in a Bush of Ghosts” che quaranta anni or sono tracciò a mio avviso un sentiero indelebile nella musica.

Gli altri nove brani sono tutti originali, un altro punto a favore del quartetto, e mostrano uno sforzo costante nel mantenere piuttosto omogeneo tutto il lavoro cercando tuttavia di inserire, mantenendo una linearità timbrica, i vari elementi di questa fusione: il brano eponimo ad esempio, è uno di quelli che mi sono piaciuti maggiormente che si caratterizza da un ritmo martellante e da un intelligente filtraggio elettronico degli strumenti lungo tutta la composizione, “Departures” contiene numerosi “inserti” alloctoni ed ha una bella parte di chitarra (mi sembra di capire, tanto sono ben nascosti dall’elettronica i suoni originali) ed infine “Around My Mind” ha a mio avviso un’impronta di certo rock dei primi anni settanta grazie ai particolari suoni sintetici ed anche a certo jazz elettrico.

Disco interessante davvero, intrigante come dicevo in apertura, una sfida per chi cerca sempre di dare un’etichetta alla musica che si va ad ascoltare. Perdita di tempo, concentratevi sulle sfumature di questo “Fuzzland“.

Il disco è una co-produzione di Valeriano Ulissi e della sempre attenta Dodicilune che lo ha inserto nella collana “Controvento.