DICK HECKSTALL · SMITH “A Story Ended”

DICK HECKSTALL · SMITH “A Story Ended”

DICK HECKSTALL · SMITH “A Story Ended”

Bronze Records. LP, 1972. Esoteric Records. CD, 2009

di alessandro nobis

Visto che il gruppo di John Hiseman a metà del 1971 si sciolse, Dick Heckstall · Smith, il sassofonista dei Colosseum e dello scenario del blues inglese · un nome per tutti la Graham Bond Organisation · decide di incidere un disco a proprio nome e “convoca” una serie di amici per registrare queste sei tracce da lui composte; se cercate i “Colosseum” ne trovate traccia (e che traccia!) nella lunga “The Pirate’s Dream” dove la band di Hiseman è quasi al completo, con Graham Bond all’Hammond e Chris Spedding alla chitarra e nella seguente “Same Old Thing“, composte come la precedente dal sassofonista con Clem Clempson e Hiseman ed eseguita da Paul Williams (voce), Caleb Quayle (chitarra), Mark Clarke (basso) e Rob Tait alla batteria oltre naturalmente a D. H·S. Inconfondibili soprattutto nel primo brano citato la sua costruzione, i passaggi strumentali e la voce di Chris Farlowe, un brano in perfetto idioma “Colosseum”.

Le altre quattro composizioni sono scritte da Heckstall · Smith e di queste voglio citare “What The Morning Was After” con il testo di Pete Brown, la brillante chitarra acustica di Caleb Quaye e due pianoforti, quello di Graham Bond e quello di Gordon Beck che ricordo essere uno dei più interessanti pianisti della scena del jazz europeo: è una ballad introdotta dal sax tenore con una bellissima parte di chitarra ed un importante ruolo dei pianoforti e con la voce di Williams perfettamente calibrata. Nella seconda parte il ritmo accelera ed il sax esegue un efficace “solo”, il ritmo quindi rallenta e lascia spazio alla chitarra che sottolinea la voce, bellissimo a mio avviso. Disco da riscoprire assolutamente, non solo per completisti, anche perchè nella versione CD della Esoteric Records sono presenti cinque brani inediti, tre esecuzioni live della band che Heckstall Smith mese assieme per promuovere il disco (“Moses in the Bullrushhourses“, “The Pirate’s Dream” e “No Amount of Loving“) e due registrazioni provenienti dal progetto “Manchild“, gruppo che presentava James Litherland alla voce e chitarra ma che non pubblicò nemmeno un singolo e la cui musica, diversa da quella alla quale ci aveva abituato il sassofonista, ruota attorno ad un robusto rock che al di là dei soli di sax a mio avviso decisamente non regge il tempo. Bene comunque la Esoteric ad inserire i due brani, è sempre interessante conoscere gli “sviluppi” post Colosseum.

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JORMA KAUKONEN · TOM CONSTANTEN “Embryonic Journey”

JORMA KAUKONEN · TOM CONSTANTEN “Embryonic Journey”

JORMA KAUKONEN · TOM CONSTANTEN “Embryonic Journey”

Relix Records. CD, 1995

di alessandro nobis

Se hai superato la sessantina e sei, o lo sei stato, un consumatore seriale di vinili, compact disc e cassette, ti sarà capitato senz’altro di acquistare almeno un disco diciamo così “bizzarro”: non dico che sei pentito di averlo preso ma almeno una volta ti sarai chiesto “ma a questi come gli è venuto in mente di pubblicare una roba del genere?”.

Nella mia discoteca vince a mani basse questo lavoro del chitarrista dei Jefferson Airplane e degli Hot Tuna Jorma Kaukonen ed il primo tastierista dei Grateful Dead Tom Constanten con il gruppo californiano dal ’68 al ’70; si tratta di undici versioni del brano “Embryonic Journey” (in origine su “Surrealistic Pillow” dei J.A.) che svelò a molti il delicato fingerpicking di Kaukonen, un brano che il chitarrista ha fortunatamente mantenuto nel repertorio live a lungo, molto a lungo (mezzo secolo?).

New York, 1985 Sound Tek Studios: i due musicisti si chiudono all’interno e suonano · risuonano ·  modificano · sperimentano · azzardano nuove riletture e nuovi suoni di questo brano iconico che nella versione originale pare a molti perfetto, intoccabile, un banco di prova per i chitarristi finger·picking, e la Relix Records con la produzione di Michael Falzarano a lavoro terminato ne stamperà cinquemila copie. Tra le diverse versioni del brano non posso non segnalare quella più vicina all’originale del 1967 che apre il cd e tra le altre quella eseguita da Kaukonen e Constanten al pianoforte acustico e qui chiamata “The Perfect Embryonic Journey”; quella che non aspetti è la bonus track “A Midi Orchestration Embyonic Journey“, arrangiamento bizzarro per un disco bizzarro solo per completisti.

THE RISING FAWN STRING ENSEMBLE “Full Moon on the Farm”

THE RISING FAWN STRING ENSEMBLE “Full Moon on the Farm”

THE RISING FAWN STRING ENSEMBLE “Full Moon on the Farm”

Rounder Records. LP, 1981

di alessandro nobis

Full Moon on the Farm” è il secondo album del Rising Fawn String Ensemble ed alla sua realizzazione contribuiscono oltre a Norman, Nancy Blake e James Bryan al violino con l’aggiunta, in sei brani, dell’amico e gran chitarrista · violinista Charlie Collins. Al di là della straordinaria quanto unica combinazione di strumenti e dell’equilibrio degli arrangiamenti, il repertorio è un intelligente mosaico di brani originali, di tradizionali e di riletture di brani altrui come nella migliore tradizione delle registrazioni di Norman Blake. Splendidi gli originali “Ispirati” dalla tradizione come “Nancy’s Hornpipe” (una danza di origine medioevale ancora suonata nelle isole britanniche)  composta da Norman Blake per mandolino, violoncello, violino e chitarra (Charlie Collins), “Davenport March” · sempre di Norman · composta “alla maniera” di Bill Monroe, e ancora un brano di Nancy, “Texola Waltz“, struggente valzer nel quale fa capolino l’accordeon dell’autrice. Tra le riletture di tradizionali voglio citare un gospel scritto nel 1893 da Charlie D. Tillman, “Diamonds in the Rough“: Blake scrive che il suo sogno sarebbe quello di ritornare negli anni Trenta con questo ensemble a suonare nelle strade della provincia americana e se possibile vorrei partecipare a questo viaggio temporale……. Due brani proposti sono tratti da “Fiddler’s Tune Book, Volume One” ovvero “Jacky Tar” e “Gilderoy” entrambi eseguiti in trio (Mandolino, violino e chitarra) e da ultimo sottolineo l’efficacia dell’arrangiamento di un brano scritto da Kenny Baker, “Salty” dedicato al violinista del Kentucky per decenni nei Bluegrass Boys di Bill Monroe.

Dimenticavo che “OBC #3” è in realtà “Old Brown Case” uno dei più bei brani scritti ba blake qui eseguito con Nancy al Violoncello e Bryan al violino, strepitosa esecuzione quanto quella che si trova nel disco con Vassar Clements, Dave Holland e amici (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/09/21/suoni-riemersi-blake-%c2%b7-taylor-%c2%b7-bush-%c2%b7-robins-%c2%b7-clements-%c2%b7-holland-%c2%b7-burns/).

Dello straordinario Rising Fawn String Ensemble avevo parlato anche qui:

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/08/08/norman-blake-the-rising-fawn-string-ensemble/) 1981

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/01/06/the-rising-fawn-string-ensemble-original-underground-music-from-the-mysterious-south/) 1982

COLOSSEUM “Live!”

COLOSSEUM “Live!”

COLOSSEUM “Live!”

Bronze Records. 2LP, 1971

di alessandro nobis

Beh, dovessi scegliere il doppio ellepì registrato dal vivo che più ho ascoltato ed amato (e ascolto e amo tuttora) dagli anni della mia adolescenza ovvero da una cinquantina di anni, questo è il “Live” dei Colosseum, in cima alla montagna. E pensare che i musicisti non erano del tutto convinti di pubblicare quei nastri registrati all’Università di Manchester ed al Big Apple di Brighton nel marzo del ’71, ma le cose andarono per nostra fortuna diversamente e la Bronze Records (e la Warner Bros. negli USA) consegnarono alla storia della musica rock questo luminosissino diamante. Scusate la retorica ma veramente questo è uno straordinario disco, la band è all’apice della creatività, la line-up è quella fantastica con Chris Farlowe alla voce, Dave “Clem” Clempson alla chitarra, con John Hiseman alla batteria, Dick Heckstall-Smith ai fiati, Dave Greenslade all’Hammond e Mark Clarke al basso, il repertorio è la visione musicale live dei Colosseum, un rock ad alto tenore energetico intriso di blues con ampio spazio al jamming che sviluppa grandemente i brani del repertorio. Basta ascoltare la progressione di hammond e il dialogo con la chitarra di “Lost Angeles”, composta dopo una permanenza californiana a “Los Angeles” (di Farlowe, Hiseman e Heckstall · Smith) o la potenza interpretativa della voce di Chris Farlowe ed il lunghissimo solo di Clempson in “Skeglinton” di Clampson e Hiseman, brani che occupano ciascuno una facciata di questo doppio ellepì. Altre due perle che “raccontano” della formazione musicale dei membri dei Colosseum sono il celeberrimo brano di T·Bone Walker “Stormy Monday Blues” in delle più convincenti e vigorose versioni in assoluto, la prima parte più simile all’originale e quella centrale con una jam tra Clempson, Farlowe e Heckstall · Smith e la splendida rilettura di “Walking in the Park” composto dall’organista e scopritore di talenti Graham Bond nella cui Organ·Isation molto di quello che riguardo il cosiddetto British Blues ebbe inizio a cavallo del ’60.

Nella versione in CD pubblicata nel 2004 è riportato anche un brano di James Litherland, “I’Can’t Live Without You” (presente nell’antologia “The Collector’s Colosseum”).

Disco memorabile a mio avviso: miracolo irripetibile? Macchè, i due Live registrati nel ’94 a Colonia e pubblicati l’anno seguente stanno lì a testimoniarne un altro, stessa energia, scaletta molto simile, stessa band ancora al “top”: due Cd che testimoniano la chiusura di un’epoca, ed il seguente “Bread & Circuses” del 1997 è la prova del cambiamento. Ne parleremo.

SUCCEDE A VERONA: RASSEGNA (IN)VISIBILI IN JAZZ

SUCCEDE A VERONA: RASSEGNA (IN)VISIBILI IN JAZZ

SUCCEDE A VERONA · RASSEGNA (IN)VISIBILI IN JAZZ ·

Esotericproaudio Theater

Villafranca di Verona, 7 ottobre · 18 novembre

di alessandro nobis

In effetti tutti noi, organizzatori compresi, la notizia che Evan Parker avesse rinunciato al pur breve giro di concerti italiani per motivi strettamente personali non l’avevamo presa bene tanta era l’attesa che si era creata, come si dice, “nell’ambiente”. Poteva essere un super gustoso antipasto del progetto al quale Mirko Marogna dell’Esotericproaudio Theater e Roberto Zorzi (lo voglio ricordare solo come uno dei direttori artistici di Verona Jazz nelle sue migliori edizioni, parlo di quelle di metà anni ottanta, qualcuno si ricorderà senz’altro) stavano lavorando e che avevano cripticamente annunciato al concerto di Elliot Sharp.

Va bene, Evan Parker non è venuto (verrà mai?) ma il progetto dei due si è concretizzato in una bella rassegna dedicata soprattutto a musicisti che come si evince dal titolo vuole dar giusto spazio agli “(In)visibili del jazz” con un doverosa attenzione ai musicisti dell’area veronese; certo, c’è del sottile sarcasmo nel titolo ma è pur vero che moltissimi jazzisti – e bluesmen, come vedremo – hanno storicamente poco spazio nei grandi festival che si tengono nel belpaese. Un vero peccato perchè mai come in questi anni in Italia i musicisti con proposte interessanti sono aumentati notevolmente di numero ma direi in modo inversamente proporzionale alle occasioni per suonare diciamo così a condizioni almeno “dignitose” sia in termini economici che di “location” e quindi personalmente considero questa rassegna come una “manna dal cielo” sia per gli appassionati che per i musicisti.

Quattro appuntamenti (doppi appuntamenti in realtà, il primo dedicato al jazz ed il secondo al blues · e dintorni ·) da venerdì 7 ottobre a venerdì 18 novembre presso l’Esotericproaudio Theater di Villafranca, vicino al Castello Scaligero, con ingresso riservato ai Soci ed anche ai nuovi Soci (quindi a tutti, praticamente) con una quota di partecipazione di € 15,00 fondamentale per poter sostenere il progetto.

Ecco il programma nel dettaglio

Venerdì 7 ottobre:

La1919:

Piero Chianura · tastiere

Luciano Margorani · chitarra

special guests:

Luca Crispino · basso

Luca Pighi · batteria

·

TONY LONGHEU’S BLUES BEYOND

Tony Longheu · chitarra, dobro, voce

Sabato 22 ottobre:

MOOD ELLINGTON:

Nelide Bandello · batteria

Paolo Bacchetta · chitarra

Giacomo Papetti · basso

·

PASETTO/BENINI/MELLA/DIENI

Marco Pasetto · clarinetto basso

Stefano Benini · flauto basso, flauto, digeridoo

Aldo Mella · contrabbasso

Pino Dieni · chitarra, fx

Venerdì 4 novembre:

MAZZA/DEL PIANO/ MAYES/PAGLIACCIA

Cristina Mazza · sax alto

Roberto Del Piano · basso

Martin Mayes · corno francese, corno delle Alpi, conchiglie

Gioele Pagliaccia · batteria, percussioni

·

LODATI/ SANNA

Claudio Lodati · chitarra

Eugenio Sanna · chitarra

Venerdì 18 novembre

FREEPHONIC

Benny Weiss Levi · sax tenore

Bert Den Hoed · tastiere

Han Van Hulzen · batteria, percussioni

·

HENDRIX ROAD

Enrico Merlin · chitarra, fx

Boris Savoldelli · voce, fz

DAVID  BROMBERG “David Bromberg”

DAVID  BROMBERG “David Bromberg”

DAVID  BROMBERG “David Bromberg”

Columbia Records. LP 1971

di alessandro nobis

Gran chitarrista e ottimo compositore, David Bromberg ha sempre saputo stare in perfetto equilibrio tra la tradizione acustica e l’elettrificazione della musica americana, ed è per questo che ho sempre seguito e grandemente apprezzato la sua cinquantennale carriera nella quale ha registrato alcuni dischi che modestamente considero dei capisaldi di “Americana” (questo disco d’esordio, “Wanted Dead or Alive“, “Demon in Disguise” o il doppio live “How late’ll ya play ‘til” e ancora “Try me one more time” eccetera eccetera ….).

Naturalmente qui spiccano i due brani dove Bromberg suona con l’amico Norman Blake (e la foto nell’inserto la dice lunga sul rapporto tra i due), ovvero quelli registrati a Nashville: “The Boggy Road To Milledgeville (Arkansas Traveler)“, due chitarre (e che chitarre!) con il contrabbasso di Randy Scruggs per uno dei brani pià amati da Blake & C. e soprattutto “Lonesome Dave’s Lovesick Blues #3” con una sorta di Dream Team che prevede John Hartford al banjo, Norman Blake alla chitarra, Randy Scruggs al contrabbasso, Richard Grando al sassofono (e la presenza del sax in questo brano indica in modo chiarissimo l’idea di Bromberg ovvero quella di uscire dall’ortodossia di certo folk americano per cercare un nuovo suono, idea che si capisce anche dai musicisti scelti), Vassar Clements al violino e Tut Taylor al dobro.

Il “resto” è grande musica, dai brani originali registrati con la band elettrica come “Suffer To Sing The Blues” con l’armonica di Will Scarlett (lo ricordo ai tempi dei primi Hot Tuna) o acustici come “Pine Tree Woman” con Steve Burgh al basso o ancora i tradizionali “Mississippi Blues” (registrata anche nel 1940 da Blind Willie McTell) e “Dehlia” di Jimmie Gordon (che la registrò nel ’39).

Un disco d’esordio davvero interessante che ha aperto la carriera solista di Bromberg, carriera che prosegue ancora oggi più dal vivo che in studio; ho avuto la fortuna di apprezzare la sua musica in un paio di occasioni a Vicenza, grande emozione e grande comunicazione di questo musicista di Philadelphia, classe 1938. I due cammei di Norman Blake poi sono un vero e proprio valore aggiunto, mi domando se quelle session a Nashville sono ancora in qualche cassetto della Columbia: perchè non pubblicarle?

JOHN HENRY DEIGHTON (a.k.a. CHRIS FARLOWE) & THE THUNDERBIRDS

JOHN HENRY DEIGHTON (a.k.a. CHRIS FARLOWE) & THE THUNDERBIRDS

Chris Farlowe & The Thunderbirds “Buzz With the Fuzz”

Decal Records. LP, 1987

di alessandro nobis

Narra la leggenda che John Henry Deighton, classe 1943, ad un certo punto della sua appena iniziata carriera si inventò un nuovo nome e cognome, il primo suggerito da un amico ed il secondo ispirato dal chitarrista jazz Tal Farlow: Chris Farlowe appunto come tutti noi lo conosciamo, il cantante dei Colosseum dal 1970 ai giorni nostri.

E prima della band di Jon Hiseman? Parte di questo “prima” è racchiuso in questo vinile edito dalla Decal nl 1987 e raccoglie le registrazioni effettuate per la EMI dal contante con i Thunderbirds nel 1963 e pubblicate come singoli fino al 1965; la voce è potente, “nera” quasi travolgente nelle sue interpretazioni e se Farlowe è ancora attivo un motivo ci sarà anche se naturalmente ad ottanta anni suonati non si può pretendere che la voce resti quella di un tempo, lui lo sa e la usa in modo intelligente a quanto raccontano i report tedeschi sui recenti concerti dei Colosseum.

Dai Thunderbirds sono transitati lasciando una traccia significativa musicisti del calibro di Nicky Hopkins, Dave Greelskade, Carl Palmer e Albert Lee, e da cantante di skiffle degli inizi il baricentro della musica di Farlowe si è gradatamente spostato verso il blues, il rock’n’roll,  al soul  fino al rock venato di jazz come lo era quello della band di Hiseman; “Reelin’N’Rocking” di Chuck Berry del ’62, le due versioni dello straordinario slow blues “Stormy Monday Blues” di T-Bone Walker del ’65 che porterà in eredità ai Colosseum, i blues di “What you gonna do” e “Hound Dog” di Big Mama Thornton (la sua versione è su “Ball and Chain) con gli assoli di Albert Lee sono solo alcuni dei 45 giri di questo notevole “Buzz with the Fuzz“, antologia importante dei Thunderbirds, gruppo sciolto nel ’68 per le scarse vendite discografiche, e soprattutto per conoscere le origini del cantante londinese che dal ’70, come detto, andò a completare quella sorte di “Dream Team” che furono (e sono ancora) i Colosseum.

RORY GALLAGHER A VERONA “20 febbraio 1972, un marziano atterra al LEM”

RORY GALLAGHER A VERONA “20 febbraio 1972, un marziano atterra al LEM”

RORY GALLAGHER A VERONA “20 febbraio 1972, un marziano atterra al LEM”

di fabio oliosi e alessandro nobis

(scusate il titolo, ma “marziano” e “LEM” si prestavano ad un irresistibile gioco di parole).

A sentire i nostri coetanei ultrasessantenni appassionati “storici” di musica a domanda “sei stato al concerto di Gallagher al LEM” molti rispondono affermativamente salvo realizzare con il senno di poi che i presenti presunti supererebbero di gran lunga la capienza del locale, qualche centinaio di persone; e le “prove” della loro presenza? Beh quelle non ci sono naturalmente, tuttavia un paio di amici con i quali ci si frequentava ai tempi del Liceo Fracastoro andarono a quel concerto e le prove di ciò che scrivo sono le foto scattate (e che testimoniano anche il fatto che non sempre Gallagher indossava una delle sue famose camicie a quadri) e la bacchetta rotta che il batterista Wilger Campbell lanciò tra il pubblico e che uno dei due “Fabio” conserva ancora, almeno spero.

Quell’anno, il 1972, fu un anno importante per il bluesman di Ballyshannon perchè consacrò in modo definitivo la sua immensa caratura di musicista soprattutto nella dimensione live grazie ad una tourneè europea, con Gerry McAvoy al basso  e Wiler Campbell alla batteria, tra i mesi di febbraio e marzo e la conseguente pubblicazione di una delle sue opere più significative, quel “Live In Europe” che presenta brani tra i quali, magari, se ne nasconde qualcuno registrato a Verona. Vallo a sapere! Sognare non costa nulla anche perchè sulla copertina del disco non ci sono notizie al riguardo. Non chiedete della “scaletta” dei brani, a quindici anni le emozioni sovrastano tutto, dico solo che di sicuro quei due set domenicali diedero probabilmente una decisa “svolta” alla vita musicale di qualcuno dei presenti.

Il quotidiano locale “L’Arena” pubblicò due giorni prima a spese dell’organizzatore dell’evento due “moduli”, tutto qua, allora si usava così; aggiungo, per contestualizzare temporalmente l’evento che nei cinema veronesi si proiettava “Il Caso Mattei” di Franco Rosi, la versione integrale di “Conoscenza Carnale” con Candice Bergen e “Sacco e Vanzetti“.

Di seguito riporto un bel ricordo di uno dei due amici che andarono a quel concerto, quello pomeridiano, ricordo condiviso anche dal secondo Fabio, Fabio Bertelli. Io a quel concerto non ero presente, alla richiesta di andare, sebbene fosse una domenica pomeriggio, i miei rispesero con dei reiterati “non se ne parla nemmeno”. Che peccato!

“Nel febbraio del 1972 ho quindici anni. Sono tempi “scatenati” e ne combiniamo di tutti i colori, a scuola la mattina e col “cinquantino” nel pomeriggio. Il mio amico omonimo e compagno di scorribande mi propone di andare al LEM di San Martino Buon Albergo nel pomeriggio di domenica per un concerto di un chitarrista blues-rock famoso che io però non conosco. Beh, finora ho sbirciato solo un paio di numeri di Ciao 2001 e ascolto ogni tanto alla radio “Per voi giovani” ma Rory Gallagher non l’ho ancora “incrociato”. Il mio amico Fabio mi convince ad indossare, come lui, invece della solita maglietta, una canottiera rosa con una grande sigla “CEB” che lui ha dipinto.  Non ho mai saputo cosa volesse dire questa parola o questo acronimo, magari me lo dirà dopo aver letto queste righe, questo mio ricordo personale. Nella discoteca fa molto caldo e rimaniamo in jeans e canottiera “CEB”; magrini tutti e due, facciamo “tendenza” (o forse, impressione o “scaressa” in dialetto veronese) ma noi non lo sappiamo.  Sento che va bene così.  Sento che è solo ora che posso esprimermi in questo modo e lo faccio.

Ho con me una macchina fotografica Voigländer con un cubo-flash montato sopra, regalo di mio nonno Giorgio.

La musica è forte e magica. Rory sorprende e cattura il pubblico.

Consumo buona parte di un rullino da 36 foto.

Usciamo dal concerto carichi di energia e affascinati da quel suono che fa risuonare dentro di me sogni e voglia di trasgressione. (Fabio Oliosi)

Di Rory Gallagher esiste una bella biografia in italiano scritta da Fabio Rossi (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/10/30/fabio-rossi-rory-gallagher/) della quale ne è stata pubblicata una seconda edizione da Chinaski Edizioni.

HOT TUNA “The Phosphorescent Rat”

HOT TUNA “The Phosphorescent Rat”

HOT TUNA “The Phosphorescent Rat”

Grunt Records. LP, 1973

di alessandro nobis

Questo è uno dei miei favoriti album del Tonno Caldo vuoi per le belle composizioni di Kaukonen, per il suono elettro-acustico che caratterizza gli arrangiamenti ed anche per la sua grafica “a pallini” ripresa anche nella busta che contiene il vinile e sull’etichetta dove spunta la parola Grunt tra i pallini colorati. E’ anche il primo album dopo l’uscita di Casady e Kaukonen dai Jefferson Airplane che da lì a poco sarebbero diventati i Jefferson Starship arruolando il violinista Papa John Creach, con gli Hot Tuna in “Burgers” e “First Pull up Then Pull Down“; il trio presenta alla batteria ancora un volta il fedelissimo Sammy Piazza e rispetto ai precedenti lascia intravedere in alcuni brani (“Easy Now“) la tendenza della band di evolversi verso un suono ancora più elettrico che li distinguerà negli album seguenti come “American Choice” o “Yellow Fever”. Qui comunque il suono è ancora, come detto, un perfetto equilibrio tra l’acustico e l’elettrico, con indovinate e deliziose orchestrazioni curate dagli archi diretti da Tom Salisbury (“Corners Without Exits” e “Soliloquy for 2“) nella quale emergono anche le accurate sovraincisioni delle chitarre di Kaukonen, suono ancora legato cristallino fingerpicking degli strumentali “Seeweed Strut” e della rilettura del brano di Reverend Gary Davis “Sally, Where’d You Get Your Liquor From?” che chiude il disco ed anche questa fase degli Hot Tuna, fase riaperta comunque più avanti. Brani come “I see the light” sono rimasti fortunatamente nel repertorio degli Hot Tuna per decenni, a cominciare dal doppio live “Double Dose”, in “And Furthermore …”e nel secondo volume di “Live at Sweetwater”.

Grande disco, lo ascolto ancora spesso e sempre mi entusiasma.

This is one of my favorite Hot Tuna albums either for Kaukonen's beautiful compositions, for the electro-acoustic sound that characterizes the arrangements and also for its "dot" graphics, also found in the envelope containing the vinyl and on the label where the word Grunt appears between the colored dots. It is also the first album after Casady and Kaukonen's departure from Jefferson Airplane which would soon become Jefferson Starship enlisting violinist Papa John Creach, with Hot Tuna on "Burgers" and "First Pull up Then Pull Down "; the trio once again features the faithful Sammy Piazza on drums and compared to the previous ones, lets glimpse in some tracks ("Easy Now") the trend of the band to evolve towards an even more electric sound that will distinguish them in the following albums such as "American Choice" or "Yellow Fever". However, here the sound is still, as mentioned, a perfect balance between the acoustic and the electric, with guessed and delightful orchestrations curated by the strings directed by Tom Salisbury ("Corners Without Exits" and "Soliloquy for 2") in which emerge also the accurate overdubs of Kaukonen's guitars, still crystalline legato fingerpicking sound of the instrumental "Seeweed Strut" and the reinterpretation of the Reverend Gary Davis song "Sally, Where'd You Get Your Liquor From?" which closes the disc and also this phase of Hot Tuna, a phase reopened later on. Tracks like "I see the light" have fortunately remained in Hot Tuna's repertoire for decades, starting with the double live "Double Dose", in "And Furthermore ..." and in the second volume of "Live at Sweetwater".

HOT TUNA “Burgers”

HOT TUNA “Burgers”

HOT TUNA “Burgers”

Grunt Records FTR 1004. LP, CD, 1972

di alessandro nobis

Probabilmente gli Hot Tuna sono l’unica band che ha pubblicato il loro primo album in studio dopo due dischi dal vivo, e già questo dà la misura della cura che Kaukonen e Casady hanno riservato alla registrazione di Burgers, una delle più interessanti dell’intera discografia del gruppo che da costola degli Airplane ha saputo avere un’identità ben definita e sopravvivere di oltre quaranta anni alla band madre. Quest’anno è il cinquantesimo anniversario di Burgers e per festeggiare l’avvenimento alla Carnegie Hall si terrà il 22 aprile uno straordinario concerto dove la band eseguirà l’integrale dell’album pubblicato dalla Grunt Records e si festeggerà l’ottantesimo compleanno di quello che Bill Graham ebbe a definire “The Sex Symbol of Scandinavia”.

“Burgers” è un signor disco che pur mantenendo un forte legame con le radici del blues acustico contiene alcune delle più significative composizioni di Jorma Kaukonen alcune delle quali ancora in repertorio sebbene rinnovate negli arrangiamenti nelle esibizioni live oltreoceano, numerose e sempre sold-out. Blind Boy Fuller (“Keep on Truckin’” con la slide di Richard Talbott, autore di un album per la Grunt nello stesso anno, e le tastiere di Nick Buck), l’immancabile Gary Davis (“Let’s Together Right Down Here“), il padre spirituale della band e Julius Davis con la sua “99 Year Blues” la cui versione si può ascoltare nel monumentale cofanetto “Anthology of American Folk Music” curata da Harry Smith; ma da sottolineare sono, come dicevo, i brani originali tra i quali lo splendido “True Religion” un blues con il sempre puntuale violino di Papa John Creach – esemplare il suo assolo – ed il pianoforte di Nick Buck, una brano che si “elettrifica” man mano che si sviluppa, ed il solo di chitarra sovrainciso certifica la cura certosina degli arrangiamenti o la seguente “Highway Song” la cui parte vocale è impreziosita dall’intervento a supporto della voce di Kaukonen di David Crosby. Da ultimo voglio citare il mio brano preferito, lo strumentale “Water Song” con l’incipit della chitarra fingerpicking che fa contraltare all’elettrica e l’incisivo basso di Casady, sicuramente uno dei massimi bassisti in assoluto, ed anche probabilmente uno dei meno conosciuti.

Il suono del gruppo qui è molto solido ed equilibrato, il drumming di Sammy Piazza e le intricate linee di basso di Jack Casady formano una sezione ritmica di primissimo livello, sulla quale il violino e le chitarre sovraincise regalano uno dei più interessanti dischi prodotti dai musicisti della scena californiana di quegli anni.

Probably Hot Tuna are the only band that has released their first studio album after two live records, and this already gives the measure of the care that Kaukonen and Casady have reserved for the recording of Burgers, one of the most interesting of the whole discography of the band that from the rib of Airplane has been able to have a well-defined identity and survive the mother band for over forty years. This year is Burgers’ 50th anniversary and to celebrate the event at Carnegie Hall there will be an extraordinary concert on April 22nd where the band will perform the complete album released by Grunt Records and will celebrate the 80th birthday of the one who Bill Graham defined it as “The Sex Symbol of Scandinavia”.

“Burgers” is a disc that while maintaining a strong link with the roots of the acoustic blues contains some of the most significant compositions by Jorma Kaukonen some of which are still in the repertoire although renewed in the arrangements in the live performances overseas, numerous and always sold-out. Blind Boy Fuller (“Keep on Truckin’” with the slide by Richard Talbott, author of an album for Grunt in the same year, and the keyboards of Nick Buck), the inevitable Gary Davis (“Let’s Together Right Down Here“), the band’s spiritual father and Julius Davis with his “99 Year Blues” version of which can be heard in the monumental “Anthology of American Folk Music” box set edited by Harry Smith; but to underline are, as I said, the original pieces including the splendid “True Religion” a blues with the ever punctual violin by Papa John Creach – his solo is exemplary – and the piano by Nick Buck, a piece that “electrifies itself” as it develops, and the overdubbed guitar solo certifies the painstaking care of the arrangements or the following” Highway Song” whose vocal part is embellished by the intervention in support of the voice of Kaukonen by David Crosby. Lastly I want to mention my favorite song, the instrumental “Water Song” with the incipit of the fingerpicking guitar that contrasts with the electric and incisive bass of Casady, certainly one of the greatest bassists ever, and also probably one of the less known.

The sound of the group here is very solid and balanced, the drumming of Sammy Piazza and the intricate bass lines of Jack Casady form a rhythm section of the highest level, on which the violin and the overdubbed guitars give one of the most interesting records produced by the musicians of the Californian scene of those years.