DOC WATSON “Home Again!”

DOC WATSON “Home Again!”

DOC WATSON “Home Again!”

Vanguard Records. LP, 1967

di alessandro nobis

Del valore di Doc Watson come chitarrista e cantante, di “portatore” e “informatore” oltre che di interprete della tradizione musicale americana è già stato detto tutto da esperti molto più autorevoli di me; importante soffermarsi sul repertorio che Watson propone in questo ennesimo eccellente lavoro datato 1967 in compagnia di Merle Watson e del contrabbassista Russ Savakus. Giusto per ribadire l’attenta scelta del repertorio, ancora una volta.

Storie di incidenti ferroviari, raccontate molte volte nel folk d’oltreoceano, come “The F.F.V.”, scritta da un anonimo afroamericano che racconta vicenda dell’ingegnere George Alley morto il 23 ottobre del 1890 in un disastro avvenuto sulla linea Chesapeake & Ohio causato da una frana e imparata da Doc dalla madre Annie · oralità motore della tradizione · o i canti narrativi di origine anglo · scoto · irlandese come la celeberrima “Matty Groves” (a.k.a. “Little Musgrave“), una murder ballad che narra la storia di una relazione tra un giovane ed una nobildonna finita con l’omicidio dei due ad opera del marito (Child Ballad # 81 e Roud # 52) e come “Georgie” di origine scozzese e dedicata a George Gordon una sorte di un immaginario bandito difensore dei più deboli imparata dal suocero, il violinista Gaither Carlton e presente nella raccolta di Cecil Sharp. Non posso non menzionare “Pretty Saro” una ballata settecentesca di origine inglese ritrovata cento anni or sono nell’area appalachiana dove era stata “portata” dagli emigranti e catalogata nella raccolta Roud al numero 417, che Watson sceglie di interpretare senza accompagnamento come nell’inno religioso imparato dalla nonna paterna Lottie che apre la prima facciata del disco ovvero “Down In The Valley To Pray“, uno spiritual “appalachiano” di origine sconosciuta del quale si trova una traccia scritta in “Jubilee Songs” stampato nel 1872.

Disco davvero straordinario, questo “Home Again!” che in coppia con il precedente “Southbound” del 1966 a mio avviso danno veramente il senso della grandezza di questo chitarrista e cantante oltre che di “informatore” enciclopedico di quella che molti chiamano “americana”.

Alcuni dei brani sono contenuti nella tripla antologia “The Vanguard Years” publicata in compact disc nel 1995.

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Much more authoritative experts than me have already said everything about Doc Watson's value as a guitarist and singer, as a "bearer" and "informer" as well as an interpreter of the American musical tradition; important to dwell on the repertoire that Watson proposes in this umpteenth excellent work dated 1967 in the company of Merle Watson and the double bass player Russ Savakus. Just to reiterate the careful choice of repertoire, once again.

Stories of railway accidents, told many times in overseas folk, such as “The F.F.V.”, written by an anonymous African American who tells the story of engineer George Alley who died on October 23, 1890 in a disaster on the Chesapeake & Ohio line caused by a landslide and Doc learned from his mother Annie (orality engine of tradition) or narrative songs of Anglo Scot Irish origin such as the famous “Matty Groves” (a.k.a. “Little Musgrave”), a murder ballad that tells the story of a relationship between a young man and a noblewoman ended with the murder of the two by her husband (Child Ballad # 81 and Roud # 52) and as “Georgie” of Scottish origin and dedicated to George Gordon a fate of an imaginary bandit defender of the weakest learned from his father-in-law, violinist Gaither Carlton and featured in the collection of Cecil Sharp. I cannot fail to mention “Pretty Saro” an eighteenth-century ballad of English origin found one hundred years ago in the Appalachian area where it had been “brought” by emigrants and cataloged in the Roud collection at number 417, which Watson chooses to interpret without accompaniment as in the religious hymn learned from his paternal grandmother Lottie who opens the first side of the disc or “Down In The Valley To Pray”, an “Appalachian” spiritual of unknown origin of which there is a written trace in “Jubilee Songs” printed in 1872.

Truly an extraordinary record, this “Home Again!” which paired with the previous 1966 “Southbound” in my opinion really give a sense of the greatness of this guitarist and singer as well as an encyclopaedic “informant” of what many call “Americana”.

Some of the songs are contained in the triple anthology “The Vanguard Years” published on compact disc in 1995.

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NORMAN BLAKE “Directions”

NORMAN BLAKE “Directions”
NORMAN BLAKE  “Directions”
TAKOMA RECORDS. LP, 1978

di alessandro nobis

"Directions" è il secondo ed ultimo album di Norman Blake pubblicato dalla Takoma dopo l'ottimo "Live at McCabe's" (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/04/25/norman-blake-live-at-mccabes/); nel 1987 vennero pubblicati entrambi sullo stesso CD dalla stessa etichetta.
"Directions" è un disco del duo Nancy & Norman Blake e come questa straordinaria coppia ci ha abituato è una piacevolissima alternanza di tradizionali e di brani originali interpretati in modo straordinario grazie al perfetto equilibrio degli strumenti ad arco o a plettro utilizzati che sono il marchio inconfondibile ed inimitabile dei due musicisti.
Al solito i brani che preferisco sono quelli con la voce di Blake come "The Louisville & Nashville Don't Stop Here Anymore", scritta da Jean Ritchie considerata la madre del folk americano, è un canto narrativo che racconta della crisi economica appalachiana dovuta alla chiusura delle miniere di carbone ed al conseguente isolamento delle piccole comunità del Kentucky accentuato anche dalla soppressione dei treni passeggeri della linea "Louisville & Nashville Railroad Company", "Poor Ellen Smith" una classica ottocentesca "murder ballad" che racconta dell'omicidio di Ellen Smith avvenuto a Winston · Salem nel North Carolina, della cattura e dell'esecuzione del suo assassino ed infine un'altra ballad, "Rake and the Ramblin' Blade" presa dal repertorio dei Carolina Tar Heels che la registrarono nel 1929 e che testimonia, se ce ne dìfosse ancora bisogno, dell'attenzione che Norman Blake dmostra verso questi repertori spesso caduti nell'oblìo ma che sono parte fondamentale della storia culturale americana.
Tra i brani strumentali brillano una bella interpretazione di "White Horse Breakdown" composto da Bill Monroe ma registrato per la prima volta dal suo violinista Kenny Baker nel '72, ma soprattutto ci sono il medley dal sapore irlandese "Loch Lavan Castle · Santa Ana's Retreat · Cattle in the cane" eseguito dal duo chitarre e mandolino e "Uncle sam" impreziosito dagli ottoni di Miles Anderson.
Il CD è quasi introvabile, entrambi gli ellepì (mi riferisco anche a "Live at McCabe's") paradossalmente sono più reperibili sul mercato dell'usato. Buona caccia.

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"Directions" is Norman Blake's second and last album released by Takoma after the excellent "Live at McCabe's" (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/04/25/norman-blake-live-at-mccabes /); in 1987 both were released on the same CD by the same label.
"Directions" is a record by the duo Nancy & Norman Blake and as this extraordinary couple has accustomed us, it is a very pleasant alternation of traditional and original songs interpreted in an extraordinary way thanks to the perfect balance of the stringed or plectrum instruments used which are the unmistakable trademark and inimitable of the two musicians.
As usual, my favorite songs are those with Blake's voice such as "The Louisville & Nashville Don't Stop Here Anymore", written by Jean Ritchie considered the mother of American folk, it is a narrative song that tells of the Appalachian economic crisis due to the closure of the coal mines and the consequent isolation of the small communities of Kentucky accentuated also by the suppression of the passenger trains of the line "Louisville & Nashville Railroad Company", "Poor Ellen Smith" a classic nineteenth-century "murder ballad" which tells of the murder of Ellen Smith occurred in Winston Salem in North Carolina, of the capture and execution of his assassin and finally another ballad, "Rake and the Ramblin' Blade" taken from the repertoire of the Carolina Tar Heels who recorded it in 1929 and which testifies, if there were still need, of the attention that Norman Blake shows towards these repertoires often fallen into oblivion but which are a fundamental part of the cult history american ural.
Among the instrumental pieces shine a beautiful interpretation of "White Horse Breakdown" composed by Bill Monroe but recorded for the first time by his violinist Kenny Baker in '72, but above all there are the Irish-flavored medley "Loch Lavan Castle Santa Ana's Retreat · Cattle in the cane" performed by the guitar and mandolin duo and "Uncle sam" embellished by the brass of Miles Anderson.
The CD is almost unobtainable, both LPs (I'm also referring to "Live at McCabe's") paradoxically are more available on the used market. Good hunting.







JOHN HARTFORD “Aereo · Plain”

JOHN HARTFORD “Aereo · Plain”

JOHN HARTFORD “Aereo · Plain”

Warner Bros. Records. LP, 1971

di alessandro nobis

Ci sono a mio modesto avviso tre lavori fondamentali del polistrumentista, compositore e cantante newyorkese John Hartford scomparso prematuramente nel 2001: “Mark Twang” del 1976 inciso in completa solitudine, “Morning Bugle” del ’72 con Dave Holland e Norman Blake (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/08/18/john-hartford-%c2%b7-norman-blake-%c2%b7-dave-holland-morning-bugle/) e questo “Aero · Plain” al quale danno il loro contributo Norman Blake, Vassar Clement, Tut Taylor e Randy Scruggs: rappresenta secondo i musicologi il primo disco di “NewGrass” ovvero quel genere musicale che si distacca dall’ortodossia del bluegrass canonico per l’inserimento di arrangiamenti che lasciano spazio a nuovi colori musicali di provenienza jazz, country ma anche di certo rock. Come scrissi in altra occasione Peter Rowan mi raccontò come i musicisti come Hartford o Jerry Garcia con gli Old & In The Way · nei quali militava Rowan · pur molto legati alla tradizione fossero mal o per nulla sopportati dai musicisti bluegrass che pur essendo in molti casi straordinari musicisti palesavano una mentalità rigida ed una grande autoreferenzialità nei confronti di una qualsiasi innovazione.

Il disco si apre · e si chiude · con due interpretazioni di un brano del compositore “Albert E. Brumley” (1905 · 1977), ossia “Turn the Radio On“, quasi un invito all’ascolto della bellissima musica che contiene questo settimo album di Hartford  che, a parte il tradizionale “Leather Britches” eseguito dal banjo e dal violino di Vassar Clements e l’omaggio al Grand Ole Opry scritto a quattro mani con Tut Taylor e cantato a quattro voci, contiene brani composti dal pluristrumentista della East Coast. Cito “Because of You” con Hartford al violino, voce e canto, lo strumentale “Presbyterian Rag” con Randy Scruggs al contrabbasso ed infine “Steamboat Whistle Blues” con la band al completo, un brano legato alla navigazione sul Mississippi, tema caro ad Hartford (vedi il già citato disco “Mark Twang”.

Aero · Plain” è come detto disco importante che descrive in modo chiaro una diversa visione della musica tradizionale americana e con il monumentale “Will The Circle Be Umbroken” rappresentò per quegli anni il “folk che sarebbe venuto”.

Nel 2002 la Rounder pubblicò una serie di out·takes di queste session a mezzo secolo dalla loro registrazione: (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/10/18/suoni-riemersi-john-hartford-steam-powered-aereo-takes/)

In my humble opinion, there are three fundamental works by the New York multi-instrumentalist, composer and singer John Hartford who died prematurely in 2001: "Mark Twang" from 1976 recorded in complete solitude, "Morning Bugle" from '72 with Dave Holland and Norman Blake (https: //ildiapasonblog.wordpress.com/2021/08/18/john-hartford-%c2%b7-norman-blake-%c2%b7-dave-holland-morning-bugle/) and this "Aero · Plain" to which Norman Blake, Vassar Clement, Tut Taylor and Randy Scruggs give their contribution: according to musicologists it represents the first album of "NewGrass" or that musical genre that detaches itself from the orthodoxy of the canonical bluegrass for the insertion of arrangements that leave room for new musical colors coming from jazz, country but certainly also rock. As I wrote on another occasion, Peter Rowan told me how musicians like Hartford or Jerry Garcia with the Old & In The Way · in which Rowan was a member · although very tied to tradition were poorly or not at all tolerated by bluegrass musicians who, despite being in many cases extraordinary musicians revealed a rigid mentality and a great self-referentiality towards any innovation.
The disc opens · and closes · with two interpretations of a piece by the composer "Albert E. Brumley" (1905 · 1977), namely "Turn the Radio On", almost an invitation to listen to the beautiful music that contains this seventh Hartford album which, apart from the traditional "Leather Britches" performed by Vassar Clements' banjo and violin and the homage to the Grand Ole Opry written in four hands with Tut Taylor and sung for four voices, contains songs composed by the multi-instrumentalist of East Coast. I mention "Because of You" with Hartford on violin, voice and singing, the instrumental "Presbyterian Rag" with Randy Scruggs on double bass and finally "Steamboat Whistle Blues" with the full band, a song related to navigation on the Mississippi, a theme dear to Hartford (see the aforementioned "Mark Twang" record.
"Aero · Plain" is, as said, an important disc that clearly describes a different vision of traditional American music and with the monumental "Will The Circle Be Umbroken" represented for those years the "folk that would come".

In 2002 Rounder published a series of out take of these sessions half a century after their recording: (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/10/18/suoni-riemersi-john-hartford-steam-powered- airplane-takes/)

JORMA KAUKONEN · TOM CONSTANTEN “Embryonic Journey”

JORMA KAUKONEN · TOM CONSTANTEN “Embryonic Journey”

JORMA KAUKONEN · TOM CONSTANTEN “Embryonic Journey”

Relix Records. CD, 1995

di alessandro nobis

Se hai superato la sessantina e sei, o lo sei stato, un consumatore seriale di vinili, compact disc e cassette, ti sarà capitato senz’altro di acquistare almeno un disco diciamo così “bizzarro”: non dico che sei pentito di averlo preso ma almeno una volta ti sarai chiesto “ma a questi come gli è venuto in mente di pubblicare una roba del genere?”.

Nella mia discoteca vince a mani basse questo lavoro del chitarrista dei Jefferson Airplane e degli Hot Tuna Jorma Kaukonen ed il primo tastierista dei Grateful Dead Tom Constanten con il gruppo californiano dal ’68 al ’70; si tratta di undici versioni del brano “Embryonic Journey” (in origine su “Surrealistic Pillow” dei J.A.) che svelò a molti il delicato fingerpicking di Kaukonen, un brano che il chitarrista ha fortunatamente mantenuto nel repertorio live a lungo, molto a lungo (mezzo secolo?).

New York, 1985 Sound Tek Studios: i due musicisti si chiudono all’interno e suonano · risuonano ·  modificano · sperimentano · azzardano nuove riletture e nuovi suoni di questo brano iconico che nella versione originale pare a molti perfetto, intoccabile, un banco di prova per i chitarristi finger·picking, e la Relix Records con la produzione di Michael Falzarano a lavoro terminato ne stamperà cinquemila copie. Tra le diverse versioni del brano non posso non segnalare quella più vicina all’originale del 1967 che apre il cd e tra le altre quella eseguita da Kaukonen e Constanten al pianoforte acustico e qui chiamata “The Perfect Embryonic Journey”; quella che non aspetti è la bonus track “A Midi Orchestration Embyonic Journey“, arrangiamento bizzarro per un disco bizzarro solo per completisti.

THE RISING FAWN STRING ENSEMBLE “Full Moon on the Farm”

THE RISING FAWN STRING ENSEMBLE “Full Moon on the Farm”

THE RISING FAWN STRING ENSEMBLE “Full Moon on the Farm”

Rounder Records. LP, 1981

di alessandro nobis

Full Moon on the Farm” è il secondo album del Rising Fawn String Ensemble ed alla sua realizzazione contribuiscono oltre a Norman, Nancy Blake e James Bryan al violino con l’aggiunta, in sei brani, dell’amico e gran chitarrista · violinista Charlie Collins. Al di là della straordinaria quanto unica combinazione di strumenti e dell’equilibrio degli arrangiamenti, il repertorio è un intelligente mosaico di brani originali, di tradizionali e di riletture di brani altrui come nella migliore tradizione delle registrazioni di Norman Blake. Splendidi gli originali “Ispirati” dalla tradizione come “Nancy’s Hornpipe” (una danza di origine medioevale ancora suonata nelle isole britanniche)  composta da Norman Blake per mandolino, violoncello, violino e chitarra (Charlie Collins), “Davenport March” · sempre di Norman · composta “alla maniera” di Bill Monroe, e ancora un brano di Nancy, “Texola Waltz“, struggente valzer nel quale fa capolino l’accordeon dell’autrice. Tra le riletture di tradizionali voglio citare un gospel scritto nel 1893 da Charlie D. Tillman, “Diamonds in the Rough“: Blake scrive che il suo sogno sarebbe quello di ritornare negli anni Trenta con questo ensemble a suonare nelle strade della provincia americana e se possibile vorrei partecipare a questo viaggio temporale……. Due brani proposti sono tratti da “Fiddler’s Tune Book, Volume One” ovvero “Jacky Tar” e “Gilderoy” entrambi eseguiti in trio (Mandolino, violino e chitarra) e da ultimo sottolineo l’efficacia dell’arrangiamento di un brano scritto da Kenny Baker, “Salty” dedicato al violinista del Kentucky per decenni nei Bluegrass Boys di Bill Monroe.

Dimenticavo che “OBC #3” è in realtà “Old Brown Case” uno dei più bei brani scritti ba blake qui eseguito con Nancy al Violoncello e Bryan al violino, strepitosa esecuzione quanto quella che si trova nel disco con Vassar Clements, Dave Holland e amici (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/09/21/suoni-riemersi-blake-%c2%b7-taylor-%c2%b7-bush-%c2%b7-robins-%c2%b7-clements-%c2%b7-holland-%c2%b7-burns/).

Dello straordinario Rising Fawn String Ensemble avevo parlato anche qui:

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/08/08/norman-blake-the-rising-fawn-string-ensemble/) 1981

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/01/06/the-rising-fawn-string-ensemble-original-underground-music-from-the-mysterious-south/) 1982

AA. VV. “Bringing it all back home”

AA. VV. “Bringing it all back home”

AA. VV. “Bringing it all back home”

BBC Records. 3LP, 2MC, 2CD. 1991

di alessandro nobis

Musicisti tradizionali e di ambito rock d’autore vicini ad altri legati al rock acustico ispirato dal folk provenienti da ambedue le coste atlantiche ma con una matrice comune, la tradizione irlandese con le radici dalla nostra parte dell’oceano e con i rami nati e cresciuti negli ultimi centocinquant’anni dall’altra parte dello stesso mare, dove i ritmi ed i racconti si sono mescolati con altri dando vita a forme musicali proprie ma spesso riconoscibili nelle origini.

Questo è “Bringing it all back home”, la storia di quella musica e della sua straordinaria odissea dalle session informali nelle cucine e nei pub, dalle feste in piazza agli stadi del rock internazionale, trentasette brani pubblicati nel 1991 or sono che contengono musiche scritte, arrangiate, riscritte ed interpretate per l’omonima serie televisiva della BBC, il tutto prodotto e coordinato nientemeno che da Donal Lunny.

Tra tutti i brani ne segnalo alcuni, per forza di cose, anche se tutto il lavoro è di altissimo livello qualitativo indipendentemente dal fatto che costituisca una “colonna sonora” di una serie televisiva che consiglio di guardare con interesse ed attenzione. Philip Chevron porta “Thousand are Sailing” una delle più belle ballate contemporanee sull’emigrazione, incisa naturalmente dai Pogues e qui eseguita tra gli altri da Kevin Glackin, Paul Moran e Maire Breathnach, Richard Thompson la sua “The Dimming of the Day” con Declan Sinnott, il contrabbassista americano Roy Huskey e le voci di Dolores Keane e Mary Black, mentre gli Hothouse Flowers rivisitano “Tha Lakes of Ponchartrain” e i Waterboys “A song for life” scritta da Rodney Crowell. C’è naturalmente grande spazio alla tradizione più pura: i De Danann chiudono il primo disco con il set di danze “Humours of Galway” mentre Paddy, Seamas e Kevin Glackin suonano un set di danze ricordando il violinista del Donegal John Doherty, “Glen Road to Carrick” e Liam O’Flynn alle uilleann pipes (rappresentate anche da Spillane e Ronan Browne) chiude il cerchio con la versione strumentale di “A Stor Mo Chroi“.

Ma il brano più emblematico è senz’altro “St. Ann Reel / The Blackberry Blossom“, due brani irlandesi che sono entrati a pieno titolo nel repertorio nordamericano, qui eseguito in modo impeccabile da Ricky Scaggs, Paddy Glackin, Mark O’Connor, Roy Huskey Jr., Russ Baremberg e Donal Lunny.

Un triplo disco che non può mancare nella discoteca degli appassionati della musica irlandese e del folk americano, così la penso io. Parola de “Il Diapason”.

DUCK BAKER “Contra Costa Dance”

DUCK BAKER “Contra Costa Dance”

DUCK BAKER “Contra Costa Dance”

Confront Recordings. CD, 2022 (1982)

di alessandro nobis

Rimasti chiusi in una scatola nel garage dell’amico Dix Bruce dal 1982 fino all’anno scorso, questi nastri erano nati come “demo” che però, sottoposti all’attenzione di diverse case discografiche, non vennero da queste ben accolte probabilmente perchè come scrive lo stesso Baker nelle note di copertina, “esulavano dallo stile di chitarra riconducibile alla “new · age” che stava prendendo piede nel mercato della musica acustica“; per farla breve questo avrebbe dovuto essere il seguito di “The Kid on the Mountain” pubblicato dalla Kicking Mule nel 1980 e dopo oltre quaranta anni, finalmente considerata la qualità della musica, questi dodici brani vedono la luce grazie alla Confront Recordings (ed anche a Dix Bruce naturalmente). Detto tra noi poi, a me onestamente questi nastri sembrano ben più che dei “demo” ma piuttosto un disco pronto per essere pubblicato, e lo dico sinceramente, da non musicista.

Gustiamoci quindi questi quarantasei minuti di “Demo Tapes“, queste dodici composizioni originali che ci riconsegnano un Duck Baker che rielabora tutte le sue precedenti letture della musica “americana” scrivendo ed improvvisando senza mai lasciarsi andare a puri esercizi stilistici: nella slow air di “The Flowers of Belfast” ed in “Highlands Spring” sembra di sentire l’eco della tradizione delle isole britanniche, splendida l’aria di valzer di “Waltz with Mary’s Smile” come l’atmosfera del brano che apre questa antologia di “demo”, ovvero “Putney Bridge” del brano eponimo, “Contra Costa Dance“.

Duck Baker nel suo peregrinare attorno al mondo ha tenuto un numero imprecisato di concerti, un numero sicuramente notevolissimo e quindi con tutta probabilità esiste un numero cospicuo di registrazioni di varia qualità dei suoi live come anche ci saranno dei nastri perduti · o presunti tali · come questi conservati da Dix Bruce ad Oakland, in California.

http://www.confrontrecordings.com

NORMAN BLAKE “Whiskey Before Breakfast”

<strong>NORMAN BLAKE</strong> “Whiskey Before Breakfast”

NORMAN BLAKE “Whiskey Before Breakfast”

Rounder Records. LP, 1976

di alessandro nobis

Questo è senza dubbio il disco di Norman Blake “solista” che preferisco, uno dei capolavori della sua discografia e della chitarra acustica americana. Il suono, la musica che scorre in modo così fluido (la pulizia del suono nel brano di Hank Snow “Under the Double Eagle“, per esempio), la tecnica così perfetta (“Old Grey Mare“), il repertorio, il feeling con Charlie Collins ne fanno come dicevo una pietra miliare, un autentico faro per chi si è avvicinato in passato o voglia avvicinarsi oggi alla chitarra flat·picking.

Tre brani sono suonati assieme all’amico Charlie Collins, ovvero “Hand Me Down my Walking Cane” di James Blan (raccolta Roud 11.733), “Salt River” e “The Girl I Left in Sunny Tennessee” registrata la prima volta da Byron G. Harlan; gli altri vedono Norman Blake in totale solitudine, un piacere per gli amanti della grande musica, una cavalcata tra strumentali, brani tradizionali (“Arkansas Traveller“, “The Minstrel Boy To The War Has Gone / The Ash Grove” e naturalmente la suite strumentale ” Fiddler’s Dram / Whiskey Before Breakfast“) e di composizione come ad esempio “Down at Milow’s House” o il blues “Old Church” ed ancora il suggestivo “Slow Train Through Georgia“.

Penso che questo “Whiskey Before Breakfast” sia il perfetto punto di partenza per avvicinarsi alla musica · ed al talento · di Norman Blake perchè ascoltandolo si scopre il mondo della tradizione musicale d’oltreoceano, quella tramandata per decenni oralmente e quella di nuova composizione, l’unico modo questo per perpetuare quello che le generazioni del passato hanno conservato e trasmesso alla nostra.

HOT TUNA “Yellow Fever”

HOT TUNA “Yellow Fever”

HOT TUNA “Yellow Fever”

Grunt Records. LP, 1975

di alessandro nobis

Penso che i tre album usciti tra il 1975 ed il 1976 ovvero “America’s Choice”, “Hopkrov“, parte di “Double Dose” e “Yellow Fever” – del quale per il Record Store Day ne è stata pubblicata una versione con vinile naturalmente giallo – spiazzarono non dico tutti · ma quasi tutti · i followers dell’epoca innamorati di quel suono magico elettro·acustico costruito da Jorma Kaukonen e Jack Casady, suono che poi avrebbero ripreso più avanti fino ai nostri giorni. Qui Kaukonen opta per un nuovo suono, più hard, effettato dall’elettronica come non gli conoscevamo con assoli efficacissimi come in “Song for the Fire Maiden” e ingaggia con Casady un batterista incisivo in grado di assecondare questa sua svolta come Bob Steeler, un secondo chitarrista John Sherman (in “Baby What You Want Me To Do) ed il tastierista Nuck Buck (suo è il suono del sintetizzatore in “Bar Room Crystal Ball“).

“Hard Blues”,  “Hard Rock”, “Mainstream Rock” chiamatelo come volete ma questo e gli altri due lavori della tripletta citata in apertura restano a mio avviso degli ottimi dischi; Kaukonen non abbandona le sue origini di suonatore di blues e propone in “Yellow Fever” due rivisitazioni di brani accredidati a Mathis James “Jimmy” Reed (il già citato “Baby What You Want Me To Do) e “Hot Jelly Roll Blues” del misconosciuto bluesman George Carter, vissuto nella prima metà del XX secolo che registrò, questo per la cronaca, solamente quattro brani su 78giri; i due brani aprono “Yellow Fever”, quasi il chitarrista californiano volesse avvisare i suoi estimatori che non aveva abbandonato il blues e che non aveva l’intenzione di farlo ma che aveva trovato un modo diverso (più moderno? più innovativo?) per suonarlo.

Tra i brani di nuova composizione voglio citare “Half / Time Saturation” scritto dai tre Tuna e con notevolissimo assolo “effettato” di Kaukonen ed il conclusivo brano del chitarrista “Surphase Tension” con il fingerpicking elettrico in apertura ed una interessante sovrapposizione di chitarre ma con un andamento che sembra riportare il suono della band a quello dei primi album.

“Yellow Fever” è un album da rivalutare a mio parere. Chi ce l’ha lo estragga dallo scaffale e lo riposizioni sul giradischi.

DOC WATSON · MERLE WATSON “On Stage”

<strong>DOC WATSON · MERLE WATSON</strong> “On Stage”

DOC WATSON · MERLE WATSON “On Stage”

Vanguard Records. 2LP, 1971

di alessandro nobis

Il primo disco di Doc Watson non si scorda mai: doppio ellepì, edizione francese, adrenalina pura. Come molti, credo, sono arrivato al chitarrista di Stoney Fork – e a molti altri – ascoltando e ri-ascoltando il libro sacro del folk americano, quel triplo ellepì dall’immenso valore musicologico che risponde a nome di “Will the Circle Be Umbroken” dove Watson interpreta tra le altre una strepitosa “Tennessee Stud” di Jimmy Driftwood e “Wabash Cannonball” con Earl Scruggs tra gli altri.

Tra i numerosi concerti che nel ’70 Watson Tenne con il figlio Merle ci sono quelli newyorkesi, alla Town Hall ed alla Cornell University che in parte vennero pubblicati appunto in un doppio ellepì dalla Vanguard l’anno seguente (nel 1990 vennero pubblicati in CD, dove per mancanza di spazio dovettero rinunciare a “Movin’ On”.

E’ un florilegio della chitarra acustica e senza dover dir nulla sul perfetto stile chitarristico dei due Watson bisogna certamente rilevare la complicità e la perfetta sintonia tra padre e figlio, figlia sì di numerosi concerti ma soprattutto delle ore passate a suonare nella casa del North Carolina assieme alla “Watson Family” che tanto ha dato alla diffusione del patrimonio folklorico di quella parte degli States. “On Stage” è un po’ un viaggio attraverso l’America rurale fatta di piccoli centri e di comunità molto legate, qui ci sono venticinque brani che la descrivono tra brani originali, tradizionali e riletture di spartiti altrui. Ci sono naturalmente “storie” di treni come il classico “Wabash Cannonball” e “The Wreck of 1262” accreditata come tradizionale ma in realtà scritta da Carson Robinson che racconta dell’incidente ferroviario del 29 novembre del 1929 dovuto alla rottura dei freni, c’è “Banks of Ohio” (una murder ballad che racconta di un omicidio compiuto nel 19° secolo) e voglio ricordare anche un brano dei Delmore Brothers (“Brown’ Ferry Blues“, erroneamente segnato come tradizionale), uno di Mississippi John Hurt (“Spikedriver Blues“) ed una composizione di Doc Watson, “Southbound”, anche titolo del suo splendido album del 1966.

Un disco che non dovrebbe mancare nella collezione di ama e suona la chitarra acustica e di chi ama il folk americano. Se poi siete dei completisti allora certo è che non vi mancherà; in questo caso riposizionatelo sul vostro giradischi e riascoltatelo.