PELUQUERIA HERNANDEZ “Mamboo”

PELUQUERIA HERNANDEZ “Mamboo”

PELUQUERIA HERNANDEZ

“MAMBOO” – Kutmusic, 2016, CD

di Alessandro Nobis

Questo terzo episodio della Peluqueria Hernandez, per me ensemble tra i più interessanti sentiti negli ultimi tempi, arriva dopo 4 anni dal precedente, l’ottimo “Amaresque” e non fa che confermare come il progetto di Mauro Marchesi prosegua deciso seguendo l’idea nata un decennio or sono.

L’efficace splendida grafica dello stesso Marchesi ne è parte integrante con i colori pastello e con il font scelto, tutto si combina perfettamente con la sua felice vena compositiva: nove brani (più “Tequila”, il decimo registrato live con l’ospitata del trombonista Mauro Ottolini) eseguiti da un solidissimo ensemble (oltre a Mauro Marchesi ci sono Joyello Triolo alle chitarre, voce, spinetta, Luca Pighi e Gigi Sabelli alle percussioni e batteria rispettivamente, Juri Romeo al basso e sax, Roberto Lancia al sax baritono e Roberto Zantedeschi alla tromba e flicorno) che mette a contatto, anzi amalgama egregiamente le diverse anime dei musicisti. Sì c’è il jazz, c’è il rock meno scontato, c’è la musica della balere con i ritmi latini dalla bassa padana ma soprattutto c’è la voglia di creare un suono originale che non risulta essere mai scontato.

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Sarà l’età (la mia), sarà la banalità o forse superficialità, ma quando mi gusto la grafica della copertina in cartone e metto sul giradischi questo disco della Peluqueria Hernandez, la puntina inizia lentamente ad avanzare verso il centro solco su solco e si materializzano poco a poco ma inesorabilmente scenari di spaghetti-western con ambientazioni spagnole, balere dal sapore messicano, deserti jazz club di primissima mattina, piste da ballo sulla riviera sul finire di stagione, la faccia di Lee Van Cleeff che se la ride e ascolta soddisfatto. Peccato solamente che la versione in vinile sia per ora una chimera, gli aficionados intanto si accontentino dei famigerati ed eterei “download” digitali sulle principali piattaforme.

In vana attesa dell’ellepì, vi suggerisco di procurarvi in ogni modo queste “tracce” e rivolgo un appello ai naviganti: qualcuno si arrovelli per trovare un modo di far ascoltare “Tinto Bruna non avrai il mio scalpo” a Quentin Tarantino. Potrebbe farne una hit planetaria.

 

http://www.joyello.net/peluqueria/

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WEATHER REPORT: “The Legendary Tapes: 1978 – 1981”

WEATHER REPORT: “The Legendary Tapes: 1978 – 1981”

WEATHER REPORT

“The Legendary Live Tapes: 1978 – 1981”

COLUMBIA LEGACY 4 CD, 2015

di Alessandro Nobis

Anche se la mia line-up preferita resta indiscutibilmente quella più sperimentale ed acustica con Miroslav Vitous, Eric Gravatt e Dom Um Romao (quella del secondo episodio della saga weaportiana “I sing the body electric”, dell’epocale “Live in Tokyo” e di “Sweetnighter” per intenderci), questi 4 cd pubblicati dalla Columbia Legacy sono un fondamentale passaggio per approfondire la conoscenza di quella che fu la più creativa, influente e longeva formazione partorita dall’”Utero” davisiano, l’unica che, lasciando da parte sfrenati virtuosismi, si dedicò alla pura creazione di un suono, marchio di fabbrica della premiata ditta Zawinul – Shorter. Qui abbiamo l’opportunità di ascoltare il quartetto (con Peter Erskine) ed il quintetto (con Robert Thomas Jr) ma soprattutto con il funambolico ed ultraterreno basso di Jaco Pastorius, con la sua tecnica irraggiungibile e la sua eredità musicale che tuttora influenza molti musicisti che si avvicinano al basso elettrico. Qui si ascoltano oltre quattro ore di magistrale ed inimitata musica che arriva direttamente dal cuore dei musicisti; i virtuosismi sì, ci sono, eccome se ci sono, ma passano quasi in secondo piano rispetto alla compattezza, all’interplay ed al fascino delle composizioni ed alla ricercatezza dei suoni. wr 02Sembra tutto facile da suonare, tutto semplice, ma se ascolti con attenzione ti rendi conto quanto sia complessa ed interessante la musica che stai ascoltando. Zawinul non gradisce la definizione “fusion” (“noi non abbiamo fuso niente” si legge nell’interessante ed esaustivo libretto che accompagna questo box cartonato) e io lo assecondo, ascoltando la sua straordinaria lucidità nell’uso della strumentazione elettronica (l’austriaco è un fine pianista, cresciuto alla corte di Canonball Adderley) e l’affiatamento perfetto maturato in lunghi anni di frequentazione con Wayne Shorter. Zawinul – Shorter, la coppia perfetta che ha imparato da Miles Davis anche l’”arte” – perché questa è una prerogativa di pochi – di scegliere i musicisti più adatti ad interpretare ed arricchire la propria idea di musica.
A ricordare il primo periodo ci pensano “Boogie Woogie Waltz” e “Directions” – enunciata dal basso elettrico – , il resto è una cavalcata nel repertorio dell’avventura dei Weather Report in compagnia di Jaco Pastorius, e le registrazioni risalgono proprio a questo periodo, dal 1978 al 1981, quello tra “Mr. Gone” e “Night Passage”.

Accomodatevi sulla poltrona e gustatevi questo ben di Dio.

OMERITA RANALLI “Canti e racconti dei contadini d’Abruzzo: le registrazioni di Elvira Nobilio (1957 – 58)”

OMERITA RANALLI “Canti e racconti dei contadini d’Abruzzo: le registrazioni di Elvira Nobilio (1957 – 58)”

OMERITA RANALLI

“Canti e racconti dei contadini d’Abruzzo: le registrazioni di Elvira Nobilio (1957 – 58)”

SQUILIBRI, 2015 Collana “I giorni cantati”. 160 pagg. con CD allegato. € 20,00.

di Alessandro Nobis

E’ grazie alla pazienza, alla sensibilità ed all’amore verso la propria terra di molti appassionati ed etnografi che molta parte del patrimonio culturale tradizionale orale è giunto fino ai nostri giorni. Prima con seminali quanto fondamentali raccolte ottocentesche scritte e poi, con l’invenzione dei mezzi di registrazione, attraverso i suoni, le parole, le testimonianze, le voci di quanti hanno saputo traghettare nel ventesimo secolo la memoria delle generazioni che li avevano preceduti. E non sto parlando naturalmente di Alan Lomax o di Diego Carpitella – giusto per fare i primi due nomi che mi sovvengono mentre scrivo – ma di persone tra le quali voglio ricordare Maria Moramarco nella Murgia barese, il Canzoniere Veronese e appunto Elvira Nobilio nella montagna abruzzese. E’ in questo territorio che la Nobilio effettua la sua ricerca tra il 1957 ed il 1958 precisamente nel centro di Penne, nel pescarese, dopo essere ritornata dall’esperienza a Partinico con Danilo Dolci. Registra canti iterativi, filastrocche, racconti, canti legati al lavoro, al carnevale e naturalmente canti narrativi che si possono ascoltare nel CD nel quale troviamo 38 tracce, testimonianza del preziosissimo lavoro che Elvira Nobilio ha consegnato alla storia di questa parte del nostro Paese. Il testo presenta un approfondito saggio della curatrice del volume, Omerita Ranalli, la prefazione curata da Piero Clemente e naturalmente a dettagliate informazioni sui singoli brani che riconsegnano un mondo rurale scomparso che improvvisamente ritorna a parlarci.

Da veneto e da veronese in particolare, sottolineo la presenza di “E salta il ragno dal ragnaio”, e dei canti narrativi “Picchia picchia la porticella” e “Un bel giorno andando in Francia” raccolte in zona già nella seconda metà dell’Ottocento e registrate nella seconda metà del Novecento in Valpolicella.

Il volume è il terzo della Collana “I Giorni Cantati” che comprende pubblicazioni dell’Archivio “Franco Coggiola” conservato dal Circolo Gianni Bosio a Roma; il primo della serie è “Mira la rondinella, musica e storia dai castelli romani” (con 2CD) curato da Alessandro Portelli mentre il secondo riguarda i repertori della valnerina ternana, curato dal Portelli e da Valentino Paparelli, accompagnato anche questo caso da 2 preziosi CD.

QUICKSILVER MESSENGER SERVICE “Live at Fillmore East”

QUICKSILVER MESSENGER SERVICE “Live at Fillmore East”

QUICKSILVER MESSENGER SERVICE

“LIVE AT FILLMORE EAST, 7 Giugno 1968”

Purple Pyramid, 2015. 2CD, 2LP

di Alessandro Nobis

Tra i numerosi concerti dei californiani Quicksilver Messenger Service pubblicati negli ultimi anni, vi segnalo questo doppio CD pubblicato nel 2013: ve ne parlo perché da pochissime settimane è disponibile anche in vinile, un doppio ellepì a busta unica con ahimè però la copertina diversa.

Chi c’era quella sera del 7 giugno 1968 al Fillmore East di New York (dove di lì a poco gli Allman avrebbero registrato il leggendario “Live at Fillmore”) non l’avrà dimenticata, visto che in cartellone oltre ai QMS c’erano gli Steppenwolf e gli Electric Flag di Mike Bloomfield che da poco aveva lasciato la band di Paul Butterfield.

Gary Duncan, John Cipollina, David Freiberg e Greg Elmore suonano come al solito un rock blues acido infuocato intriso di psichedelia e di lunghe improvvisazioni, con un repertorio che comprende molti originali e classici come “If you live” di Mose Allison, “Who do you love” e “Back Door Man” di Bo Diddley e “Smockestack Lightinin’” di Howlin Wolf. Molti ritengono i Quicksilver la band più rappresentativa della San Francisco di quegli anni, equiparati ai Grateful Dead con i quali condivisero il modo “aperto” di suonare dal vivo in lunghe jam, forse le prime “Jam Band” del rock americano.

Questo concerto (in realtà le serate furono due) seguì da poco la pubblicazione del loro primo album e anticipò il loro secondo, quello con la copertina del cowboy che saluta agitando il cappello e con il brano che li rese celebri, “Who do you love”. Pertanto il repertorio suonato si rifà ai quei due dischi, “Pride of Man”, “Dino’s Song” e “The Fool” tratti dal primo e “Mina”, “Calvary” e la già citata “Who do you love” da “Happy Trails”.

Le due chitarre di John Cipollina e Gary Duncan in gran spolvero, sezione ritmica metronometrica, musica stellare che mi fa venire la voglia di accendere la macchina del tempo.

Ascoltatelo bene, ad occhi chiusi: sentirete ancora uscire dai solchi l’odore acre del Fillmore East.

KAREN DALTON “1966”

KAREN DALTON “1966”

KAREN DALTON

“1966” DELMORE Recordings, CD, LP – 2011

di Alessandro Nobis

Pubblicato nel 2012 da Folk Bulletin

Nel 1963 una delle cose più interessanti – la più interessante secondo Ritchie Havens – che si potevano sentire girando per i Cafè del Greenwich Village di New York era certamente il trio di Tim Hardin, con Richard Tucker e la cantante Karen Dalton, pseudonimo di Karen Cariker. Ora, queste canzoni pubblicate per la prima volta non sono le più vecchie in circolazione della Dalton (il doppio CD della Megaphone pubblicato nel 2007 ne contiene di registrate l’anno prima e “Green rocking chair” pubblicò registrazioni del 1962/63), ma contribuiscono ad integrare ed a valorizzare ancor più uno dei maggiori talenti che la musica americana produsse negli anni sessanta e che non seppe gestire, se è vero che, dopo la pubblicazione di “It’s so hard to tell who’s going to love tou the best” del 1969 e “In my own time” del 1971 questa eccezionale interprete sparì dalla circolazione; venne trovata morta in una strada di New York consumata dall’AIDS dopo essere stata preda dell’alcool e della droga e dimenticata da quanti avevano predicato il suo talento negli anni della sua giovinezza.

PrintLa sua voce è stata avvicinata a quella di Billie Holiday, nel suo repertorio troviamo la canzone d’autore – Tim Hardin e Fred Neil – il folk americano – “Green Rocky Road”, “Katie Cruel”, “Cotton Eyed Joe” – e “God bless the Child” scritto appunto da Billie Holiday qui in una magnifica versione “folkie”.

Registrazioni che ci mostrano un lato intimo della musica di Karen Dalton, quello della dimensione privata, del suonare per il piacere di farlo magari per pochi amici – Richard Tucker che porta sua chitarra ed un altro che pensa bene di registrare la session – ad esempio, una registrazione riemersa e coraggiosamente pubblicata dalla Delmore anche in vinile di grande qualità, con un bell’inserto dedicato alla vita ed alla musica di questa grande musicista dal talento diamantino.

DALLA PICCIONAIA: Zephyros

DALLA PICCIONAIA: Zephyros

QUARTETTO ZEPHYROS

LA FONTANA AI CILIEGI, SAN PIETRO IN CARIANO (Vr), sabato 13 FEBBRAIO 2016

Quartetto che nasce nell’entourage dei Calicanto e che ruota attorno alle composizioni dell’arpista Alessandro Tombesi e della violoncellista / cantante Annamaria Moro e che comprende anche le percussioni di Alessandro Arcolin e la chitarra di Francesco Rocco – musicisti che avevano partecipato alle session di registrazione di “Barene” CD dell’arpista padovano pubblicato sei anni fa -, Zephyros ha regalato alla Fontana ai Ciliegi i suoi momenti migliori, a mio avviso più significativi ed interessanti, nell’interpretazione dei brani più introspettivi, quelli più “cantabili” con arrangiamenti delicati ed efficaci: mi riferisco in particolare a ”Moresche Corse”, a “Moon”, alla suite in tre parti “Nana / Hypnos / Finale”, alla canzone “Dormiveglia” composta da Annamaria Moro ed all’iniziale “Terre emerse / Barene” con la bellissima “Dam dun dai” – a quattro voci –  e “Zephyros” presente nel già citato bel CD di Tombesi.

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Zephyros alla Fontana ai Ciliegi

E’ un quartetto che a mio avviso ha ampi spazi di crescita, un gruppo che, a detta dello stesso Alessandro Tombesi, è una sorta di laboratorio nel quale si lavora alla ricerca di una precisa rotta da seguire. In questa ottica vanno giudicati pertanto gli inserimenti di brani di Corea, Sting e Jobim, che rispetto al resto del repertorio stridono un poco nonostante l’efficacia degli arrangiamenti.

Sarà stata la sera di San Valentino, sarà stata la diretta di Juve – Napoli, sta di fatto che al concerto del quartetto padovano non c’era il pubblico delle grandi occasioni. Peccato perché noi che c’eravamo il concerto ce lo siamo gustato fino alla fine.

Stavolta gli assenti hanno avuto torto.

PEO ALFONSI & SALVATORE MAIORE “Alma”

PEO ALFONSI & SALVATORE MAIORE “Alma”

PEO ALFONSI – SALVATORE MAIORE – “ALMA”

FONE’ JAZZ REC, 2015. CD, LP.

di Alessandro Nobis

Quando persone – e nella fattispecie anche musicisti – si conoscono da molto tempo umanamente e professionalmente, non c’è necessità di lunghe settimane di prove, della ricerca del suono perfetto: si entra in uno studio di registrazione, si fanno partire i nastri e la musica sgorga dalle mani e dalle menti.

Così hanno fatto per questo “Alma” il chitarrista cagliaritano Peo Alfonsi ed il contrabbassista sassarese Salvatore Maiore, che il caso ha voluto entrambi residenti a Verona. In questo caso la registrazione è avvenuta nella cantina medioevale dell’albergo Il Castello a Certaldo, nella più profonda ed ancestrale Toscana: la musica che sentiamo è veramente quella suonata, non ci sono overdubbing o tagli e incollaggi, tutte le note che sentiamo sono quelle suonate, insomma sembra di essere lì a pochi passi da dove Alfonsi e Maiore suonano. Sull’indiscussa bravura dei due amici, sempre a loro agio in ambito prettamente jazzistico ma sempre in grado di misurarsi in generi che definirei “collaterali” non mi soffermerei più di tanto. Le composizioni non sono tutte nuove, ma che importa? Ciò che più conta è l’intimità nella loro esecuzione, l’interscambio tra due “persone” che avviene attraverso la chitarra ed il contrabbasso, tra le loro “Alma(s)”. Le anime appunto.

Un piccolo appunto alla casa discografica, al di là della copertina a mio avviso non felicissima: trentacinque euro per il vinile mi sembra obbiettivamente molto. Non so come la pensiate voi, ma molti se ne approfittano del ritorno del “padellone”.

MARINA MULOPULOS”Distichos”

MARINA MULOPULOS”Distichos”

MARINA MULOPULOS – “DISTICHOS”

MAROCCO MUSIC, 2015. CD

di Alessandro Nobis

“Distichos” è il lavoro d’esordio della songwriter ellenica Marina Mulopulos, registrato e prodotto in Italia dalla napoletana Marocco Music con la supervisione di Paolo Del Vecchio (la copertina recita testualmente “feat. Paolo Del Vecchio“). Dieci sue composizioni ed una bella interpretazione, quella di “Cogli la mia rosa d’amore” di Rino Gaetano.

Al di là dell’innegabile fascino ancestrale della lingua greca, la bellezza delle composizioni abbinata ad un sapiente uso di suoni acustici ed elettronici fa di questo “Distichos” un lavoro molto interessante nel quale l’eleganza e la raffinatezza del suono si abbina alla duttile voce di Marina Mulopulos che si fa ora dolce, ora graffiante e comunque sempre efficace nell’interpretazione delle “sue” canzoni. Notevole il lavoro in fase di arrangiamento del chitarrista Paolo Del Vecchio, che ha affiancato alla chitarra pochi altri suoni come detto ora acustici ora elettronici, direi limitandosi a coloriture che abbelliscono ancor più il fascino della musica.

“Voithesème / Aiutami” (“Quando guardo il tuo viso / mi ricorda la mia vita / Tu lo sai e per questo intoni un canto”), “Demetra” introdotta efficacemente dal bozouky di Del Vecchio, “Elpizo / Spero” (Spero, che tu danzi / Non avere paura / Canta ……. Danza……Canta) ed il canto propiziatorio “Charumenos / Gioioso” (Giososo danza questo mondo / Spero che la pace arrivi velocemente / …….. / Spero che le cose cambino presto) sono i brani che più hanno catturato la mia attenzione e che mi hanno fatto sognare di poter volare a pelo d’acqua sopra questo martoriato Mediterraneo.

Vi invito ad ascoltare questo lavoro. Non ve ne pentirete.

DALLA PICCIONAIA: Massimo Donno & Riccardo Tesi

DALLA PICCIONAIA: Massimo Donno & Riccardo Tesi

 

MASSIMO DONNO & RICCARDO TESI

LA FONTANA AI CILIEGI, SAN PIETRO IN CARIANO (Vr), sabato 06 febbraio 2016

di Alessandro Nobis

La sala concerti de La Fontana ai Ciliegi era parecchio affollata, sabato 6 febbraio. L’occasione era ghiotta, visto che si presentava il nuovo lavoro del cantautore salentino Massimo Donno per l’occasione accompagnato dal sopraffino organetto diatonico Castagnari di Riccardo Tesi, in veste anche di produttore di “Partenze”, il secondo lavoro di Donno.

Si trattava di verificare – almeno per coloro che già avevano ascoltato il CD – se si poteva rinunciare gioco forza alla ricchezza degli arrangiamenti del disco e presentare le scritture in un modo più semplice, ridotto all’essenzialità.

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Ed è subito stato chiaro che la qualità delle composizioni di Donno avrebbe consentito di presentare “Partenze” con una formazione così minimale; vuoi per le canzoni, vuoi per gli arrangiamenti, vuoi per la capacità interpretativa di Massimo Donno ed il suo efficace chitarrismo, ed infine vuoi per il certosino lavoro di Riccardo Tesi, l’ora o poco più di concerto è volata velocemente, tra le composizioni di Donno e gli interventi strumentali di Tesi.

Naturalmente il concerto è vissuto sul notevole “Partenze”, come l’omonima canzone che apre il CD, la sarcastica “Orazione”, e “Tienimi la mano”, ma mi sono piaciute anche l’interpretazione di “Leggera” dal repertorio tradizionale dell’appennino tosco emiliano, e gli strumentali “Il ballo dei criceti”, e “La Valse a Pierre” quest’ultima tratta da “Cameristico” di Tesi.

Due bis finali per una serata di musica che il pubblico ha gradito (molto) e che si è chiusa con “Binario”, traccia finale di “Partenze”.

Più che partenze spero personalmente dei “Ritorni” della premiata ditta Donno & Tesi.

IL DIAPASON INTERVISTA IL “SETTIMINO DELL’OCA RINA”

IL DIAPASON INTERVISTA IL “SETTIMINO DELL’OCA RINA”

Una delle novità recenti – molto recenti – del panorama musicale veronese legato in qualche modo alla tradizione è il “Settimino dell’Oca Rina” formato, come dice il nome, da sette ocarine. Inedito per l’areale veronese, l’ensemble ha un nome simpatico ed accattivante, un gioco di parole che difficilmente – una volta sentito – si dimentica. Il Diapason ha quindi subitaneamente contattato uno dei membri dell’orchestra, Tommaso Tommo Castiglioni, per sapere di più  a proposito dell’Oca Rina.

Come nasce l’idea di fondare una piccola orchestra di ocarine?

Il Settimino dell’Oca Rina nasce grazie alla curiosità e alla passione di sette musicisti veronesi che nel maggio 2015, dopo essersi recati al Festival Internazionale dell’Ocarina tenutosi a Budrio (BO), decidono di avvicinarsi allo studio di questo insolito strumento.

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Qual è la storia di questo strumento e quali sono in Italia le zone dove è ancora “in auge”?

L’ocarina fu inventata a Budrio (BO) nel 1853 da Giuseppe Donati. La sua forma ovoidale allungata ricorda il profilo di un’oca privata della testa (il nome infatti deriva da ucareina, diminutivo di oca in dialetto bolognese). L’idea vincente fu quella di costruire una famiglia di ocarine grandi e piccole intonate tra di loro. Nacque così il primo Gruppo ocarinistico budriese, formato dallo stesso Donati e da alcuni suoi amici con il nome de “I Celebri Montanari degli Appennini”; le loro prime tournées in Europa a fine ottocento diffusero l’interesse e la passione per questo strumento, raggiungendo anche gli Stati Uniti nel XX° secolo e ogni angolo del pianeta al giorno d’oggi.

Fino alla metà del secolo scorso, da noi erano abbastanza comuni le orchestre di mandolini – o di plettri in generale – che proponevano sia un repertorio popolare che di brani tratti dalla musica classica e lirica, ed avevano anche la funzione di far conoscere questi generi alla gente comune che non poteva permettersi una radio nè tantomeno un grammofono. Il vostro repertorio si inserisce in un contesto simile oppure si muove in altre direzioni?

 Il repertorio del Settimino spazia da musiche tradizionali e popolari ad arrangiamenti di brani classici ed operistici a trascrizioni di celebri brani di musica leggera e da film.

 Chi sono i componenti della vostra orchestrina?

Ognuno di essi proviene da studi musicali di diverso genere che li hanno resi professionisti nel loro settore, oltre che appassionati insegnanti: Daniele Cipriani, alla prima ocarina in Do, è anche saxofonista e direttore di banda; Michele Colò, alla seconda ocarina in Sol, suona anche clarinetto e fisarmonica, Elena Zavarise, alla terza ocarina in DO, è anche flautista; Daniele Pianegonda, alla quarta ocarina in Sol, anch’egli flautista, si specializza successivamente in musica antica col flauto traversie; Giordano-Bruno Tedeschi, alla quinta ocarina in Do, è anche trombonista di nascita e polistrumentista nella vita; Valentina Ferrarese, alla sesta ocarina in Sol, suona anche il sassofono; Tommaso Castiglioni, alla settima ocarina in Do, è anche percussionista e polistrumentista