TERREMOTO 1891 (quotidiano Arena, sedicesima parte)

TERREMOTO 1891 (quotidiano Arena, sedicesima parte)

TERREMOTO 1891 (sedicesima parte) Quotidiano ARENA, 12 – 13 GIUGNO 1891

Dopo aver tanto discorso di terremoti in questi giorni a più d’un lettore interesserà conoscere qualche cosa di questa forza misteriosa che colla terribilità dell’incognito ed una potenza incalcolabile scuote i continenti non meno dei mari e semina in pochi secondi la strage e il terrore.

Questa potenza occulta è chiamata dai fisici vulcanismo terrestre ed ha origine dal fuoco che divampa nelle profonde viscere della Terra. Sotto tale denominazione si comprendono le eruzioni di vulcani, i vulcani di fango, le sorgenti di gas, le sorgenti d’acqua calda, i terremoti, i sollevamenti e gli abbassamenti rapidi o lenti del suolo.

L’acqua che in gran copia non solo penetra per infiltrazione ma si produce e precipita nell’interno della corteccia terrestre, come ha dimostrato luminosamente (non è molto) un celebre specialista tedesco – il Volger – circola per gl’interni meandri dal profondo sottosuolo e si raccoglie nelle grandi cavità della Terra. Il contatto di quest’acqua con le materie incandescenti produce istantaneamente delle masse enormi di vapori ad alta tensione, donde una potenza dinamica più o meno fantastica ma quasi sempre tale da produrre le commossioni del suolo che noi risentiamo.

I terremoti dunque sono scuotimenti di porzioni della corteccia terrestra prodotti dall’azione energica di vapori che tendono ad occupare uno spazio confacente alla loro elasticità e tensione, i quali vengono spesso accompagnati da particolari fenomeni.

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Rispetto al genere di movimento prodotto alla superficie della terra i terremoti si distinguono in sussultori, ondulatorie vorticosi.

Tale distinzione vien fatta unicamente per dare una ragione elementare dei fenomeni apparenti delle commossioni telluriche in quanto che, scientificamente parlando, i terremoti sono tutti sussultori per l’azione costante del gas meno densi dell’aria di agire in senso verticale; i movimenti ondulatorie vorticosinon sono, rigorosamente parlando che il risultato delle resistenze opposte dalla superficie terrestre all’azione dinamica verticale dei gas. Allorquando queste resistenze non fanno equilibrio alla pressione di vapori ne avvengono le azioni vulcaniche, le sorgenti, le voragini, i crepacci.

Le azioni ondulatorie e vorticose dei terremoti non sono però meno terribili di quelle sussultorie.

Nell’anno 1812 la città di Caracas (capitale del Venezuela nell’America Meridionale) venne distrutta in tre minuti secondi da un movimento ondulatorio di terremoto.

Molte volte il raggio d’azione di un terremoto è straordinariamente vasto.

Il terremoto con movimento vorticoso che distrusse Lisbona (capitale del Portogallo) nel 1755, ebbe la durata di sei secondi.

Il terremoto testè citato, si calcola abbia avuto un’estensione di 33 milioni di chilometri quadrati, essendo stato avvertito ad Abo in Finlandia (Russia) a Magador (Marocco) alle Antille, alla Nuova Scozia ed in Groenlandia.

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I terremoti avvengono in regioni vulcaniche e non vulcaniche, né havvi alcun segno che possa essere tenuto come sicuro indizio di una prossima scossa. Gli stessi strumenti sismici degli osservatori geodinamici sono impotenti ad avvisare una scossa disastrosa, inquantochè avvertono il fenomeno nell0istante quasi che si produce. Hanno però il vantaggio si segnalare anche le piccole commozioni del suolo, le quali sono un indizio ma non sempre una assicurazione di successiva più energica scossa e si ebbero molti casi in cui, a dei movimenti sismici poco avvertiti non tenne dietro altro fenomeno, mentre per contro si verificarono delle commossioni disastrose non precedute quasi da indizio di sorta, neppure sugli istrumenti sismici che la moderna meccanica fisica può produrre.

Con questo non è detto che si debba tenere in poco conto le osservazioni sperimentali della scienza, tutt’altro, come non è detto che l’ultima parola sia stata pronunciata in fatto di tecnologia fisico-terrestre.

Dalla statistica dei terremoti si crede poter dedurre una certa relazione dei medesini colle stagioni e colle fasi della Luna, ma sono pure deduzioni della statistica, la quale se ha più di un lato utile e commendevole talvolta vuol troppo provare, soprattutto quando si prefigge di piegare la scienza alle sue elucubrazioni demografiche, e numeriche.

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DUCK BAKER  “I’m coming Virginia 1976 – 2011”

DUCK BAKER  “I’m coming Virginia 1976 – 2011”

DUCK BAKER  “I’m coming Virginia 1976 – 2011”

Fulica Records. CD, 2020

di alessandro nobis

Im-Coming-Virginia copia“Rare and previously unissued swing guitar solo” recita il sottotitolo di questa nuova e preziosa raccolta di inediti del chitarrista americano Duck Baker che coprono il periodo tra il 1976 ed il 2011. In comune le venti hanno il jazz e lo swing e tutte sono state registrate tutte dal vivo, a partire da quelle provenienti dalla prima tourneè europea di Baker, appunto quella del 1976. Duck Baker ringrazia i numerosi “bootlegers” che al grido di “roll tour tapes on” hanno registrato i suoi numerosissimi concerti e che gli hanno fornito la materia prima per realizzare questo bellissimo lavoro: dalle registrazioni su cassetta a quelle su DAT fino a quelle in mp3 il lavoro di selezione è stato lungo e paziente vista la non sempre alta qualità delle registrazioni ma ne è valsa davvero la pena. Baker ha spessissimo frequentato i palcoscenici di teatri, festival e locali anche in Italia, e le testimonianze di questo sono tre: “Take the A Train” registrato alla Fontana di Avesa nel 2002, “The Deep Blue C” da un concerto fiorentino del 1983 e due brani da una esibizione a Varese, nel ’79. C’è solamente l’imbarazzo della scelta per segnalarvi i brani più succulenti riportati in questo CD che per sono il già citato brano di Ellington “Take the A Train” (fosse solo per ragioni affettive) ai quali aggiungo la sempre fresca e spumeggiante “Sweet Georgia Brown” – uno dei cavalli di battaglia di Baker, tuttora nel suo repertorio live – della premiata ditta Bernie & Pinkard, e naturalmente la ballad “I’m Coming Virginia” composta nel 1927 da Bix Beiderbecke.

Qui il Gospel, il Blues, il Jazz, il Ragtime e l’Early jazz ancora una volta riemergono dal tempo lontano grazie agli arrangiamenti ed alla tecnica di questo straordinario quanto poliedrico chitarrista della Virginia mostrando qui al meglio la sua lucida visione della musica afroamericana, visione che accanto a quelle del folklore americano ed irlandese ed a quella dell’improvvisazione sia idiomatica che più radicale (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/08/20/duck-baker-quartet-coffee-for-three/) ne fanno uno dei rappresentanti più autorevoli della musica per chitarra – ma non solo – che personalmente abbia ascoltato. 

 

“The Drones and the Chanters: Irish Pipering” VOL. 1

“The Drones and the Chanters: Irish Pipering” VOL. 1

AA.VV. “The Drones and the Chanters: Irish Pipering”, Volume 1

Claddagh Records. CD, LP 1971

di alessandro nobis

Se desiderate avvicinarvi alla musica tradizionale irlandese attraverso il suo strumento principe, le “Uilleann Pipes”, questo CD rappresenta “IL” vostro punto di partenza; è soprattutto lo “status quo” del 1971 relativo a questo strumento in Irlanda e presenta solisti che sono considerate delle vere e proprie icone accanto ad altri meno conosciuti almeno fuori d’Irlanda. Qui abbiamo Seamus Ennis, Willie Clancy, Leo Rowsome, Peadar Broe, Paddy Moloney, Tommy Reck e Dan Dowd. Sui primi tre sono stati scritti fiumi di parole vista la loro importanza nella conservazione del patrimonio tradizionale, per i loro stili nel suonare le uilleann pipes e per avere letteralmente “trascinato” decine di giovani irlandesi alla pratica della musica popolare attraverso quello che è considerato il suo strumento principe.

Di Paddy Moloney, uno dei fondatori dei Chieftains (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2020/02/05/suoni-riemersi-the-chieftains/), sono qui presenti le sue uniche registrazioni “in solo”, che io sappia e già questo è motivo di grande interesse verso questo CD: tra queste segnalo una composizione di Turlogh O’Carolan, “Bumper Squire Jones”.

Peadar Broe è presente in questa preziosa antologia con un solo brano, il reel “The Trip to Darrow”; originario di Dublino e fedele adepto allo stile di Seamus Ennis – anche se Rowsome fu il suo primo maestro oltre a donargli il suo primo set di cornamuse – fu anche un ottimo suonatore di tin whistle (strumento che molti pipers hanno affrontato prima di passare alla cornamusa) ed era figlio dell’arpista Treasa Nic Chormaic. Visse una buona parte della sua vita nei dintorni nelle campagne intorno a Cork e scomparve nel 1974.

Anche Dan Dowd qui è presente con un solo – ma significativo –  contributo, la slow air dan dowdAn Buachaill Caol Dubh”: originario di Dublino e reduce della guerra d’Indipendenza Irlandese, ha avuto come insegnanti Rowsome e Billy Andrews ed era tra i più considerati pipers dell’epoca; la sua casa era meta di musicisti famosi e meno famosi che da lui volevano imparare i segreti dello strumento, un set costruito nel 1852 che ha una storia che va raccontata: John Coughlan, un ciabattino emigrato in America passò il set al figlio che in seguito emigrò in Australia. Dopo la sua morte la cornamusa rimase nella sua custodia per molti anni fino a quando un vigile del fuoco – e piper -, Bill Crowe le riportò in Irlanda nel 1954, conobbe Dan Dowd e prima di ritornare in Australia lasciò il set allo stesso Dowd del quale possiamo solo immaginare la felicità nel ritornare in possesso delle sue uilleann pipes.

tommy reck 1Di Tommy Reck, scomparso nel 1991, fu anche un ottimo violinista, e qui abbiamo la possibilità di ascoltare tre brani eseguiti alle uilleann pipes: due reels (“The Scholar” e “The Salamanca”) ed uno slip jig, “Top it Off”. Negli anni Cinquanta, con Tommy Potts, rappresentava quanto di meglio si poteva ascoltare nell’area di Dublino; allievo di JohnPotts, padre di Tommy, amava suonare in duo con i violinisti come Joe Ryan o Peadar O’Loughlin. Nel ’77 pubblicò un disco, “The Stone in the Field”, registrato con un prezioso set di cornamuse fabbricate da Timothy Kenna tra il 1768 ed il 1794.

Nel 1994 sempre la Claddagh Records pubblicherà il secondo volume con contributi di Robbie Hannan, Gay McKeon, Joseph McLaughlin, Sean Potts, Liam O’Flynn, Michael O’Brian e Ronan Browne.

If you want to approach traditional Irish music through its main instrument, the "Uilleann Pipes", this CD represents "THE" your starting point; it is above all the 1971 "status quo" for this instrument in Ireland and features soloists who are considered true icons alongside others less known at least outside of Ireland. Here we have Seamus Ennis, Willie Clancy, Leo Rowsome, Peadar Broe, Paddy Moloney, Tommy Reck and Dan Dowd. Rivers of words have been written about the first three due to their importance in the preservation of traditional heritage, for their styles in playing the uilleann pipes and for having literally "dragged" dozens of young Irish people into the practice of popular music through what is considered the its main instrument.

By Paddy Moloney, one of the founders of the Chieftains (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2020/02/05/suoni-riemersi-the-chieftains/), here are his only solo recordings, which I know and this is already a reason of great interest in this CD: among these I point out a composition by Turlogh O'Carolan, “Bumper Squire Jones”.
Peadar Broe is present in this precious anthology with only one song, the reel "The Trip to Darrow"; originally from Dublin and a faithful adept of the style of Seamus Ennis – although Rowsome was his first teacher as well as giving him his first set of bagpipes – he was also an excellent player of the tin whistle (instrument that many pipers have dealt with before switching to the bagpipe ) and was the son of harpist Treasa Nic Chormaic. He lived a good part of his life in the countryside around Cork and disappeared in 1974.
Dan Dowd is also here with just one - but significant - contribution, the slow air
“An Buachaill Caol Dubh”: originally from Dublin and a veteran of the Irish War of Independence, he had Rowsome and Billy Andrews as teachers and was among the most considered pipers of the time; his house was a destination for famous and less famous musicians who wanted to learn the secrets of the instrument from him, a set built in 1852 which has a story that must be told: John Coughlan, a cobbler who emigrated to America passed the set to his son who later emigrated to Australia. After his death the bagpipes remained in his custody for many years until a fireman - and piper - Bill Crowe brought them back to Ireland in 1954, met Dan Dowd and before returning to Australia he left the set to Dowd himself. whom we can only imagine the happiness in returning possession of his uilleann pipes.
By Tommy Reck, who died in 1991, he was also an excellent violinist, and here we have the opportunity to hear three pieces performed on the uilleann pipes: two reels ("The Scholar" and "The Salamanca") and a slip jig, "Top it Off ”. In the 1950s, with Tommy Potts, it represented the best that could be heard in the Dublin area; student of JohnPotts, father of Tommy, he loved to play in duo with violinists such as Joe Ryan or Peadar O'Loughlin. In 1977 he released a record, "The Stone in the Field", recorded with a precious set of bagpipes made by Timothy Kenna between 1768 and 1794.

In 1994, Claddagh Records also released the second volume with contributions from Robbie Hannan, Gay McKeon, Joseph McLaughlin, Sean Potts, Liam O'Flynn, Michael O'Brian and Ronan Browne.
 
 
 

 

FRANCESCO MARZIANI  “Changing my life”

FRANCESCO MARZIANI  “Changing my life”

FRANCESCO MARZIANI  “Changing my life” Creusarte Records. CD, 2020

di alessandro nobis

L’etichetta Creusarte da qualche settimana ha pubblicato questo convincente (molto convincente) lavoro del pianista partenopeo Francesco Marziani al quale collaborano anche Marco de Tilla al contrabbasso, Massimo Del Pezzo alla batteria, Giulio Martino al sassofono e Flavio Dapiran alla tromba. E’ un lavoro piuttosto articolato considerato che sono presenti tracce eseguite in solo, in trio, in quartetto ed in quintetto che evidenziato da un lato la preparazione e la capacità compositiva di Marziani e dall’altro l’accurata ed indovinata scelta degli strumenti più idonei all’esecuzione dei brani.

Tra le composizioni eseguite in trio spicca a mio avviso la splendida ballad “With love from Napoli” introdotta dal fraseggio di Marziani e con un significativo solo del contrabbasso di De Tilla; notevole il neo-hard-bop di “Autumn Drops” con un lungo solo di pianoforte seguito dagli opportuni soli del sassofono e della tromba, e mi è piaciuto molto l’arrangiamento di “In your sweet way” dove il tenore di Martino enuncia il tema e si esprime in un lungo ed espressivo assolo ed alla chiusura lascia lo spazio al drumming “con spazzole” di Del Pezzo.

E’ chiaro, qui non troverete voli pindarici sulle insidiose terre dell’improvvisazione radicale, qui c’è una costante ricerca del perfetto equilibrio tra i linguaggi della musica afroamericana e della tradizione classica europea brillantemente mutuati dalla capacità compositiva di Marziani. La presenza di due composizioni come il bellissimo blues del songbook ellingtoniano “Things ain’t what they used to be” e dell’“intermezzo op. 2 118” di Johann Brahms la dicono lunga sul percorso musicale di Francesco Marziani.

 

 

 

SUONI RIEMERSI: EDUARDO PANIAGUA “Trovadores en Castilla: Alfonso VIII y los Almohades”

SUONI RIEMERSI: EDUARDO PANIAGUA “Trovadores en Castilla: Alfonso VIII y los Almohades”

EDUARDO PANIAGUA · MUSICA ANTIGUA “Trovadores en Castilla: Alfonso VIII y los Almohades”

PNEUMA RECORDS 1010. CD 2009

di Alessandro Nobis

Registrato nel 2009, questo lavoro di Eduardo Paniagua inquadra un ben preciso periodo della storia ispanica, ovvero quello del regno di Alfonso VIII e dei rapporti burrascosi – per usare un eufemismo –  con la dinastia musulmana berbera degli Almohadi che regnava sul Marocco e sul Al Andalus, la parte della Spagna islamizzata, quindi dal 1158 al 1214, tutta la vita del sovrano considerato che fu nominato Re di Toledo e Castiglia all’età dei tre anni. Fu davvero uno strenuo nemico dei Mori, e durante il suo regno condusse due importanti scontri con l’esercito almohavide: la Battaglia di Alarcos del 19 luglio del 1185, dove l’esercito musulmano ebbe la meglio su quello cristiano ma che viste le enormi perdite fu costretto comunque a ritirarsi in quel di Siviglia e quella ancora più importante di Las Navas de Tolosa del 1212 quando guidò il suo esercito ed i crociati arrivati dal resto d’Europa su incitamento del papa Innocenzo III infliggendo una memorabile sconfitta alle milizie musulmane, una delle più importanti scontri della cosiddetta Reconquista che si concluse nel 1492.

Ma il Regno di Alfonso VIII si distinse anche per la passione del re verso le scienze e le lettere che lo portò a fondare a Palencia nel 1208 la prima università spagnola e questo lavoro vuole onorare anche questo aspetto di Re Alfonso, affiancando la poesia e la canzone trobadorica alla musica arabo-andalusa con la “solita” cura alla quale Eduardo Paniagua ci ha abituati che riguarda non solamente il repertorio ma anche la scelta timbrica degli strumenti, sempre convincente nonostante pochi siano i riferimenti testuali o iconografici ma che come sempre fa intelligentemente riferimento anche agli strumenti etnici nordafricani.

Due i brani che vorrei segnalare, “Bal m’es q’ieu chant e coindel” del “cavaliere” Raimon De Miraval ed il seguente, lo strumentale “Moricos”; del primo l’autore delle musiche e del testo è appunto il Cavaliere Raimon, che con questo brano scritto dopo la battaglia di Las Navas invita, quasi supplica re Pedro II di Aragona (che partecipò allo scontro) a liberare il suo castello a Miraval e le terre adiacenti allora occupati dai Franchi, mentre il secondo, strumentale, è eseguito da uno strumento davvero particolare, un flauto costruito con l’osso dell’ala di un avvoltoio con il ritmo sostenuto da una tamburo a cornice.

Disco splendido che con un altro cd, “La batalla de Alarcos” (PN 950) da’ un’immagine chiara della Spagna medioevale.

 

 

 

NARDI · DI BONAVENTURA · TAVOLAZZI “Ghimel”

NARDI · DI BONAVENTURA · TAVOLAZZI “Ghimel”

NARDI ·DI BONAVENTURA ·TAVOLAZZI  “Ghimel”

VISAGE MUSIC. CD, 2020

di alessandro nobis

Confesso che la musica di questo lavoro ha colpito il centro della mia “confort area” musicale: perché i tre musicisti sono di caratura di primissimo livello, perché i loro background sono diversi, perché mettono in comune le loro esperienze per comporre ed eseguire i brani di questo bellissimo lavoro. La lunga “Ninna Nanna Greca” (che apriva “Gerontocrazia” degli Area) appare qui del tutto trasformata in “altro”, dilatata dagli assoli di bandoneon e di oud ed arricchita ancor più dei colori mediterranei e che senz’altro sarebbe piaciuta a Demetrio Stratos può essere considerata a tutti gli effetti come un “originale”, come lo sono le altre otto tracce di questo lavoro che disegna nel suo percorso paesaggi sonori e musiche che si concretizzano nelle menti di chi le realizza ed in quelle di chi si prende il giusto tempo di ascoltarle ed apprezzarle; quella che una trentina di anni fa si definiva come “nuova musica acustica” qui prende una nuova forma.

Beh insomma per chi ha apprezzato Rabih Abou Khalil ed il suo straordinario lavoro di “attualizzazione” del “sultano degli strumenti” troverà qui la sua prosecuzione sulla sponda settentrionale del Mediterraneo dove Elias Nardi, Ares Tavolazzi e Daniele di Bonaventura convergono le loro idee in un caleidoscopio di colori e di suoni mutuati da un idioma musicale comune, il jazz: il contrabbasso di Tavolazzi che apre “Bassideas” e che dialoga con Nardi, i passi di danza del medioriente di “Danza N. 3” con il bandoneon e l’oud che giocano alternativamente il ruolo di “maestro di cerimonie” e il contrabbasso che detta “i passi” e che ti teletrasporta in una piazza di una qualche isola dell’Egeo greco-turco, la già citata “Ninna Nanna Greca” sono, assieme al brano di apertura “Fosforo” aperta da Tavolazzi con una breve intro i brani che mi sembrano emblematici per descrivere questo ottimo “Ghimel”.

Aspetto di ascoltare dal vivo questa musica dove, immagino, la dilatazione temporale dei singoli brani troverà certamente il suo apice grazie, oltre alla loro bellezza, alla capacità di dialogo dei tre musicisti ed alla magia dell’improvvisazione musicale.

Della musica di Elias Nardi ne ho scritto anche qui:

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/03/14/akte-akte/)

http://www.visagemusic.it

 

 

THE BOTHY BAND “Bothy Band”

THE BOTHY BAND “Bothy Band”

THE BOTHY BAND “Bothy Band”

Mulligan Records 002. LP, 1975

di alessandro nobis

Dopo aver registrato tre album con i Planxty, Donal Lunny lascia con grande sorpresa di tutti il gruppo in cerca di qualcosa di nuovo, di un nuovo progetto, di un nuovo suono (ma tornerà qualche anno dopo, con grande sollazzo nostro) e su commissione della prestigiosa etichetta Gael-Inn organizza un supergruppo assieme a Paddy Glackin, Tony Macmahon, Matt Molloy, Paddy Keenan ed i fratelli O’ Dhohmnaill, Triona e Michael per un evento che resterà unico. Il gruppo, chiamato Seachtair, senza Glakin e MacMahon e con l’arrivo del violinista Tommy Peoples diventa la Bothy Band, con il nome che fa riferimento alle Bothy Ballads cantate in Scozia dagli operai soprattutto negli ostelli dove erano alloggiati in quanto nubili (tra l’altro, già che siamo, ricordo che alcune delle Child Ballads praticamente scomparse furono “recuperate” dai ricercatori dal canto di questi operai che le avevano imparate attraverso la trasmissione orale n.d.r.).

La Bothy Band diventata un sestetto registra il suo primo omonimo album per la benemerita Mulligan Records distinguendosi immediatamente soprattutto per il particolare suono del clavicembalo, per la voce evocativa di Triona O’ Dhohmnaill (la splendida esecuzione di “Do you Love an Apple”) oltre che per la presenza del flauto (Matt Molloy) e del violino (Tommy Peoples) fondamentali per costruire assiei plettri il suono della Bothy Band; un album che ancora oggi si ascolta con grande piacere e che a posteriori lo fa considerare come una delle pietre miliari del movimento del cosiddetto “folk revival” irlandese.

C’è spazio anche per il solismo: il medley curato da Peoples, uno strathspey abbinato ad un reel (“Hector the hero / La Laird of Drumblaire”) con il “bordone” di Keenan,  le pipes che aprono “Patsy Geary’s / Coleman’s cross” ed il jig (“Give us a drink of water”) proveniente dalla raccolta di O’Neill, che segue il celeberrimo “Kesh Jig” (inciso per la prima volta nel 1945 dalla Kinora Ceilidhe Band per la His Master Voice, naturalmente su 78 rpm n.d.r.) inserito nel medley iniziale sono due autentiche perle assieme al reel “cantato” “Pretty Peg” introdotta a cappella da Triona O’ Dhohmnaill.

Ma tutto il disco è un capolavoro. Fatemelo dire, stavolta.

SUCCEDE A VERONA: I CANTASTORIE E L’INONDAZIONE DEL 1882

SUCCEDE A VERONA: I CANTASTORIE E L’INONDAZIONE DEL 1882

I CANTASTORIE E L’INONDAZIONE DEL 1882 A VERONA

di alessandro nobis

Cantastorie: s.m. e f., indecl.. Divulgatore girovago di storie in versi, talvolta da lui stesso composte, a soggetto generalmente drammatico o passionale, ancor oggi visibile in occasione di feste paesane. (G. Devoto – G. C. Oli)

A - 1 - 52Dopo giornate di grande allarme durante le quali il livello dell’acqua si alzava sempre più, il 14 settembre del 1882 l’Adige ruppe definitivamente gli argini a Verona causando la più disastrosa delle piene che la città abbia subito nei suoi duemila anni di storia. I molini lungo il fiume vennero spazzati via dalla furia delle acque, a Portoni Borsari le barche di soccorso non riuscivano nemmeno a passare sotto gli archi della porta romana; fu un avvenimento che ancora viene ricordato dalle numerose pietre incise con la linea del livello dell’acqua ed inserite nel centro storico nelle mura dei palazzi che venne documentato da numerose quanto preziose fotografie ma che venne descritto con qualche giustificabile ritardo dal quotidiano Arena a causa dell’inopinato allagamento delle tipografie dove veniva stampato.

Una ventina di anni più tardi, nel 1902, apparve nei mercati rionali, nelle fiere o semplicemente nelle piazze un volantino, un “foglio volante” venduto verosimilmente da qualche cantastorie che aveva in repertorio il racconto in rima di quel disastro ed in particolare del gesto eroico di un militare che si gettò nelle acque tumultuose per salvare un bambino dall’annegamento; possiamo pensare che il foglio volante che ho avuto la fortuna di leggere, datato appunto 1902, sia una ristampa di uno stampato poco dopo l’alluvione, ma questa è una mia semplice ipotesi.

Roberto Leydi e Paolo Vinati ci spiegano che cosa sono i “Fogli Volanti”(1): “I fogli volanti con storie e canzoni hanno accompagnato l’opera dei cantastorie fin dal XV° secolo, ma hanno anche agito autonomamente come veri e prodotti messi sul mercato entro il sistema della produzione commerciale e della comunicazione di massa. Questi prodotti hanno seguito lo sviluppo dei mezzi comunicativi dal ‘500 ad oggi: prima e per lungo tempo la stampa, poi il disco e l’audiocassetta (e poi il CD e il digitale)”.

I cantastorie giravano per lo più da soli, molti accompagnavano la narrazione con uno strumento musicale oppure giravano in coppia, qualcun altro per illustrare le sue narrazioni si accompagnava con delle vignette stampate sulla tela; resta il fatto che purtroppo la maggior parte di questi fogli volanti erano sprovvisti di melodie scritte, la cultura orale non prevedeva lettura di notazioni musicali anche se nella metà del XIX° secolo le raccolte, talora poderose, di canti popolari erano fortunatamente frequenti regalando ai posteri, cioè noi, importantissimi squarci dei vari aspetti della vita quotidiana.

Purtroppo il foglio volante di cui qui sotto trovate la trascrizione, è l’unico dell’importante collezione di Roberto Leydi che presenta una piegatura che nasconde alcune parole. Inoltre la lingua sembra non essere il dialetto veronese almeno in alcune sue parti quindi è probabile che l’autore non fosse proprio di Verona e dintorni.

STORIA DELLA TERRIBILE INONDAZIONE DI VERONA

Gh’era in Verona del vottantadù

Si che le successo öna grand’inondaziù;

Fina nei vicoli l’acqua l’era corriente

Chegnaanche colle barche se podeva andarghe arente

Ch’era un povero padre, padre del bambino;

Sigava poverino nissun lo po’ salva.

Un militar l’ha visto, nel’acqiua ‘l ‘se slancià:

Bambino l’ha salvato e ‘l padre ‘l sa negà

Gesù Maria Santissima abbiate di noi pietà

…………….. tutti inondà

E fine nel’Ammerica söl pölpet a predicà

Fega l’elemosina ai poveri inondà.

Li. 15 febbraio 1902

N.B. – Il ricavato della vendita sarà versato in beneficenza.

(1) – R. LEYDI e P. VINATI: Tanti fatti succedono al Mondo. Fogli volanti nell’Italia Settentrionale dell’Otto e Novecento. GRAFO Ed.ni 2001, Brescia, Con Cd Rom.

 

APARTICLE  “The Glamour Action”

APARTICLE  “The Glamour Action”

APARTICLE  “The Glamour Action”

UR Records. CD, 2020

di alessandro nobis

Questo è la seconda incisione del quartetto Aparticle. Dopo il convincente “Bulbs” del 2018 (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/01/25/aparticle-bulbs/), ecco un nuovo lavoro che conferma quanto di buono si era ascoltato in quello d’esordio: innanzitutto la coesione sonora del quartetto, e questo a mio avviso è riscontrabile ascoltando innanzitutto i due brani che nascono da una improvvisazione collettiva come “First Action” e “Second Action” che partono entrambi da uno spunto del clarinetto basso e della batteria; a mio avviso se dall’esperienza dell’improvvisazione non idiomatica scaturisce un profondo dialogo ed un apporto individuale che contribuisca alla crescita della stessa, ecco che di conseguenza anche nell’esecuzione di brani con “tema” scritti o concordato emergono queste caratteristiche, ed è quello che si nota ascoltando la musica di “Aparticle”.

Giulio Stermieri (piano elettrico), Cristiano Arcelli (ance), Michele Bonifati (chitarra) ed Ermanno Baron (batteria) confezionano quindi un lavoro davvero interessante, creativo, lontano dalla riproposizione di standard che si presenta come un invidiabile equilibro esecutivo che lascia solo immaginare l’aspetto “Live” di Aparticle.

Quoto l’iniziale “Seedsmen” con bei soli di Rhodes e chitarra e con l’incalzante apporto del basso (chitarra), la lunga “Our Warning System” che si sviluppa partendo dall’introduzione dal talentuoso Bonifati che duetta con Baron e con espressivo lungo solo di chitarra nel quale si inserisce il sax tenore che esegue a sua volta un assolo e per concludere “It is Necessarily So” che, a mio avviso quantomeno nel titolo, fa riferimento all’immortale quasi omonimo brano del songbook gershwiniano. Ma forse mi sbaglio.

Un gran bel disco, speriamo che la situazione dei concerti riparta chè di jazz come quello di questo quartetto ce n’è davvero bisogno.

 

BODERIOU · BAROU · LAHAY “Liamm”

BODERIOU · BAROU · LAHAY “Liamm”

BODERIOU ·  BAROU ·LAHAY  “Liamm”

Autoproduzione. CD, 2020

di alessandro nobis

Nell’ambito della musica tradizionale bretone, dagli settanta a partire dal lavoro di Alan Stivell sono stati numerosi i musicisti che hanno cercato nuove vie, nuovi strumenti, nuove idee, nuove scritture per uscire dal cerchio dell’ortodossia che ovunque la musica popolare evidenzia ma che d’altro canto si rivela indispensabile per la trasmissione alle nuove generazioni: cito solamente Dan Ar Bras, Soig Siberil, le esperienze dei Gwerz e di Pennou Skoulm, Jacques Pellen (purtroppo scomparso da poco, davvero una grave perdita), i Tryptique e naturalmente il piper (e costruttore di cornamuse)  Xavier Boderiou che seguendo il filo del discorso intrapreso con “Morenn” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/12/08/morenn-morenn/) inciso nel 2016 con Pellen alla chitarra e Sylvain Barou al flauto pubblica questo altrettanto interessante “Morenn” sempre in ottima compagnia di Barou, del raffinato chitarrista Antoine Lahay e di Jacques Pellen in tre delle dodici tracce.

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XAVIER BODERIOU PRESENTA “MORENN” AL WILLIAM KENNEDY PIPING FESTIVAL, 2016.    CON JACQUES PELLEN ALLA CHITARRA

Ho sempre considerato la musica tradizionale bretone quella più evocativa tra le varie declinazioni del celtismo musicale vuoi per il repertorio vuoi per i suoni ed i repertori che ha sviluppato nel tempo: l’arpa, il biniou, il canto “Kan ha Diskan”, la cornamusa ed in questo lavoro Boderiou come dicevo va oltre la sua esecuzione ortodossa mescolando in modo brillante le composizioni originali con la folk music bretone, scozzese ed anche naturalmente irlandese.

Innanzitutto è doveroso menzionare i brani dove Jacques Pellen collabora negli arrangiamenti: il medley (una slow air bretone e due “marce” associate al piper Henri Leon), il medley “Wedding Reels” e la conclusiva “Kernivinen Pinn” aperta da un sapiente arpeggio di Lahay e composta da un originale di Boderiou e da un tradizionale.

Notevole, forse il brano che più di altri rende la misura del progetto musicale di Xavier Boderiou è la lunga (oltre 10 minuti) “Lament for A10”, dove ascolti sì la tradizione della cornamusa che pervade tutto il brano, quasi musica pitbroch, ma trovi anche l’elegante e puntuale uso dell’elettronica (Antoine Lahay) ed il flauto che danza all’unisono con la cornamusa verso il termine del brano: come dicevo, evocativo, ancestrale ed allo stesso tempo attualissimo. Eppoi “Prizon Pontaniou” composto dal piper con il testo di Paul Salaoun: un inizio dal sapore mediorientale (Sylvain Barou al duduk, flauto di origine armena) e che poi con l’ingresso delle pipes e dalla narrazione della vicenda di Lydia Oswald, spia imprigionata a Brest durante l’ultimo conflitto mondiale.

Ancora aria fresca dalla terra bretone, disco da sei stelle su cinque. A questo punto imprescindibile, direi.

http://www.boderiou.com