SETANTA “Setanta”

SETANTA “Setanta”

SETANTA “Setanta”

Tinto Tap Records. CS, 1990

di alessandro nobis

Ritornati in Italia nel 1989 (dopo un’apparizione a Folkermesse) grazie al giornalista Enzo Palombella · che curò anche la copertina dell’audiocassetta · per la loro tourneè organizzata da FOLKITALIA, i Setanta suonarono a Verona al Posto il 13 aprile per presentare questa loro unica incisione dal titolo eponimo e che riporta misteriosamente la data di pubblicazione dell’anno successivo. Un vero peccato che la carriera discografica dei Setanta non sia in pratica mai iniziata perchè riascoltando la loro cassetta e la registrazione beninteso artigianale del loro live veronese emerge ancora oggi la qualità, il brio, la freschezza e l’equilibrio del loro suono apprezzato dal numeroso pubblico che affollò il locale sotto la spinta del fascino del folk scoto·irlandese nonostante fossero musicisti impegnati quotidianamente in altre professioni; una particolarità che distingueva i Setanta dagli gruppi del folk revival dell’epoca era senz’altro il suono dell’hammered dulcimer suonato con grande gusto e abilità dallo scozzese Jack Bethel (ascoltare “O’Dwyers” nel lato B della cassetta).

Era un gruppo ben rodato composto da musicisti irlandesi e scozzesi (Mike Berry · violino, tin whistle ·, Jack Bethel · hammered dulcimer, concertina ·, Colin McAllister · voce, bodhran ·, Hunter McConnell · voce, chitarra ·, David John Munro · uilleann pipes · e Gearoid O’Laoghaire · violino ·) residenti nell’area di Glasgow ed il repertorio di questa cassetta era fatto di canti narrativi e di suite di danze: tra i primi menziono una bella versione di “John Franklin” · presentata anche nel concerto veronese K, “Lovely Old Fintown” raccolta nella contea di Derry e “Carrickmammon Lake” proveniente invece dalla Contea irlandese di Down qui proposta nella versione della cantante tradizionale Sarah Ann O’Neill e qui con la splendida voce di Colin McAllister. Tra gli strumentali senz’altro va citata la suite di tre slides provenienti dalla regione di Cork e il medley “Da Auld Resting Chair · Hakki’s Polka · The Old Polka” (la seconda dalle Shetland e l’ultima dalle isole Orkney) e la suite di jigs “The Boys of the Town · The Connaughtman’sRamble · The Eaversdropper“.

In definitiva un lavoro ben riuscito, forse poteva essere un demotape per un possibile primo CD dei Setanta, peccato che il progetto non si sia concretizzato. Ma c’è sempre tempo …..

Back in Italy in 1989 (after an appearance at Folkermesse Festival) thanks to the journalist Enzo Palombella · who also edited the cover’ graphic of the audio cassette · for their tour organized by FOLKITALIA, the Setanta played in Verona al Posto on April 13th to present their the only engraving with the eponymous title and which mysteriously bears the publication date of the following year. It’s a real pity that Setanta’s recording career practically never started because listening to their cassette and the artisanal recording of their live performance in Verona still emerges today the quality, panache, freshness and balance of their sound appreciated by the numerous audiences who flocked to the venue under the influence of the charm of Scot·Irish folk despite being musicians engaged in other professions on a daily basis; a peculiarity that distinguished the Setanta from the folk revival groups of the time was undoubtedly the sound of the hammered dulcimer played with great taste and skill by the Scotsman Jack Bethel (listen to “O’Dwyers” on side B of the cassette).

It was a well-established group made up of Irish and Scottish players (Mike Berry fiddle, tin whistle, Jack Bethel hammered dulcimer, concertina, Colin McAllister vocals, bodhran, Hunter McConnell vocals, guitar, David John Munro uilleann pipes · and Gearoid O’Laoghaire · violin ·) resident in the Glasgow area and the repertoire of this tape was made up of narrative songs and dance suites: among the former I mention a beautiful version of “John Franklin” also presented in the Verona concert K, “Lovely Old Fintown” collected in the county of Derry and “Carrickmammon Lake” coming instead from the Irish County of Down proposed here in the version of the traditional singer Sarah Ann O’Neill and here with the splendid voice of Colin McAllister. Among the instrumentals, the suite of three slides from the Cork region and the medley “Da Auld Resting Chair · Hakki’s Polka · The Old Polka” (the second from Shetland and the last from the Orkney Islands) and the suite of jigs “The Boys of the Town · The Connaughtman’sRamble · The Eaversdropper”.

Ultimately a successful work, perhaps it could have been a demotape for a possible first Setanta CD, a pity that the project did not materialize. But there is always time …..

Lato A:

GOING TO THE WELL FOR WATER

WHEELS OF THE WORLD · THE RIGHTS OF MAN

TIBBIE FOWLE

DA AULD RESTIN CHAIR · HAKKI’S POLKA · THE OLD POLKA

LOVELY OLD FINTOWN

OUT ON THE OCEAN · THE MISTY MOUNTAIN · PADDY O’RAFFERTY

Lato B:

LORD FRANKLIN

THE BOYS OF THE TOWN · THE CONNAUGHTMAN’S RAMBLE

CARRICKMANNON LAKE

THE STRANGER · O’DWYERS · OFF TO CALIFORNIA

SWEET COUNTRY ANTRIM

THE MAID BEHIND THE BAR · THE HUMORS OF TULLA · THE TORN PETTICOAT · THE SAILOR’S BONNET

Pubblicità

PAUL HILLIER “Proensa”

<strong>PAUL HILLIER</strong> “Proensa”

PAUL HILLIER “Proensa”

ECM NEW SERIES Records. CD, 1989

di alessandro nobis

Al di là dell’accuratezza nella scelta del repertorio e delle scelte timbriche, sono convinto che questo “Proensa“, progetto del “Theatre of Voices” abbia avvicinato agli straordinari tesori della musica antica non pochi degli appassionati dell’etichetta bavarese di Manfred Eicher.

E’ un viaggio attraverso il periodo d’oro della poesie trobadorica, tra il Duecento e il Trecento, e qui troviamo i più importanti poeti dell’epoca, da Guglielmo Duca d’Aquitania a Macabruno, da Peire Vidal e Giraut De Bornelh  da Bernart De Ventadorn fino al meno conosciuto Guiraut Riquier: la straordinaria ed evocativa voce di Paul Hillier, il salterio e l’arpa di Andrew Lawrence-King, il liuto e il salterio di Stephen Stubbs e la viella di Erin Headley ci riportano magicamente a quel periodo storico troppo spesso indicato come “l’era buia” prima della rinascita. E’ questo uno quartetto formato da musicisti · studiosi dalla classe cristallina che danno lettura davvero efficace rara a sentirsi; “Reis Glorios” di Guiraut de Bornelh (provenzale, attivo nella seconda metà del 12° secolo) è un'”albada” (una sveglia) di cui conosciamo la musica che inizialmente ha la forma di preghiera ma che si trasforma in una risata, cantata da una guardia mentre il cavaliere si intrattiene con una dama, l’arrangiamento che accompagna questo testo è davvero notevole, accompagna ed allo stesso tempo crea un’ambientazione di un’aurora magica. “Pos Tornatz Sui Proensa” · da qui il titolo dell’album · venne scritta da uno tra i più celebri trovatori provenzali, Peire Vidal di Tolosa che durante la sua vita “prestò servizio” alla corte di Budapest al seguito di Costanza D’Aragona che andò in sposa al Re Imre nel 1198 (un’altra significativa interpretazione di questo canto trobadorico la si può ascoltare in “Peire Vidal: A Trobadour in Hungary” curata dall’ensemble ungherese Fraternitas Musicorum e pubblicata dalla Hungaroton nel 1981): racconta del ritorno di un trovatore nella sua terra, la Provenza.

Ho citato solamente due delle otto composizioni presenti in questo “Proensa” ma il livello di tutto il lavoro è veramente altissimo, a mio modesto avviso una delle migliori raccolte di canti trobadorici mai pubblicate e grande merito di questa realizzazione va senz’altro al patron dell’ECM per la sua visione sempre aperta verso i più diversi idiomi musicali.

BEPPE GAMBETTA “Dialogs”

<strong>BEPPE GAMBETTA</strong> “Dialogs”

Hi,Folks! Records. LP, 1989

di alessandro nobis

La vicenda musicale che ha generato questo disco è davvero interessante e testimonia la passione del ligure Beppe Gambetta, ai tempi della band di bluegrass Red Wine, che lo ha portato ad affrontare un incredibile viaggio attraverso il continente nordamericano per incontrare quelli che al tempo erano i migliori strumentisti flatpicking in circolazione; incontrarli a casa loro, conoscerli personalmente e registrare con loro riuscendo a stanare perfino uno come Norman Blake dalla sua oasi di Rising Fawn. Ne esce un disco davvero interessante, con repertori anche diversi, con riletture di grandi classici, un originale di Gambetta ed una bella quanto inaspettata rilettura di un brano beatlesiano, per la precisione “All you Need is Love” eseguito con Mike Marshall.

Dicevo Norman Blake, con il quale Gambetta suona “Bully Of The Town“, murder ballad scritta nel 1895 da Charles Trevathan che si riverisce ad un omicidio avvenuto in quegli anni a New Orleans ma poi anche lo scoppiettante swing di “Model 400 Buckboard” di Jimmy Bryant e il duetto con Phil Rosenthal – lo ricordo in una delle line up della leggendaria Seldon Scene – che con Gambetta esegue un altra pietra miliare del chitarrismo d’oltreoceano, ovvero “Arkansas Traveller“. Questo per citare solamente tre brani del disco, ma in realtà sarebbero tutti da citare, basti pensare che attraverso questi incontri il Gambetta è entrato in modo profondo con alcuni delle band che hanno segnato la storia del folk americamo come la già citata Seldom Scene ma anche la Country Gazette (Joe Carr e Alan Munde), i Dillards (David Grier) o gli Hot Rize di Charles Sawtelle ed infine il David Grisman Quintet (Mike Marshall) senza contare Dan Crary – con il quale Gambetta tenne anche alcuni concerti in Italia -.

Insomma “Dialogs” potrebbe sembrare una semplice collezione di “medaglie” da citare nel proprio curriculum ma è tutt’altro, sono momenti di “dialogo” e di conoscenza reciproca fatti con grande umiltà da parte di Gambetta e con altrettanto grande rispetto da parte di questi strumentisti, e la musica che si ascolta è lì a dimostrarlo. Ma ho una domanda per Beppe Gambetta: non credo che sia stato registrato un solo brano per incontro, e quindi dove sono finite le altre registrazioni?

http://www.beppegambetta.com

 

DANDO SHAFT  “Shadows Across the Moon”

DANDO SHAFT  “Shadows Across the Moon”

DANDO SHAFT  “Shadows Across the Moon”

TALKING ELEPHANT RECORDS. CD, 2020

di alessandro nobis

La prima edizione di questo ottimo lavoro degli inglesi Dando Shaft risale al 1993 e fu curata dall’etichetta Happy Trails; nel corso dell’anno 2020 è opportunamente stata ripubblicata dalla Talking Elephant Records, un’etichetta che può godere di una maggiore distribuzione internazionale visto il valore della musica contenuta nel CD. Si tratta di un concerto italiano tenuto in Sala Piatti, a Bergamo, il 17 marzo del 1989 organizzato da Gigi Bresciani di GeoMusic al quale parteciparono Martin Jenkins (mandoncello, flauto e voce), Kevin Dempsey e Dave Cooper  (chitarre e voci), Roger Bullen (basso), Ted Kay (tabla e percussioni) e Chris Leslie al violino, e questa ristampa vuole essere anche un caro ricordo ai tre “Dando” scomparsi: Kay, Jenkins e Bullen. Il repertorio per questa reunion pesca nelle produzioni dei Dando Shaft ovvero “An Evening with …… del 1970” (“Rain“ e “Cold Wind“), Dando Shaft del 1971 (“Railway“, “Sometimes“), Lantaloon del ’72 (“Road Song”) e da Kingdom del ’77 (“If i could let go“,“Kingdom“ e “Feel like i Want to go Home“) oltre a due al tempo inediti: “Coming Back To Stay” ed il brano eponimo. I Dando Shaft sono sempre stati una band particolare musicalmente parlando, sapendo mescolare alla perfezione – e in questa registrazione la cosa è piuttosto evidente – il folk, la musica acustica, un pizzico di jazz, sonorità orientali, splendidi arrangiamenti strumentali e vocali e composizioni originali e sapendosi distinguere dal suono degli altri gruppi che all’epoca dei fatti praticavano quello che era chiamato folkrock; per questo motivo gli Shaft sono rimasti ineguagliati lasciando il seme della loro musica in gruppi come, a mio avviso, i bravissimi Mirò (non a caso anche questi nell’orbita dell’agenzia GeoMusic di Brescaini).

Questa reunion del 1989 fu del tutto inaspettata per i fans dei Dando, e fu merito della passione e competenza di Gigi Bresciani se i musicisti decisero di partire per l’Italia per le prove e registrare questo ottimo disco (il concerto purtroppo non è completo …….. ma non si sa mai). Così racconta Kevin Dempsey nelle esaustive note di copertina (non presenti nella precedente edizione): “un bel giorno un certo Gigi Bresciani bussò alla porta, si presentò e chiese se il gruppo si sarebbe potuto riunire ed andare in Italia per un concerto. Pensai che fosse impossibile, erano anni che non suonavamo insieme ed inoltre mi ero quasi scordato i brani; Gigi ci offrì la possibilità di suonare un concerto a Bergamo e registrarlo, quindi ci incontrammo e decidemmo di andare portando con noi Chris Leslie”.

“Shadows Across the Moon” viene quindi dall’archivio di Gigi Bresciani dal quale speriamo in breve escano altre perle come questa. Questo il mio personale auspicio.

SUONI RIEMERSI: BEPPE CASTELLANI 4et “Italian Standards vol. 1 & 2”

SUONI RIEMERSI: BEPPE CASTELLANI 4et “Italian Standards vol. 1 & 2”

SUONI RIEMERSI: BEPPE CASTELLANI 4et “Italian Standards vol. 1 & 2”

IL POSTO RECORDS, 1989, 1990. lp

di alessandro nobis

I due dischi realizzati per “Il Posto Records” a cavallo del 1990 dal quartetto guidato dal tenorista Beppe Castellani con Ares Tavolazzi al contrabbasso, Riccardo Biancoli alla batteria e Giorgio “Cigno” Signoretti alla chitarra sono tra i più significativi progetti nati a Verona in quegli anni ed uno dei primi a rendere finalmente omaggio ai brani di due grandi cantautori italiani come Luigi Tenco e Gino Paoli. A distanza di trent’anni il progetto “Italian Standars” mantiene inalterata la bellezza della musica, la scelta oculata della scaletta ed i preziosi arrangiamenti curati dalla coppia Castellani – Signoretti che lasciavano ampio spazio all’interplay tra i quattro strumenti ed anche all’esecuzioni di assoli sempre di ottima fattura e misurati. Ad esempio la splendida riproposizione del brano di Paoli “Gli innamorati sono sempre soli”: tema esposto dal tenore di Castellani con seguente lungo assolo che introduce quelli di Signoretti e di Tavolazzi e il tenore che chiude il cerchio. Oppure nella seguente struggente e pacata ballad “Mi sono innamorato di te” uno degli high-lights di “Italian Standards” a mio avviso per l’intensità che comunica. Jazz mainstream di eccellente fattura, suonato con grande perizia ed intelligenza che ha saputo translare gli spartiti di Paoli e Tenco nel mondo della musica afroamericana ad un livello inedito per quegli anni. Dispiace solamente che la diffusione di questi due lavori, a mio avviso due perle del jazz italiano, non sia stata al livello della qualità della musica ma, come si dice, “del senno di poi son piene le fosse”. Dispiace comunque.

Le evocative foto di copertina sono di Beppe Castellani, che negli ultimi anni si è dedicato alla fotografia artistica con ottimi risultati (https://beppecastellani.jimdofree.com).

Il progetto “Italian Standards” avrà un seguito nel 1992 con “A new page” pubblicato dalla Modern Times ed accreditato allo Stefano  Benini – Beppe Castellani Quintet con Piero Leveratto al contrabbasso ed il co-leader, Stefano Benini, al flauto traverso.

VOLUME 1: registrato nel maggio 1989.

Lato A

Gli innamorati sono sempre soli (G. P.)

Mi sono innamorato di te (L. T.)

Se sapessi come fai (L. T.)

Lato B

Senza fine (G. P.)

Un giorno dopo l’altro (L. T.)

Volume 2: registrato nel marzo 1990.

Lato A

Ragazzo mio (L. T.)

Tu non hai capito niente (L. T.)

Un uomo vivo (G. P.)

Vedrai vedrai (L. T.)

Ho capito che ti amo (L. T.)

BENINI·SBIBU·TERRAGNOLI “Tu whit, tu whoo”

BENINI·SBIBU·TERRAGNOLI “Tu whit, tu whoo”

BENINI·SBIBU·TERRAGNOLI “Tu whit, tu whoo”

IL POSTO RECORDS. LP JPR 1114, 1989

di Alessandro Nobis

Poche città come Verona hanno vissuto anni di grande fermento culturale e musicale come quello degli anni Ottanta. Edizioni memorabili di Verona Jazz, locali come il Double Face e naturalmente come “Il Posto” di Luciano Benini, dove sono passati musicisti di grandissimo livello appartenenti ai più diversi generi musicali; grande spazio fu dato anche ai musicisti dell’area veronese che ebbero l’occasione di presentare i loro progetti alcuni dei quali molto, ma molto interessanti. Benini inoltre fondò una propria etichetta discografica, che ebbe purtroppo vita breve ma con in catalogo ottimi lavori come i due album di Beppe Castellani “Italian Standards”, il doppio ellepì dedicato a John Lennon (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/10/15/suoni-riemersi-verona-dedicato-a-john-lennon/) e questo del trio di Stefano Benini, Francesco Sguazzabia a.k.a. “Sbibu” ed Enrico Terragnoli.

IMG_3835

Un lavoro che dopo trent’anni, tanti ne sono passati dal quel 1989, regge ancora benissimo all’ascolto dimostrando la bontà del progetto – che poi proseguì negli anni – del trio veronese. Un disco registrato senza alcuna post-produzione che contiene nove tracce originali composte collettivamente; tra ancestralità, elettronica ed ambient, la musica scorre via in modo estremamente piacevole, mai autoreferenziale sa ancora trasmettere emozioni a chi ascolta e questo, lo ricordo bene, anche durante le performance live dove il suono dei tre era sempre equilibrato considerato che gli strumenti acustici e l’elettronica non erano mediati da alcuna apparecchiatura digitale ma erano solamente il frutto dell’abilità e della consapevolezza dei musicisti. La purezza di “Hammurabi”, quasi il sigillo di “Tu Whit Tu Whoo” con il pattern dell’arsenale sonoro di Sbibu ed il flauto di Benini che aprono il brano, l’elettronica nel preambolo di “Eyot” con la suggestione dell’evocativo solo del berimbau che duetta con l’elettronica – quasi un dialogo tra l’antichità delle tradizione ed i nuovi suoni – sono solamente due spunti da questo bellissimo lavoro.

Ristampatelo, scriveteci sopra “duemilaventi” e nessuno se ne accorgerà. Tranne noi “diversamente giovani”. Che lo conserviamo gelosamente.

STEFANO BENINI: bass flute, piccolo, flute, devices, FRANCESCO SBIBU SGUAZZABIA: percussion & all sort, ENRICO TERRAGNOLI: electric guitar & devices