COLOSSEUM “Ruisrock Festival, 1970 August 22”

COLOSSEUM “Ruisrock Festival, 1970 August 22”

COLOSSEUM “Ruisrock Festival, 1970 August 22”

Voiceprint Records. CD, 2018

di alessandro nobis

Anche se qui non c’è il “Dream Team” al completo del leggendario doppio ellepì live del ‘71 (qui il chitarrista Clem Clempson è la voce solista, Chris Farlowe entrerà nella band pochi mesi dopo questo tour europeo), l’energia di John Hiseman e compagni è ai livelli più alti, le versioni dal vivo dei brani lasciamo ampio margine di libertà all’indiscussa classe del quintetto che nei pochissimi anni di vita ha saputo disegnare un percorso che partendo dalle idee di Graham Bond si è arricchito soprattutto nella dimensione live di un rock poderoso con le radici nel British Blues ed i rami più lunghi verso atmosfere più raffinate e colte con aperture anche al jazz che in quegli anni in Inghilterra viveva momenti di straordinaria creatività.

Questo CD della Voiceprint restituisce il set dei Colosseum alla prima edizione del festival finnico di Ruisrock (vi parteciparono tra gli altri gruppi locali anche i Family) con un repertorio che include alcuni dei loro brani più significativi come “Walking in the Park”scritta da Graham Bond che chiude il disco, i due tratti da “The Grass is Greener” versione americana di Valentyne Suite ovvero “Rope Ladder to the Moon” e “Lost Angeles”. La prima con un brillante solo di Heckstall-Smith con due sax (lo stile di Roland Kirk, suo idolo) la seconda introdotta dal vibrafono di Dave Greenslade e con la chitarra di Clem Clempson in gran spolvero supportato dal basso di Mark Clarke, e il lungo assolo al cambio di tempo la dice lunga su quanto questo chitarrista sia stato sottostimato; intriso di blues e di jazz il solo di Greenslade all’organo hammond e straordinario per la poliritmia e l’energia quello di John Hiseman in “The Machine Demands a Sacrifice”, una delle parti di “Valentyne Suite” tratta dall’omonimo album dei Colosseum, senz’altro quello più conosciuto.

Registrazione più che accettabile, di questo album ne esiste anche una stampa curata dalla Tiger Bay Records.

Disco interessante, fa capire l’evoluzione che avrà la band con l’ingresso di Chris Farlowe che lascerà un maggiore e più adeguato spazio a Clempson ed alla sua chitarra.

AA. VV.: COMPÁNACH  “Music from all the Counties of Ireland”

AA. VV.: COMPÁNACH  “Music from all the Counties of Ireland”

AA. VV.: COMPÁNACH  “Music from all the Counties of Ireland”

Imusic. 2CD, 2018

di alessandro nobis

Il titolo la dice lunga sul contenuto di questo brillante doppio CD pubblicato tre anni or sono: un viaggio attraverso le contee irlandesi, senza “immagini” sonore da cartolina, luoghi comuni come spesso capita di ascoltare nelle compilations che si trovano sui banconi di località turistiche ed aeroporti. E’ invece quello che può essere considerato un indispensabile compendio al preziosissimo volume di Fintan Vallely pubblicato nel 2016, ovvero “Companion to Irish Traditional Music” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/01/15/fintan-vallely-companion-to-irish-traditional-music/) alla cui registrazione hanno partecipato alcuni tra i migliori studiosi e musicisti tradizionali di diverse generazioni che vale davvero la pena citare: Tiarnán O’Duinchinn, Gerry O’Connor, Fintan Vallely, Sibéal Davitt, Karan Casey, Máire NíChoilm, Róisin Chambers, Maurice Leyden, Stephanie Makem e Roisín White.

Doppio CD, trenta i brani che concretizzano i vari stilemi esecutivi della musica popolare intendendo l’Irlanda come un tutt’uno; la suite strumentale “The Castle/The Boys Of Lough Gowna/Old Tipperary(Double Jigs, 6/8)” aperta dal flauto di Vallely e proseguita dal violino è solo una delle meraviglie di questo lavoro, come il canto “a cappella” cristallino di Ciaran Casey in “The Shamrock Shore” che tratta il tema dell’emigrazione ed il set proveniente dalle Contee di Carlow e Cavan composto dall’aria “FollowMe to Carlow” (nel repertorio anche dei Planxty” ed eseguito dalle pipes di O’Duinchinn, da “Come Back Paddy Reilly”, un solo di Gerry O’Connor e da due reels eseguiti dalle pipes, dal violino e dal ritmo della step dance. Certo sarebbe doveroso segnalare ogni singolo brano di questo importante lavoro non solo per il suo aspetto didattico ma anche per il livello delle esecuzioni ma di questo secondo aspetto agli appassionati di musica irlandese basta leggere i nomi dei musicisti coinvolti per capire il valore di questo straordinario “Compánach”; non è di facilissimo reperimento e non è stato distribuito in modo adeguato, ma con i mezzi attuali tutto si può fare …….. o quasi.

AN TARA “Faha Rain”

AN TARA “Faha Rain”

AN TARA “Faha Rain”
Raelach Records RR014, 2018

di alessandro nobis

Per gli appassionati di musica irlandese legati al suono espresso dalla quasi totalità dei gruppi di matrice tradizionale troveranno questo “Faha Rain” piuttosto strano quanto meno, ma coloro i quali invece sono interessati anche ai suoi “possibili sviluppi” ed agli “impossible Crossroads” musicali apprezzeranno senz’altro il lavoro dei due musicisti “implicati” ovvero il percussionista Tommy Hayes (Stockton’s Wing” ed il suonatore di sarod, cordofono indiano dell’Hindustan, Matthew Noone, australiano. I due costruiscono un affascinante ed immaginifico ponte musicale che unisce le due culture e non a caso “An Tara” in lingua sanscrita sta a significare “lo spazio, la terra di mezzo” che perfettamente identifica il progetto. Qui di jigs, reels, hornpipes ne troverete poche tracce, ma in compenso l‘universo sonoro targato Noone & Hayes, se presterete l’adeguata attenzione all’ascolto vi porterà in un non-mondo estremamente interessante e sorprendente; per entrare in questo mondo basta ascoltare le due composizioni del violinista della Contea di Clare Junior Martin Crehan inserite i questa raccolta, soprattutto il set “Hills of Coore / Her Lovely Golden hair was Flowing Down Her Back” per sarod e marimba che dà l’esatta misura del livello musicale di questo splendido progetto oppure l’arrangiamento, quasi una ricomposizione, di un classico del folk irlandese, “Morning Dew” (da confrontare con la versione più ortodossa dei Chieftains, ad esempio) dove il sarod di Matthew Boon è accompagnato dal bodhran di Tommy Hayes. Le altre tracce sono composizioni originali di Noone (alcune scritte a quattro mani) e tra queste consiglio l’ascolto del brano eponimo che apre il disco, quasi un “call and response” tra i due musicisti e quello che chiude l’album, una ninnananna per Rosie, anche questa una composizione di Noone nella quale la voce dell’autore è accompagnata anche dal pianoforte di Jack Talty, produttore di questo magnifico disco.

https://raelachrecords.bandcamp.com/album/faha-rain

CENTAZZO · SCHIAFFINI · ARMAROLI “Trigonos”

CENTAZZO · SCHIAFFINI · ARMAROLI “Trigonos”

CENTAZZO ·SCHIAFFINI ·ARMAROLI  “Trigonos”

Dodicilune Records. CD Ed420, 2018

di alessandro nobis

Questo lavoro pubblicato un paio di anni or sono dalla pugliese Dodicilune Records affianca due fondamentali figure della musica contemporanea e della musica improvvisata europea come Andrea Centazzo e Giancarlo Schiaffini al bravissimo vibrafonista (ma è anche un artista sonoro, poeta e percussionista “concreto”) Sergio Armaroli che racchiusi nello studio di registrazione dialogano, si incontrano e producono composizioni istantanee piacevolissime all’ascolto.

Armaroli e Schiaffini già si erano incontrati producendo sempre ottima musica in occasione di “Luc FerrariExercisesd’improvisation” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/03/24/schiaffini-prati-gemmo-armaroli-luc-ferrari-exercises-dimprovisation/), di “From the Alvin Curran Fakebook: The Biella Sessions” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/12/01/curran-schiaffini-c-neto-armaroli-from-the-alvin-curran-fakebook-the-biella-sessions/), e di “Micro and More Exercises” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/12/01/curran-schiaffini-c-neto-armaroli-from-the-alvin-curran-fakebook-the-biella-sessions/)sempre per la Dodicilune Records e qui relazionano i loro strumenti e le loro culture musicali soprattutto in “The Real Vibone” eseguita in duo e nelle quattro parti dell’improvvisazione “Trigonos” alle quali partecipa alla loro creazione anche Andrea Centazzo. Percussioni – vibrafono – trombone è una triade perfetta per lasciare libera la creatività dei musicisti, ed anche timbricamente l’equilibrio ritengo sia perfetto: mai una sovrapposizione, un intervento che sovrasti la musica dei compagni, un dialogo che scorre come non sempre succede con la musica creata istantaneamente. Significa anche una grande preparazione e, a mio avviso, un reciproco rispetto tra i performer.

Quattro tracce invece, ovvero le due parti di “Deuterium” (emblematico lo sviluppo della prima con improvvisazione iniziale che anticipa una reiterazione di due note al vibrafono sulle quali intervengono e interagiscono le percussioni) e le due di “Metapenta” sono eseguite in duo da Armaroli e da Centazzo con grande intensità (segnalo il secondo segmento di “Metapenta”) come del resto tutta la musica che nasce da queste session “informali”; è la magia della musica improvvisata che come la fenice nasce, si evolve, termina per rinascere appena ci sono nuove condizioni: qui per fortuna qualcuno ha provveduto a “fissare il processo creativo” per averne testimonianza e per poterlo riascoltare più e più volte. Naturalmente il desiderio di poter assistere ad una performance è grande ………. ma intanto gustiamoci questo piccolo capolavoro.

http://www.dodiciluneshop.it

 

 

 

 

 

LA MESQUIA  “L’Arbol”

LA MESQUIA  “L’Arbol”

LA MESQUIA  “L’Arbol”

FOLKEST DISCHI. CD, 2018

Di alessandro nobis

Questo “L’Arbol” è il terzo lavoro dei piemontesi “La Mesquia”, dopo “En Iaire ailamont” e “Podre” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/01/15/la-mesquia-podre/)del 2016. Vengono dal Piemonte Occidentale, dalle valli occitane dove è ancora viva la “Langue D’Oc” e dove pervicacemente La Mesquia porta avanti la musica popolare proponendo brani della cultura delle valli occitane e soprattutto scrivendo nuovi repertori con le radici ben fisse nella tradizione a partire da quella linguistica (il disco si apre con un inno alla”Lenga Oc”).

Qui i quattordici brani che compongono sono tutti originali, scritti dal ghirondista Remo Degiovanni ed efficacemente arrangiati da Luca Pellegrino, cantante, fisarmonicista e fiatista (cornamusa, flauti) de La Mesquia: il lavoro di questo e di altri ensemble, ovvero quello di perpetuare i temi e la musica della cultura popolare attraverso uno sforzo compositivo è evidentemente fondamentale per non dimenticare le proprie radici.

Qui si racconta della vita di persone “qualunque”, dei pendolari, del disagio di chi cerca di vivere in montagna, della “parabola” dell’asino costretto a correre per lo sfizio dell’uomo, dell’emancipazione femminile e soprattutto qui si narra la “Istoria de l’arbol secular”, un castagno centenario dall’immenso tronco cavo che durante la guerra ha ospitato fuggiaschi e partigiani, uno dei brani più interessanti dell’intero lavoro, uno splendido arrangiamento strumentale sul quale si racconta questa bellissima storia. Assieme a questo segnalo “Nai nai”, ninna nanna con la splendida voce della cantante sarda Elena Ledda accompagnata dalla fisa di Pellegrino e la boureè “Pastre” guidata dalla zampogna e dalla ghironda.

Musica “importante” quella di La Mesquia, ensemble che valorizza un territorio e gli sforzi dei suoi abitanti per promuoverlo e renderlo vivo come meritano tutte le nostre aree montane.

REMO DEGIOVANNI: ghironde, armoniche a bocca, cori, voce narrante in lingua occitana

LUCA PELLEGRINO: voce, fisarmonica, flauti diritti, cornamuse, ukulele, dulcimer, conchiglia

MANUEL GHIBAUDO: organetto, flauto traverso, cori

ALESSIA MUSSO: arpa celtica, cori

GIORGIO MARCHISIO: contrabbasso

SILVIO CEIRANO: percussioni

info@folkest.com

https://www.facebook.com/LaMesquia/

 

 

 

TERRA MATER “Terra Mater”

TERRA MATER “Terra Mater”

TERRA MATER  “Terra Mater”

Velut Luna. CD, 2018

di alessandro nobis

Questo è il lavoro d’esordio di un quintetto di base a Verona che affronta in modo serio e davvero convincente il repertorio della musica antica e di quella etnica di area mediterranea; è anche un doveroso tributo al lavoro dell’Ensemble faentino “Musica Officinalis” di Gabriele Bonvicini, Catia Giannessi e Igor Niego (tra gli altri), citato “ufficialmente” nei ringraziamenti. Il nome del gruppo ricorda infatti il loro lavoro d’esordio “Aqua Mater” e nel repertorio di questo bel lavoro sono compresi due brani compresi in quel disco, ovvero il tradizionale turco “Lunga Nahawand” e la Cantiga de santa Maria 339 “En Quanta Guisas”.

Detto questo, tutto il lavoro si ascolta in modo del tutto piacevolissimo, la scelta del repertorio e gli arrangiamenti scelti oltre alla cura dei suoni e della strumentazione rivela una preparazione sì accademica ma anche rivolta allo strumentario etnico dell’area mediterranea, mediorientale e dell’Asia Centrale sulla linea del lavoro ad esempio della famiglia Paniagua, con Luis anche lui citato nelle note di copertina. Dalla Spagna medioevale di Alfonso X El Sabio si arriva all’area irano anatoliche passando per l’Africa berbera, la costa libanese ed i balcani meridionali della Grecia e Macedonia. La separazione nel canto “Ayrilik” brillantemente cantato in azero da Angela Centanin con un beò arrangiamento per la viola di Irene Benciolini, il ritmo dispari macedone di “Antice” con l’intro di oud (Ruben Medici) in coppia con la viola ed il delicato ritmo sostenuto dal tamburo a cornice di Nicola Benetti e l’intervento di Francesco Trespidi alla musette, e qui è davvero intrigante l’arrangiamento e la strumentazione scelta (l’oud al posto del bozouky, la musette in sostituzione della gaida) che trasformano la danza macedone in una palesemente spostata più a levante. E poi non voglio tralasciare la Cantiga già citata in apertura proveniente dalla fondamentale raccolta dei miracoli della vergine Maria raccolta dal Re Alfonso X, con la parte strumentale interpretata in una modalità più “solenne” vicina alla musica medioevale piuttosto che alle sonorità più etniche come nella versione di Eduardo Paniagua nel CD “Cantigas De Murcia”.

Gran bel disco d’esordio.

 

TERRA MATER:

Angela Centanin: voce

Irene Benciolini: violino e viola

Ruben Medici: oud, chitarra, banjo mandolino, viola e violino

Francesco Trespidi: oud, darabukka, riq, musette, kaval, bansuri, low whistle, flauto diritto

Nicola Benetti: fisarmonica, chitarra, daff, darabukka e kantele.

 

www.velutluna.it

https://www.facebook.com/EnsembleTerraMater/

 

 

FRANCIS M. GRI “Decays”

FRANCIS M. GRI “Decays”

FRANCIS M. GRI  “Decays”

Time Released Sound. CD, 2018

di alessandro nobis

Così il compositore inglese David Toop (autore tra l’altro di una delle due facciate di Obscure 4, pubblicato nel 1975 dall’etichetta prodotta da Brian Eno) definiva la musica “ambient” nel 1974: “«piuttosto che emergere come una nave sull’oceano, diventa parte di quello stesso oceano. … … Musica che sentiamo, ma che non sentiamo; suoni che esistono per metterci in condizione di sentire il silenzio; suoni che ci rilevano dal nostro bisogno compulsivo di analizzare, incasellare, categorizzare isolare…». Sui concetti allora espressi dallo stesso Toop e da Eno che senz’altro erano dei profondi conoscitori dei teoremi di Riley, di Cage, di Glass o di Karlheinz Stockausen ebbe inizio la “stirpe” dei musicisti europei che si dedicarono a questo nuovo “per le masse degli ascoltatori” idioma, a partire dalla scuola tedesca dei vari Klaus Shultze. Peter Baumann ed Edgar Froese.

Questo lavoro pubblicato nel 2018 da Francis M.Gri si inserisce nella migliore tradizione ambient confermando quello che aveva evidenziato nei suoi precedenti lavori in studio tra i quali cito “Falls and Flares” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/11/22/francis-m-gri-falls-and-flares/)  e “B/ue” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/07/09/francis-m-gri-b-ue/)e nelle sue performance live come quella veronese al Cohen. Questo suo lavoro, “Decays” presenta quattro composizioni di cui una mi ha particolarmente affascinato, “The Age of Materialism” una suite di tre movimenti: “Anger”, “Anxiety” e “Apathy” complessivamente della durata di una ventina di minuti. a2679409262_16“The Age ….” è una lunga suite che attraverso un attento ascolto ti porta a comprendere la declinazione del linguaggio, il gusto e la ricerca dei suoni e del loro equilibrio che vi sono dietro alla musica di Francis M. Gri e che ne rappresentano i suoi caratteri distintivi, venti minuti che ti trasportano nell’universo della miglior musica ambient che come dice Brian Eno, “porta a cambiare lo stato d’animo di chi ne fruisce”. I suoni cupi dell’intro di “Apathy” seguiti da impulsi “robotici” in attesa dell’intervento degli accordi sulla chitarra – lo strumento “vero” di M. Gri – che creano dei pattern che attraversano la “macchina” e che sono elemento sostanziale nella costruzione e nello sviluppo di questa e delle scritture in genere di questo compositore che assieme ad uno sparuto gruppo di colleghi produce piccoli capolavori sonori in numero limitato di copie, con grande cura al loro aspetto fisico, ma che sono anche reperibili sulle varie piattaforme per il loro download.

https://soundcloud.com/time-released-sound/francis-m-gri-decays-subliminal-violence

https://timereleasedsound.bandcamp.com/album/decays

 

GOSPEL BOOK REVISITED “STAY WILD. LIVE ON TOUR 2017 2018”

GOSPEL BOOK REVISITED “STAY WILD. LIVE ON TOUR 2017 2018”

GOSPEL BOOK REVISITED

“STAY WILD. LIVE ON TOUR 2017 2018”

ULTRA SOUND Records. CD, 2018

di alessandro nobis

I trenta minuti di questo “Stay Wild” sono un esempio di come si possa suonare del blues elettrico senza cadere nell’autoreferenzialità e nella ripetizione calligrafica di questo genere musicale che già per conto suo è schematizzato, quasi blindato da regole ferree. Già mi aveva fatto saltare dalla sedia il precedente lavoro (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/11/18/gospel-book-revisited-wont-you-keep-me-wild/), ma questo live dimostra come sia aggressivo, quadrato, senza fronzoli ed allo stesso tempo ricercato e ricco di riferimenti il suono dei quattro che compongono i “Gospel Book Revisited”, ovvero Camilla Maina (voce), Umberto Poli (chitarra), Gianfranco nasso (basso) e Samuel napoli (batteria).

La band torinese attraversa il tempo e lo spazio senza fare tanti complimenti e con gran coraggio affianca in modo direi superbo lo spiritual, il blues dei “padri fondatori” fino ad arrivare a toccare i derivati del cosiddetto movimento del “British Blues” e, va sottolineato con forza, propongono composizioni originali che si innestano senza alcun attrito nella scaletta. “Roll Jordan Roll” (proveniente dalla raccolta Roud al numero 6697) che apre il disco rispettosamente e filologicamente  eseguito  da Camilla Maina ci riporta alle origini della musica afroamericana, il brano di Leo “Bud” Welch “I don’t Know My Name” è eseguito con una veste credibilmente “rock” e nel quale spicca un bel solo di Umberto Poli, “When the Levee Breaks” con l’inserto del gospel “John the Revelator” è il brano che non t’aspetti ma che viene presentato in una veste che pur rispettando in pieno la scrittura di Page e Plant dà la misura della qualità del lavoro che questo quartetto torinese propone. E poi ci sono gli originali, su tutti la ballad “Mary and the Fool”, davvero una notevole ed ispirata esecuzione.

Peccato che il concerto non sia stato proposto in modo integrale, chissà …….

ANXO LORENZO “Vortex”

ANXO LORENZO “Vortex”

ANXO LORENZO “Vortex”

AUTOPRODUZIONE. CD, 2018

di Alessandro Nobis

Questo lavoro del gaitero e flautista di Moaña Anxo Lorenzo, pubblicato autonomamente nel 2018, ci dà la possibilità di ribadire ancora una volta come la musica tradizionale nel suo complesso acquisisca un significato ulteriore, al di là dello studio e della sua riproposizione, con lo sforzo compositivo che molti musicisti di area celtica e non da anni portano avanti con risultati spesso davvero notevoli. E’ questo il caso di “Vortex” dove quasi tutto il repertorio eseguito è di nuova composizione e coinvolge autori come Eoghan Neff (violinista irlandese di Ennis) o Gabe McVarish (violinista americano trapiantato in Scozia) ed esecutori che con Lorenzo collaborano alla realizzazione di questo ottimo lavoro.

ANXO 01 copia
Anno Lorenzo, Armagh #wkpf 2018. Foto di Erica Nobis.

Non spetta certo a me qui di rimarcare il livello tecnico del gaitero gallego (perfette sono la sua intonazione, la tecnica ed il suo senso del tempo e assolutamente travolgente la sua “presenza” nelle esibizioni in solo come ho avuto modi di vedere in una delle passate edizioi del William Kennedy Piping Festival) ma piuttosto di evidenziare come lo spirito del lavoro vada nella direzione musicale di cui parlavo in apertura: “A Barroca” è la combinazione di una slow air proveniente dalla raccolta del folclorista di Galizia Casto Sampedro introdotta dalle pipes di Jarlath Henderson con la successiva fantastica polifonia di “pipes” (gustata al WKPF del 2018) creata della gaita di Lorenzo, dalle small pipes scozzesi di Ross Ainsle e di quelle del Northumberland di Andy May che fanno di questo brano a mio modesto parere il manifesto del progetto

ANXO ANSLIE MAY HENDERSON LIZ
#wkpf 2018. Foto di Erica Nobis.

assieme alla breve “Vortice” scritta da Lorenzo che la esegue ai flauti e dove la presenza del violino – tradizionale e di Eoighan Neff autore anche delle sapienti ed equilibrate magie elettroniche applicate al violino ed alla gaita manifesta una direzione tra quelle possibili che la musica popolare può prendere.

Un disco che potrà piacere ai “tradizionalisti” ma anche a quanti cercano nuovi sentieri da visitare nel mondo della musica celtica, non solo di quella galiziana.

 

 

A cura di Pieter Van Der Merwe e Jeremy Michell. “South: The Race to the Pole”

A cura di Pieter Van Der Merwe e Jeremy Michell. “South: The Race to the Pole”

A cura di Pieter Van Der Merwe e Jeremy Michell. “South: The Race to the Pole”

BLOOMSBURY PUBLISHING – GREENWICH NATIONAL MARITIME MUSEUM

2018, cm 19 x 24, pag. 208, € 22,90.

di Alessandro Nobis

southLa maggior parte delle persone conoscono la Luna più dell’Antartide”. Ha davvero ragione Pieter Van Der Merwe che così inizia il primo capitolo, “White Desert”, di questo bellissimo volume in lingua inglese edito dal National Maritime Museum di Greenwich, a Londra. Per chi è appassionato alla storia dell’esplorazione di questo enorme continente e per chi invece è all’oscuro delle straordinarie imprese che l’uomo qui ha portato a termine, da Roald Amundsen a Robert Falcon Scott fino a Robert Shackleton, questo volume è a mio avviso il compendio ideale della storia dell’esplorazione antartica, a partire dei primi avvistamenti del Capitano James Cook in piena estate australe, nel gennaio del 1773 fino alla leggendaria spedizione dell’Endurance che si concluse nel 1917 e che fece di Shackleton “il più eroe tra gli eroi” degli esploratori del ventesimo secolo.

Il volume ha un ricco apparato iconografico riguardante tutte le spedizioni, fotografie già pubblicate in altri volumi ed altre inedite che nell’insieme vanno a completare la parte descrittiva alla quale hanno dato un contributo oltre ai due curatori Diana Preston, Robert E. Feeney e Luke McKernan. Inoltre, a completare questo “South: The Race to the Pole” è stata inserita la lista con i membri delle spedizioni, una loro breve biografia e una accurata bibliografia dei volumi pubblicati in lingua inglese ed una lista dei siti web riguardanti la materia per approfondire questo affascinate argomento, l’esplorazione antartica.