MATCHING MOLE “On the Radio · A BBC Recording”

MATCHING MOLE “On the Radio · A BBC Recording”

MATCHING MOLE “On the Radio · A BBC Recording”

HUX Records. CD, 2006

di alessandro nobis

Nel 1972 i Matching Mole, splendido ensemble inglese, erano un quintetto stellare formato da Robert Wyatt (batteria, voce, elettronica), Bill McCormick (basso elettrico), Dave McRae (Fender Rhodes), Phil Miller (chitarra) e Dave Sinclair (Organo Hammond) che comprendeva un interessante quanto inedita coppia di tastieristi. I Matching Mole ahimè ebbero breve durata · nel momento della registrazione del terzo disco Wyatt ebbe quel tragico “incidente” che tutti conoscono ·, ma con solamente due album in studio ed una manciata di registrazioni live uscite postume hanno lasciato un’impronta indelebile, posso dire che furono la più fulgida meteora nel panorama del Canterbury Sound di quegli anni.

Questo CD pubblicato dalla Hux Records raccoglie dieci brani live dei Matching Mole risalenti al 1972, cinque dei quali già presenti nel compact “BBC Radio 1 Live in Concert” curato dalla Windsong nel 1994 e che riportano registrazioni risalenti al 27 luglio di quell’anno; le prime cinque tracce sono antecedenti, seppur di qualche mese, alla session citata. Ecco, i concerti mostrano i M. M. in tutta la loro espressività. Il ruolo di Wyatt cantante emerge prepotentemente come ad esempio all’inizio di “Instant Pussy” con il Rodhes che lo accompagna ed il resto del gruppo che interviene · espressivo il solo di Phil Miller a questo proposito ·, in “Immediate Kitten” con un nel solo di Dave Sinclair o nel lungo medley inziale ” Marchides / Instant Pussy / Smoke Signal” dove si inserisce alla perfezione con la voce filtrata al cambio di tempo tra il riff ipnotico di basso e la parte di piano elettrico.

I Matching Mole assieme agli Henry Cow di Fred Frith sono a mio modestissimo parere i gruppi che si sono spinti “oltre” all’elettrificazione del jazz, alla ricerca di un percorso che guardasse al mondo dell’improvvisazione anche radicale che nei primi anni settanta stava prendendo piede. Melodia più avanguardia era la loro ricetta che dal vivo, senza i vincoli della tempistica delle registrazioni in studio dove si cercava di restare nei quaranta minuti, era perfetta.

Disse al tempo Robert Wyatt a proposito di queste registrazioni: “questo album incapsula alla perfezione che cosa sono stati i Matching Mole“.

In 1972 Matching Mole, a splendid English ensemble, was a stellar quintet formed by Robert Wyatt (drums, vocals, electronics), Bill McCormick (electric bass), Dave McRae (Fender Rhodes), Phil Miller (guitar) and Dave Sinclair (organ Hammond) which included an interesting and unprecedented pair of keyboard players. Matching Mole alas had a short life · at the time of recording the third album Wyatt had that tragic “accident” that everyone knows ·, but with only two studio albums and a handful of posthumous live recordings they left an indelible mark, I can say that they were the brightest meteor in the Canterbury Sound panorama of those years.

This CD released by Hux Records collects ten live songs by Matching Mole dating back to 1972, five of which were already included in the “BBC Radio 1 Live in Concert” compact edited by Windsong in 1994 and which contain recordings dating back to July 27 of that year; the first five tracks are prior, albeit by a few months, to the aforementioned session. Here, the concerts show the M. M. in all their expressiveness. The role of Wyatt singer emerges forcefully as for example at the beginning of “Instant Pussy” with Rhodes accompanying him and the rest of the group who intervene · expressive Phil Miller’s solo in this regard ·, in “Immediate Kitten” with a in Dave Sinclair’s solo or in the long initial medley ” Marchides / Instant Pussy / Smoke Signal” where he fits perfectly with the filtered voice at the tempo change between the hypnotic bass riff and the electric piano part.

Matching Mole together with Fred Frith’s Henry Cow are, in my humble opinion, the groups that have gone “beyond” the electrification of jazz, in search of a path that would look at the world of even radical improvisation which in the early seventies was catching on. More avant-garde melody was their recipe that live, without the constraints of the timing of studio recordings where they tried to stay within forty minutes, was perfect.

Robert Wyatt said of these recordings at the time: “This album perfectly encapsulates what Matching Mole was all about.”

TRACK LIST:

1 – MARCHIDES / INSTANT PUSSY / SMOKE SIGNAL · John Peel 17 · 4 · 1972 Broadcast 9 · 5 · 1972

2 – PART OF THE DANCE · ALBUM: MATCHING MOLE · John Peel 17 · 1 · 1972 Broadcast 25 · 1 · 1972

3 – NO ‘ALF MEASURES · John Peel 6 · 3 · 1972 Broadcast 24 · 3 · 1972

4 – LITHING AND GRACING · John Peel 6 · 3 · 1972 Broadcast 24 · 3 · 1972

5 – IMMEDIATE KITTEN · John Peel 17 · 1 · 1972 Broadcast 25 · 1 · 1972

6 – INSTANT PUSSY · ALBUM: MATCHING MOLE · BBC LIVE IN CONCERT 27 · 7 · 1972

7 – LITHING AND GRACING · BBC LIVE IN CONCERT 27 · 7 · 1972

8 – MARCHIDES · ALBUM: LITTLE RED RECORD · BBC LIVE IN CONCERT 27 · 7 · 1972

9 – PART OF THE DANCE · ALBUM: MATCHING MOLE · BBC LIVE IN CONCERT 27 · 7 · 1972

10 – BRANDY IN A BENJ · ALBUM: LITTLE RED RECORD · BBC LIVE IN CONCERT 27 · 7 · 1972

Le tracce 6 · 7 · 8 · 9 · 10 sono pubblicate nel CD “BBC RADIO 1 LIVE IN CONCERT” dalla Windsong nel 1994

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DICK HECKSTALL · SMITH “A Story Ended”

DICK HECKSTALL · SMITH “A Story Ended”

DICK HECKSTALL · SMITH “A Story Ended”

Bronze Records. LP, 1972. Esoteric Records. CD, 2009

di alessandro nobis

Visto che il gruppo di John Hiseman a metà del 1971 si sciolse, Dick Heckstall · Smith, il sassofonista dei Colosseum e dello scenario del blues inglese · un nome per tutti la Graham Bond Organisation · decide di incidere un disco a proprio nome e “convoca” una serie di amici per registrare queste sei tracce da lui composte; se cercate i “Colosseum” ne trovate traccia (e che traccia!) nella lunga “The Pirate’s Dream” dove la band di Hiseman è quasi al completo, con Graham Bond all’Hammond e Chris Spedding alla chitarra e nella seguente “Same Old Thing“, composte come la precedente dal sassofonista con Clem Clempson e Hiseman ed eseguita da Paul Williams (voce), Caleb Quayle (chitarra), Mark Clarke (basso) e Rob Tait alla batteria oltre naturalmente a D. H·S. Inconfondibili soprattutto nel primo brano citato la sua costruzione, i passaggi strumentali e la voce di Chris Farlowe, un brano in perfetto idioma “Colosseum”.

Le altre quattro composizioni sono scritte da Heckstall · Smith e di queste voglio citare “What The Morning Was After” con il testo di Pete Brown, la brillante chitarra acustica di Caleb Quaye e due pianoforti, quello di Graham Bond e quello di Gordon Beck che ricordo essere uno dei più interessanti pianisti della scena del jazz europeo: è una ballad introdotta dal sax tenore con una bellissima parte di chitarra ed un importante ruolo dei pianoforti e con la voce di Williams perfettamente calibrata. Nella seconda parte il ritmo accelera ed il sax esegue un efficace “solo”, il ritmo quindi rallenta e lascia spazio alla chitarra che sottolinea la voce, bellissimo a mio avviso. Disco da riscoprire assolutamente, non solo per completisti, anche perchè nella versione CD della Esoteric Records sono presenti cinque brani inediti, tre esecuzioni live della band che Heckstall Smith mese assieme per promuovere il disco (“Moses in the Bullrushhourses“, “The Pirate’s Dream” e “No Amount of Loving“) e due registrazioni provenienti dal progetto “Manchild“, gruppo che presentava James Litherland alla voce e chitarra ma che non pubblicò nemmeno un singolo e la cui musica, diversa da quella alla quale ci aveva abituato il sassofonista, ruota attorno ad un robusto rock che al di là dei soli di sax a mio avviso decisamente non regge il tempo. Bene comunque la Esoteric ad inserire i due brani, è sempre interessante conoscere gli “sviluppi” post Colosseum.

JOHN SURMAN “Westering Home”

JOHN SURMAN “Westering Home”

JOHN SURMAN “Westering Home”

Island · Help Records. LP, 1972

di alessandro nobis

Sette anni prima di “Upon Reflection“, uno dei suoi album più significativi pubblicato dalla ECM di Manfred Eicher, John Surman registra in completa solitudine questo bel disco per la Island · Help Records di Chris Blackwell, dando un chiaro segnale del suo orientamento stilistico diverso da quello di altri esimi colleghi come Steve Lacy o Evan Parker per citarne due, vuoi per l’utilizzo di sovraincisioni, per la costruzione dei brani in itinere ed infine per l’utilizzo del pianoforte, della concertina, flauti e di piccole percussioni oltre naturalmente ai sassofoni soprano, baritono e al clarinetto basso. E’ un progetto, quello solista, con il quale Surman ha attraversato tutta la sua carriera ed è ovviamente diverso da quelli come i trii con Phillips e Martin o Skidmore e Osborne, il duo con John Taylor o i lavori pensati per un organico orchestrale e anche dal vivo, ho avuto la fortuna di assistere ad un paio di sue performance, la carica espressiva mutuata tra la melodia, un intelligente uso dell’elettronica e l’improvvisazione è straordinaria specialmente in ambientazioni storico · artistiche. Il brano che più ha destato il mio interesse è senz’altro “Hornpipe“, un ritmo di danza tipico delle isole britanniche aperto dalla concertina che espone il tema ispirato alla tradizione e sul cui suono si innestano improvvisazioni prima del baritono e quindi del sax soprano; “Watershed” ha una lunga introduzione di percussioni per lasciare poi lo spazio al flauto “dritto” (gli esperti hanno definito la musica solista di Surman a tratti “pastorale” e questo brano ne è un chiaro esempio, “Walrus” vede come protagonisti il clarinetto basso inciso su più piste ed infine cito “Jyning” dove Surman con il baritono crea nuova musica su di un delicato tappeto di sintetizzatore.

Considerando il periodo della sua realizzazione (1972) ovvero mezzo secolo fa, le produzioni coeve di Surman e avendo potuto seguire la sua storia musicale fino ad oggi, mi sento di considerare questo “Westering Home” uno dei più interessanti lavori del compositore e fiatista inglese e consiglio modestamente a quanti seguono Surman dagli inizi del suo periodo ECM di andare ad ascoltare questo ed i suoi lavori, come detto prima, ad esso coevi.

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Seven years before “Upon Reflection”, one of his most significant albums released by Manfred Eicher’s ECM, John Surman records in complete solitude this beautiful record for Chris Blackwell’s Island Help Records, giving a clear signal of his different stylistic orientation from that of other distinguished colleagues such as Steve Lacy or Evan Parker to name two, either for the use of overdubs, for the construction of the songs in progress and finally for the use of the piano, the concertina, flutes and small percussions as well as of course on soprano, baritone saxophones and bass clarinet. It is a project, the solo one, with which Surman has crossed his entire career and it is obviously different from those such as the trios with Phillips and Martin or Skidmore and Osborne, the duo with John Taylor or the works designed for an orchestral ensemble and also live, I was lucky enough to attend a couple of his performances, the expressive power borrowed between the melody, an intelligent use of electronics and improvisation is extraordinary especially in historical · artistic settings. The piece that most aroused my interest is undoubtedly “Hornpipe”, a dance rhythm typical of the British Isles opened by the concertina which exhibits the theme inspired by tradition and on whose sound improvisations are grafted first by the baritone and then by the soprano sax ; “Watershed” has a long percussion introduction to then leave space for the “straight” flute (experts have defined Surman’s solo music at times “pastoral” and this piece is a clear example of it, “Walrus” features the bass clarinet recorded on several tracks and finally I quote “Jyning” where Surman with the baritone creates new music on a delicate synthesizer carpet. Considering the period of its realization (1972) or half a century ago, the contemporary productions of Surman and having been able to follow his musical history up to today, I feel like considering this “Western Home” one of the most interesting works of the English composer and wind player and I modestly advise those who have followed Surman since the beginning of his ECM period to go and listen to this and his contemporary works, as mentioned before.


	

DICK GAUGHAN “No More Forever”

<strong>DICK GAUGHAN</strong> “No More Forever”

DICK GAUGHAN “No More Forever”

Leader Records. LP, 1972.

di alessandro nobis

Nel 1972 l’illuminata etichetta di Bill Leader pubblica il disco d’esordio dell’allora ventiquattrenne chitarrista, cantante, compositore e studioso Richard Peter “Dick” Gaughan che lo aveva registrato l’anno precedente. Il ’72 lo vide coinvolto anche nella fornazione del leggendario gruppo · almeno per chi segue la musica scozzese · Boys of the Lough partecipando alla registrazione del loro eponimo primo disco, ma lasciò il gruppo quasi subito dedicandosi ad una carriera solistica per la quale è conosciuto ovunque anche se la sua produzione discografica è stata poco prolifica ma di grandissima qualità.

La qualità del suo stile chitarristico è a dir poco stellare, combinando lo stile flat·picking con il fingerpicking con grande efficacia e lo ha fatto diventare in breve uno dei grandi maestri della chitarra acustica, come mi disse in occasione di un suo concerto Tony McManus. Del resto basta ascoltare quella magnifica raccolta di strumentali che è “Coppers and Brass” del 1977 per la Topic per rendersene ben conto, ma già da questo “No More Forever” emerge sia il suo talento allo strumento che la capacità interpretativa dei brani cantati alcuni dei hanno origini molto antiche. Vedasi la coppia di reels “The Teetotaller · Da Tushker“, strumentali con la sovraincisioni del mandolino sulla chitarra o i canti narrativi come la Child Ballad (#293) “Jock O’Hazeldean” nata da un frammento di una ballad scritta da Sir Walter Scott o ancora “The Thatchers O’Glenrae” risalente al XIX secolo composta da Hector McIlfatrick con il testo abbinato alla melodia di un’altra ballad, “Erin Go Bragh” (nel repertorio di Gaughan) ed infine “Cam’ Ye Ower Frae France” la cui origine risale alle guerre Giacobine del XVIII secolo.

La discografia di Gaughan è tutta da ascoltare e da apprezzare, compreso quel bizzarro ma significativo (rispetto al suo repertorio folk) disco di musica improvvisata, “Fanfare for Tomorrow” pubblicata dalla Impetus nel 1985 con il batterista Ken Hyder.

Gaughan non sta bene al momento, ha sofferto anni fa per un infarto ed i tempi di riabilitazione non sono brevi come è facile immaginare, e l’augurio è quello di rivederlo in attività quanto prima.

Disco da avere, come tutti i suoi. C’è bisogno di dirlo?

DOC WATSON “Elementary Doctor Watson!”

DOC WATSON “Elementary Doctor Watson!”

DOC WATSON “Elementary Doctor Watson!”

POPPY · SUGAR HILL · Records. LP, CD 1972

di alessandro nobis

Questo “Elementary Doctor Watson!” è a mio avviso uno dei più significativi lavori incisi da Watson negli anni Settanta; pubblicato inizialmente in ellepì per la Poppy Records di Kevin Eggers, che anni dopo fondò la benemerita Tomato Records, ed in Cd per la Sugar Hill presenta una line up stellare visto che a fianco di Doc e Merle Watson ci sono altri due giganti del folk americano come il violinista Vassar Clements ed il chitarrista (qui al dobro) Norman Blake assieme al contrabbassista Joe Allen, al batterista Ken Lauber ed il batterista Jimmy Isbell. Rappresenta l’incontro con la più pura delle tradizioni (quella dei due Watson) con il folklore americano meno “ortodosso” viste le collaborazioni di Blake e Clements con l’ambiente jazzistico (e Clements collaborerà in seguito anche con Jerry Garcia del Grateful Dead nel progetto “Old and in the Way“) e la delicata rilettura di “More Pretty Girls Then One” un brano dei Delmore Brothers rivela pienamente il progetto, con la voce di Doc , il violino di Clements ed il dobro di Blake (meravigliosi il loro brevi assoli) accompagnati dal swingante contrabbasso; più legati alla tradizione “I Couln’d Beleive it was true” con il banjo di Merle, il rag di “Going Down the Road Feeling Bad” (da ascoltare assolutamente la versione stellare live dei Grateful Dead abbinata a “Not Fade Away“) con l’assolo di Merle Watson chiamato da Doc. Segnalo infine la balld del grande Tom Paxton “The Last Train on my Mind” che conferma l’attenzione di Doc Watson & C. non solo verso il folk americano ma anche verso la grande musica d’autore con la voce di D. W. ed il serrato intreccio delle due chitarre, due generazioni di incontrano ancora una volta (Merle, che perdita enorme la tua dipartita!).

La ristampa in CD della Sugar Hill del 1993 include quattro bonus track, due già edite in “Two Days in November” (“I’m Going Fishing” e “Little Beggar Man / Old Joe Clark” e due in “Then & Now” (“Frankie & Johnny” e “Old Camp Meeetin’ Time“.

"Elementary Doctor Watson!" it's in my opinion one of the most significant works recorded by Watson in the seventies; initially released on LP for Poppy Records by Kevin Eggers, who years later founded the well-known Tomato Records, and on CD for Sugar Hill it presents a stellar line up given that alongside Doc and Merle Watson there are two other giants of American folk such as violinist Vassar Clements and guitarist (here on dobro) Norman Blake along with bassist Joe Allen, drummer Ken Lauber and drummer Jimmy Isbell. It represents the encounter with the purest of traditions (that of the two Watsons) with less "orthodox" American folklore given the collaborations of Blake and Clements with the jazz scene (and Clements will later also collaborate with Jerry Garcia of the Grateful Dead in project "Old and in the Way") and the delicate reinterpretation of "More Pretty Girls Then One" a song by the Delmore Brothers fully reveals the project, with Doc's voice, Clements' violin and Blake's dobro (their wonderful short solos) accompanied by the swinging double bass; more traditional "I Couln'd Beleive it was true" with Merle's banjo, the rag of "Going Down the Road Feeling Bad" (absolutely listen to the stellar live version of the Grateful Dead combined with "Not Fade Away") with Merle Watson's solo called by Doc. Finally, I point out the balld by the great Tom Paxton "The Last Train on my Mind" which confirms Doc Watson & C.'s attention not only towards American folk but also towards great music with the voice of D. W. and the close interweaving of the two guitars, two generations of meet once again (Merle, what a huge loss your departure!).

Sugar Hill's 1993 CD reissue includes four bonus tracks, two previously released tracks on "Two Days in November" ("I'm Going Fishing" and "Little Beggar Man / Old Joe Clark" and two on "Then & Now" ("Frankie & Johnny" and "Old Camp Meeetin' Time".

PETER KAUKONEN “Black Kangaroo”

PETER KAUKONEN “Black Kangaroo”

PETER KAUKONEN “Black Kangaroo”

GRUNT RECORDS. LP, CS, stereo8, 1972

di alessandro nobis

In realtà, parafrasando le parole di Bill Graham, i “sex symbol of Scandinavia” sono due, non solo Jorma ma anche il fratello Peter Kaukonen, chitarrista pure lui che nel 1972 per l’etichetta di famiglia dei Jefferson Airplane pubblicava con il suo gruppo questo primo disco, “Black Kangaroo“. La notevole chitarra di Peter la si può ascoltare anche in due pietre miliari della west coast musicale, ovvero “Blows Against the Empire” (una sorta di Arca di Noè del rock californiano) accreditato a Paul Kantner e “Sunfighter” della coppia Kantner / Grace Slick, oltre che in “Manhole” della stessa cantante e nel disco che riunì nell’89 i J. A. per l’ultima volta in studio.

Detto questo, la musica di “Black Kangaroo” a parte i due brani acustici che aprono e chiudono la seconda facciata ovvero “Barking Dog Blues” per chitarra acustica e mandolino (il mandolinista non compare nei credits, forse è lo stesso kaukonen?) e “That’s a Good Question” con il violoncello di Terry Adams è un rockblues d’autore (tutti i brani sono originali) piuttosto robusto con evidenti riferimenti a quello hendrixiano (vedi il brano iniziale “Up or Down” e “Dynamo Snackbar“), eseguito per lo più in trio al quale hanno contribuito tra gli altri il batterista Joey Covington (scomparso nel 2013 e con i Jefferson dal 1969 al 1972), il tastierista Nick Buck (con gli Hot Tuna) ed l’ottimo bassista elettrico Larry Weisberg. Pregevoli il solo di Kaukonen in “What all we know a Love” e l’introspettiva ballad “Billy’s Tune“.

Un disco ed un autore caduti nell’oblio, un vero peccato perchè la vena compositiva e la chitarra di Peter Kaukonen avrebbero meritato altra gloria; il disco venne pubblicato in Cd dal Wounded Knee Records nel 2007 con quattro inediti e lo spot radio promozionale.

In reality, paraphrasing Bill Graham's words, there are two "sex symbols of Scandinavia", not only Jorma but also his brother Peter Kaukonen, also a guitarist who in 1972 for the Jefferson Airplane family label released with his group this first record, "Black Kangaroo". Peter's remarkable guitar can also be heard on two West Coast musical milestones, namely "Blows Against the Empire" (a sort of Noah's Ark of Californian rock) credited to Paul Kantner and "Sunfighter" by the duo Kantner / Grace Slick, as well as in "Manhole" by the same singer and in the album that brought together J.A. for the last time in the studio in 1989.

That said, the music of "Black Kangaroo" apart from the two acoustic pieces that open and close the second side or "Barking Dog Blues" for acoustic guitar and mandolin (the mandolinist does not appear in the credits, maybe it's kaukonen himself?) and "That's a Good Question" with Terry Adams' cello is a rather robust signature rockblues (all the songs are original) with clear references to the Hendrixian one (see the initial song "Up or Down" and "Dynamo Snackbar"), performed mostly as a trio to which contributed, among others, drummer Joey Covington (who died in 2013 and with Jeffersons from 1969 to 1972), keyboardist Nick Buck (with Hot Tuna) and the excellent electric bass player Larry Weisberg. Valuable Kaukonen's solo in "What all we know a Love" and the introspective ballad "Billy's Tune".

A disc and an author fallen into oblivion, a real pity because Peter Kaukonen's compositional vein and guitar would have deserved more glory; the album was released on CD by Wounded Knee Records in 2007 with four unreleased tracks and the promotional radio spot.

RORY GALLAGHER A VERONA “20 febbraio 1972, un marziano atterra al LEM”

RORY GALLAGHER A VERONA “20 febbraio 1972, un marziano atterra al LEM”

RORY GALLAGHER A VERONA “20 febbraio 1972, un marziano atterra al LEM”

di fabio oliosi e alessandro nobis

(scusate il titolo, ma “marziano” e “LEM” si prestavano ad un irresistibile gioco di parole).

A sentire i nostri coetanei ultrasessantenni appassionati “storici” di musica a domanda “sei stato al concerto di Gallagher al LEM” molti rispondono affermativamente salvo realizzare con il senno di poi che i presenti presunti supererebbero di gran lunga la capienza del locale, qualche centinaio di persone; e le “prove” della loro presenza? Beh quelle non ci sono naturalmente, tuttavia un paio di amici con i quali ci si frequentava ai tempi del Liceo Fracastoro andarono a quel concerto e le prove di ciò che scrivo sono le foto scattate (e che testimoniano anche il fatto che non sempre Gallagher indossava una delle sue famose camicie a quadri) e la bacchetta rotta che il batterista Wilger Campbell lanciò tra il pubblico e che uno dei due “Fabio” conserva ancora, almeno spero.

Quell’anno, il 1972, fu un anno importante per il bluesman di Ballyshannon perchè consacrò in modo definitivo la sua immensa caratura di musicista soprattutto nella dimensione live grazie ad una tourneè europea, con Gerry McAvoy al basso  e Wiler Campbell alla batteria, tra i mesi di febbraio e marzo e la conseguente pubblicazione di una delle sue opere più significative, quel “Live In Europe” che presenta brani tra i quali, magari, se ne nasconde qualcuno registrato a Verona. Vallo a sapere! Sognare non costa nulla anche perchè sulla copertina del disco non ci sono notizie al riguardo. Non chiedete della “scaletta” dei brani, a quindici anni le emozioni sovrastano tutto, dico solo che di sicuro quei due set domenicali diedero probabilmente una decisa “svolta” alla vita musicale di qualcuno dei presenti.

Il quotidiano locale “L’Arena” pubblicò due giorni prima a spese dell’organizzatore dell’evento due “moduli”, tutto qua, allora si usava così; aggiungo, per contestualizzare temporalmente l’evento che nei cinema veronesi si proiettava “Il Caso Mattei” di Franco Rosi, la versione integrale di “Conoscenza Carnale” con Candice Bergen e “Sacco e Vanzetti“.

Di seguito riporto un bel ricordo di uno dei due amici che andarono a quel concerto, quello pomeridiano, ricordo condiviso anche dal secondo Fabio, Fabio Bertelli. Io a quel concerto non ero presente, alla richiesta di andare, sebbene fosse una domenica pomeriggio, i miei rispesero con dei reiterati “non se ne parla nemmeno”. Che peccato!

“Nel febbraio del 1972 ho quindici anni. Sono tempi “scatenati” e ne combiniamo di tutti i colori, a scuola la mattina e col “cinquantino” nel pomeriggio. Il mio amico omonimo e compagno di scorribande mi propone di andare al LEM di San Martino Buon Albergo nel pomeriggio di domenica per un concerto di un chitarrista blues-rock famoso che io però non conosco. Beh, finora ho sbirciato solo un paio di numeri di Ciao 2001 e ascolto ogni tanto alla radio “Per voi giovani” ma Rory Gallagher non l’ho ancora “incrociato”. Il mio amico Fabio mi convince ad indossare, come lui, invece della solita maglietta, una canottiera rosa con una grande sigla “CEB” che lui ha dipinto.  Non ho mai saputo cosa volesse dire questa parola o questo acronimo, magari me lo dirà dopo aver letto queste righe, questo mio ricordo personale. Nella discoteca fa molto caldo e rimaniamo in jeans e canottiera “CEB”; magrini tutti e due, facciamo “tendenza” (o forse, impressione o “scaressa” in dialetto veronese) ma noi non lo sappiamo.  Sento che va bene così.  Sento che è solo ora che posso esprimermi in questo modo e lo faccio.

Ho con me una macchina fotografica Voigländer con un cubo-flash montato sopra, regalo di mio nonno Giorgio.

La musica è forte e magica. Rory sorprende e cattura il pubblico.

Consumo buona parte di un rullino da 36 foto.

Usciamo dal concerto carichi di energia e affascinati da quel suono che fa risuonare dentro di me sogni e voglia di trasgressione. (Fabio Oliosi)

Di Rory Gallagher esiste una bella biografia in italiano scritta da Fabio Rossi (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/10/30/fabio-rossi-rory-gallagher/) della quale ne è stata pubblicata una seconda edizione da Chinaski Edizioni.

SUONI RIEMERSI: NORMAN BLAKE “Home in Sulphur Springs”

SUONI RIEMERSI: NORMAN BLAKE “Home in Sulphur Springs”

NORMAN BLAKE  “Home in Sulphur Springs”

Rounder Records. LP, 1972

di alessandro nobis

Classe 1938, nativo del Tennessee ma subito trasferitosi con la famiglia a Sulphur Springs in Georgia, Norman Blake è cresciuto molto vicino alla linea ferroviaria che molto più tardi descrisse in seguito così bene nelle sue ballate, visto che l’occupazione principale della popolazione residente in quell’area era appunto lo svolgimento di mansioni di ogni tipo per la compagnia che gestiva la ferrovia. Legato fortemente alla tradizione musicale ma con una sempre fervida vena compositiva, Blake è considerato anche dagli esperti, ed anche da me in quarta battuta, uno straordinario poli strumentista che ha saputo far sua la lezione dei Maestri come Doc Watson, indissolubilmente legato alla più pura delle tradizioni musicali e tra i fondatori del genere chiamato da molti “americana”.

Registrato il 30 dicembre del ’71 e pubblicato l’anno successivo dall’allora attivissima Rounder Records, “Home in Sulphur Springs” è lo splendido disco d’esordio di Blake che si fa accompagnare dall’amico dobroista Tut Taylor che a sua volta lo aveva ospitato nel suo “Friar Tut” registrato il giorno prima (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/05/21/tut-taylor-·-norman-blake-·-sam-bush-·-daniel-taylor-friar-tut/). “Bully of the Town” che apre il disco è stata ispirata alle “fiddle tunes” ed eseguita impeccabilmente dalla chitarra, un autentico biglietto da visita per Blake e per la sua seguente carriera artistica assieme alla seguente “Randal Collins”, ballad composta in quel di Chicago pensando alla sua Sulphur Springs alla quale dedica anche la toccante “Down Home Summertime Blues” alla slide; il dobro di Tut Tayor emerge in tutta la sua liricità in “When the Fields are White with Daises”, ballad scritta da Blake che ha completato un breve tema tradizionale seguita un arrangiamento di un’altra fiddle tunes, “Clattle in the Cane” per sola chitarra. Chiude questo magnifico esordio “Bringing in the Georgia Mail”, scritta da Bill Monroe, nientedimeno.

Disco splendido, grande autore ed immenso chitarrista, un lavoro che mi affascinato si dal primo ascolto.

E infinite grazie alla Nitty Gritty Dirt Band che con “Will the Circle be Umbroken” mi ha spalancato il portone al folklore americano ed ai suoi autori. Come, appunto, Norman Blake, che in quel triplo testo sacro giocava un importante ruolo.

TUT TAYLOR · NORMAN BLAKE · SAM BUSH · DANIEL TAYLOR “Friar Tut”

TUT TAYLOR · NORMAN BLAKE · SAM BUSH · DANIEL TAYLOR “Friar Tut”

TUT TAYLOR · NORMAN BLAKE · SAM BUSH · DANIEL TAYLOR  “Friar Tut”

Rounder Records 0011. LP, 1972

di alessandro nobis

Robert Arthur “Tut” Taylor (1923 – 2015) è stato uno dei più autorevoli suonatori di dobro oltre ad essere anche un ottimo mandolinista e banjoista con un repertorio centrato sulla old-time-music. Oltre ad aver fatto parte dell’ultima line-up dei Dixie Gentlemen con Vassar Clements, il suo nome è legato alle registrazioni con John Hartford (“Aeroplain”), con Norman Blake e soprattutto ai suoi dischi solisti, come questo bellissimo “Friar Tut”. Registrato nel 1971 il giorno precedente (29 dicembre) alla session che generò l’album di esordio di Blake, contiene brani quasi esclusivamente scritti da Taylor e suonati in compagnia dello stesso Blake alla voce, chitarra e mandolino, Sam Bush al mandolino e del nipote Daniel Taylor alla chitarra in due brani. Taylor non aveva scritto le parti su pentagramma per sé e per gli altri, tutto scorre spontaneamente come in una session informale, tutti i brani sono “first Take”, buona la prima e buonanotte ad eventuali imperfezioni; spiccano la splendida ballad cantata da Blake “Daisy Deane” – un frammento di microstorie americane – composta ai tempi della Guerra Civile da T. F. Winthop e J. R. Murray e lo strumentale “The Old Shoemaker” composta da Blake, tutti gli altri sono originali di Taylor e tra questi “Me and my Dobro” con la chitarra dell’allora sedicenne Samuel (Taylor), il brano eponimo che chiude l’album, apoteosi di mandolini, “Arlo Buck” dove Taylor suona una National costruita da Rudy Dopera, il blues “Midnight in Beanblossom” eseguito dai mandolini (Ben Blossom, Indiana, era la sede di un famosissimo Bluegrass Festival) e l’emblematico brano iniziale, “Sweet Picking Time in Tooomsboro, Georgia” un titolo che fotografa alla perfezione l’atmosfera di queste session nello studio a Nashville dove era titolare di un negozio di strumenti a corda da collezione (Martin, eccetera): piacere di suonare, pacatezza, divertimento e amicizia, grande tecnica e amore per la propria musica.

Robert Arthur "Tut" Taylor (1923 - 2015) was one of the most authoritative dobro players as well as being also an excellent mandolinist and banjoist with a repertoire centered on old-time-music. In addition to having been part of the latest Dixie Gentlemen line-up with Vassar Clements, his name is linked to recordings with John Hartford ("Aeroplain"), with Norman Blake and above all to his solo records, such as this beautiful "Friar Tut ”. Recorded in 1971 the day before (December 29) the session that generated Blake's debut album, it contains songs almost exclusively written by Taylor and played in the company of Blake himself on vocals, guitar and mandolin, Sam Bush on mandolin and his nephew Daniel Taylor on guitar on two tracks. Taylor hadn't written the parts on staff for himself and for the others, everything flows spontaneously as in an informal session, all the songs are "first take", good first take and goodnight to any imperfections; stand out the splendid ballad sung by Blake "Daisy Deane" - a fragment of American micro-stories - composed at the time of the Civil War by T. F. Winthop and J. R. Murray and the instrumental "The Old Shoemaker" composed by Blake, all the others are originals by Taylor and among these "Me and my Dobro" with the guitar of the then sixteen year old Samuel (Taylor), the eponymous song that closes the album, apotheosis of mandolins, "Arlo Buck" where Taylor plays a National built by Rudy Dopera, the blues " Midnight in Beanblossom" performed by mandolins (Ben Blossom, Indiana, was the venue of a very famous Bluegrass Festival) and the emblematic initial song, "Sweet Picking Time in Tooomsboro, Georgia" a title that perfectly captures the atmosphere of these sessions in the studio in Nashville where he owned a collection of stringed instruments (Martin, etc.): pleasure to play, calmness, fun and friendship, great technique and love for one's music.

PETE KIRBY · NORMAN BLAKE · CHARLIE COLLINS · TUT TAYLOR “Brother Oswald”

PETE KIRBY · NORMAN BLAKE · CHARLIE COLLINS · TUT TAYLOR “Brother Oswald”

PETE KIRBY · NORMAN BLAKE · CHARLIE COLLINS · TUT TAYLOR

“Brother Oswald”

Rounder Records 0013. LP, 1972

di alessandro nobis

Con Pete “Bashful Brother” Oswald Kirby si entra nella storia del folk americano, quello del Grand Ole Opry e del grande violinista Roy Acuff (1903 – 1992) che lo scelse come dobroista e cantante per i suoi “Smokey Mountain Boys” oltre ad appiccicargli il soprannome di “Bashful Brother”. Kirby, originario del Tennessee, si innamorò dello strumento dopo averlo visto suonare da Rudy Waikiki a Flint, Michigan e da quel momento, siamo attorno al 1930, passò del tempo a suonare come busker a Chicago fino a quando Acuff lo chiamò per un ingaggio, quello definitivo contribuendo con il suo strumento al suono dei “Boys”.

Questa session del 1972 prodotta per la Rounder da Mike Melford che da lì a qualche tempo ebbe l’idea di fondare la Flying Fish Records, vede tre monumenti del folk americano come Norman Blake (chitarra, dobro e mandolino), Tut Taylor (mandolino e dobro) ed un altro membro della cricca Rounder, il chitarrista Charlie Collins che danno un suono acustico, omogeneo che identifica il genere “americana” di quei primi anni settanta segnati da una produzione davvero significativa (un esempio, il triplo album “Will the Circle Be Umbroken”) soprattutto per Norman Blake.

Si apre con la rilettura strumentale di “Wabash Cannonnball” scritta nel 1882 da tale A.J. Roff, qui un autentico florilegio dello strumento dei Dopera Brothers (da qui il nome “DoBro) visto che con l’accompagnamento di Collins tre meravigliosi dobro si alternano nella melodia e nei “soli” e naturalmente da segnalare ci sono anche “Tennessee Waltz” (una hit degli anni ’50 nell’interpretazione di Patty Page) e due tradizionali, “Prairie Queen” e “Song of the Islands”.

Questo “Brother Oswald” va a completare il “trittico” iniziato con “Friar Tut” (Rounder 0011) e proseguito con l’album di esordio di Norman Blake (Rounder 0012): la stessa grafica, gli stessi musicisti, la stessa amicizia, e soprattutto la stessa grande musica “americana”, così la si definisce oggi.

With Pete "Bashful Brother" Oswald Kirby we enter the history of American folk, that of the Grand Ole Opry and of the great violinist Roy Acuff (1903 - 1992) who chose him as dobroist and singer for his "Smokey Mountain Boys" as well as the nickname "Bashful Brother". Kirby, originally from Tennessee, fell in love with the instrument after seeing it played by Rudy Waikiki in Flint, Michigan and from that moment, we are around 1930, he spent time playing as a busker in Chicago until Acuff called him for a gig. the definitive one contributing with his instrument to the sound of the "Boys".

This 1972 session produced for Rounder by Mike Melford who shortly thereafter had the idea of ​​founding Flying Fish Records, sees three American folk monuments such as Norman Blake (guitar, dobro and mandolin), Tut Taylor (mandolin and dobro) and another member of the Rounder clique, the guitarist Charlie Collins who give an acoustic, homogeneous sound that identifies the "Americana" genre of those early seventies marked by a truly significant production (an example, the triple album "Will the Circle Be Umbroken”) especially for Norman Blake.

It opens with the instrumental reinterpretation of "Wabash Cannonnball" written in 1882 by one A.J. Roff, here an authentic anthology of the instrument of the Dopera Brothers (hence the name "DoBro") seen that with the accompaniment of Collins three wonderful dobros alternate in the melody and in the "solos" and of course there are also "Tennessee Waltz" (a 1950s hit performed by Patty Page) and two traditional ones, “Prairie Queen” and “Song of the Islands”.

This "Brother Oswald" completes the "triptych" started with "Friar Tut" (Rounder 0011) and continued with Norman Blake's debut album (Rounder 0012): the same graphics, the same musicians, the same friendship, and above all the great "American" music itself, as it is defined today.