YES “Beyond and Before: The BBC Recordings 1969 · 1970”

YES “Beyond and Before: The BBC Recordings 1969 · 1970”

YES “Beyond and Before: The BBC Recordings 1969 · 1970”

Purple Pyramid Records. 2CD, 2022

di alessandro nobis

Dal 1997 al 2019 si contano oltre venti ristampe di questo doppio CD: etichette diverse, copertine diverse, titoli diversi, in versione cd ma anche di doppio ellepì (Purple Pyramid,2019, Music on Vinyl, 2011 o Get Back, 2014). Si tratta di registrazioni effettuate tra il 1969 ed il 1970 per la BBC (con due eccezioni) dalla band al tempo formata da Bill Bruford alla batteria, Chris Squire al basso, Jon Anderson alla voce, Peter Banks alla chitarra e Tony Kaye alle tastiere, la prima line·up degli YES quindi a mio avviso un po’ sottovalutata rispetto a quella successiva con la produzione contraddistinta dalla grafica del geniale Roger Dean.

Brani originali e interpretazioni di altri autori si alternano nei due dischi e la qualità audio è a mio avviso più che discreta se paragonata ai bootleg venduti intorno al 1970; di particolare interesse sono il brano che apre il primo CD, ovvero “Something’ Coming” tratto da “West Side Story” di Leonard Bernstein (con il testo di Stephen Sondheim) del quale sottolineo il “drumming” swingante di Bill Bruford così legato a quello di Buddy Rich e l’interessante rilettura del brano beatlesiano “Every Little Girl” con citazione di “Day Tripper” ed un efficace solo “hard” di Peter Banks. Tra i brani originali la versione live di “Then” con l’incipit dell’hammond di Tony Kaye, “Sweet Dreams” e “Dear Father” sono quelli che lasciano più di altri intravedere il sound degli Yes che verrà.

Quindi esistevano eccome gli Yes prima di “Fragile“, eccome se esistevano! “Yes Album” e “Time and a Word” sono due album che vanno riascoltati con attenzione, solitamente poco considerati da critica e pubblico ammaliati dagli Yes con le grafiche di Roger Dean e l’apporto di Steve Howe e Rick Wakeman; nei due citati album ed in queste registrazioni si ascolta una musica a mio parere più essenziale addirittura vicina a certo jazz rock dell’epoca (cito ancora “Every Little Thing” del ’69 per esempio), piuttosto lontana dalla talvolta eccessiva autoreferenzialità della produzione seguente.

Mi chiedo se esista una versione ufficiale di queste preziose registrazioni. Ma non credo esista …

From 1997 to 2019 there have been over twenty reissues of this double CD: different labels, different covers, different titles, in CD version but also in double LP version (Purple Pyramid, 2019, Music on Vinyl, 2011 or Get Back, 2014). These are recordings made between 1969 and 1970 for the BBC (with two exceptions) by the band at the time formed by Bill Bruford on drums, Chris Squire on bass, Jon Anderson on vocals, Peter Banks on guitar and Tony Kaye on keyboards. the first line · up of YES therefore in my opinion a little underrated compared to the following one with the production characterized by the graphics of the brilliant Roger Dean.

Original songs and interpretations by other authors alternate on the two discs and the audio quality is, in my opinion, more than fair if compared to the bootlegs sold around 1970; of particular interest are the passage that opens the first CD, namely “Something’ Coming” taken from “West Side Story” by Leonard Bernstein (with text by Stephen Sondheim) of which I underline the swinging “drumming” of Bill Bruford so linked to that of Buddy Rich and the interesting reinterpretation of the Beatles song “Every Little Girl” with a quote from “Day Tripper” and an effective “hard” solo by Peter Banks. Among the original songs the live version of “Then” with Tony Kaye’s hammond incipit, “Sweet Dreams” and “Dear Father” are the ones that more than others let you glimpse the Yes sound to come.

So Yes did exist before “Fragile”, yes they existed! “Yes Album” and “Time and a Word” are two albums that must be listened to carefully, usually little considered by critics and audiences enthralled by Yes with graphics by Roger Dean and the contribution of Steve Howe and Rick Wakeman; in the two aforementioned albums and in these recordings we hear a music that is in my opinion more essential, even close to a certain jazz rock of the time (I’m still quoting “Every Little Thing” from ’69 for example), rather far from the sometimes excessive self-referentiality of the following production .

I wonder if there is an official version of these precious recordings. But I don’t think it exists…

TRACK LIST:

A.1 – SOMETHING’S COMING (BERNSTEIN · SONDHEIM) – Album: YES 1969 (CD ED.NE DE LUXE – Bonus Track) – TOP GEAR 12 · 1 · 69

A.2 – EVERYDAYS (STEPHEN STILLS) – ALBUM: TIME AND A WORD 1970 – TOP GEAR 12 · 1 · 69

A.3 – SWEETNESS (ANDERSON·SQUIRE·BAILEY) – ALBUM: YES 1969 – TOP GEAR 12 · 1 · 69

A.4 – DEAR FATHER (ANDERSON·SQUIRE) – ALBUM: YESTERDAYS ANTOLOGIA 1975 – TOP GEAR 12 · 1 · 69

A.5 – EVERY LITTLE THING (LENNON · McCARTNEY) – ALBUM: YES 1969 – TOP GEAR 12 · 1 · 69

A.6 – LOOKING AROUND (ANDERSON · SQUIRE) – ALBUM: YES 1969 – DAVE SYMONDS SHOW 4 · 8 · 69

A.7 – SWEET DREAMS (ANDERSON · FOSTER) – ALBUM: TIME AND A WORD 1970 – DAVE TRAVIS SHOW 19 · 1 · 70

A.8 – THEN (ANDERSON) – ALBUM: TIME AND A WORD 1970 – GERMAN BROADCAST

A.9 – NO OPPORTUNITY NECESSARY ……. (R. HAVENS) – ALBUM: TIME AND A WORD 1970 – LIVE ON SUNDAY SHOW 17 · 3 · 70

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B.1 – ASTRAL TRAVELLER (ANDERSON) – ALBUM: TIME AND A WORD 1970 – LIVE ON SUNDAY SHOW 17 · 3 · 70

B.2 – THEN (ANDERSON) – ALBUM: TIME AND A WORD 1970 – LIVE ON SUNDAY SHOW 17 · 3 · 70

B.3 – EVERY LITTLE THING (LENNON · McCARTNEY) – ALBUM: YES 1969 – LIVE ON SUNDAY SHOW 17 · 3 · 70

B.4 – EVERYDAYS (STEPHEN STILLS) – ALBUM: TIME AND A WORD 1970 – LIVE ON SUNDAY SHOW 17 · 3 · 70

B.5 – FOR EVERYONE (ANDERSON · SQUIRE) – LIVE ON SUNDAY SHOW 17 · 3 · 70

BONUS TRACK

B.6 – (INTRO) SWEETNESS (ANDERSON·SQUIRE·BAILEY) – ALBUM: YES 1969 – JOHNNY WALKER 14 · 6 · 69

B.7 – SOMETHING’S COMING (BERNSTEIN · SONDHEIM) – ALBUM: YES 1969 (Bonus Track) De Luxe Edition – TOP GEAR 23 · 2 · 69

B.8 – SWEET DREAMS (ANDERSON · FOSTER) – ALBUM: TIME AND A WORD 1970 – TOP GEAR 23 · 2 · 69

B.9 – BEYOND & BEFORE (SQUIRE · BAILEY) – ALBUM: YES 1969 – RARE FRENCH BROADCAST

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COLOSSEUM “Those Who are About to Die”

COLOSSEUM “Those Who are About to Die”

COLOSSEUM “For Those Who are About to Die”

Dunhill Records. CD, 1969

di alessandro nobis

Questa è la stampa americana e canadese dell’album di esordio dei Colosseum, “Morituri te Salutant · Those Who About to Die Salute You” pubblicato nel luglio del ‘69. Allora succedeva così ed i Colosseum, recidivi, lo avrebbero rifatto pochi mesi più tardi con “Valentyne Suite / The Grass is Greener”: stampa americana diversa da quella inglese, diversa casa discografica, copertina diversa così come la track list, giusto per complicare la vita ai “followers” della band inglese.

Questo è l’esordio del gruppo di John Hiseman che con Tony Reeves e Dick Heckstall Smith aveva registrato qualche mese prima, nel 1968, l’ottimo “Bare Wires” con John Mayall ed i Bluesbreakers fondando subito dopo i Colosseum e dando alle stampe “questo” disco.

Una facciata, assieme alla rilettura lo shuffle di Graham Bond “Walking in the Park” cavallo di battaglia della band inglese, riporta la versione completa di Valentyne Suite, a mio parere il punto più lontano dal blues della produzione Colosseum ma quello più giustamente conosciuto per la sua bellezza ed organicità che in Europa venne pubblicato dall’omonimo disco, il primo dell’etichetta Vertigo: tre movimenti, i primi due composti da Dave Greenslade e quindi con l’Hammond in grande evidenza che lega le prime due parti ed il terzo ispirato anche dalla musica di J. S. Bach con un bell’arrangiamento per il sassofono di Heckstall-Smith, quest’ultimo movimento sostituito nella versione inglese per la Fontana da “The Grass is Greener“; ma sentiamo cosa racconta lo stesso Hiseman a David Wells: “I primi due movimenti di The Valentyne Suite furono composti assieme a Beware The Ides Of March, terzo e conclusivo brano. Questo era come la suite veniva suonata dal vivo in America e come venne là pubblicata su disco. Noi però avevamo pubblicato questa terza parte nel nostro album d’esordio per il mercato europeo e così la suite, nella versione inglese di V.S., venne completata con The Grass is Greener”. Questa versione di Valentyne Suite ospita anche “The Kettle”, il brano di apertura di entrambi gli album composto dal sassofonista – che in questa versione però non suona – ed eseguito in trio con Litherland che con la voce dialoga con le “sue” chitarre.

Molto interessanti sono i blues, il primo nato da un’improvvisazione in studio (“Plenty Hard Luck”) ed il primo brano mai registrato dalla band, lo strumentale “Debut” con significativi assoli di sassofono e di hammond.

Uno splendido debutto, che però come dicevo ha mandato in stato confusionale noi aficionados europei; fortunatamente le recenti ristampe in CD della Sanctuay Records ed il cofanetto “Morituri Te Salutant” hanno aggiustato il tiro ……..

CANADA & U.S. PRINT – DUNHILL 1969

The Kettle

Plenty Hard Luck

Debut

Those About to Die

Valentyne Sweet (January’s Search – February’s Valentyne – Beware of the Ides of March)

Walking in the Park (Graham Bond)

UK PRINT – FONTANA 1969

Walking in the Park (Graham Bond)

Plenty Hard Luck

Mandarin

Debut

Beware of the Ides of March (da V. Suite)

The Road she Walked Before

Backwater Blues (Leadbelly)

Those About to Die

COLOSSEUM  “In Concert 1969 · 1971”

COLOSSEUM  “In Concert 1969 · 1971”

COLOSSEUM  “In Concert 1969 · 1971”

VERNE Records. 2LP, 2017

di alessandro nobis

Un doppio ellepì di produzione francese con busta singola e con la grafica dell’etichetta che ricorda palesemente quella della Bronze Records (anche nel font usato per la scritta “Verne”) pubblicato presumibilmente nel 2017 che raccoglie varie registrazioni dal vivo del 1969 e del 1971 con una qualità decisamente buona considerando il periodo storico dal quale provengono.

Tra i vari brani qui riportati spicca a mio giudizio “The Valentyne Suite” che occupa la seconda facciata: una versione particolare, forse embrionale visto che, a parte uno splendida parte suonata da Dave Greenslade, il terzo movimento “The Grass is Greener” della registrazione in studio è sostituito da due brani provenienti dal primo album, ovvero “Beware the Ides of March” e “Those About to Die”; una versione inedita della Suite ma non per questo meno efficace di quella che verrà pubblicata da lì a poco, a novembre. Non meno interessante lo slow blues di James Litherland, “Butty’s Blues” (da “Valentyne Suite) che apre la prima facciata dove naturalmente la chitarra è in primissimo piano come i sax soprano e tenore di Heckstall-Smith, musicista straordinario.

Una parte della terza facciata e tutta la quarta sono dedicate alla formazione di “Colosseum Live”, quindi con Farlowe, Clarke e Clempson più centrata sulla voce dell’ex cantante dei Thunderbirds e sulla chitarra di Clempson ed intrisa di r’n’b, il marchio di fabbrica dei Colosseum di quel purtroppo breve periodo rimasto però nel DNA dei musicisti come le registrazioni live del ’94 testimoniano.

I Colosseum sono parte della storia del rockblues avendo regalato da un lato un capolavoro come “Valentyna Suite” (con la prima formazione) ed il già citato doppio “Live” con la seconda. Qui c’è un corposo assaggio di entrambe le line-up; doppio Lp di non facilissima reperibilità e non solo per “completisti”.

FACCIATA 1

1) Butty’s Blues

2) The Machine Demands a Sacrifice

(Live at the Boston Tea Party, Boston MA, 13 agosto 1969)

FACCIATA E 2

1) The Valentyne Suite (“January’s Search”· “February’s Valentyne”· “Beware the Ides of March”· “Those about to Die”)

(Live at the Boston Tea Party, Boston, MA 13 agosto 1969)

FACCIATA 3·

1) February’s Valentyne

2) Elegy

3) The Grass is Always Greener

(London, BBC “Top Gear 30 giugno 1969)

4) Roper Ladder to the Moon                                                                            

(Big Apple, Brighton UK 27 Marzo 1971)

FACCIATA 4

1) I Can’t Live Without You

2) The Machine Demands a Sacrifice

(The Manchester University, 18 marzo 1971)

3) Skelington

(Big Apple, Brighton UK 27 Marzo 1971)

4) Stormy Monday Blues

(Bristol, 1971)

SUONI RIEMERSI: FINBAR FUREY “Traditional Irish pipe music”

SUONI RIEMERSI: FINBAR FUREY “Traditional Irish pipe music”

SUONI RIEMERSI: FINBAR FUREY “Traditional Irish pipe music””

TRANSATLANTIC XTRA 1077. LP, 1969

di Alessandro Nobis

Paddy Moloney, Paddy Keenan, Liam O’Flynn: questi erano i pipers più conosciuti in Italia dagli appassionati del fenomeno chiamato da alcuni “il folk revival anglo-scoto-irlandese” negli anni a cavallo del ’70 e seguenti. Naturalmente le cose non stavano per niente così, oltre ai tre nominati, conosciuti probabilmente per le band ove militavano che per le loro imprese solistiche, il panorama irlandese era ricco di pipers come lo è oggi, e tra i meno popolari nel nostro Paese va assolutamente citato Finbar Furey, Irish Traveller come Johnny Doran (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/02/26/dalla-piccionaia-johnny-doran-traveller-piper-1908-1950/)ed appartenente come si conviene ad una famiglia di musicisti, a partire dal padre Ted violinista ai fratelli George (voce, fisarmonica, flauto, mandola e banjo) Eddie (violino, chitarra voce e plettri) e Paul (fisarmonica e voce, scomparso nel 2002).

81aY8V9m+yL._AC_SL1200_.jpgNel 1969, giusto cinquanta anni, fa il lungimirante Bil Leader patron dell’inglese Transatlantic (in scuderia aveva ad esempio i Pentangle, i Gryphon, Davey Graham e lo Ian Campbell Group giusto per fare qualche nome) fa entrare negli Livingston Studios il piper di Ballyfermot per registrare questo magnifico disco. Considerato già all’epoca (aveva 23 anni) uno dei maestri dello strumento con il suo set di uillean pipes ed i suoi flauti interpreta e compone tredici gemme che fanno di questo ellepì uno degli episodi più significativi del folk revival irlandese di quel periodo. Ebbe un forte inprinting dal padre di Paddy Keenan (anche la famiglia Keenan e ”Traveller”) acquisendo un suono ruvido così diverso e caratteristico da quello di pipers come Leo Rowsome o Liam O’Flynn.

Piper ma anche notevolissimo flautista, basta ascoltare “Castle Terrace” dove mescola sapientemente la melodia di una ballata con un giga oppure “The Bunny Bunch of Roses”, versione strumentale di una ballata che racconta di un dialogo tra Bonaparte e la madre. Due i brani in compagnia del fratello Eddy alla chitarra (notevole l’hornpipe, una step dance in 4/4 “Madame Bonaparte”) ma naturalmente qui brillano i brani eseguiti in “solo”, la più pura delle essenze della musica irlandese; tra queste ne segnalo due, ovvero il reel “Rakish Paddy” dalla raccolta pubblicata negli Anni Venti del secolo scorso a Chicago da Francis O’Neill e “Planxty Davy”, una hornpipe, danza suonata con un tempo più lento di un reel quando accompganava i danzatori e suonata invece con un tempo più veloce se non associata alla danza.

Questo lavoro è disponibile anche in un doppio CD, dove è associato ad altri tre lavori di Finbar con il fratello Eddy.

Da avere.

 

HOT TUNA “LIVE AT THE NEW ORLEANS HOUSE, BERKELEY, CALIFORNIA 1969”

HOT TUNA “LIVE AT THE NEW ORLEANS HOUSE, BERKELEY, CALIFORNIA 1969”

HOT TUNA “LIVE AT THE NEW ORLEANS HOUSE SEPTEMBER 1969”

SONY LEGACY, 2LP,  2018

di Alessandro Nobis

Dal 16 al 24 settembre del 1969 gli Hot Tuna tennero una serie di concerti alla New Orleans House di Berkeley che vennero fortunatamente registrati; parte (il concerto del 16) venne pubblicata dalla RCA l’anno successivo segnando il loro debutto discografico – il disco raggiunse addirittura il #30 delle charts americane – e nel 1996 ne venne fatta una versione CD con l’aggiunta – benedetta dai fans – di ben cinque brani. Negli Hot Tuna Jorma Kaukonen e Jack Casady si erano creati così una via d’uscita – prima parallela poi divergente –  dal gruppo dei Jefferson Airplane nel quale la pacifica coesistenza con altri leader come Marty Balin, Grace Slick e Paul Kantner era sempre più difficoltosa, sviluppando il ramo blues degli Airplane che sopravvisse di gran lunga all’esistenza del gruppo di partenza. In versione elettrica o acustica come nei concerti di quel settembre del ’69, Kaukonen e Casady hanno sempre suonato blues di gran classe ispirandosi ai grandi maestri come Lightning Hopskins, Blind Blake, Jelly Roll Morton e soprattutto dal Reverendo Gary Davis. Qui i due sono accompagnati dall’efficacissimo armonicista Will Scarlett ed il repertorio non si scosta molto da quello proposto dal disco eponimo del ’69, blues acustico di grande fascino eseguito con grande tecnica dalla chitarra e dal basso elettrico inimitabile di Casady – ricordiamo nato come chitarrista e convertito al basso dall’amico Jorma -, a mio avviso uno dei più grandi specialisti dello strumento in assoluto.

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Il CD del 1996

Furbescamente ed altrettanto inspiegabilmente però la Sony Legacy in occasione del Record Store Day del 21 aprile scorso ha stampato questo magnifico doppio vinile con una copertina “in odore di bootleg” del tutto diversa da quella del cd targato 1996 ed edito allora solo in quel formato: detto questo, se siete maniaci del vinile non fatevi scappare questa edizione, se già avete nella vostra collezione il CD, fate un po’ voi …………..

In ogni caso questo ellepì è complementare a quello d’esordio, val la pena averli entrambi.

SUONI RIEMERSI: SEAN O’RIADA “Ó Riada Sa Gaiety”

SUONI RIEMERSI: SEAN O’RIADA “Ó Riada Sa Gaiety”

SEAN O’RIADA Ó Riada Sa Gaiety

GAEL INN, LP, 1969. CD 1988

di Alessandro Nobis

Se c’è una figura cardine nella storia della musica irlandese del ‘900 che ha lasciato un’impronta indelebile nello studio e nella riscoperta della tradizione, questa è senz’altro Sean O’Riada; nato a Cork nel 1931 e prematuramente scomparso nel 1971 a soli quarant’anni, negli anni Sessanta del XX° secolo con il suo lavoro di musicista, compositore, arrangiatore e ricercatore ha posto le basi di tutto il fenomeno del folk revival irlandese che da allora ha regalato ai cultori ed agli appassionati di tutto il mondo musiche, gruppi, musicisti che di generazione in generazioni portano avanti con frutti quasi sempre eccellenti questo patrimonio dal valore incommensurabile.6334884.jpg

Questo “Ó Riada Sa Gaiety”, registrato al Gaiety Theatre di Dublino nel 1969 e che contiene brani dalle tradizioni di molte delle Contee irlandesi, è la sua ultima registrazione, nella quale è accompagnato dal Ceòltori Chualann, con numerosi membri dei già allora conosciutissimi Chieftains che a quel tempo avevano da poco pubblicato il loro secondo lavoro, “2”, e che sono stati i prosecutori dell’opera del Ceoltori distinguendosi da tutti gli altri gruppi per l’assenza nella line-up di cordofoni, fatta eccezione naturalmente per l’arpa. Qui Sean O’Riada (clavicembalo) è accompagnato da Paddy Moloney (uillean pipes), Michael Turbridy (flauto), Peadar Mercier (bodhran), Martin Fay, Sean O’Ceallaigh e Sean O’Cathain ai violini, Sean O’Se alla voce, Sean Potts (tin wisthle) e Eamon de Buitlear (fisarmonica) ed il repertorio contiene alcuni brani che possono essere considerati dei veri standard della tradizione irlandese: tra gli altri “Women of Ireland” (utilizzata poi da Stanley Kubrick per la colonna sonora di Barry Lyndon), “Carrickfergus” e “South Wind”.

Indispensabile, direi. Recentemente ristampato con alcuni brani che non erano stati inseriti nel disco originale.

 

LED ZEPPELIN “THE COMPLETE BBC SESSIONS”

LED ZEPPELIN “THE COMPLETE BBC SESSIONS”

LED ZEPPELIN “THE COMPLETE BBC SESSIONS”

Atlantic Records 3CD – 5 LP, 2016

di Alessandro Nobis

Nel novembre di venti anni fa, correva l’anno 1997, con mia somma felicità veniva pubblicato un doppio Cd che conteneva quella che allora si pensava fosse l’integrale delle 6 session che i Led Zeppelin registrarono per la BBC tra il 19 marzo 1969 ed il 1 aprile del 1971 in varie locations andando a coprire storicamente il periodo tra il primo album (marzo 1969 ma registrato alla fine del ’68) ed il terzo, a parte una versione di “Black Dog” che apparirà sul quarto album. Senza mancare di rispetto al periodo successivo – che inizia alla fine del ’71 con la pubblicazione appunto di Led Zeppelin IV –  questi sono gli Zep che preferisco per l’ancora fortissimo legame con la fase Yardbirds di Page, il blues elettrico – molte le “citazioni” dei maestri e le interpretazioni dei classici del blues – e la composizione di “riffs” e di brani indimenticabili che fanno oramai da molti anni parte integrante della storia del rock e che sono stati e sono tuttora il banco di prova per una moltitudine di chitarristi in erba.led-zep-bbc-sessions-packshot

Come detto, i primi due compact contengono materiale già pubblicato nel 1997 in un doppio CD mentre il terzo contiene in realtà brani già apparsi su bootleg: si tratta per lo più di esecuzioni di brani ultraconosciuti degli Zeppelin, ovvero “Communication Breakdown”, “What Is and What Should Never Be”, “Dazed and Confused”, “White Summer“, “What Is and What Should Never Be”,”Communication Breakdown”, “I Can’t Quit You Baby” di Willie Dixon, “You Shook Me” di Dixon e J.B. Lenoir e “Sunshine Woman”, brano mai pubblicato dal quartetto ma noto ai fans più sfegatati della band inglese. Gli ultimi tre in particolare provengono da una registrazione captata da una radio AM, quindi la qualità non è la stessa, invece ottima, di tutto il resto. Nel libretto allegato – che riporta le note già apparse nel ’97 – la minuziosa cronologia degli “eventi”.

Per chi se lo può permettere, è stato anche pubblicato un megacofanetto con 5 ellepì……………

Procuratevelo, gli Zeppelin dal vivo di quegli anni erano straordinari, ruvidi, arcigni e innovativi.

 

 

JIMI HENDRIX “Machine Gun”

JIMI HENDRIX “Machine Gun”

JIMI HENDRIX’ BAND OF GYPSYS “Machine Gun”

Sony CD, 2016.

di Alessandro Nobis

A dispetto delle critiche – alcune feroci – e del mancato riconoscimento da parte dello stesso Hendrix rispetto alla pubblicazione, nel 1970, di “Band of Gypsys” (“fosse stato per me, non l’avrei mai pubblicato”, così disse), l’attento ascolto del doppio CD stampato nel ’99 (“Live at the Fillmore East”) e di questo recentissimo “Machine Gun” non fa che confermare quanto Bill Graham ebbe a dire in quell’occasione: “non ho mai sentito della musica incredibile come questa. Questo trio ha un’energia pazzesca, ed il fatto che Buddy Miles sappia cantare, lascia tutto lo spazio ad Hendrix per concentrarsi sul suono e sui soli di chitarra”. Parole sante, Mr. Graham.unknown-1

Il disco del ’70 in effetti era una sorta di compilation dei quattro concerti del 31 dicembre e del 1 gennaio, mentre il doppio presentava gli shows del secondo giorno con tre brani di quello precedente (e contenuti in questa nuova pubblicazione) e questo CD uscito da poco raccoglie l’intera devastante esibizione di Hendrix, Cox e Miles delle 19:30 dell’ultimo dell’anno, l’ultimo festeggiato dal chitarrista di Seattle. La musica è più vicina al R’n’B, il repertorio – provato solamente nei giorni precedenti i concerti – comprende solo alcuni cavalli di battaglia hendrixiani come “Machine Gun”,  la tiratissima “Lover Man” o lo slow blues di ”Hear my train is coming”, ma ci sono anche una magnifica versione di “Bleeding Heart” e uno splendido solo in “Earth Blues” giusto per citare quello che più mi ha entusiasmato di questo “Machine Gun”.

Un trio, un progetto che all’epoca era appena germogliato ma che appassì troppo presto; una sezione ritmica che pare fosse la preferita dal divino Miles (Davis), con il quale pare Hendrix avesse avuto dei contatti piuttosto concreti. Settanta minuti che ancora oggi, dopo quasi cinquanta anni, entrano come lava bollente dalle orecchie al cervello e che, dopo cinquanta anni, appare ancora musica inarrivabile, quasi aliena.

Cercatele, e ascoltate queste registrazioni.

 

 

 

CHRISTY MOORE “Paddy on the Road”

CHRISTY MOORE “Paddy on the Road”

CHRISTY MOORE

“Paddy on the Road”
 – MERCURY, LP, 1969 Ristampa 2016

di Alessandro Nobis

Stampato dalla Mercury in cinquecento esemplari nel 1969, riappare in questi mesi in vinile questo “Paddy on the Road”, disco d’esordio autoprodotto di quello che negli anni successivi diventò il faro del folk revival e della canzone d’autore irlandese, Christy Moore. Planxty, Moving Hearts, ce li ricordiamo bene, vero?

Ebbene, Christy Moore che lo crediate o no, “fu” un impiegato di banca a Kildare, il che comunque non gli impedì di girare in lungo ed in largo l’Irlanda alla ricerca di musicisti e di musica fino nelle più piccole contrade di questo straordinario Paese. Qui troviamo alcune delle più belle ballate di carattere “politico” come “Avondale” e “The Belfast Brigade”, altre sono “sexes ballads”, come “Spanish Laddy” e “The Curragh of Kildare” e soprattutto “Cunla”, del Magnifico Seamus Ennis tradotta in inglese da Kevin Conneff (Chieftains) che poi entrerà a far parte del repertorio dei leggendari Planxy ai tempi dell’album “The Well Below the Valley”.

E’ naturalmente un Christy Moore ancora un po’ – diciamo così – rustico, gli arrangiamenti sono semplici, e la voce non è ancora quella splendida degli anni che verranno, ma questo “Paddy on the Road” è una preziosa testimonianza dei primi passi di questo importante musicista, ricercatore ed autore.

In questo suo esordio discografico è accompagnato da Ray Swinfield (flauto), Danny Wright (banjo e chitarra) e Jack Fellon (basso) e Steve Benbow (chitarra) e le note di copertina ci raccontano anche che il merito della “discesa in campo” di Christy Moore va ascritto a tale Dominic Behan. Non finirò mai di ringraziarlo.