QUARTETTO PROMETEO “Stefano Scodanibbio Reinventions”

QUARTETTO PROMETEO “Stefano Scodanibbio Reinventions”

QUARTETTO PROMETEO “Stefano Scodanibbio Reinventions”

ECM New Series Records. CD, 2013

di alessandro nobis e roberto pascucci

Ho scoperto il genio di Stefano Scodanibbio curiosando nel catalogo ECM alla ricerca di lavori per contrabbasso solo e mi sono imbattuto in modo del tutto casuale in questo lavoro del quartetto d’archi “Prometeo” pubblicato nel 2013 che interpreta alcuni spartiti del contrabbassista, compositore e ri-compositore maceratese scomparso molto prematuramente nel 2010.

Di lui come musicista ho ammirato in seguito la performance di 51 minuti “Voyage that never ends” facilmente rintracciabile su YouTube e ne sono rimasto estasiato per la capacità tecnica, improvvisazione ed inventiva che gli consentono di far vivere il suo strumento in ogni suo dettaglio come pochissime volte ho avuto modo di ammirare da strumentisti più vicini al jazz come Barry Guy, Barre Phillips, Peter Kowald, William Parker o Dave Holland o per restare in ambito contemporaneo, Daniele Roccato che per l’ECM nel 2018 ha pubblicato “Alisei” con musiche di Scodanibbio.

Il quartetto Prometeo ha scelto tra le ri-composizioni del contrabbassista maceratese forse quelle da lui più amate, “Die Kunst der Fuge” di J.S. Bach l’ideale per chi vuole sperimentare visto che l’autore non aveva dato indicazioni sulla strumentazione, brani del folklore spagnolo e di quello messicano. Del capolavoro del contrappunto Scodanibbio “riscrive”, ed il Quartetto Prometeo (Giulio Rovighi e Aldo Campagnari ai violini, Massimo Piva alla viola e Francesco Dillon al contrabbasso)  splendidamente esegue tre brani ovvero i numeri “1”, “4” e “5” mantenendone la maestosità e riportandoli in forma nuova nel nostro tempo, dilatandoli con una costante ed altissima tensione emotiva durante l’ascolto; il suo amore e la sua profonda conoscenza della cultura messicana lo manifesta utilizzando cinque melodie (“Canzoniere Messicano” 2004 – 2009) conosciute tra le quali “Besame Mucho” di Consuelo Velazquez, dove nascondendo (ma non troppo) la melodia la trasforma in qualcosa d’altro quasi a dichiarare che non esiste “melodia popolare” che non possa essere trasformata, ri-scritta, riformulata dalla sensibilità di un compositore. Ma non è tutto qui, Scodanibbio sceglie “Quattro Pezzi Spagnoli” ri-composti nel 2009 per sola chitarra scritti originariamente tra gli altri da Josep Ferran Macari “Fernando” Sor (1778 – 1839) e Francisco Tarrega (1852 – 1909) ed anche qui magicamente translati nella contemporaneità.

L’esecuzione del Quartetto Prometeo mi sembra davvero celestiale, perfetta, capace a mio modestissimo parere dare sostanza allo straordinario lavoro di Stefano Scodanibbio.

Non ho come naturalmente le “competenze” per dare impressioni tecniche su questo magnifico lavoro e tantomeno sul genio maceratese ma ho cercato piuttosto, e trovato, qualcuno che ha conosciuto personalmente come allievo del Maestro e ha gentilmente scritto un suo ricordo: il bassista Roberto Pascucci. Ecco di seguito il suo personale ricordo:

RICORDO DI STEFANO SCODANIBBIO (Roberto Pascucci) Ho conosciuto Stefano Scodanibbio nei primissimi anni ’90 a Macerata, dove io – ascolano di origine maceratese – studiavo all’Università; all’epoca la mia vita stava però virando decisamente verso la direzione artistica, e volevo dunque perfezionarmi sul mio strumento, il basso (sia nelle veste elettrica che acustica). Cercavo in città un Insegnante di contrabbasso, e trovai lui…! Per la verità all’epoca non lo conoscevo bene, anche se accanto al Jazz, la mia passione, mi ha sempre interessato tutta la Musica , dal Rock al Pop alla Classica fino alla cosiddetta “Contemporanea”. Andavo a lezione a casa sua a Pollenza, un paese appena fuori Macerata; la sua abitazione era in una bella piazzetta, tipica delle località dell’entroterra marchigiano. Mi torna in mente che bisognava salire una scala a chiocciola, e ciò con il contrabbasso non era proprio una passeggiata… Lo ricordo con il sigaro spento in bocca, molto cortese e paziente (io ero piuttosto intimorito, specie agli inizi, ma lui metteva molto a proprio agio le persone); una volta, mentre preparavo spartiti, pece ecc. lui attaccò forse per scaldarsi un pezzo incredibile…io rimasi bloccato, ed incantato. Andai da lui diversi mesi, circa un anno… poi lui dovette partire per concerti ed io m’iscrissi prima al Conservatorio e poi andai a studiare Jazz a Roma; lo rividi diverse volte a Macerata anche in occasione di sue esibizioni: ricordo il suo approccio particolarissimo allo strumento, anche fisicamente; ricordo i suoni incredibili che otteneva, la magia e anche quel pizzico di sconcerto che si ha quando ti trovi ad ascoltare l’inaudito. Solo molto tempo dopo da allora ho compiutamente realizzato il privilegio che ho avuto nel frequentare – anche se per troppo poco tempo – un vero e proprio genio, un innovatore assoluto del contrabbasso e della Musica tutta. Negli anni ho approfondito la sua visione strumentale e compositiva; ho letto i suoi illuminanti scritti e ho appena finito di guardare un ottimo documentario su di lui in dvd, uscito qualche tempo fa. Insomma, io scrivo e suono musica anche molto diversa dalla sua, ma sento sempre di più in qualche modo la sua influenza. Mi piace pensare che, quando suono il contrabbasso, tra le frequenze dei suoi amati armonici artificiali si celi a volta qualche suo sussurro.

SUONI RIEMERSI: GIULIO REDAELLI

SUONI RIEMERSI: GIULIO REDAELLI

SUONI RIEMERSI: GIULIO REDAELLI

“Connemara (2008), Aquiloni (2013)”

AUTOPRODUZIONI

di Alessandro Nobis. La fotografia è di Paolo Ferrazzi (grazie mille!)

Succede una sera a Verona (al Cohen) che in occasione di un Open Mic di Zonacustica incontri Giulio Redaelli che è così squisito di farmi avere i suoi due CD più recenti; succede di conseguenza che, curioso come un gatto, per qualche giorno metti sul “piatto” (io lo chiamo ancora così) “Connemara” e “Aquiloni” e succede anche che ad un certo punto ti domandi come mai della musica così ben scritta e suonata debba circuitare praticamente solo negli ambienti dei devoti del fingerpicking; sì è vero è una domanda che purtroppo – molto purtroppo – mi faccio spesso, ma tant’è. E quindi perché non parlarne in questa rubrichetta “Suoni Riemersi”, perché non valorizzare queste due orette di ottima musica per chitarra?

Ma andiamo con ordine: nel 2008 viene pubblicato “Connemara”, otto originali (le liriche “il respiro del mare” e la travolgente “Walking and running”) e quattro omaggi tra i quali un bel medley targato Doc Watson / Leo Kottke e due notevolissime interpretazioni di ragtime di Scott Joplin; con lui un manipolo di validi musicisti tra i quali trovo doveroso menzionare Socrate Verona ed il percussionista Dario Tanghetti. Fingerpicking d’altra scuola, cristallino, mai lezioso e convincente, insomma un bel disco. Cinque anni dopo – lunga pausa – ecco “Aquiloni”, più breve del precedente: numero di ospiti più ristretto, sempre il fedelissimo Socrate Verona alla viola, violino e mandolino, e sempre musica raffinata alla ricerca della melodia “perfetta”. Il brano di apertura eponimo, l’omaggio all’indimenticato eroe della Windham Hill William Ackerman (“The Impending Death of the Virgin Spirit”), la dolcezza di “Scilla e Andrea” ed ancora “L’Ostinato” con il mandolino di Verona.

Gran bel chitarrista che tutti dovrebbero conoscere ed apprezzare e sono convinto, concludendo, che le sensazioni più belle ed intriganti – ascoltando i due cd e dal vivo anche se per pochi minuti – riesca a comunicarle come del resto molti fingerpickers della sua levatura, soprattutto in solitudine.

Egoisticamente mi aspetto quindi – e oramai sono passati quattro anni da “Aquiloni” – un lavoro di sola chitarra fingerpicking. Che meraviglia sarebbe ………………..

 

 

ENRIKE SOLINIS “Colores del Sur”

ENRIKE SOLINIS “Colores del Sur”

ENRIKE SOLINIS

“Colores del Sur” – Glossa, 2013

PUBBLICATO SU FOLK BULLETIN, 2013

Questo “Colores del Sur” del basco di Bilbao Enrike Solinis – tiorba, chitarra barocca e liuto – è esattamente quello che ti aspetti dal suo ascolto: un entusiasmante viaggio attraverso le musiche per chitarra scritte nel XVI° e XVII° secolo. Un viaggio nel quale si fa accompagnare dall’ottimo ottetto Euskal Barokkensemble, e nel quale affronta i repertori di importantissimi autori per liuto e chitarra come l’iberico Gaspar Sanz (1640 – 1710) ed il veneziano di nascita – ma di famiglia tedesca – Hieronymus Kapsberger (1580 – 1651); oltre a ciò Solinis propone “in solo” alcune trascrizioni per liuto di Domenico Scarlatti, come la celebre Sonata K 380 (addirittura suonata da Toni Pagliuca come “inserto” dal gruppo progressive Le Orme nel brano “Collage” nell’omonimo LP), un “Errekaxilo Fandangoa”, danza popolare basca ed un Makam tratto dalla raccolta del principe – filosofo moldavo Dimitrie Cantemir (1673 – 1723).

Musica popolare, barocco spagnolo ed italiano che mirabilmente corrono fianco a fianco, facendo di questo CD una delle più interessanti incisioni del genere, al pari di quella targata ECM del norvegese Rolf Lislevand, che come lui, ha collaborato con Jordi Savall. Si sarà avvicinato alla chitarra ascoltando i dischi di Paco De Lucia, sarà anche inizialmente stato autodidatta ed infine sarà stato anche espulso dopo tre anni da un Conservatorio diplomandosi poi in quello di Bilbao, ma questo giovane strumentista dimostra con questo “Colores del Sur” di avere i numeri per interpretare questo repertorio con grande gusto e maestria, aggiungendo un tocco personale (come non pensare a ciò ascoltando la sua magnifica re-interpretazione della Jacaras di Antonio de Santa Cruz? E non ditemi che non sentite qua e là la musica andalusa………) a quanto scritto sul pentagramma dagli autori presenti.

Una visione della musica che avvicina questi secoli ai nostri tempi, e non è cosa da poco.

 

SANCTO IANNE “Trase”

SANCTO IANNE “Trase”

SANCTO IANNE

“Trase” CD FOLKCLUB ETHNOSUONI, 2013

PUBBLICATO DA FOLK BULLETIN, MARZO 2013

Con i piedi saldamente ancorati nella cultura popolare e la testa proiettata nel futuro, i Sancto Ianne pubblicano “finalmente” il loro atteso quarto lavoro, dopo il già splendido “Mo’ siente” del 2006. Il progetto del gruppo “sannitico” prosegue, con altre 14 composizioni originali, arrangiamenti molto curati ed efficaci, testi che rivelano una contemporaneità dei temi trattati – anche se alcune tematiche sono da considerare quasi “croniche” anche in altre aree del Bel Paese – , oltre ad alcuni cammei di ospiti tra i quali citiamo i pugliesi Maria Moramarco e Nico Berardi.

L’assoluta precarietà del lavoro, l’inquinamento diffuso ed incontrollato, lo spreco di un bene comune come quello dell’acqua potabile ovvero la totale mancanza di rispetto dell’ambiente in una terra altrimenti ricca di risorse di ogni tipo, come quella culturale, fanno di questo “Trase” una fotografia nitidissima di una realtà sistematicamente ignorata dalla stragrande maggioranza dei media. Temi di denuncia quindi in linea con il Sancto Ianne-Pensiero vicino ad altri nati dalla collaborazione con la Compagnia Stabile di Benevento (gli spettacoli “Madre natura madre Madonna” e “Valani”).

Dal punto di vista strettamente musicale, ci si trova la tradizione accanto alla modernità, gli strumenti più associati alle radici a fianco di quelli elettrici, i ritmi popolari (“Ci more e ci campa”) vicino a quelli dal sapore mediorientali ed al rap (la bellissima “Guardame sienteme”), diventato oramai linguaggio espressivo neo – popolare delle più giovani generazioni (“…….ù guaglione che ha perso la fiducia”, verso che la dice lunga…….): un puzzle già sperimentato in passato da altri con alterni risultati, ma che a nostro avviso qui trova alla perfezione la quadratura del cerchio.

Insomma, un gran bel capitolo dell’avventura del sestetto sannitico, che a nostro avviso con Ghetonia e Uaragniaun rappresenta il meglio della musica di derivazione popolare italiana. E non solo.

STEFANO VALLA e DANIELE SCURATI “Per dove tu passi”

STEFANO VALLA e DANIELE SCURATI “Per dove tu passi”

STEFANO VALLA E DANIELE SCURATI

“Per dove tu passi”. Film di Davide Bonato, 2013. Durata 80 minuti

Se ogni ente pubblico, o istituzione, del nostro “Bel Paese” finanziasse la realizzazione di documenti visivi e sonori come questo splendido “Per dove tu passi” si realizzerebbe un archivio video – sonoro di un valore immenso; quanti sono i cantori, i musicisti, i gruppi, le tradizioni nascoste nelle valli più lontane, nei piccoli centri d’Italia poco o addirittura mai considerati dai media? Logico che questo video copra la ricchissima ed affascinante area delle 4 Province (in linea di massima tra i territori di Pavia, Alessandria, Piacenza e Genova) ed altrettanto logico che protagonisti del film siano Stefano Valla e Daniele Scurati, prosecutori ed innovatori della tradizione popolare. Il primo – suonatore di piffero e grande cantante popolare – conosciuto ai più per l’avventura dello straordinario ensemble “I suonatori delle quattro province” che ci ha lasciato una perla come “Racconti a colori” del 1993, per il duo con il fisarmonicista Franco Guglielmetti (altrettanto magnifico il loro CD del ’94 per la coraggiosa etichetta francese Silex) e per le sue ricerche etnomusicologiche, il secondo ottimo fisarmonicista: come dice lo stesso Scurati, “la fisa ha sostituito la (corna)musa all’inizio del Novecento, grazie a Giacomo Sala, il passaggio dal mondo modale a quello tonale, contribuendo così anche ad arricchire il repertorio”. Il duo ha a mio avviso il grande merito di mantenere la funzionalità della musica popolare accompagnando la danza, momento di aggregazione tra le persone nei momenti importanti della vita e dell’anno; inoltre il duo tiene un’intensa attività concertistica. Come sottolinea Balma, “questa musica vive di luce propria anche in situazioni dove perde la sua funzionalità”.

Tra momenti musicali, interventi, ricordi personali di Valla e Scurati, di studiosi del calibro Bruno Pianta e Mauro Balma, scene di ballo popolare e molta, molta storia gli ottanta minuti passano velocemente grazie anche alla regia ed all’intelligente montaggio. Alla fine viene voglia di rivederlo, di ri-ascoltare le parole e la musica, ripeto le parole e la musica, anzi vien voglia di far su lo zaino e di partire per “la terra del piffero”, dove non ha mai smesso di suonare.

TOWNES VAN ZANDT “Sunshine Boy”

TOWNES VAN ZANDT “Sunshine Boy”

TOWNES VAN ZANDT

“SUNSHINE BOY – The unheard studio sessions & demo 1971 – 1972”

2CD OMNIVORE RECORDINGS, 2013

PUBBLICATO SUL FOLK BULLETIN, 2013

Me lo ricordo, eccome se me lo ricordo: ero lì, a un metro da lui, un concerto memorabile nei pressi di Verona. Era l’inizio di dicembre, dicembre 1994 intendo, e la notizia di una sua possibile venuta, per di più nel salotto di un amico, si era sparsa tanto che gli aficionados vi si erano precipitati di corsa tanto che sembrava davvero improbabile che l’autore di quel memorabile “Live at Old Quarter, Houston Texas” potesse essere davvero, diciamo così “a nostra completa disposizione”. Come andò? Serata indimenticata, lui era in condizioni ideali, tra amici e fans, tra una tazza di tè e poche parole: due ore di ballate, di storie, tutto quello che aspettavamo. La notizia della sua dipartita, poco più di due anni dopo, ci colse purtroppo non di sorpresa ma ci riempì di tristezza ed il ricordo di quel concerto restò scolpito nei nostri cuori – qualcuno pensò bene anche di registrarlo -, avendo realizzato subito che per una sorta di miracolo per una sera Van Zandt si era lasciato fuori dalla porta tutti i suoi problemi che lo avevano segnato, e che avevano segnato tutta la sua musica.

Ora la “Omnivore” pubblica un doppio CD di inediti, di outtakes provenienti dai primi anni della carriera del musicista texano: il primo CD contiene rare versioni del suo songbook, cover come “Who do you love”, “T for Texas” e la rollingstoniana “Dead Flowers”, nel secondo dei “demos” acustici registrati tra New York e Nashville. Un bel modo di ricordare quanto brillasse la stella del musicista di Fort Worth, e di quanto fosse apprezzato, stimato ed amato dai suoi colleghi e colleghe del mondo della canzone d’autore americana, da Steve Earle a Emmylou Harris, da Guy Clark fino a Merle Haggard e Willie Nelson che nel 1983 portarono in cima alle classifiche uno dei suoi brani più significativi, “Pancho & Lefty”, una canzone che sembra uscita dalle intense e truci pagine della trilogia “di confine” di Cormac McCarthy.

Un bel ricordo: beviamoci un buon bicchiere, riascoltandolo, alla sua memoria.