MARC JOHNSON “Bass Desires”

MARC JOHNSON “Bass Desires”

MARC JOHNSON“Bass Desires” ECM Records 1299. CD, LP 1986

di alessandro nobis

Registrato a New York nel maggio del 1985, questo è il primo dei due album pubblicati da questo fantastico quartetto composto da una sezione ritmica (Marc Johnson e Peter Erskine) e da due chitarristi del calibro di John Scofield e Bill Frisell. Contrariamente a molti super gruppi che a livello discografico non hanno sempre mantenuto le attese degli appassionati, i Bass Desires hanno invece prodotto musica di grande qualità anche efficacemente “replicata” dal vivo (e chi ha avuto l’opportunità di assistere ad un loro concerto lo potrebbe confermare).

Qui la magia si concretizza con il perfetto equilibrio nella diversità stilista facilmente riscontrabile di Scofield e Frisell e con la creatività e leggerezza che rasenta la perfezione della sezione ritmica, una delle più interessanti nella storia del jazz e naturalmente di conseguenza del catalogo ECM; una ritmica che verrà riproposta anche nel 1989 nel disco con John Abercrombie nel quale possiamo ascoltare un’altra spettacolare versione di un brano di Marc Johnson, “Samurai Hee-Haw“, uno dei timbri indelebili dei Bass Desires presente sul disco in oggetto.

Quelo che più sorprende è la scelta del repertorio in quanto, laddove nel secondo album “Current Events” troviamo brani originali, in questo primo disco ci sono alcune splendide riletture di brani appartenenti al jazz vicino ad altri che possiamo definire alloctoni: “Resolution“, secondo movimento del coltraniano “A Love Supreme”, “The Wishing Doll“, canzone scritta negli anni sessanta da Elmer Bernstein e Marck David, ma soprattutto “Black is the Color of my True Love’s Hair” una ballata tradizionale raccolta negli Appalachi ma di origine scozzese e pubblicata da Roud con il numero # 1013.

Tra gli originali quelli che preferisco ancora dopo tutto questo tempo “Bass Desires” aperto da Erskine (che compone il brano) e con il tema eseguito all’unisono dalle chitarre che si alternano nei soli e la magnifica ballad conclusiva di John Scofield “Thanks Again“.

Disco eccelso, come il secondo “Second Sight” e perfetta la produzione di Eicher (Manfred). Credo ancora sia in catalogo.

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JON HISEMAN “Ganz schön heiss, Man!”.

JON HISEMAN “Ganz schön heiss, Man!”.

JON HISEMAN “Ganz schön heiss, Man!”. VeraBra Records. LP, 1986

di alessandro nobis

Questo disco “in solo” dello straordinario batterista inglese Jon Hiseman è non solo un’occasione per ammirare la sua tecnica strumentale ma anche e soprattutto la sua creatività nel comporre ed eseguire brani concepiti per questo strumento. Attenzione, qui non siamo davanti ad assoli spesso troppo autoreferenziali ma piuttosto all’uso nella sua totalità di tutte le potenzialità timbrico – ritmiche della batteria.

I brani del disco derivano da concerti eseguiti da Hiseman a Berlino, Mannheim e Hannover, tra la sessantina che nel 1985 tenne con i Paraphernalia, quintetto capitanato da Barbara Thompson e con l’United Jazz & Rock Ensemble, con alcuni dei più prestigiosi esponenti del jazz europeo come Kenny Wheeler, Albert Mengelsdorff, Ian Carr, Eberherd Weber e Wolfgang Dauner.

La prima facciata si apre con “The Metropol”, un brano di sedici minuti registrato a Berlino; qui Hiseman si fa accompagnare dal basso elettrico di Dave Bell (Paraphernalia) in una composizione che vive di luce propria e non ha il bisogno di essere inserita nella registrazione completa del brano che la contiene mentre il secondo brano, “Ganz schön heiss, Man!”, di più breve durata viene dal concerto di Brig, in Svizzera dell’Orchestra mette in evidenza lo straordinario trombone di Mengelsdorff che con i suoi interventi, seppur brevi – qui non ci sono i brani completi –  sposta il baricentro dal jazz più vicino al rock verso la creazione di musica spontanea

La seconda facciata si apre con la ripresa di “Ganz schön heiss, Man!”, estratto da un concerto tenutosi a Mannheim sempre dalla United Jazz & Rock Ensemble che espone in apertura e chiusura il tema e lascia lo spazio al solo di Hiseman e si conclude con l’assolo registrato ad Hannover, “The Pavillion” presumibilmente il nome del teatro dove si tenne il concerto.

Per chi ha saputo apprezzare prima il suono seminale della Graham Bond Organisation, il blues intriso di jazz di Bare Wires di John Mayall, il robusto blues legato al rock dei Colosseum e quello più hard dei Tempest non faticherà a gustare ogni singolo passaggio di questi soli di John Philipp Hiseman che, in calce alle note di copertina alla domanda ricorda che qualcuno gli avrebbe detto: “Un album di sola batteria? Sei un pazzo! E chi se lo comprerebbe?” Beh, qui ce n’è uno, di questi “pazzi”.

This solo album by the extraordinary English drummer Jon Hiseman is not only an opportunity to admire his instrumental technique but also and above all his creativity in composing and performing pieces conceived for this instrument. Attention, here we are not faced with solos that are often too self-referential but rather with the use in its entirety of all the timbre-rhythmic potential of the drums.

The pieces on the disc derive from concerts performed by Hiseman in Berlin, Mannheim and Hannover, among the sixty that he held in 1985 with Paraphernalia, a quintet led by Barbara Thompson and with the United Jazz & Rock Ensemble, with some of the most prestigious exponents of the European jazz such as Kenny Wheeler, Albert Mengelsdorff, Ian Carr, Eberherd Weber and Wolfgang Dauner.

The first side opens with "The Metropol", a sixteen-minute piece recorded in Berlin; here Hiseman is accompanied by Dave Bell's electric bass (Paraphernalia) in a composition that lives on its own light and does not need to be included in the complete recording of the piece that contains it, while the second piece, “Ganz schön heiss, Man! ”, of shorter duration, comes from the orchestra's concert in Brig, Switzerland and highlights the extraordinary trombone by Mengelsdorff who, with his interventions, albeit brief - here are not the complete pieces -  moves the center of gravity from jazz closer to rock towards the creation of spontaneous music

The second side opens with the reprise of "Ganz schön heiss, Man!", extracted from a concert held in Mannheim again by the United Jazz & Rock Ensemble which opens and closes with the theme and leaves space for Hiseman's solo and concludes with the solo recorded in Hannover, “The Pavillion” presumably the name of the theater where the concert was held.

For those who have been able to appreciate before the seminal sound of the Graham Bond Organisation, the jazz-soaked blues of John Mayall's Bare Wires, the robust blues linked to the rock of the Colosseum and the harder one of the Tempest, it will not be difficult to enjoy every single passage of these solos by John Philipp Hiseman who, at the bottom of the liner notes to the question, recalls that someone would have said to him: “An album of drums only? You are crazy! And who would buy it?” Well, here is one of these "crazy".

NANCY BLAKE “Grand Junction”

NANCY BLAKE “Grand Junction”

NANCY BLAKE  “Grand Junction”

Rounder Records. LP, 1985

di alessandro nobis

Grand Junction” è l’unico disco solista di Nancy “Short” Blake, polistrumentista e compositrice del Missouri la cui vita artistica e sentimentale ebbe una svolta quando, nel 1972, aprì con il suo ensemble “Natchez Trace” un concerto di Norman Blake che da poco aveva intrapreso una carriera solista. Il suo primo strumento fu il violoncello ma in seguito è diventata un’ottima mandolinista, violinista, chitarrista, fisarmonicista e infine cantante, una dei membri di quel “Rising Fawn String Ensemble” che ha per anno deliziato i più fini palati del genere “americana”; a questo lavoro collaborano infatti alternandosi, oltre al marito Norman, il violinista James Bryan (del RFSE) ed il banjoista Tom Jackson.

A parte il brano che apre il disco, “Florida’s Rag” del grande John Hartford (Nancy al mandolino, Norman alla chitarra) e “The Crysanthemum” di Scott Joplin si ascoltano tutti brani originali ovviamente rispettosi della tradizione che pochi come i musicisti coinvolti conoscono in modo così approfondito. Naturalmente l’intesa tra i Blake(s) è perfetta, “In Russia”, The Crysanthemun” (di Joplin) e “Lima Road Jig” sono lì a confermarlo ma davvero splendidi sono anche gli arrangiamenti dei brani in quartetto come ad esempio “Walk along” e “Three Ponies”. Nancy Blake è come detto strumentista talentuosissima in grado anche di registrare più tracce per registrare un brano (“Year of the Locust” dove registra due tracce con il mandolino ed una con la chitarra) e contemporaneamente offrire un brano in “solo” per violino a cinque corde come “Mahnuknuk” ispirato dall’omonimo dio della banalità Eskimo.

Non credo esista una versione CD di questo purtroppo unico lavoro di Nancy Blake, di certo resta la purezza della sua musica e la passione che da essa traspira.

RITMIA “Forse il mare” / “Perhaps the Sea”

RITMIA “Forse il mare” / “Perhaps the Sea”

 

Robi Droli, LP, CD. 1986

Shanachie Records, LP. 1989

di alessandro nobis

Pubblicato dalla benemerita Robi Droli, etichetta emanazione de La Ciapa Rusa, “Forse è il mare” è a mio modesto parere uno dei progetti degli anni ottanta che hanno segnato in modo ben chiaro una possibile evoluzione della musica popolare italiana, lo spartiacque tra quella eseguita in modo filologico ed un nuovo sentiero; già all’epoca della sua realizzazione era evidente che qualcosa di innovativo si stava ascoltando ed oggi, trentacinque anni dopo, al di là del fatto che questa musica ha resistito all’usura del tempo e che si ascolta sempre in modo piacevolissimo, prendiamo atto che sono numerosi i musicisti che hanno preso l’ispirazione da questo lavoro di Riccardo Tesi, Daniele Craighead, Enrico Frongia e Alberto Balìa.

R-8623661-1465363766-5269.jpeg.jpgAbbinare testi tradizionali come “Siscari” e di nuova composizione come “La stella e la luna” di Enrico Frongia a musica originale ma di ispirazione popolare fu un’operazione in qualche modo rivoluzionaria per l’Italia perchè andava in qualche modo controcorrente a quello che era il filone del folk revival. La già citata Siscari ad esempio, una lunga suite di oltre tredici minuti in cui i ritmi della tradizione sarda si abbinano al testo popolare ed agli strumenti sì legati alla tradizione ma ispirati anche da musiche altre: le due magnifiche chitarre di Balìa e Frongia, le evoluzioni dell’organetto diatonico ed il canto hanno il respiro della tradizione riportata prepotentemente ai nostri giorni con preziosi arrangiamenti che lasciano lo spazio ad assoli che a mio avviso guardano anche al jazz come quello del sax soprano di Craighead e dell’organetto di Tesi. Anche la durata dei brani, tre dei quali intorno ai dieci minuti, lasciano piena possibilità al quartetto di declinare il loro percorso musicale. Come anche la splendida “Serenata Mare” che apre la prima facciata scritta da Tesi, Balìa e Craighead con la voce accompagnata dall’organetto ed il ruolo importante riservato flauto dolce che accompagna l’ascolto nella prima parte del brano al quale subentrano i suoni delle chitarre che duettano con l’organetto diatonico e che si conclude con il canto.115597240

Poco tempo dopo in Francia “quelli della Silex” avrebbero definito la musica dei Ritmia  e dei progetti di Riccardo Tesi con l’azzeccata definizione di “Nuova musica acustica”.

Il disco fu pubblicato anche dalla prestigiosa etichetta Shanachie in Nordamerica con il titolo “Perhaps the sea” nella collana “World Beat Etno pop”, una definizione che oggi fa un po’ sorridere, o no?