DALLA PICCIONAIA: Ensemble Sira (Yemen)

DALLA PICCIONAIA: Ensemble Sira (Yemen)

DALLA PICCIONAIA: Ensemble Sira (Yemen)

di Alessandro Nobis

E’ dalla primavera del 2015 che nel piccolo Yemen infuria una cruenta guerra civile dallo sfondo religioso che ancora una volta vede lo scontro tra sciti e sunniti ed alla quale partecipa una coalizione internazionale a fianco dell’Arabia Saudita, conflitto al quale l’Italia sta intervenendo in modo diretto (la pistola la mettiamo noi, il grilletto lo preme qualcun altro) fornendo armi ai sunniti sauditi. Se ne parla troppo poco di questa guerra, che sta decimando il popolo yemenita sia con i bombardamenti che con la procurata carestia e che sta distruggendo la cultura locale, orale e scritta, e le città come la capitale Sana’a, una delle location del capolavoro pasoliniano del 1974 “Il fiore delle mille e una notte”.

Delle donne e degli uomini che nel 1999 uscirono per la prima volta dallo Yemen per presentare la loro cultura musicale in Italia grazie a Ravenna Festival, ad Andrea Marini ed all’Associazione musicAcustica, non si hanno più notizie da molti anni e mi auguro ardentemente che il Professor Nizar Ghanem e compagnia stiano per quanto possibile in salute o siano rifugiati in un luogo più sicuro.

In quel luglio del 1999 dunque l’Ensemble Sira tenne tre memorabili concerti nel veronese (due per i Concerti Scaligeri – il primo però con evidenti problemi di amplificazione – ed il terzo a Villa Bertoldi di Settimo di Pescantina); gente semplice, molto preparata musicalmente ed appartenente a diverse generazioni, ed ognuna proveniente da diverse zone dello Yemen, un gruppo composito formato per l’occasione e guidato come detto dal Professor Ghanem.

A ricordo dello Yemen, per far rimanere viva l’attenzione su ciò che sta accadendo nel Paese che si affaccia sull’Oceano Indiano, riporto qui quando avevo modestamente scritto sul volantino di presentazione ai concerti veronesi.

La Cultura musicale dello Yemen è un campo poco esplorato e quindi molto poco conosciuto anche se le ancor scarse informazioni ne testimoniano antiche origini e influenze nel corso dei secoli. Le tradizioni tribali restano il cardine di questa cultura, ed è possibile stabilire relazioni con l’Antica Persia e l’India fino all’Indonesia verso Levante e fino al Maghreb verso Ponente soprattutto da quando la regione venne islamizzata.

La posizione geografica marginale dello Yemen rispetto al resto del mondo arabo e la distanza dai centri di potere come Damasco, Baghdad e Istambul sommata al succedersi delle Dianstie ne hanno provocato così l’isolamento culturale preservando così nel tempo la conservazione delle sue forme culturali più pure, musicali e non, che ne caratterizzano così fortemente la vita anche al giorno d’oggi.

La musica dello Yemen è estremamente ricca di generi, repertori, modalità di esecuzione ed anche di strumenti: la sua molteplicità è dovuta essenzialmente alle differenze tribali, ma al di là di queste diversificazioni, nella vita sociale è possibile distinguere nella stratificazione musicale le componenti etnica, tradizionale, religiosa, classica e popolare, ultima in senso temporale ma diffusasi prepotentemente grazie ai mass – media. A tutt’oggi quindi la cultura musicale yemenita appare dall’esterno come un mosaico di stili regionali le cui diversità rimangono però immutate fungendo anche da stimolo per nuove composizioni negli stili più antichi, mentre dal suo interno gli yemeniti possono facilmente riconoscere la provenienza degli stili delle varie forme vocali, come ad esempio le differenze tra la “ghina’san’aani” – le canzoni di Sana’a – e quelle di altre città come Ta’iz, Aden, Lahij o ancora il carattere religioso dell’area di Hadramaut.

La vita musicale di Sana’a non conosce concerti o sale da concerto e le esecuzioni musicali, come nelle più pure culture tradizionali, sono contestualizzate a momenti conviviali. Nella capitale ci sono due occasioni per queste performance, che per la prima volta saranno eseguite al di fuori dei confini yemeniti: una di queste si tiene nelle ore pomeridiane ed è conosciuta come “magyal” (che significa appunto riposo pomeridiano). Si tratta di riunioni tra gli uomini appartenenti allo stesso nucleo familiare con amici e colleghi di lavoro, che proseguono per parecchie ore e nelle quali si discute di vari argomenti ascoltando musica, suonata da musicisti professionisti o dilettanti; il tutto masticando il “qat”, una sostanza vegetale stimolante dal sapore dolce. La masticazione del qat (attività praticata solitamente in comunitò) è una caratteristica propria degli yemeniti ed è tipica delle popolazioni settentrionali. Nel pomeriggio i “qat party” sono molto frequenti ed ogni uomo, almeno una volta alla settimana, partecipa a queste riunioni (la masticazione del qat è un vero e proprio status symbol che incide economicamente da un quarto alla metà dell’introito mensile, e dalla frequenza delle masticazioni e dalla loro esibizione anche per le strade è possibile capire il tenore di vita della persona).

Ritornando al lato musicale originariamente erano suonate, inframezzate da lunghi intervalli, suites vocali in tre movimenti con figure rtimiche prefissate di tipo diverso e caratterizzate da tempi crescenti, con il cantante che si accompagna con il “qambus” (l’antico liuto di Sana’a), oggi soppiantato dal più  moderno liuto arabo (oud) mentre il ritmo era fornito dal “Sahn” (una percussione formata da un piatto di rame o ciotola), anche questa soppiantata dal “darabukka” e dal “reqq”.

La seconda occasione per suonare è il “Samra”, intrattenimento notturno costituito da danze e canti e tipico di momenti conviviali come ad esempio quelli organizzati dalle famiglie degli sposi in occasioni dei matrimoni anche se più recentemente questa cerimonia privata ha assunto un rilievo talvolta pubblico.

Come per il magyal, c’è una tendenza a sostituire parti cantate con canzoni e con music he anche popolari indipendenti una dall’altra e spesso derivanti dai repertori delle regioni meno conservatrici come quelle meridionali e sud-occidentali del Paese.

Ma, al di là delle differenziazioni interne e delle contaminazioni tra gli strati più antichi e le tendenze più moderne, la musica dello Yemen ha una particolare attrattiva ed un grande fascino, aspetti questi elogiati anche nei tempi passati ed i musicisti di questo ensemble, riuniti dal musicologo Nizar Ghanem, rappresentano il meglio di quanto può offrire la musica yemenita. Alcuni dei solisti del gruppo hanno avuto un ruolo determinante nella registrazione dello splendido CD “The Music of Yemen”, pubblicato dall’americana Celestial Harmonies e coprodotto dallo stesso Ghanem”.

Nizar Ghanem (voce, oud), Saleh Abdulbaqi Shaibah (voce, oud, violino), Omer Ghallab (voce, oud), Hana’a Omer (voce), Abdulrahman Al-Amri (Sufi munshid, voce), Omer Bajubair (tabla), Marwan Al-Haidery (daf), Hamood Al-Gunald (voce, oud), Abdulelah Sallam, Zubaida Kassem & Kaiser Hussein (danzatori), Wahib Al-Awami (percussioni)

Discografia di riferimento:

“Music of Yemen: Sana’a”, Celestial Harmonies, 1998

 

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ANTONELLA CHIONNA “Vo©al gate”

ANTONELLA CHIONNA “Vo©al gate”

ANTONELLA CHIONNA “Vo©al gate”

DODICILUNE RECORDS Ed410. CD, 2019

di Alessandro Nobis

Sul perché e soprattutto sul “come” affrontare e suonare gli standards sono stati scritti, per citare gli Jalisse “Fiumi di parole”. E non è mai terminato il flusso, e mai terminerà. Però questo nuovo lavoro di Antonella Chionna mette un punto importante alla questione, visto che “Vo©al gate” presenta una modalità esecutiva particolarmente interessante vuoi per la straordinaria capacità vocale della musicista che per l’eccellente interplay che corre tra la Chionna e la ritmica che supporta e collabora alla musica, ovvero il pianista Harvey Diamond, il contrabbassista Bronek Suchanek ed il batterista Joe Hunt.

“Birth Variations”, che apre il disco, mette le cose in chiaro: il trio in sottofondo che improvvisa, sovraincisioni vocali che creano una realtà musicale multistrato tra il “parlato” ed il “cantato”, citazioni di Mina e di Arisa, dichiarazioni di intenti, il dialogo nel finale con la tronba di tutto fa capire cosa si andrà ad ascoltare.

Ed in effetti le riletture di “Anthropology”, di “Lover Man” o di “Fair Weather” per citare tre titoli danno la misura del valore del progetto, dove l’estensione e la grande dinamica della voce consentono di trasformare le scritture originali e di portarle alla contemporaneità: l’archetto che introduce il canto di “Lover Man” con l’uso delicato dell’elettronica (attorno al minuto 3’30”), il raddoppio vocale che apre il brano parkeriano con la batteria che detta il tempo con il bei soli di pianoforte e contrabbasso che riconducono ad una rilettura più mainstream ma con sempre la presenza della voce, anzi delle voci, che ci riportano alla modernità, la ballad gershwiniana splendidamente introdotta da Harvey Diamond con il testo cantato, quasi un recitativo che chiude il cerchio nel quale si muove questa straordinaria performer della quale avevo scritto in occasione del suo più recente quanto bellissimo lavoro, “Resonyable” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/05/08/antonella-chionna-rylesonable/).

www.dodicilune.com

DAVIDE IELMINI “Enten Eller: il suono ruvido dell’innocenza”

DAVIDE IELMINI “Enten Eller: il suono ruvido dell’innocenza”

DAVIDE IELMINI “Enten Eller: il suono ruvido dell’innocenza”

Autoproduzione, 21 x 21 cm, pagg. 169. Volume, 2019

di Alessandro Nobis

Davide Ielmini, giornalista e critico musicale con questo suo volume raccoglie una serie di interviste ai musicisti coinvolti nel progetto “Enten Eller” (avevo parlato della loro più recente produzione qui: https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/01/01/enten-eller-minotaurus/), certamente il più longevo dei collettivi che operano in ambito jazzistico a livello continentale, e probabilmente anche d’oltreoceano. Non è il primo volume dedicato al gruppo del compositore e percussionista Massimo Barbiero (nel 2010 veniva pubblicato “Enten Eller”, un volume con fotografie di Luca D’Agostino  e due racconti di Flaviano Massarutto) ma certamente in questo di Ielmini si può trovare e comprendere la progettualità che dal 1984 ha consentito al gruppo di produrre musica ai più alti livelli e riuscendo sempre all’interno di un perimetro scritto a sviluppare in modo significativo l’improvvisazione e dunque un dialogo tra i protagonisti davvero profondo.

ielmini coverSi leggono qui le interviste ma si legge in parallelo anche la biografia di Enten Eller, e l’occasione di “ascoltare le voci” dei protagonisti della prima line-up, di quelli che ne fanno parte attualmente e dei prestigiosi collaboratori che via via hanno preso parte al progetto aiuta grandemente a comprendere il percorso, da dove parte e dove è diretto.

Il pianista Ugo Boscain ed il fiatista Mario Simeoni sono i primi che danno voce alla storia di Enten Eller mentre Massimo Barbiero, Maurizio Brunod, Alberto Mandarini e Giovanni Maier rappresentano il presente dell’ensemble e ci raccontano delle loro esperienze personali e di come quattro personalità si sono trovate a dialogare ed a comporre ed improvvisare assieme. Poi “Una partecipazione completa alla musica”, tanto per chiarire il concetto che Barbiero & C. hanno di collaboratore esterno, è la corposa parte dedicata a quanti, chiamati, hanno saputo arricchire di idee e di suoni la musica ovvero Tim Berne, Giancarlo Schiaffini, Carlo Actis Dato, Achille Succi, Emanuele Parrini e Xavier Girotto.

Racconti interessanti che aprono, anzi spalancano una finestra sul mondo e sulla musica di questo eccellente ensemble raccontato anche dalle emblematiche fotografie di Luca D’Agostino, biografo visuale.

LA LESSINIA – IERI OGGI DOMANI: Quaderno culturale n. 42

LA LESSINIA – IERI OGGI DOMANI: Quaderno culturale n. 42

LA LESSINIA – IERI OGGI DOMANI: Quaderno culturale n. 42

BUSSINELLI EDITORE Verona, 2019. PAGG. 262, € 15,00

E’ stato pubblicato recentemente da Gianni Bussinelli Editore l’annuale “Quaderno” dedicato alla Lessinia, area pedemontana e montana a settentrione della città di Verona, importante serie di pubblicazioni della quale avevo già scritto in occasione della pubblicazione del volume del 2018 (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/07/21/la-lessinia-ieri-oggi-domani-quaderno-culturale-n-41/). E’ anche questa volta un interessante viaggio negli aspetti naturalistici e antropici di questa area che pur essendo limitata nella sua estensione offre da quarantadue anni spunti di ricerca a studiosi delle più diverse discipline.

Al solito il volume è suddiviso in numerose sezioni in grado offrire al lettore non solo l’occasione di conoscere nuovi aspetti della Lessinia ma anche di offrire idee ed itinerari per frequentare direttamente questa nostra bellissima montagna.

lessinia 2019Quindi una volta ribadita la validità del progetto e la passione con la quale viene portato avanti da un cospicuo numero di appassionati e studiosi diretti dal geomorfologo Ugo Sauro mi limito a segnalare gli articoli – brevi saggi forse il loro nome più adatto – presenti nel volume, a partire da quello scritto dal Prof. Angelo Andreis dedicato alle “Strade ex militari della Lessinia” ed a quanto di loro resta a cento anni dalla costruzione avvenuta in occasione della Prima Guerra Mondiale; una rete importantissima – che oggi viene percorsa dai numerosi escursionisti e fondisti – visto che il limite settentrionale della Lessinia rappresentava dopo il 1866 il confine tra il Tirolo ed il Regno d’Italia alla quale il territorio veronese venne annesso in quell’anno.

L’esperto speleologo Andrea Ceradini invece affronta in “Non solo Veja” il tema degli archi naturali lessinici meno conosciuti e giustamente tralasciando il più importante di loro, il Ponte di Veja; partendo da quello di Borago, appena a nord della città nell’omonimo vajo, Ceradini ci fa conoscere altri cinque archi naturali fornendo la loro precisa localizzazione geografica e le loro principali caratteristiche geomorfologiche fino a raggiungere il più alto in quota, il “Covolone”, a 1.040 metri nel comune di Erbezzo.

Il terzo articolo voglio sottoporre all’attenzione di chi mi legge è quello dello storico Marco Pasa, “Un significativo episodio di disboscamento cinquecentesco” che ci riporta nella seconda metà di quel secolo. Siamo nell’anno 1569 e viene istruita una causa tra Vicenzo del Ferro, imprenditore formaggere e proprietario terriero ed il monastero di Santa Maria in Organo che accusa il dal Ferro di avere tagliato alberi nella proprietà del monastero al fine di utilizzare la legna “pro conficiendo caseo” per poter produrre il formaggio. La sentenza darà ragione al dal Ferro e al di là della vicenda giudiziaria è interessante leggere i verbali riportati da Marco Pasa per la lingua utilizzata e per la precisione nel riportare le testimonianze.

Infine segnalo le splendide foto di Marino Molinaroli a chiusura del quaderno che ci regalano vedute inedite (in particolare quella a pagina 239) della montagna veronese.

Il volume si può reperire in alcune delle librerie veronesi e nei musei sparsi sul territorio della montagna veronese.

 

GAY McKEON “The Turning of the Geese”

GAY McKEON “The Turning of the Geese”

GAY McKEON “The Turning of the Geese”

Autoproduzione. Cd, 2019

Magari non sarà molto conosciuto al di fuori dei confini irlandesi al pari di altri suoi esimi colleghi – non ha mai militato nei gruppi di folk revival più in voga a partire dagli anni Settanta -, pur tuttavia il dublinese Gay McKeon riveste un ruolo molto importante nell’ambito della divulgazione e nella didattica dello strumento principe della musica popolare irlandese, le uilleann pipes. Didattica e divulgazione è la strada scelta da numerosi e validissimi musicisti irlandesi, mi vengono in mente tra gli altri il flautista Fintan ed il piper John Brian entrambi della famiglia Vallely di Armagh: didattica e divulgazione, due aspetti davvero fondamentali se si vuole perseguire lo scopo di tramandare e divulgare repertori e strumenti nelle generazioni più giovani. Così è nata la “cantera” dei gruppi irlandesi emersi negli ultimi anni e costituiti da musicisti delle più recenti generazioni.

MCKEON 02.jpgGay Mckeon è “Chief Executive” della prestigiosa “Na Piobairi Uilleann” (l’associazione dei pipers irlandesi) ed ha dedicato al sua vita artistica allo studio ed al perfezionamento delle cornamuse rivolto soprattutto alle esibizioni solistiche, quando l’abilità tecnica e l’espressività raggiungono la perfezione. Di Gay Mckeon avevo ascoltato ed apprezzato i tre medley contenuti nel cd pubblicato nel ’94 “THE DRONES AND THE CHANTERS VOLUME 2”, ovvero “The Ace & Deuce of Pipering”, “The Monaghan Jig / Francis Aucoin” e “Miss Ramsay / James Byrne’sReel” ed ora pubblica questo brillante “The Turning of the Geese” nel quale restituisce la voce a due set di pipes, la prima appartenuta (e costruita) dal grande Leo Rowsome (suo Maestro per tutti gli anni Sessanta) e la seconda costruita da Maurice Coyne un secolo e mezzo or sono.

Va da sé quindi che il repertorio è dedicato ai due liutai ed al loro repertorio; di Rowsome segnalo il set di reels “the Ace and Deuce of Piping / Madame Bonaparte” il secondo dei quali registrato da un altro misconosciuto piper (sul continente intendo) Finbad Furey e tra le altre tracce la magnifica slow air “Lament for Eoghan Ruaddh O’Neill imparatab da Peadar Broe ed il set di gighe “The Boys of Tandragee / Blackeyed Biddy / Garryowen” nel quale McKeon è validamente accompagnato dalla brillante violinista dublinese Jacqui Martin.

MCKEON 03 (1).jpgDisco importante, impregnato di storia e di cultura irlandese; segnalo infine che Gay McKeon sarà il prossimo novembre ospite della ventiseiesima edizione del William Kennedy Piping Festival di Armagh, dove si esibirà la domenica pomeriggio accompagnato dai figli Conor e Sean.

gay@pipers.ie

http://facebook.com/mckeong

 

 

SOSTIENE BORDIN: KING CRIMSON, ARENA DI VERONA 8 LUGLIO 2019

SOSTIENE BORDIN: KING CRIMSON, ARENA DI VERONA 8 LUGLIO 2019

SOSTIENE BORDIN: KING CRIMSON LIVE, ARENA DI VERONA 8 LUGLIO 2019

di Cristiano Bordin

Se c’è un gruppo che ha sempre camminato per una strada tutta sua costruendosi un suono dai tanti richiami ma dalla assoluta indefinibilità quelli sono proprio i King Crimson. E il gruppo di Robert Fripp, mutando nel corso dei decenni costantemente pelle ma compiendo il miracolo di rimanere  sempre se stesso, ha tagliato quest’anno il traguardo dei cinquanta  anni. Cinquanta candeline da festeggiare con un tour con la formazione che rappresenta l’ultima versione del  Re Cremisi: tre batterie – Gavin Harrison, Pat Mastelotto e  Jeremy Stacey, impegnato anche alle tastiere – Mel Collins, sax e flauto, Jakko Jaksick, chitarra e voce, Tony Levine al basso e ovviamente sua maestà Robert Fripp alla chitarra.

Una formazione, già protagonista in Italia di altri concerti e di altri tour, lunedì sera ha suonato davanti ad una platea prestigiosa come l’Arena di Verona. Niente tutto esaurito, ma comunque per festeggiare il compleanno del gruppo e del loro  primo album “In the Court of the Crimson King” c’erano circa diecimila persone per un concerto diviso in due set più un bis. In tutto quasi tre ore di musica. Tutte ad un livello altissimo.

Si parte con un dialogo a tre proprio tra i batteristi e poi “Pictures of a city“, brano da “In the wake of Poseidon”, con un riff chitarristico denso, scuro, metallico, quasi cattivo che ritroveremo in altri brani, accompagnato dal sax.  Poi si arriva ad uno dei momenti forse più attesi,  “Epitaph“.

E dopo “Radical action” e una grande versione di  “Islands” si  arriva quasi a concludere la prima parte ma ci sono ancora almeno un paio di  sorprese:  “Cat Food“, complessa e virtuosistica,  e “Frame by frame” .

Un primo set  impeccabile: tante sfumature ma anche un suono coerente che è capace  di costruire e di  spaziare tra paesaggi sonori diversi con la stessa maestria. Fripp è sempre  impassibile e sembra il direttore di un’orchestra che riesce sempre a ritrovarsi anche per i percorsi musicalmente più difficili con una naturalezza incredibile. E forse è proprio questa l’unica definizione possibile per i King Crimson: un’orchestra di musica contemporanea capace di riproporre con uno stile inconfondibile e sempre attuale  perché sempre capace di rinnovarsi, cinquant’anni di musica e cinquant’anni di carriera.

La seconda parte è qualcosa di quasi indescrivibile per coesione e  potenza. Si inizia con una fantastica “Sheltering sky” ed è il suono di “Discipline” a tornare ovviamente in una nuova veste. Succederà anche con “Indiscipline”  e sinceramente per apprezzando moltissimo Adrian Belew le versioni di questi due pezzi non me lo hanno fatto rimpiangere anche se rivederlo a fianco di Fripp per festeggiare i 50 anni sarebbe stata la classica ciliegina sulla torta. Dopo una  stupenda  versione di “Cirkus” arriva “Moonchild”  in una veste rinnovata, costruita sulla nuova formazione e sulle tre batterie e ovviamente “In the Court of the Crimson King“. Il finale è da brivido: prima “Starless” che chiude il secondo set e poi, nel bis,  una più che poderosa “21th Century Schizoid Man” con improvvisazione finale con cui i Crimson terminano la loro esibizione areniana tra gli applausi e un’ovazione generale

Proprio “Starless” sarà poi al centro dei commenti post concerto: una imperfezione di Fripp durante “Starless”, una specie di refuso, diventa motivo di interminabili discussioni in rete. Discussioni che forse dimenticano una frase pronunciata proprio da Fripp in un’intervista “Personalmente non mi importa  quando i musicisti commettono errori. Anzi quello che vedi è la qualità del musicista che risponde all’errore davanti al pubblico“. E la qualità del musicista e del gruppo sul palco è stata incredibile come tutto questo concerto e come lo saranno  sicuramente le  prossime date  di questo tour. Cinquant’ anni di carriera  hanno dimostrato che ci sono più idee in una canzone dei King Crimson che in interi decenni di musica. E questa serata lo ha assolutamente confermato.

Dei King Crimson vi avevo già parlato qui:

https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/06/20/king-crimson-live-in-vienna-december-1-2016/

https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/11/06/king-crimson-live-in-chicago/

https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/04/19/king-crimson-live-in-toronto/

 

FRANCIS M. GRI “B/ue”

FRANCIS M. GRI “B/ue”

FRANCIS M. GRI “B/ue”

“Krysalis Sound Records KRS 33, CD 2019”

di Alessandro Nobis

L’ultima occasione di parlare della musica di Francis M. Gri su questo blog era stata in occasione della pubblicazione di un interessante lavoro in collaborazione con il compositore veronese Federico Mosconi (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/02/15/gri-mosconi-between-ocean-and-sky/); qualche settimana fa, precisamente l’8 giugno è stato pubblicato il suo lavoro solista più recente, “B/ue”. E’ importante in questo caso sottolineare la data visto che quel giorno era come ogni anno dedicato in tutto il mondo agli oceani; un lavoro collettivo che celebra l’ambiente marino al quale hanno contribuito oltre a Francis M. Gri che ha composto e suonato la parte musicale Andrea Scodellaro autore dell’artwork (sua la copertina e le nove grafiche contenute nel packaging) e la videomaker Alisa Javits con il suo evocativo, efficace quanto suggestivo video (https://vimeo.com/340761902?ref=fb-share&fbclid=IwAR2aNi61JYW0AnjnbJ4t0uP_LRmkAdd-gFlBqM64ZUr1_6krhIeqAGm-vNA).

La performance di Francis M. Gri consiste in una lunga composizione caratterizzata al solito da una affascinante e complessa musica che mi piace definire “multistrato” nella quale si riconoscono gli elementi che la compongono creati elettronicamente, che comprende suoni “alieni” che ricordano quelli naturali e che mi piace pensare cerchi di definire un ambiente futuribile ma che rischia di diventare reale. Non ci sono voci naturali di animali o rumori della risacca, il tutto è piuttosto “algido” ed asettico, quasi una visione di quello che potrà essere il futuro degli oceani e dei mari interni: una massa d’acqua irrimediabilmente alterata nella sua essenza e priva di vita che altrettanto irrimediabilmente porterà alla progressiva assenza di vita sulla terraferma, visione piuttosto catastrofista condivisa da numerosi studiosi di biologia marina.

Visione che deriva dall’ascolto di questo splendido “B/ue” che dà l’opportunità a chi fruisce della sua bellezza di cercare una personale chiave di lettura di questo lavoro. Questa è la mia.

http://www.krysalisound.com

 

VOLO SUL MONDO: Festival Memorial Rudy Rotta, Verona 13 luglio 2019

VOLO SUL MONDO: Festival Memorial Rudy Rotta, Verona 13 luglio 2019

DALLA PICCIONAIA: VOLO SUL MONDO. Festival Memorial Rudy Rotta

“Verona, Teatro Romano, 13 luglio 2019”

di Alessandro Nobis

Correva l’anno del Signore millenovecentonovanta (21 e 22 giugno per essere precisi) e sul palco del Teatro Romano in occasione della prima memorabile quanto unica edizione di “Donne in Blues” salirono niente di meno che le Stars of Faith, Margie Evans, Dee Dee Bridgewater, Valerie Wellington, Karen Carroll e Katie Webster. Dopo quell’episodio il blues di questo livello a Verona si è visto raramente, Corey Harris se ricordo bene ed uno strepitoso concerto in Cortile Mercato Vecchio di Guy Davis all’interno dei “Concerti Scaligeri”, altra rassegna cassata dall’Amministrazione.

Volo sul Mondo Festival_Manifesto.jpg

Sabato 13 luglio a partire dalle ore 21 la musica del diavolo ritorna al Teatro Romano con la presenza di una delle figure più importanti del blues di questi ultimi anni, il californiano classe 1951 Kevin Roosevelt Moore (a.k.a. Keb’ Mo’). Cosa c’entra “Donne in Blues” con questa serata, direte voi. C’è un filo conduttore che lega le due manifestazioni, e si chiama Rudy Rotta. Il chitarrista e compositore veronese fu infatti uno dei promotori con il critico musicale Giampaolo Rizzetto di quelle due serate e ne fu anche uno dei protagonisti (accompagnò infatti Valerie Wellington in un infuocato set con Cesare Valbusa, Roberto Morbioli, Willy Mazzer e Riccardo Massari) e la serata di sabato 13 vuole ricordare la sua figura a due anni dalla sua prematura scomparsa.

“Volo sul mondo: Festival Memorial Rudy Rotta” è il nome che l’Associazione Culturale Rudy Rotta e la società A-Z Blues hanno voluto dare a questo importante evento, ma non solo, c’è anche l’opportunità di dare un contributo acquistando il biglietto di ingresso a due associazioni che operano nell’ambito della ricerca medica, ovvero l’Unione Italia Lotta alla Distrofia Muscolare (U.I.L.D.M.) e la Fondazione pe la ricerca sul cancro (A.I.R.C), quindi non provate ad entrare gratis, mi raccomando.

La serata ha un menu’ ricco di ospiti, alcuni dei quali saranno accompagnati dalla RR Band (Pippo Guarnera all’organo Hammond e piano, Renato Marcianò al basso ed Enrico Cecconi alla batteria) che come dicevo suoneranno nei set di Matteo Sansonetto (chitarrista dallo stile tipicamente influenzato dalle sonorità del Chicago Blues, e dotato di una notevole voce soul e di uno stile chitarristico grintoso ed essenziale), di Mike Sponza (“Il talento di uno dei più grandi chitarristi blues italiani, ormai una sorta di guru del blues nazionale: il risultato è un’esplosione di classe, ritmo ed energia.” Lo dice il Corriere, e tanto basta) e di Gennaro Porcelli considerato dal pubblico e dalla critica specializzata uno dei migliori talenti del “Blues Made in Italy” con un repertorio che spazia dal Chicago style a quello di New Orleans, da quello di Austin a quello di Memphis. Sarà infine anche l’occasione di ascoltare in apertura il duo Superdownhome (suonano una sorta di rural blues “contaminato” e sono Henry Sauda alla voce, cigar box, diddley bow e Beppe Facchetti alle percussioni) e l’atteso Sonohra Project Trio, con un set preparato accuratamente per far conoscere e capire al pubblico quale sia il loro retroterra culturale musicale.

C’è poi come detto la “portata principale”, il grande Keb’ Mo’ che grazie all’Associazione Culturale Rudy Rotta ha fatto di Verona una delle tappe del suo attesissimo tour europeo nel quale presenta la sua più recente produzione, “Oklahoma”; il suo primo lavoro risale al 1980 (“Rainmaker”) ed il suo stile che qualcuno ha definito “post modern blues” contiene riferimenti anche ad idiomi musicali diversi come il folk, il jazz ed anche il country, non aspettiamoci quindi un clone dei grandi padri della musica del diavolo ma uno dei più fiorenti rami che da essa sono nati nel corso del Novecento. Comunque una delle stelle del blues odierno.

Direi che “Volo sul Mondo Festival: memorial Rudy Rotta” presenta motivazioni per gli amanti della musica, per quanti hanno conosciuto e vogliano ricordare Rudy Rotta assieme ad alcuni musicisti, per quelli che amano la musica blues e non hanno mai conosciuto personalmente Rudy ed anche per aiutare le due associazione sopra menzionate.

Non vi bastano queste motivazioni? Allora dico anche che durante la serata verrà presentato “Now and Then…and Forever”, il disco postumo (questa parola è orribile ma rende l’idea) di Rudy Rotta.

 

 

VINCE ABBRACCIANTE “Terranima”

VINCE ABBRACCIANTE “Terranima”

VINCE ABBRACCIANTE “Terranima”

DODICILUNE Records, Ed421. CD 2019

di Alessandro Nobis

Se il precedente, bellissimo “MPB” era uno studio ed una rielaborazione della musica brasiliana e dei suoi autori (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/03/28/paola-arnesano-vince-abbracciante-mpb/), questo nuovo lavoro di Vince Abbracciante è dedicato alla sua terra madre: il compositore  della bianca Ostuni ha fatto per questo “Terranima”, come si dice, “le cose in grande”, portando con sé nello studio di registrazione una nutrita schiera di musicisti e nove composizioni per le quali ha disegnato con grande cura arrangiamenti che valorizzano non solo la sua idea di musica ma anche le personalità dei musicisti ospiti.

Il quartetto d’archi Alkemia, una piccola sezione fiati (Gabriele Mirabassi, Aldo di Caterino, Nicola Puntillo e Giuseppe Smaldino), la chitarra di Nando di Modugno, il contrabbasso di Giorgio Vendola e le percussioni di Pino Basile. E ascoltando il risultato possiamo dire che l’equilibrio rasenta la perfezione, che la reazione chimica tra musicisti ideata dal leader si concretizza in musica di ampio respiro, orchestrale, filtrato attraverso i ritmi ed i colori della tradizione ad esempio del saltarello (il brano di apertura, dedicato alla Dodicilune).

Lo sviluppo di “Impressioni Puglia” narra meglio di qualsiasi parola il progetto di Abbracciante dove la sua fisarmonica e il clarinetto di Mirabassi si elevano sull’accompagnamento degli archi descrivendo ritmi e colori della terra pugliese: ed ancora il “link” con il sudamerica di “La borsini” con un bel assolo di Giorgio Vendola che precede quelli di Mirabassi e del Di Modugno o la pacatezza della “Serenata del canto e dell’incanto”; sintesi tra la “terra” e l’”anima”, Terranima appunto.