FERDINANDO SCIANNA “In viaggio con Roberto Leydi”

FERDINANDO SCIANNA “In viaggio con Roberto Leydi”

FERDINANDO SCIANNA

“In viaggio con Roberto”

squi[libri], 2015. 107 pagg. € 14,00

di Alessandro Nobis

Tutto ciò che il fotografo – giornalista Ferdinando Scianna racconta in questo volume ebbe inizio nel 1962, nella piazza di Bagheria, dove – grazie ad una soffiata del poeta Ignazio Buttitta – incontrò per la prima volta Roberto Leydi, arrivato in paese per assistere ad una performance di Ciccio Busacca.

Inizia così il racconto di una lunga amicizia personale e di una reciproca collaborazione professionale che dalla redazione de “L’Europeo” portò i due a testimoniare fotograficamente e con fondamentali documenti sonori manifestazioni tradizionali al santuario di Santiago de Compostela, la vita dei gitani in Francia, le numerose ed antiche feste alpine legate al periodo del Carnevale, le feste popolari di Basilicata Calabria, giusto per citarne alcune.

leydi 02 1La lettura è molto piacevole, vi si legge l’affetto ed il grande rispetto verso Leydi – probabilmente reciproco – e vi leggono anche le modalità di indagine – invasiva il meno possibile – della cultura popolare. In quegli anni Leydi era impegnato anche con l’Almanacco Popolare, erano i tempi del Nuovo Canzoniere Italiano ovvero di quando dalla ricerca sul campo si cercava il modo di perpetuarla rinnovandola, facendola conoscere ad pubblico il più ampio possibile.

L’apparato iconografico è molto interessante, i bellissimi scatti – per la maggior parte in bianco e nero – sono minuscoli istantanee, catturano attimi che diventano anche testimonianze di quanto sia stato importante il lavoro di Roberto Leydi e di quanti hanno collaborato con lui e sono cresciuti con i suoi insegnamenti.

leydi 01I testi sono una rielaborazione degli interventi dell’autore in due eventi promossi in occasione del decimo anniversario della scomparsa di Leydi ed organizzati dall’Università di Milano, come racconta in chiusura Nicola Scaldaferri.

Ritengo questo un volume molto interessante per tutti coloro si muovano nel territorio della cultura popolare e anche per quelli che avrebbero voluto conoscere personalmente questa figura cardine della cultura italiana.

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OREGON “Winter Light”

OREGON “Winter Light”

OREGON

“Winter Light”, Vanguard Records, 1974

di Alessandro Nobis

Nell’estate del 1974 Ralph Towner, Glenn Moore, Colin Walcott e Paul McCandless entrano in studio per registrare quello che secondo me rappresenta il vertice della loro produzione con questa line-up, ovvero “Winter Light”. Pubblicato come terzo disco, è in realtà il loro quarto album considerato che il primo, registrato nel ’70, fu pubblicato solamente dieci anni dopo con il titolo “Our First Record”.

Incontratisi all’Università dell’Oregon e nonosciutisi nell’ambito del Paul Winter Consort, il quartetto può a pieno diritto essere considerato come il capostipite e inventore di un genere, la cosiddetta “world music” che mescola con il jazz diverse influenze, suoni e stili musicali. E gli Oregon lo hanno fatto in modo mirabile e sapiente, regalando “perle di saggezza” musicale come questo magnifico Winter Light. Di più, dal vivo avevano sviluppato una capacità improvvisativa che mai più nessuno in questo ambito ha saputo riproporre a questi livelli e che avevano saputo perpetuare anche dopo la scomparsa di Colin Walcott prima con Trilok Guru e poi con Mark Walker. La chiave è l’eclettismo dei musicisti: di Towner celeste chitarrista ed altrettanto pianista, di McClandless bravissimo a destreggiarsi ai sassofoni ed all’oboe, di Colin Walcott che passa non nonchalance dal sitar alle tabla e dal clarinetto alle congas ed infine di Glenn Moore, quadratissimo contrabbassita ma anche violinista e pianista. Tutti sono compositori e in Winter Light trovi straordinarie melodie come le towneriane “Ghost Beads” ed il brano che apre la prima facciata “Tide Pool” – il brano che mi ha aperto l’universo Oregon) -, la struggente “Fond Librè” di McCandless, l’interpretazione di “Witchi Tai Tu” di Jim Pepper e le argute improvvisazioni di “Poesìa” e “Street Dance”.

Grandioso.

FILIPPO GAMBETTA “Otto baffi”

FILIPPO GAMBETTA “Otto baffi”

FILIPPO GAMBETTA

“Otto Baffi”, Autoproduzione, 2015

di Alessandro Nobis

“Composizioni originali per organetto ad otto bassi”. Questo il sottotitolo del lavoro solista dell’organettista e mandolinista ligure Filippo Gambetta pubblicato nel 2015 ed il cui titolo rispecchia l’ironia tipica “di famiglia”.

Un nutritissimo nugolo di ospiti – oltre venti – che colorano con i suoni più vari questi dodici brani che al primo ascolto si rivelano molto piacevoli e che ad ascolti ripetuti rivelano sfumature ed abbellimenti in ogni “solco”. Forse, dico forse sarebbe stato più comodo rispolverare vecchie danze tradizionali e riproporle, ma Filippo Gambetta ha scelto la strada di scrivere nuove melodie e nuovi temi a danza rispettando i loro ancestrali ritmi: qui trovate “nuove” Tarantelle, mazurke, scottish e valzer, polche e boureè con pregevoli arrangiamenti che coinvolgono via via sempre diversi musicisti. Il quartetto di clarinetti nella seconda parte di “Agata”, la musette in “Hetraie / Bole Coschi” ed ancora il tamburello ed il violino in “Marsicana” o il pianoforte e contrabbasso in “Tapan”.

gambetta-e1454017429674Disco molto interessante, fortunatamente il sentiero segnato dal pistoiese Riccardo Tesi oramai quasi tre decadi fa è percorso da altri talentuosi musicisti come il genovese Filippo Gambetta.

Altrimenti i Maestri a cosa servono se non ad illuminare il grigiore della mediocrità?

 

http://www.filippogambetta.com

GIULIANA FUGAZZOTTO: “I quattro siciliani”

GIULIANA FUGAZZOTTO: “I quattro siciliani”

GIULIANA FUGAZZOTTO

“I quattro siciliani: la straordinaria vicenda di Rosario Catalano e del suo quartetto nell’America degli anni Venti”

NOTA, 2015. 127 pagg. con CD allegato. € 20,00. Distribuzione EDT.

di Alessandro Nobis
Alla fine un po’ di costanza mi ha premiato. Mi riferisco a quella utilizzata per rintracciare questo volume: “non disponibile”, “non disponibile”, “non disponibile”, finalmente un “disponibile” per un volume pubblicato nel 2015, manco fosse stampato a mano da monaci Amanuensi. Peccato perché “I quattro siciliani” come altre pubblicazioni curate dalla musicologa Giuliana Fugazzotto, apre finestre a noi sconosciute sul mondo dell’emigrazione italiana, in particolare sulle registrazioni di musicisti immigrati per il mercato americano. Rosario Catalano, mandolinista, Giuseppe Tarantola, clarinettista, Carmelo Ferruggia, chitarrista e Girolamo Tamburella, contrabbassista erano “I quattro siciliani” che il 1917 ed il 1925 r4 sicilianiegistrarono valzer, polche, mazurche, contradanze, scottish e quantaltro avesse la funzione di far ballare il pubblico in assenza di musicisti in carne ed ossa. Il volume ne narra la storia, con un linguaggio preciso e molto divulgativo, dal loro primo successo “Speranze Perdute” alla figura del principale compositore del quartetto, Giuseppe Tarantola, dalla realizzazione di una loro etichetta – la Catalano Records fino al loro in Italia ed alla conclusione della loro avventura segnata dalla morte di Catalano, come detto nel 1925.

Un volume con un apparato iconografico molto ricco ed a colori, con foto di documenti e di cataloghi d’epoca oltre ad un puntigliosissima discografia curata da Richard K. Spottswood. Nel CD 23 brani provenienti dai 78 giri della preziosa collezione dell’autrice. Un volume questo, che assieme a “Ethnic Italian Records” e “Sta terra nun fa pi mia” meriterebbe senza alcuna ombra di dubbio ampia diffusione visto l’argomento ed il suo valore storico – divulgativo.

DALLA PICCIONAIA: Hot Three

DALLA PICCIONAIA: Hot Three

LA FONTANA AI CILIEGI, SAN PIETRO IN CARIANO (Vr), sabato 12 MARZO 2016

di Alessandro Nobis

Gli Hot Three sono la cantante Adele Guglielmi ed i chitarristi Sandro Gibellini e Marco Poli: la loro missione è la riscoperta del songbook di uno dei maggiori compositori nordamericani del ‘900, ovvero Izrail’ Moiseevič Bejlin, a.k.a. Irving Berlin. Quanto sentito nel veronese, alla Fontana ai Ciliegi per l’occasione trasformata in un jazz club (non fumoso per mia fortuna), ci ha ricordato quanto sia stato importante e prolifico il lavoro di questo autore di origine russa forse un po’ dimenticato e quanto sia stata intelligente la scelta di questi tre jazzisti italiani di rivolgere la loro attenzione alle sue composizioni, soprattutto verso quelle meno conosciute.

IMG_1144Via rischiosa ma lucidamente percorsa grazie agli arrangiamenti che mettono in piena luce la bellezza e la purezza di queste melodie che interpretate fuori dal contesto cinematografico “esplodono” in tutto il loro fascino e grazie anche naturalmente alla bravura dei tre: di Gibellini conoscevo già la sua grande personalità e bravura tecnica, i suoi compagni di viaggio non li conoscevo. Bella, precisa ed espressiva la voce di Adele Guglielmi ed efficace il chitarrismo “mainstream” di Marco Poli.

Gli Hot Three hanno dato la possibilità di riascoltare – o ascoltare per la prima volta – brani tratti da “On the Avenue” (1939) come “He ain’t got a rhythm”, “As thousand Cheer” del ’35 come “Heatwave” o tratti dal film dell’anno seguente “Follow the fleet” (con Fred Astaire e Ginger Rogers) come “I’m putting all my eggs in a basket” e “Let your self go”. Voglio ricordare inoltre il bel solo di Gibellini in “Change Partners” e l’efficace interplay con Poli in “All by myself”BerlinPortrait1

Certo, come sempre capita a chi vuole sfidare i cosiddetti “Standards” non è facile misurarsi con Billie Holiday, Frank Sinatra, Ella Fitzgerald e compagnia bella, ma se lo fai con la consapevolezza dell’irraggiungiblità dei modelli e con la discrezione e la professionalità condite dall’idea di come lavorare sui testi sacri e di personalizzare le melodie, il risultato può essere molto interessante. E’ il caso degli Hot Three.

SERGIO ARMAROLI AXIS QUARTET “Vacancy in the Park”

SERGIO ARMAROLI AXIS QUARTET “Vacancy in the Park”

SERGIO ARMAROLI AXIS QUARTET

“Vacancy in the Park”, Dodicilune, 2015

di Alessandro Nobis

Facendo mente locale, non riesco a mettere insieme dieci vibrafonisti di ambito jazzistico: Lionel Hampton,

Bobby Hutcherson, Milt Jackson, Walt Dickerson, Gary Burton, Karl Berger, Capt. Ted Wilson. Sì, non arrivo a dieci. E quindi, quando viene pubblicato un disco di un vibrafonista, a maggior ragione se italiano, la curiosità mi assale. La Dodicilune, sempre attivissima, ha pubblicato sul finire del 2015 questo bel “Vacancy in the Park”, secondo episodio del quartetto “Axis” capitanato appunto da un vibrafonista, Sergio Armaroli, in compagnia di Claudio Guida (sassofoni), Marcello Testa (contrabbasso) e Nicola Stranieri (batteria). Definire Armaroli solamente come uno virtuoso del suo strumento è però riduttivo: è infatti anche il compositore di nove dei dieci brani presenti nel disco oltre che l’autore dei dipinti riportati sulla copertina, al solito elegante, nello stile insomma dell’etichetta salentina.

L’ascolto scorre fluido, la musica proposta da Armaroli è molto piacevole, ottimamente arrangiata ed il quartetto si muove con un notevole livello di dialogo non solo perché il gruppo è rodato, ma anche perché la tecnica sugli strumenti lo consente. Mi sono piaciuti particolarmente “Fiocco di neve”, con “ostinato” di vibrafono e gli assoli che si susseguono uno dopo l’altro, il brillante brano che il titolo all’album con il tema eseguito all’unisono dal vibrafono e dal sassofono. Cito anche “Fragments (a Bird)” dall’incedere monkiano. Un bel disco, distribuito dalla IRD ed acquistabile anche dal sito dell’etichetta http://www.dodiciluneshop.it

JERRY GARCIA “Ragged but Right”

JERRY GARCIA “Ragged but Right”

JERRY GARCIA ACOUSTIC BAND       

“Ragged but right” Jerry Garcia Family, 2010

Pubblicato su FOLK BULLETIN, 2011

di Alessandro Nobis

Era il 1964 quando Jerry Garcia diede vita ai Black Mountain Boys con David Nelson e Sandy Rothman, un anno prima quindi della fondazione di The Warlocks, band che quasi subito prese il nome di Grateful Dead. Una passione, quella del bluegrass e più in generale della tradizione americana, che Garcia coltivò fino alla fine; prima con il folk elettrificato dei New Riders of The Purple Sage, poi con il supergruppo Old And In The way, le collaborazioni con David Grisman ed infine con il gruppo titolare dell’incisione che vi presentiamo.

Questo sestetto, che oltre ai due fidi Nelson e Rothman, schiera il contrabbassista John Kahn, il violinista Kenny Kosek (Country Cooking) ed il percussionista David Kemper, aveva un repertorio radicato nella più pura tradizione americana fatta di classici interpretati in modo piuttosto originale, lasciando spazio all’improvvisazione ed agli assoli: una musica tradizionale sì nei contenuti ma molto lontana dai gruppi bluegrass più “ortodossi” e conservatori, come qualche anno fa ebbe modo di raccontarci Peter Rowan, altro musicista collaboratore di Garcia al tempo degli Old and in the Way.

La sequenza dei brani, che provengono da due concerti del 1987 fino ad oggi inediti, va dai “traditional” come “Deep Elem Blues” (anche nel repertorio acustico dei Grateful Dead), “Ragged But Right” (arrangiamento di una esecuzione di Riley Puckett del 1934) alla rivisitazione di “Trouble in Mind” (un blues eseguito anche da Big Bill Broonzy e Bessie Smith) fino alla rilettura dei brani di Leadbelly “Goodnight Irene” e del grande chitarrista Don Reno, autore di “Drifting with the tide” (1952) con ispirati “breaks” di David Nelson.

Una fortuna che qualcuno – leggi Dick Latvala e John Cutler – abbia voluto registrare ed archiviare tutti i concerti dei Dead & C.: a quasi venticinque anni di distanza, questa musica è ancora fresca, interessante e rappresenta ancora un riferimento per le nuove generazioni. Segnaliamo infine l’attesa ristampa dell’altrettanto ottimo “Almost Acoustic”, stesso gruppo, stessa tourneè.

Alessandro Nobis

GRAHAM BOND “Live at BBC and other stories”

GRAHAM BOND “Live at BBC and other stories”

GRAHAM BOND

“Live at BBC And Other Stories 1962 – 1972”

Repertoire, 2015. Box 4CD

di Alessandro Nobis

Dick Heckstall-Smith, John McLaughlin, Ginger Baker, John Hiseman, Jack Bruce: quale è il loro denominatore comune? Il suo nome è Bond, Graham Bond.

gbo 1Classe 1937 di Romford, a nord est di Londra. Dotatissimo organista (hammondista dal grand senso del groove e dello swing), e “Direttore” della Graham Bond Organ-isation, gruppo che con la Blues Incorporated di Alexis Korner agli albori degli anni sessanta dettava ritmi e sonorità alla “nuova” musica inglese intrisa di rhythm and blues, di jazz e di blues proveniente da oltreoceano. I suoi adepti più conosciuti erano quelli citati in apertura, che qualche anno dopo daranno vita a gruppi come The Cream e Colosseum o risponderanno “presente” alla convocazione del divino Miles.

E “benedetta sia la Repertoire” per avere riportato e ripulito – per quanto possibile – queste registrazioni che arricchiscono il povero parco di registrazioni ufficiali della GBO (“The sound of GBO e “There’a a Bond between us” entrambi del 1965 e il doppio “Solid Bond” pubblicato nel 1970 ma contenente registrazioni precedenti). Se vogliamo capire quale sia stata l’evoluzione della musica rock inglese dobbiamo ritornare a questi anni, quando nei piccoli locali e teatri londinesi (come il “Paris Cinema”) giovani e dotatissimi musicisti sperimentavano nuove vie partendo dalle radici americane. Qui trovate una versione di “Walking in the park” incisa poi e proposta dal vivo dai Colosseum di Dave Greenslade, lo spiritual “Wade in the water” del 1963 con McLaughlin – Bruce – Baker e la voce di Bobby Brown, improvvisazioni tra Heckstall-Smith e Graham Bond, “Things are getting better” di Cannonball Adderley suonata dal quintetto di Don Rendell (con tra gli altri Heckstall – Smith e Bond) e altre quattro succose ore di ottima musica: un box direi seminale per quanti abbiano seguito e seguano il fiume del British Blues.

EMANUELE MANISCALCO meets SANDRO GIBELLINI

EMANUELE MANISCALCO meets SANDRO GIBELLINI

“Emanuele Maniscalco meets Sandro Gibellini”

Ritmo&Blu Records, 2016

di Alessandro Nobis

Mi sto chiedendo, adesso, mentre scrivo, quanti siano i dischi di jazz che vedano coinvolti solamente il pianoforte e la chitarra. Senza chiedere “aiutini informatici” mi vengono in mente i celestiali “Undercurrent” e “Intermodulation” della premiata ditta Hall – Evans ed in ambito italiano l’ottimo live “Percorsi” di Lanfranco Malaguti e Umberto Petrin. Non ricordo altro.

Ah si, anche questo “Meets”, ovvero una splendida collaborazione del chitarrista Sandro Gibellini e del pianista Emanuele Maniscalco. Un bel disco ribadisco, posso dire “nato” grazie al crowfunding che ha consentito finalmente a Gibellini di rifarsi “vivo”, discograficamente parlando intendo, perché la sua attività live è meritatamente più intensa.

I due si incontrano negli ampi territori del mainstream d’alta scuola, con quattro brevi puntate in quelli più insidiosi dell’improvvisazione (“Detune ahead”, “Be no means”, “Almost Easter” e ”Coffee with bread”). Piatto forte sono comunque le rivisitazioni dei grandi autori del jazz (il Charlie Parker di “Passport”, la bellissima ed introspettiva “Blue Midnight” di Paul Motian o la coppia Mercer / Kern di “I’m old fashioned “ che apre il disco) e, voglio sottolinearlo, le composizioni originali di Sandro Gibellini “Relaxin’ at Alisei” e “Feliz”.

Interplay di gran classe ed intelligente scelta del repertorio, un altro esempio di come si sia sviluppato il jazz italiano anche in ambito mainstream. La linea tracciata da Salvatore Massaro che passa attraverso Wes Montgomery, Tal Farlow, Jim Hall ed anche, perché no, da Franco Cerri, è quella che prosegue in Sandro Gibellini, ed anche il pianismo di Emanuele Maniscalco è fortemente intriso da quello dei grandi padri che hanno fatto la storia della musica afroamericana.

Siedetevi in poltrona, rilassatevi e ossigenate il cervello. Poi procuratevi il disco.

DALLA PICCIONAIA: Balen & Xabier Lopez De Munain

DALLA PICCIONAIA: Balen & Xabier Lopez De Munain

RADIO POPOLARE VERONA, Sabato 21 febbraio 2016

di Alessandro Nobis

La prima serata di IL DIAPASON LIVE!, che sì è tenuta sabato 21 febbraio, ha visto come protagonista la viola da braccio, nelle mani prima di Xabier Lopez De Munain e poi di Roberta Stanco. Due storie musicali diverse, due generi diversi, due accompagnatori diversi. Del secondo vi parlerò in un’altra occasione (era l’algerino Hamza Laoubadia Sellami), mentre il primo era l’esperto chitarrista compositore di Bilbao Balen Lopez De Munain. Per l’occasione suonava con il figlio Xabier – penso fosse l’esordio del duo -, presentando nel breve set brani della tradizione dei Paesi Baschi rivisitata con la consueta intelligenza e bravura; anche se Xabier è musicista molto giovane ma già “formato” mi è parso assecondare nel migliore dei modi il sofisticato ed articolato chitarrismo di Balen Lopez De Munain, che secondo il mio modesto parere mostra tutta la sua raffinatezza stilistica soprattutto quando si esibisce assieme ad uno strumento ad arco (viola, violoncello o contrabbasso che sia). Tra i brani quoto “L’usignolo”, melodia composta da Padre Donostia ai primi del ‘900 con la voce cantata sostituita dal suono della viola da braccio.

Breve set che ha lasciato l’acquolina in bocca ai presenti. Quindi personalmente auguro un luminoso futuro al duo nella speranza di risentirlo in un intero concerto.