MENGELSDORFF MOUZON PASTORIUS “Trilogue Live”

MENGELSDORFF MOUZON PASTORIUS “Trilogue Live”

MENGELSDORFF MOUZON PASTORIUS “Trilogue Live”

MPS Records, 1977

di alessandro nobis

Ora che se sono andati tutti e tre – l’ultimo, Alphonse Mouzon giusto un paio di giorni fa – mi sembra giusto estrarre dallo scaffale e riascoltare questo memorabile vinile registrato al Jazz Festival di Berlino nel lontanissimo 6 novembre 1976. Certo che la bravura e l’intelligenza di un direttore artistico di un festival si misura anche dalla capacità di far incontrare sul palco musicisti e mettere a prova la loro capacità creativa “istantanea”, ovvero la capacità di improvvisare e dialogare mantenendo fermi alcuni “incroci” e lasciando ad ognuno le proprie storie e background musicali, ed in questo Joachim Berendt ha colto nel segno.

trilogue-live-coverAlphonse Mouzon, batterista afroamericano prima con McCoy Tyner e quindi co-protagonista del primo LP dei Weather Report, Albert Mengelsdorff trombonista tedesco uno dei leader del movimento della free music europea e Jaco Pastorius bassista prodigioso a quel tempo parte del gruppo di Shorter & Zawinul si incontrano così per un “accidental meeting” dando vita ad uno dei migliori dischi ascrivibili al jazz di quegli anni, spiazzando parecchio i fans del bassista americano per la musica piuttosto lontana da quella proposta dai W.R. di quel periodo.

“Accidental Meeting”, titolo di uno dei brani, nasce unendo tre frammenti di diversi spartiti caduti “accidentalmente” e “incontratisi” sul pavimento: Mengelsdorff li raccoglie, li unisce e da’ vita al brano con i due degni compari (verità o mito non saprei, ma comunque così sta scritto nelle note di copertina dell’album e comunque conoscendo appena un po’ il mondo della musica eurpea di quegli anni, la “verità” ci sta tutta….). Giusto per dare l’idea di come nascano certo jazz, quello che preferisco.

Per me il miglior disco con la partecipazione di Pastorius, quello più creativo, libero ed anche gustosissimo, e si vi piace il Pastorius extra Weather Report, ripescate anche il disco in trio con Bob Moses e Pat Metheny. Ne vale la pena.

“Trilogue Live”, prodotto dall’autorevole Joachim Berendt, per motivi di spazio riporta solamente una quarantina di minuti del concerto, mentre la performance nella sua interezza può essere ascoltata al seguente link: https://www.youtube.com/watch?v=O-z9JR6EqTA

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JORDI SAVALL “Llibre Vermell De Montserrat”

JORDI SAVALL  “Llibre Vermell De Montserrat”

JORDI SAVALL  “Llibre Vermell De Montserrat”

ALIA VOX AVSA 9919 CD, 2016.

di Alessandro Nobis

Durante il saccheggio ad opera delle orde napoleoniche messo in atto tra il 1811 e l’anno seguente al Monastero catalano di Montserrat, si salvò miracolosamente dalle fiamme un solo manoscritto che più tardi venne rilegato e ricoperto con un tessuto rosso vermiglio, un libro che da allora viene chiamato “Llibre Vermeill De Montserrat”. Sul suo enorme valore culturale sono state scritte migliaia di pagine, e quindi vi  racconto solamente che comprende 127 fogli scritti su ambedue le facciate (erano 172) alcune delle quali contengono uno dei più importanti patrimoni del medioevo musicale. In quel tempo – e sto parlando della seconda metà del 14° secolo – il Monastero era frequente meta di pellegrini che durante le ore diurne sostavano al di fuori della costruzione ma che la notte si rifugiavano all’interno della chiesa. Ecco quindi che il manoscritto contiene canti – in catalano, latino ed anche occitano –  e danze diciamo così profane. Molti comunque sostengono che il repertorio sia ben più antico, e che quindi canti e musiche risalgano ai secoli precedenti arrivando a chi redisse il volume per via orale.

Il repertorio del Libro Vermiglio è stato arrangiato ed inciso numerose volte, parzialmente ed anche integralmente: Jordi Savall ne registrò una versione nel 1978, Phil Pickett nel 1990 ed ora a quarant’anni il violista catalano pubblica una sua nuova “visione” di quella straordinaria musica così casualmente giunta fino a noi, visto che “quel” manoscritto scampato alla furia dell’esercito francese era “l’unica” copia esistente. Che si sappia.

Ancora una volta l’ascolto rivela la maestrìa, la passione, la precisione della ricerca dei suoni con le quali Savall affronta i vari repertori che via via incide mi stupisce e mi affascina così nel profondo che rischio di giudicare “normale” il livello qualitativo di questa nuova opera del violista catalano, che anche in questo caso dirige La Capella Real De Catalunya e l’Esperion XXI. Tra i solisti oltre a Savall, Andrew Lawrence-King al salterio, il fidatissimo Pedro Esteban alle percussioni e Yordal Turkan all’oud.

Il libretto come di consueto riporta testi e note in lingua italiana, il DVD il concerto nella Cattedrale di Santa Maria Del Pi di Barcellona, dove il 25 novembre del 2013 è stato registrato.

 

 

 

 

THE FRIEL SISTERS “The Friel Sisters”

THE FRIEL SISTERS  “The Friel Sisters”

THE FRIEL SISTERS  “The Friel Sisters”

AUTOPRODUZIONE FRL 001 CD, 2014.

di Alessandro Nobis

Anna, Sheila e Claire Friel sono uno dei tanti esempi di nucleo familiare dedito allo studio ed alla riproposta della tradizione popolare, in questo caso musicale. Di famiglia irlandese del Donegal ma nate in quel di Glasgow, le tre sorelle – ascoltate anche loro al William Kennedy Piping Festival di Armagh – hanno pubblicato questo significativo lavoro d’esordio nel 2014, un’autoproduzione nata dopo anni di sessions, di studi e di passione verso la musica tradizionale. Per me è stata una sorpresa ed anche una novità, e penso di essere nel giusto anche se ve ne parlo dopo qualche settimana di ripetuti ascolti.

Anna canta e suona il flauto, Sheila canta e suona le uillean pipes mentre Claire è la violinista, ed anche lei cantante. Una volta ribadito che se si vuole suonare la musica popolare a certi livelli bisogna avere una preparazione tecnica di grado almeno elevato – e le Friel Sister dimostrano anche dal vivo di averlo, eccome – ascoltando la loro musica è compiere una cavalcata a briglie sciolte nella migliore musica irlandese e la concorrenza dei gruppi giovani, oramai lo sapete, è spietata da quelle parti. In repertorio brani “di famiglia” come “Tir Chaonaill” e “The Blue Hills of Antrim”, belle riletture personali di Bothy Band, Planxty e De Danann, omaggi ai padri come al piper Willie Clancy, al violinista di Sligo Micheal Coleman e “Bunker Hill / The Holy Land / The Pinch of Snuff” dalla raccolta a stampa del 1907 di O’Neill sono le gemme di questo disco.612xkmqni2l-_sl1252_

Nel frattempo ho appreso che le Friel Sisters sono state in Italia per un paio concerti negli scorsi mesi. Averlo saputo prima………

Gran bel disco, peccato solo che il sottoscritto abbia perso 1 diottria nel leggere le note ai brani. Un libretto con le note più leggibili avrebbe fatto meno danni alla mia già debole vista.

SUONI RIEMERSI: BACK DOOR: “8th Street Nites”

SUONI RIEMERSI: BACK DOOR: “8th Street Nites”

BACK DOOR: “8th Street Nites”

WARNER BROS, 1973

di alessandro nobis

Prodotto da Felix Pappalardi (bassista dei Mountain e produttore dei Cream) e registrato negli Electric Ladyland Studios di New York, “8th Street Nites” è il secondo album di questo trio inglese ed è anche a mio parere il loro più significativo ed intenso. Tre musicisti di grande livello (il prodigioso bassista elettrico e voce del gruppo Colin Hodgkinson, il batterista Tony Hicks ed il fiatista Ron Aspery) che qui trovarono la quadratura del cerchio realizzando un disco di blues elettrico con una formazione atipica per il genere ed in genere più frequente in ambito afroamericano.

mi0000739535Apre il disco una mirabile versione di “Linin’ Track” di Huddie Leadbetter con Aspery che suona due sax alla maniera di Roland Kirk o Dick Heckstall-Smith e chiude la prima facciata una strepitosa esecuzione di 32-20 Blues di Robert Johnson eseguita in solo dal basso, esecuzione consigliata a Hodgkinson da Alexis Korner: poi segnalo una spumeggiante “Walkig Blues” dello stesso Johnson con Aspery al piano elettrico e “Roberta” sempre di Leadbelly e una manciata di originali come la ballad “Forget me Daisy” con Aspery al flauto ed infine lo slow blues di “Blue Country Blues”.

Un trio che purtroppo non ha mai avuto il consenso del grande pubblico, ma che invece ha saputo incarnare splendidamente l’originalità del suono con la grande maestria dei musicisti e l’ispirazione compositiva. Colin Hodgkinson resta uno dei migliori bassisti elettrici mai espressi dalla scena rock e blues rock – fu una scoperta di Alexis Korner -, e fu uno dei primi ad introdurlo come strumento solista in ambito blues elettrico (bassisti, ascoltare “32-20 Blues” per credere, attendo smentite.)

I Back Door pubblicheranno in seguito “Another fine mess”, discreto album, ma la magia di “8th Street Nite” non sarà ripetuta.

Nel 2014 un doppio cd stampato dalla BGO contiene i primi tre dischi del trio. Da avere, da scoprire ed anche da ri-scoprire. Significative anche le BBC sessions (1973 – 1974) pubblicate in CD nel 2002

Alla prossima.

 

 

 

TERRENI KAPPA “Ripples in the Lagoon”

TERRENI KAPPA  “Ripples in the Lagoon”

TERRENI KAPPA  “Ripples in the Lagoon”

ZEDER RECORDS CD, 2016.

di Alessandro Nobis

Quando ascolto musica della qualità di questo lavoro così ben scritta, suonata ed arrangiata faccio sempre una riflessione, mi domando perché questi progetti – come anche quelli di WiseOne o di Soundful 5et per citarne due – fatichino così tanto per incrociare l’interesse di “direttori artistici” dei più importanti jazz festival o non finiscano nel roster delle agenzie europee più vivaci ed attive. Mi riferisco in questa occasione al convincente disco d’esordio  di Terreni Kappa, ovvero Luca Pighi alla batteria, Roberto Zantedeschi alla tromba e fluegelhorn e Luca Crispino al contrabbasso che ho avuto la fortuna di ascoltare in anteprima.

copertina-ripples-in-the-lagoonRegistrato un paio di mesi fa, “Ripples in the Lagoon” attira subito l’attenzione per l’insolita formazione, davvero atipica per il jazz, ma poi si fa piacevolissimamente apprezzare per l’eleganza della scrittura e la ricerca del suono “perfetto”, raggiungibile solo se la preparazione dei singoli e la sinergia nel suonare insieme si manifesta ai più alti livelli. Una sinergia che consente agli autori dei sei brani (Crispino e Zantedeschi) di liberare tutta la loro creatività affiancando, anzi meglio facendo incontrare la musica afroamericana più legata alle atmosfere mainstream a quella del jazz nordico, ai ritmi latini ed a certa filmografia “noir” (ascoltando “Run About” mi passano davanti i fotogrammi di “Ascensore per il patibolo”), con un uso discreto e puntuale dell’elettronica (“Ripples in the Lagoon”).

Mi auguro caldamente che questo esordio di Zantedeschi, Pighi e Crispino venga adeguatamente promosso e diffuso come merita senz’altro, avendo tutte le carte in regola per farsi apprezzare dagli amanti della buona musica in senso lato e, ribadisco, da chi gestisce le programmazioni dei festival e teatri.

https://www.facebook.com/terrenikappa/?fref=ts

 

 

 

 

THEODOSII SPASSOV FOLK QUINTET “O’ Maino Horo”

THEODOSII SPASSOV FOLK QUINTET  “O’ Maino Horo”

THEODOSII SPASSOV FOLK QUINTET  “O’ Maino Horo”

AUTOPRODUZIONE CD, 2016.

di Alessandro Nobis

Trio Bulgarka, Ivo Papasov, Les Mystere Des Voix Bulgares, le Bisserov Sisters, Nikola Parov, il Philip Koutev Ensemble: nella prima metà dei Novanta in Italia di musica popolare bulgara ne circolava parecchia vocale e strumentale, tutta di livello straordinario. Poi una sorta di black out, e per ascoltare musicisti tradizionali bulgari di tempo ne ho dovuto aspettare parecchio, ma finalmente al William Kennedy Piping Festival 2016 ho avuto l’occasione di apprezzare il quintetto capitanato dal suonatore di Kaval Theodosii Spassov, autore di questa autoproduzione.

spassovDal vivo e su disco si ha l’ennesima conferma dell’assoluta padronanza strumentale dei musicisti (Theodsii Spassov al kaval e canto, Peyo Prev al gadulka,  Ivan Georgiev alla gaida, Hristian Tsavyatkov alla chitarra elettrica e Benadii Rashkov al tupan), turri provenienti dalla scuola di Philip Koutev fondatore del National Folk Ensemble, un personaggio fondamentale nello studio della culturale musicale bulgara che può essere paragonato all’irlandese Sean O’ Riada.

Theodosii Spassov è il compositore della musica proposta tranne di due brani ispirati comunque dalla tradizione, e la presenza della chitarra elettrica in chiave ritmica non deve far storcere il naso ai puristi perché il sostegno ritmico all’esecuzione dei temi a danza con i loro travolgenti tempi dispari oltre che necessario rappresenza un segno di novità, anche se minimo, nella tradizione bulgara. Suono compatto, travolgente “quasi” frastornante, arrangiamenti nell’ortodossia della tradizione, virtuosimo spinto al massimo sono le coordinate su cui si muove il quintetto. E, poi, vi assicuro, dal vivo Hristian Tsavyatkov come i suoi degni compari, non sbaglia un colpo…….

Un gran bel disco di musica balcanica, bulgara nella fattispecie, e la speranza è che presto vengano in Italia per qualche concerto. Intanto, se vorrete, contattateli sulla loro pagina Facebook.

https://www.facebook.com/theodosii.spassov?ref=ts&fref=ts

NANDO BRUSCO “Tamburo è Voce”

NANDO BRUSCO “Tamburo è Voce”

NANDO BRUSCO

“Tamburo è Voce” – Battiti di un cantastorie

TEATRO PROSKENION, CD, 2016

di Alessandro Nobis.

Ecco. C’è un sottile ma inossidabile filo diretto che lega la musica di Nando Brusco con il passato più ancestrale: sono gli strumenti che ha scelto per trasmettere le sue storie a chi le ascolta e di conseguenza dare loro la possibilità di passare da persona a persona da perpetuarsi così potenzialmente all’infinito. Sono gli strumenti che l’uomo probabilmente ha usato per primi, sono una voce e una percussione, il tamburo a cornice circolare con sonagli.

Nando Brusco è un cantastorie, come quelli che giravano in lungo ed in largo le piazze delle città e le piazzette delle contrade portando novità del “mondo”, raccontando storie tramandate e aggiornate ed anche facendo felici i più piccoli con filastrocche e ninne nanne.scansione-9-23-31-23

Questo disco, è bellissimo. Di una semplicità assordante e di una ricchezza inestimabile, dove la musica nella sua semplicità penetra come uno stiletto nella mente e riporta in un baleno ognuno nel proprio passato ed in quello della storia del nostro Belpaese.

Sette brani e mi permetto di segnalare, al di là della tecnica sopraffina che permette di colorare, accompagnare e ritmare i racconti, “A Fragalà” – toccante doveroso ricordo della dimenticata strage di Melissa del 1949 dove le forze dell’ordine uccisero Francesco Nigro, Giovanni Zito e Angelina Mauro che chiedevano solamente di poter lavorare la terra dei latifondisti –, “Punente e l’Isca” che ci narra delle capacità di “leggere” il tempo dei pescatori di Amantea o ancora “Sona Tamburo”, quasi un canto sciamanico che implora il tamburo di raccontare, di evocare storie antiche e di farlo attraverso il canto.

nandobrusco@mail.com

teatro.proskenion.eu

 

 

 

 

 

 

 

 

 

BAYOU MOONSHINERS “Living Live”

BAYOU MOONSHINERS “Living Live”

BAYOU MOONSHINERS  “Living Live”

Autoproduzione CD, 2016.

di Alessandro Nobis

I due “fabbricanti abusivi di whiskey” che hanno inciso questo “Living Live” sono Stephanie Ghizzoni (voce, washboard e percussioni) e Max Lazzarin (pianoforte e voce), italianissimi ma piacevolmente innamorati del blues più sanguigno. Disco co-prodotto da Lorenz Zadro di “Blues Made in Italy” – meritoria associazione che organizza l’ormai consolidato Festival Blues di Cerea nella bassa pianura veronese -, è stato registrato “dal vivo in studio” il 4 ottobre 2016 – quasi un instant live – per ricreare l’atmosfera dei juke joints del sud degli States dove il blues è nato e fortunatamente si perpetua.

E’ un viaggio tra composizioni tradizionali, composizioni di autori molto frequentati da chi pratica questo genere e due originali, l’indovinato “Tell me more” con il suggestivo incipit pianoforte – voce e “Don’t believe me” a-la Dr. John.

Disco ben suonato, repertorio accuratamente scelto ed arrangiamenti molto vicini al suono “New Orleans”, un duo ben affiatato con due stili vocali molto interessanti e diversi tra loro; per ciò che mi riguarda, trovo i momenti “pianoforte e voce” come la prima parte di “Just a closer walk with thee”, lo spiritual “I’m glad Salvation is Free” della divina Mahalia Jacskon la bella rilettura di “Amazing Grace” quelli più riusciti e toccanti di questo “Living Live”, disco d’esordio al quale mi auguro ne segua un secondo magari con più composizioni originali. Con la cultura del blues che hanno ben assimilato ed interiorizzato aggiunta alla tecnica che dimostrano di avere, per Stephanie Ghizzoni e Max Lazzarini, non credo sarà un problema……

Se volete ai vostri festival un set “blues” di tutto rispetto, chiamateli, non ve ne pentirete.

 

bayoumoonshiners@gmail.com

 

 

THE BAND “The Last Waltz”

THE BAND  “The Last Waltz”

THE BAND  “The Last Waltz”

RHINO RECORDS, 4LP –  4CD + Blue Ray Disc – 2CD, 2016.

di Alessandro Nobis

Che “THE BAND” (Rick Danko, Levon Helm, Garth Hudson, Richard Manuel e Robbie Robertson) sia stato il gruppo che più di ogni altro ha incarnato la cultura rock americana per la sua capacità di fondere le più diverse musiche nate oltreoceano come il blues, il cajun, il country, la canzone d’autore, il rock’n’roll ed il gospel con un linguaggio sempre raffinato, colto, inimitabile (e inimitato) è un’idea che mi frulla in testa da anni, e so anche di non essere da solo a pensare questo. Che la notte del Thanksgiving del 1976 sia passata alla storia come “L’ultimo valzer” di questo quintetto è ormai scritto su tutti i libri di storia della musica rock, che quella sera chiuse il cerchio iniziato nel ’67 come “The Hawks”, gruppo che accompagnava Ronnie Hawkins.last-waltz-2003-cd

Quel concerto – vorrei evitare l’elenco degli ospiti e pertanto cito solamente Bob Dylan e Muddy Waters – vide la luce nel 1978 come triplo ellepì, poi come doppio CD e nel 2002 come quadruplo CD (per il 25° anniversario) contenente tutta la musica suonata quella notte e, come se non bastasse, venne pubblicato anche l’omonimo film girato niente meno che da Martin Scorsese: una pacchia per appassionati, garantisco io.

Ora, mi domando (retoricamente) che bisogno c’era di pubblicare lo stesso concerto in cofanetto di quattro ellepi, in due CD antologici, in un cofanetto di 4CD più il disco Blue Ray del film, “naturalmente” con una copertina diversa e con un prezzo che per le due edizioni più ricche si aggira sui 90 euro quando il cofanetto del 2002 si trova ancora e ad un terzo di quel prezzo? Un’operazione meramente commerciale ed a mio avviso una pubblicazione quasi inutile: dei tre formati disponibili salverei solamente il box con i 4 ellepi che contiene gli inediti mai pubblicati su vinile. Gli amanti della Band che ancora non avessero queste registrazioni ed i nuovi fans cerchino la versione CD del 2002; “The Last Waltz” è davvero un documento sonoro importante.

 

MORENN “Morenn”

MORENN  “Morenn”

MORENN  “Morenn”

VOCATION RECORDS CD, 2016.

di Alessandro Nobis

Dopo tanti anni passati ad ascoltare musica, una cosa – una delle tante invero – ancora mi rimane misteriosa, ovvero il motivo per cui alcuni pipers bretoni si dedicano con così tanta attenzione e dedizione al repertorio “Pibroch”, lunghe composizioni caratterizzate da melodie fisse e numerose variazioni per cornamuse delle Highlands scozzesi, il cui primo esecutore pare sia tale Donald Mor MacCrimmon vissuto tra il 1570 ed il 1640.

Conoscevo già bene l’arte di Patrick Molard, ed al William Kennedy Piper Festival ho avuto la fortuna di assistere ad un concerto del trio di Xavier Boderiou, anche se in quell’occasione novembrina il repertorio era lontano dalla musica pitbroch, protagonista invece di questo bel lavoro d’esordio.

Ma mentre Molard fa riferimento al pibroch più ortodosso eseguito solamente dalle “Highland Bagpipes” (e vi assicuro che vederlo suonare tra le merlature del torrione del castello di Malcesine che domina il Lago di Garda, molto tempo fa, fu davvero emozionante), Xavier Boderiou la esegue in trio con il flautista Sylvain Barou (perfettamente a suo agio anche la musica irlandese come testimonia “Triad” del 2013 con Donal Lunny e Padraig Lynne) ed il chitarrista Jacques Pellen (lo ricordo protagonista del magnifico gruppo “Triptique” del 1993), due musicisti che con gran gusto ed intelligenza abbinano i loro strumenti all’elettronica che aggiunge un tocco di ulteriore fascino e bellezza a questa musica. Naturalmente con questo genere musicale bisogna stare nei binari della tradizione e quindi gli spazi di libertà e di creatività sono in qualche modo limitati, ma vi assicuro che il set visto al WKPF ad Armagh mi ha impressionato per la capacità dei tre di plasmare i rigidi canoni del celtismo producendo una musica di difficile definizione, del tutto simile nella sua ideazione a quella che l’anno precedente avevano suonato i fratelli Boclè con il loro “Celtic Project”.

Gran bel disco, e la suite in due parti “In Praise of Morag” è la composizione che più mi ha saputo emozionare.

www.boderiou.com