LA CANTIGA DE LA SERENA “La Mar”

LA CANTIGA DE LA SERENA “La Mar”

LA CANTIGA DE LA SERENA “La Mar”

Dodicilune / Fonosfere Records. CD, 2021

di alessandro nobis

Del secondo lavoro (“La Fortuna”) di questa trilogia dedicata al mare ne avevo parlato un paio anni or sono (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/06/04/la-cantiga-de-la-serena-la-fortuna/), e questo terzo capitolo conferma la bontà del progetto, l’abilità nello scegliere il repertorio ed infine il gusto nelle scelte timbriche. Basterebbe questo per definire “La Mar” ma invece val la pena di soffermarsi almeno su qualche brano che il quintetto pugliese ha inserito nel progetto dove la tradizione, la musica antica e la fusione delle culture mediterranee trovano un brillante equilibrio: il brillante “Tres Hermanicas” ad esempio, tradizionale sefardita eseguito dalla sola voce con l’accompagnamento delle mani che ad un certo punto si trasforma in qualcosa d’altro, quasi una giga irlandese (la parte di flauto traverso ricorda il celebre “Kesh Jig”) e che ritorna con il testo cantato accompagnato da percussioni, plettri e flauto, la bella lettura di “Mandad’ei comigo” un brano proveniente dalla importantissima raccolta medioevale “Cantigas de Amigo” di Martim Codax che risale al XIII secolo cantato in lingua gallega ed accompagnato dalla chitarra battente o ancora “Tre Donne Belle”, villanella scritta dal pugliese Giovan Leonardo Primavera (Barletta 1540 – Napoli 1585), un importante compositore che frequentò la corte del principe di Venosa, il madrigalista Don Gesualdo da Venosa.

Da ultimo voglio citare la tarantella di Sannicandro “DiavulëDiavulë” ed i ritmi dei vicini balcani delle horo macedoni e del syrto greco – grecanico; ma tutto il lavoro, come il precedente, si ascolta con grande piacere ed è un invito a scoprire ritmi e parole del passato lontano spesso dimenticato; un plauso quindi a Fabrizio Piepoli (voce, chitarra battente e percussioni), Giorgia Santoro (flauto, ottavino, flauto basso, flauto contrabbasso, bansuri, tin whistle, arpa celtica, banjo indiano, percussioni), Adolfo La Volpe (oud, chitarra classica, bouzouki irlandese, chitarra portoghese) Francesco D’Orazio (violino) e Roberto Chiga (tamburi a cornice) ma anche alla Dodicilune che oltre al corposo catalogo jazz nella sottoetichetta Fonosfere ha anche perle come questa.

http://www.dodiciluneshop.it

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MARTHA J. & CHEBAT QUARTET  “Plays the Beatles”

MARTHA J. & CHEBAT QUARTET  “Plays the Beatles”

MARTHA J. & CHEBAT QUARTET  “Plays the Beatles”

Clessidra Records. CD, 2021

di alessandro nobis

Per riproporre l’immortale songbook beatlesiano, e mi riferisco all’ambito squisitamente jazzistico, si possono percorrere a mio avviso due strade: quella del chitarrista trevigiano Lanfranco Malaguti che ha letteralmente smontato e rimontato i brani trasformandoli in strumentali (vedi “Something” del 1989 pubblicato dalla Nueva Records) oppure si opera una scelta diversa ma altrettanto intelligente, quella di questo quartetto guidato da Martha J. alla voce e Francesco Chebat al pianoforte con la sezione ritmica composta dal contrabbassista Roberto Piccolo e dal batterista Gionata Giardina. La scelta del quartetto è stata quella di rispettare le melodie scritte da Paul McCartney, John Lennon e George Harrison (“Within Without You” e “Here comes the Sun”) in modo filologico arricchendole di jazz suonato ed improvvisato con gran qualità e gusto; niente copiature calligrafiche quindi – anche la voce non ricalca l’originale, ma piuttosto lo interiorizza facendolo suo – , ma l’ennesima dimostrazione che il repertorio beatlesiano si può se non proprio reinventare ma almeno plasmare ai background dei musicisti che intendono suonarlo, anzi interpretarlo. La prima delle due composizioni di Harrison ad esempio, introdotta dall’archetto del contrabbasso, dalle percussioni e con un ostinato di pianoforte che prelude alla melodia, bellissima, di questo brano proveniente dal sublime “St. Pepper’s” e che procede con il brillante solo di Chebat (la sinistra tiene l’ostinato, la destra fa il solo) con le “spazzole” di Giardina in accompagnamento per ritornare poi all’idea originale dell’autore del brano, oppure l’indovinato medley “Because / Blackbird” con l’espressiva e precisa voce di Martha J. in apertura della ballad che introduce la ritmica ed il solo di pianoforte che lega le due parti.

Un ottimo lavoro, di notevole levatura a mio modesto parere: affrontare il songbook beatlesiano è come correre in un campo minato, il rischio di trasformarsi in una tribute band è altissimo ed altrettanto alto è quello di vedere tra il pubblico dei club persone che fischiettano i ritornelli e scuotono la testa a tempo.

Quello che suona questo quartetto va invece ascoltato e riascoltato con l’attenzione che merita, ed i palchi dei jazz festival con il loro pubblico sempre attento sono la situazione ideale. A mio avviso.

PADDY KEENAN & PADDY GLACKIN “Doublin’”

PADDY KEENAN & PADDY GLACKIN “Doublin’”

PADDY KEENAN & PADDY GLACKIN  “Doublin’”

Tara Records. LP, 1979

di alessandro nobis

Uilleann pipes e violino sono una delle accoppiate più interessanti della musica tradizionale irlandese e questo “Doublin’” registrato nel ’78 e pubblicato l’anno seguente dalla Tara Records è una delle pietre miliari per quanto riguarda i due strumenti: se poi a suonare le Uilleann pipes è Paddy Keenan ed il violino è Paddy Glackin accompagnati qua e là da Donal Lunny al bozouky e Noel Kenny alla concertina capite subito il livello della proposta contenuta in questo ellepì. Entrambi dublinesi, figlio del traveller piper John Keenan il primo e del violinista Tom Glackin il secondo, pubblicano questo ellepì che sancisce la loro amicizia e l’enorme intesa ed il grande gusto nel suonare assieme se è vero, come è vero, che capita loro ancora di salire sul palco come nell’edizione del 2018 del William Kennedy Piping Festival di Armagh dove infiammarono il pubblico a quarant’anni dalla pubblicazione di “Doublin’” al quale ebbi la fortuna di assistere.

Il jig dedicato a Garrett Barry, la slow air “Roisin Dubh”eseguita in solo da Keenan, il reel in omaggio a Johnny Doran (anche lui un travelling piper) “The Bunch of Keys” e “Castlekelly Reel” eseguito dal violino, concertina e bozouky sono quattro delle preziose gemme contenute in questo straordinario ellepì.

Scrivono sul retro della copertina i due musicisti: “In questo disco eseguiamo brani che abbiamo suonato assieme per anni nelle sessions; alcuni vengono dal repertorio delle nostre famiglie, altri li abbiamo imparati da altri musicisti nel nostro girovagare per l’Irlanda. Quello che abbiamo cercato di fare è di rappresentare la spontaneità e la forza della musica così come viene creata, imperfezioni comprese”.

E’ il profondo fascino della musica popolare, semplicemente. Più chiaro di così ……

DALLA PICCIONAIA: CHITARRE PER SOGNARE. Caldiero (VR), 26 giugno 2021

DALLA PICCIONAIA: CHITARRE PER SOGNARE. Caldiero (VR), 26 giugno 2021

DALLA PICCIONAIA: CHITARRE PER SOGNARE  Terme di Giunone, Caldiero (VR), 26 giugno 2021

di alessandro nobis

Giovanni Ferro non è tipo da arrendersi facilmente ed anche per quest’anno mantiene il punto riuscendo nonostante le immaginabili difficoltà ad organizzare con la complicità dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Caldiero la quindicesima edizione di “Chitarre per Sognare”, una sera di ottima musica dedicata al suono della chitarra e, per questa edizione, dell’arpa. Il set dedicato a questo strumento avrà come protagonista Nartan con la sua arpa elettroacustica a pedali; Nartan, che tra le sue collaborazioni, ha quella con il chitarrista altoatesino Rolando Biscuola dove il suono della sua arpa incrocia quello dei sei corde in un brano dell’album “Sciaum”, ha come si conviene ottenuto il diploma al Conservatorio di Milano per poi scegliere un percorso di sperimentazione facendo avvicinare il suo strumento alla musica jazz e di conseguenza al mondo dell’improvvisazione pubblicando nel 2017 per la sua “Nartan Records” il CD “Harpfully” assieme al percussionista ladino Max Castlunger.

Giovanni Ferro, musicista che i veronesi appassionati della chitarra acustica fingerpicking conoscono bene per la sua ricerca melodica nel proporre brani suoi o di altri autori, salirà sul palco assieme all’ottima Giuliana Bergamaschi con “Anima e Corde”, repertorio dedicato alla canzone italiana del ‘900 a partire dagli prebellici fino a i nostri. Sarà l’occasione di ascoltare la splendida ed evocativa voce di Giuliana Bergamaschi assieme alla chitarra di Ferro che – statene certi – non si limiterà al solo accompagnamento; Ferro, tra l’altro, sarà uno dei protagonisti della prestigiosa rassegna “Un paese a sei corde” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/06/07/dalla-piccionaia-un-paese-a-sei-corde-edizione-2021/). Terzo protagonista Sandro Boscaro della scuderia dell’Associazione Culturale ZONACUSTICA con un set che lega le barene veneziane al delta del Mississippi; blues primordiale, lingua veneta, paesaggi di laguna, canti di lavoro mescolati in una miscela – e non in un miscuglio – solo apparentemente azzardata.

L’appuntamento è per sabato 26 giugno alle ore 21 con ingresso gratuito come di consueto per questa manifestazione; in caso di malaugurato maltempo “Chitarre per Sognare” si terrà presso il Teatro Comunale di Caldiero.

DALLA PICCIONAIA:  “BALDO IN MUSICA 2021. PRIMA PARTE”

DALLA PICCIONAIA:  “BALDO IN MUSICA 2021. PRIMA PARTE”

DALLA PICCIONAIA  “BALDO IN MUSICA 2021. PRIMA PARTE”

20 giugno – 12 settembre

di alessandro nobis

L’idea di abbinare la musica al paesaggio sia naturale o antropico non è certamente nuova, ma sapere che un manipolo di appassionati con l’aiuto di Enti Pubblici riesca ad allestire un cartellone di tutto rispetto in tempi così difficili riempie il cuore, e la mente; questa sesta edizione di “Baldo in Musica” è certamente stata la più complessa da organizzare ma il programma come dicevo è di tutto rispetto perché ancora una volta fa scoprire, o riscoprire, angoli nascosti dell’area del Monte Baldo veronese scelti in modo accurato perché la valorizzazione del luogo e della musica sia reciproca. Il progetto si avvale del patrocinio dell’Unione Montana del Baldo-Garda ed è organizzata dall’Associazione Culturale “BALDOfestival” con la consulenza artistica di Marco Pasetto.

Otto gli appuntamenti, compresa l’anteprima del 20 giugno, distribuiti su tre mesi evitando le giornate attorno a Ferragosto, ed i generi musicali scelti certamente accontenteranno i palati degli appassionati, esperti e meno esperti. Come detto l’anteprima è programmata per domenica 20 giugno, ore 17 (ingresso € 5,00) alla chiesetta di San Martino al Platano ed avrà come protagonisti due membri dell’Orchestra Mosaika, ovvero l’arpista australiana Diane Peters e la violinista Anna Pasetto: con loro si viaggerà nel tempo e nello spazio, dal medioevo (visto il bellissimo contesto) alla musica di matrice celtica con uno sguardo al vicino e medio oriente, un progetto interessante a mio avviso. La domenica successiva, alla Casara Colonei di Pesina, a 1336 metri in zona Spiazzi – Ferrara di Monte Baldo, alle ore 12 e ingresso libero importante appuntamento con il jazz – e dintorni – della Piccola Orchestra Vertical ovvero Claudia Bidoli (voce), Enrico Terragnoli (basso acustico), Fabio Basile (chitarra) e Roberto Lanciai (sax baritono) con un repertorio tra le composizioni di Terragnoli scritte per l’Orchestra Vertical (15 elementi), il klezmer ed alcune riletture di Serge Gainsbourg.

Due gli appuntamenti di luglio entrambi con ingresso libero, sabato 10 alle ore 21 nella Piazza di Pazzon (Caprino) con la GiBierFEST Band, nonetto composto da sette fiati e sezione ritmica con un repertorio che partendo dalla tradizione alpina propone brani di stili diversi come estratti da colonne sonore e canzoni italiane, riviste naturalmente con il piglio di queste straordinarie orchestrine e domenica 25 sempre alle 21 nella Chiesa di Pazzon con l’Orchestra Machiavelli che proporrà le Quattro Stagioni di Vivaldi. Questi ultimi due appuntamenti sono inseriti in “Sentieri nel Baldo” organizzati sempre da BALDOfestival dove arte, natura e territorio si fondono assieme alla musica. Nella seconda parte, gli appuntamenti a partire dal 1 agosto.

Per tutti gli appuntamenti la prenotazione, visti i tempi, è obbligatoria e si effettua su http://www.baldofestival.org

IL DIAPASON INCONTRA CORRADO CORRADI di “PASSEGGERI”

IL DIAPASON INCONTRA CORRADO CORRADI di “PASSEGGERI”

IL DIAPASON INCONTRA CORRADO CORRADI di “PASSEGGERI”

di alessandro nobis

Pensavo che i percorsi artistici tra Calicanto e Archedora si fossero definitivamente separati oltre venti anni ori sono, ed alla notizia che Roberto Tombesi, Rachele Colombo e Corrado Corradi stessero invece preparando qualcosa di nuovo unendo i loro talenti mi ha piacevolmente sorpreso non poco; il loro nuovo progetto, “Passeggeri”, è una realtà cresciuta e concretizzata durante la lunga chiusura forzata che ben conosciamo, ed esordirà domenica 20 giugno nell’ambito del bel festival itinerante “Festival delle Basse – Territorio, Cultura, Immaginazione” presso Villa Baldisserotto di Urbana, nel padovano con inizio alle 17 (prenotazione sul sito https://www.festivaldellebasse.it). Vista l’eccezionalità dell’evento, ho ritenuto opportuno incontrare “a distanza” – in attesa di assistere al loro esordio – Corrado Corradi, uno dei tre componenti del gruppo per conoscere meglio il nuovo progetto che sembra andare parecchio oltre la riproposta del repertorio tradizionale di area veneta.

– Come nasce “Passeggeri”? Qual è stata la scintilla iniziale, l’idea che vi sta alla base?

Sintetizzando molto, tutto parte dalla lettura di vecchie lettere della mia famiglia scritte dal bisnonno Marco Piazza, attore, durante l’incredibile tournée teatrale che la grande attrice Adelaide Ristori fece nel 1874 viaggiando per mare, con le navi a vapore di allora. La Compagnia Drammatica Italiana circumnavigò l’intera superficie terrestre in poco più di venti mesi, recitando nei più grandi teatri del mondo. L’impresa, nel tempo, divenne parte della storica biografia di questa attrice nata a Cividale Del Friuli. 

Aldilà dei trionfi descritti, rimango suggestionato dal personaggio Marco, dall’indole e l’energia di Adelaide, quasi a comprenderne i pensieri e le aspirazioni. Chiedo a Rachele e Roberto di leggere le lettere e succede quello che non ti aspetti: insieme sentiamo la forte sintonia con questi artisti, capiamo la loro febbre, ci identifichiamo nelle loro visioni. E’ l’inizio. Ci ritroviamo, idealmente, sul ponte di una nave mentre ognuno racconta, a proprio modo, il suo “viaggio” che diventerà il “taccuino musicale di un viaggio straordinario”. 

– I Calicanto hanno da sempre avuto come scopo lo studio e la riproposizione della cultura popolare veneta o comunque dell’alto Adriatico, Archedora puntava invece sulla musica di nuova composizione. “Passeggeri” mutua le due realtà o è ancora qualcosa di diverso?

Noi tre abbiamo in comune l’esperienza ed attività in Calicanto. Se penso al progetto artistico successivo mio e di Rachele (Archedora Veneto Musica), dico semplicemente che, nel 2008, non si è esaurito ma solo interrotto. Sono trascorsi troppi anni, i tempi sono cambiati, noi siamo cambiati. La realtà è diversa, diverse le esperienze artistiche e personali dei singoli. Il concerto che proponiamo rappresenta oggi una sorta di “terza via”, una naturale rappresentazione del presente che avverto più spirituale, in qualche modo più intimo. A partire dal titolo “Passeggeri”, il trovarsi sul ponte di una nave, affrontare le incognite di una traversata, sfidare gli immensi oceani sottintendono una metafora contemporanea: una riflessione su quello che è la nostra vita oggi. Il vero protagonista del racconto musicale è “il viaggio” alias la nostra esistenza. La scommessa consiste nel riuscire a trasmettere, comunicare tutto questo. 

– Come nascono i brani di “Passeggeri”?

Inizialmente ero orientato ad un unicum musicale accompagnato da un libretto, come avviene in un’opera. I saggi consigli di Rachele e Roberto hanno portato a delle scelte più pratiche, pragmatiche. Abbiamo individuato gli argomenti che ci sembravano più significativi e più vicini al comune “sentiment”. Su queste basi ci siamo così concentrati su temi specifici. Nonostante il vasto repertorio dei singoli, la maggior parte dei brani, alla fine, sono risultati di nuova composizione. 

– Quali tematiche affrontate nei testi?

Il concerto dura circa 70 minuti ed è suddiviso in sei sezioni (suite). I temi affrontati si possono titolare come: “partenze”, “il viaggio”, “il vapore”, ”emigrazione”, “la festa”, “il ritorno”. In ogni parte l’emozione, la poesia, l’immedesimazione sono a corollario di quanto scritto in una lettera o di quanto vissuto dal bisnonno artista che, come cita la prefazione del libro, “ è lieto di gironzolare per il mondo…. nel secolare istinto di andare sempre altrove… una smania, un anelo, una necessità… ”. I testi, ora in italiano, ora in dialetto, sottolineano alcuni momenti: la frenesia di una partenza, una riflessione sulla forza della natura, la nostalgia di una lontananza, la rabbia verso la propria ingrata Italia. Tutto ciò che le lettere descrivono viene espresso con una sorta di leggerezza, di semplicità che abbiamo cercato di riprodurre poeticamente nei testi e nel mood del concerto superando il rigore di un’ oculata costruzione delle partiture musicali. 

– La lingua veneta è spesso – quasi sempre – banalizzata con luoghi comuni ma invece rappresenta storicamente una parte consistente nella storia della linguistica italiana …… perché secondo voi è così importante scrivere testi in lingua veneta?

Non avverto più i pregiudizi di un tempo, piuttosto sento molto quanto l’uso del dialetto possa valorizzare un territorio, avere una credibilità al pari di altre lingue, senza lotte da sostenere o bandiere da sventolare. I testi in dialetto rappresentano il posto dove viviamo. Oggi certi concetti sono superati, il concerto e le nostre intenzioni ne vogliono essere una prova: testi in italiano, in provenzale, in dialetto, composizioni provenienti dalla Spagna, dal Sudamerica,… Il tutto in funzione del racconto. 

– Quali sono le timbriche che avete scelto?

Gli strumenti che suoniamo sono prettamente acustici (bandonina, organetto, chitarra, mandola, percussioni). Le scelte stimolanti sono state il far dialogare i due mantici, trovare un calibrato mix tra l’acustico e le basi campionate, il rapporto tra chitarra e mandola e, nel canto, la ricerca e l’utilizzo del suono della parola. 

– Avete in programma anche brani esclusivamente strumentali?

Sì. La logica del racconto, l’ispirazione, il descrivere un’emozione, ti portano naturalmente ad esprimerti con la musica e non solo con le parole. Anche in questo caso pensiamo ci sia una equilibrata miscela tra brani cantati e strumentali. 

– C’è in vista qualche progetto discografico?

La necessità del presente è quello di fare più concerti possibili e capire quanto fluida sia la parte musicale, se le suite singole sono pertinenti, se le composizioni sono funzionali a ciò che vogliamo rappresentare. A mio parere, un eventuale progetto discografico dovrebbe viaggiare con al fianco la sua parte letteraria ispiratrice. Trovare una produzione “illuminata” e non solo commerciale è un problema non da poco.

L’appuntamento come detto in apertura è quindi per domenica 20 giugno presso Villa Baldisserotto di Urbana, nel padovano con inizio alle 17 (prenotazione sul sito https://www.festivaldellebasse.it).

FELICITY BUIRSKI “Committed to the Fire”

FELICITY BUIRSKI “Committed to the Fire”

FELICITY BUIRSKI “Committed to the Fire”

Tree of Life Productions. CD, 2019

di alessandro nobis

Nel “radar” del promoter Gigi Bresciani da quando nell’87 pubblicò l’ottimo esordio “Repairs & Alterations” per la Run River Records, la songwriter inglese Felicity Buirski un paio di anni or sono ha pubblicato questo ottimo “Committed to the Fire” a conferma del suo talento nella scrittura, nel modo di porgere la sua musica e nelle scelte timbriche che valorizzano la sua brillante e delicata ma decisa voce.  In realtà le registrazioni risalgono a più di una decina di anni or sono e la loro pubblicazione fu procastinata a causa di un grave incidente automobilistico che ebbe una forte influenza sulla vita e quindi sulla carriera di Felicity Buirski.

Ascoltando il suo songwriting mi pare chiara l’influenza di Leonard Cohen sul suo modo di scrivere musica, e lo stesso Cohen rimase impressionato non tanto da questo, ma piuttosto dalla qualità delle canzoni che in modo ahimè così parco – per noi estimatori – escono dalla sua penna: il valzer di “TheMutual Sigh” racconta la battaglia perenne tra i sessi, risalente al giardino dell’Eden, chiedendone il suo termine e finalmente la parità, “Like a Phoenix” racconta attraverso una metafora della morte, del salvamento e della resurrezione, il brano di apertura “Collision of Desire” con un ruolo importante della chitarra slide di Micheal Klein è una canzone d’amore, il brano eponimo che chiude questo ottimo lavoro è una ballata acustica con una bella melodia il cui testo mistico racconta della resa, dell’abbandono nelle mani di Dio e della Fede in attesa della rinascita spirituale.

Ora che presto sarà possibile ascoltare finalmente musica dal vivo, attendiamo il suo ritorno nei club e nelle rassegne e festival italiani. Il più presto possibile.

COLOSSEUM “Ruisrock Festival, 1970 August 22”

COLOSSEUM “Ruisrock Festival, 1970 August 22”

COLOSSEUM “Ruisrock Festival, 1970 August 22”

Voiceprint Records. CD, 2018

di alessandro nobis

Anche se qui non c’è il “Dream Team” al completo del leggendario doppio ellepì live del ‘71 (qui il chitarrista Clem Clempson è la voce solista, Chris Farlowe entrerà nella band pochi mesi dopo questo tour europeo), l’energia di John Hiseman e compagni è ai livelli più alti, le versioni dal vivo dei brani lasciamo ampio margine di libertà all’indiscussa classe del quintetto che nei pochissimi anni di vita ha saputo disegnare un percorso che partendo dalle idee di Graham Bond si è arricchito soprattutto nella dimensione live di un rock poderoso con le radici nel British Blues ed i rami più lunghi verso atmosfere più raffinate e colte con aperture anche al jazz che in quegli anni in Inghilterra viveva momenti di straordinaria creatività.

Questo CD della Voiceprint restituisce il set dei Colosseum alla prima edizione del festival finnico di Ruisrock (vi parteciparono tra gli altri gruppi locali anche i Family) con un repertorio che include alcuni dei loro brani più significativi come “Walking in the Park”scritta da Graham Bond che chiude il disco, i due tratti da “The Grass is Greener” versione americana di Valentyne Suite ovvero “Rope Ladder to the Moon” e “Lost Angeles”. La prima con un brillante solo di Heckstall-Smith con due sax (lo stile di Roland Kirk, suo idolo) la seconda introdotta dal vibrafono di Dave Greenslade e con la chitarra di Clem Clempson in gran spolvero supportato dal basso di Mark Clarke, e il lungo assolo al cambio di tempo la dice lunga su quanto questo chitarrista sia stato sottostimato; intriso di blues e di jazz il solo di Greenslade all’organo hammond e straordinario per la poliritmia e l’energia quello di John Hiseman in “The Machine Demands a Sacrifice”, una delle parti di “Valentyne Suite” tratta dall’omonimo album dei Colosseum, senz’altro quello più conosciuto.

Registrazione più che accettabile, di questo album ne esiste anche una stampa curata dalla Tiger Bay Records.

Disco interessante, fa capire l’evoluzione che avrà la band con l’ingresso di Chris Farlowe che lascerà un maggiore e più adeguato spazio a Clempson ed alla sua chitarra.

DALLA PICCIONAIA: UN PAESE A SEI CORDE edizione 2021

DALLA PICCIONAIA: UN PAESE A SEI CORDE edizione 2021

DALLA PICCIONAIA: UN PAESE A SEI CORDE 

“16aedizione, 21 maggio – 12 settembre 2021”

di alessandro nobis

Ha preso il via il 21 maggio con la conferenza stampa di presentazione l’edizione 2021 della bella rassegna “Un Paese a Sei corde”, ormai un appuntamento imperdibile per gli appassionati della chitarra acustica e quindi anche “classica” che si tiene nelle province di Novara, Vercelli e Verbania. Una rassegna itinerante partita nel 2006 organizzata dall’Associazione La Finestra sul Lago di San Maurizio d’Opaglio (Novara) sulle sponde del bellissimo Lago d’Orta e che sempre più si è inserita in contesto sinergico con le piccole realtà turistiche e questo grazie all’idea di ospitare i concerti in luoghi culturalmente significativi delle numerose piccole comunità che caratterizzano l’ampia area nella quale questa rassegna nomade si tiene. Una formula vincente che molte delle piccole / grandi rassegne cercano di applicare spesso con risultati eccellenti; in più “Un Paese a Sei Corde” ha un occhio di riguardo all’aspetto dell’impatto ambientale – nei termini di risparmio energetico e di minima produzione di rifiuti – ed alla sicurezza del lavoro. Ma al di là di questi importanti aspetti fiore all’occhiello della rassegna, il piccolo ma compatto gruppo di organizzatori ha allestito un programma di tutto rispetto ottimizzando le risorse economiche a disposizione, senza i grandi nomi del chitarrismo internazionale ma con invece ottimi musicisti meno conosciuti con i loro repertori classici, di nuova composizione o legati alle tradizioni della chitarra acustica o classica che sia (non mi garba questa distinzione ma tant’è). Quaranta artisti per una ventina di appuntamenti tra le provincie di Verbania, Novara, Vercelli e Mendrisio (nella limitrofa Confederazione Elvetica, sede dello sponsor Schertler Group), curati per ciò che concerne la chitarra classica dal Maestro Francesco Biraghi che ha seguito anche la preziosa sezione chiamata “Chitarra femminile Singolare” e da Davide Sgorlon per la sezione “Volare in Alto”.

Il programma particolareggiato della rassegna si può consultare sul sito, pertanto vi segnalo solo alcuni degli appuntamenti in cartellone: domenica 13 giugno a Casalino (Parco del Castello) un chitarrista (Francesco Biraghi) e tre chitarriste (Maria Vittoria Jedlowski, Emma Baiguera e Fabiana Miglietti) attraverseranno il repertorio classico, giovedì 11 agosto, a Mendrisio presso il Museo d’Art alle 20:00, doppio appuntamento con il fingerpicking grazie a di Giovanni Ferro, apprezzato strumentista e compositore veronese ed al partenopeo Giovanni Seneca, autore fin qui di sei album, il 31 luglio a Guardabosone sarà la volta della bravissima Eleonora Strino ed Emanuele Cisi.

Una rassegna che nel tempo si è guadagnata un posto nelle più interessanti e prestigiose rassegna per chitarristi anche grazie agli eventi collaterali che ospita come l’esposizione di liuteria ad Ameno che chiude la rassegna o la presentazione del volume di Manuel Consigli “La mappa segreta del chitarrista felice” che venerdì 21 maggio l’ha inaugurata.

Come detto, per i particolari consultate il sito qui sotto riportato perché la rassegna è anche un’ottima occasione per conoscere angoli del nostro Paese a pochi conosciuti.

www.unpaeseaseicorde.it

DALLA PICCIONAIA: MICHAEL “BLACKSMITH” COWELL

DALLA PICCIONAIA: MICHAEL “BLACKSMITH” COWELL

DALLA PICCIONAIA: MICHAEL “BLACKSMITH” COWELL

Mena, Arkansas ( ..… – 1935)

di alessandro nobis

C’è una busta ingiallita dal tempo in cima alla scaffalatura dedicata allo Stato dell’Arkansas a Washington, alla Biblioteca del Congresso; è una busta voluminosa custodita gelosamente in una scatola assieme a fotografie di famiglia e di ambiente, contratti di proprietà agricole ed immobiliari, un registro delle nascite e delle morti, documenti contabili della famiglia MacFarland e del loro emporio. E’ il risultato delle ricerche condotte per una vita intera da tale Frank MacFarland, residente nella contrada di Mena e studioso della storia della Contea di Polk – qualcuno lo definirebbe “localista” – che dedicò il suo poco tempo libero a ricostruire la vita del paese dove la sua famiglia si era trasferita dalla costa est due generazioni prima e dei personaggi che lo popolarono, o almeno di quelli che qualcosa di interessante avevano fatto o detto. Mena ed Hatfield erano – e lo sono ancora – due piccoli centri non lontani dal confine con l’Oklahoma attraversati da una rotabile frequentemente percorsa soprattutto a cavallo del 1900 per via di un ponte coperto sul Mountain Fork che collegava i due Stati. Ma, e vengo al dunque, oltre ai documenti descritti prima donati alla Library of Congress dalla vedova MacFarland, nella busta si trovano due manoscritti che riportano frammenti di altrettanti canti, forse due worksongs e due spirituals probabilmente raccolti e trascritti con discreta precisione – anche se la firma è pressoché illeggibile – dal pastore battista di Hatfield direttamente dalla voce dell’informatore Micheal “Blacksmith” Cowell di professione fabbro, almeno così si legge in altro foglio di piccole dimensioni. Cowell era un afroamericano, la data della sua morte riportata sulla nuda pietra tombale riporta la data del 1935 ma non quella di nascita, che aveva proseguito l’attività del padre – nato schiavo in uno Stato schiavista – in un’officina sulla Main Street ai margini dell’abitato di Hatfield; nella busta c’è anche una foto, forse ritrae lui, forse il padre, non ci sono annotazioni o date, resta – e resterà fitto – il mistero.

Non è difficile immaginare Cowell che canta a piena voce rabbiosamente seguendo il ritmo del maglio della sua officina, e nemmeno immaginare il Pastore che si ferma ad ascoltare ed a cercare di trascrivere i versi di quei canti che, come da prassi nella musica “orale” cambiavano a seconda dell’umore di chi li cantava.

Sul primo foglio l’incipit è “One of these mornings” ed i primi dei pochi versi trascritti sono “Thank God Almighty we are free at last / I am gonna put on my two wings and try to fly”, sembra una lezione diversa di “Free at last” del repertorio del “Freedon Trail”, ovvero del percorso verso la libertà che gli schiavi cercavano di seguire per ottenerla negli stati del nord, percorso che veniva chiamato anche “The Underground Railroad”. Sul retro due versi che recitano “No more auction block for me, non more, no more /No more auction block for us, many (hundreds) gone” probabilmente riferito alla messa all’asta degli schiavi nelle piazze dei mercati. Il secondo foglio, con vistose macchie nerastre che ricoprono quasi completamente il testo su un lato, sono riportate poche parole, sembra “Pay me or go to jail / Pay me, pay me” una work song probabilmente, forse la stessa “Pay me” che Alan Lomax raccolse a metà del ‘900 da un portuale a Savannah, Georgia mentre sul secondo lato, più leggibile, è quasi certamente stato trascritto un canto di lavoro dei lavoratori neri delle campagne perché dice “Bring me little water, Mary / Bring me little water now / Bring me little water, Mary / Bring me little water right now”.

La vicenda di Michael Cowell e della famiglia MacFarland è solamente un piccolissimo frammento della storia degli afroamericani di questa parte d’America; la Biblioteca del Congresso di Washington contiene tesori inestimabili per la storia americana, per la storia della nazione e per quella delle comunità che lì vivono. Di questi faldoni pieni zeppi di documenti se ne contano a centinaia, quasi tutti da esplorare con la pazienza di un archeologo “da biblioteca”, e molti di questi provengono dall’Europa. Chissà, un giorno ….