SETANTA “Setanta”

SETANTA “Setanta”

SETANTA “Setanta”

Tinto Tap Records. CS, 1990

di alessandro nobis

Ritornati in Italia nel 1989 (dopo un’apparizione a Folkermesse) grazie al giornalista Enzo Palombella · che curò anche la copertina dell’audiocassetta · per la loro tourneè organizzata da FOLKITALIA, i Setanta suonarono a Verona al Posto il 13 aprile per presentare questa loro unica incisione dal titolo eponimo e che riporta misteriosamente la data di pubblicazione dell’anno successivo. Un vero peccato che la carriera discografica dei Setanta non sia in pratica mai iniziata perchè riascoltando la loro cassetta e la registrazione beninteso artigianale del loro live veronese emerge ancora oggi la qualità, il brio, la freschezza e l’equilibrio del loro suono apprezzato dal numeroso pubblico che affollò il locale sotto la spinta del fascino del folk scoto·irlandese nonostante fossero musicisti impegnati quotidianamente in altre professioni; una particolarità che distingueva i Setanta dagli gruppi del folk revival dell’epoca era senz’altro il suono dell’hammered dulcimer suonato con grande gusto e abilità dallo scozzese Jack Bethel (ascoltare “O’Dwyers” nel lato B della cassetta).

Era un gruppo ben rodato composto da musicisti irlandesi e scozzesi (Mike Berry · violino, tin whistle ·, Jack Bethel · hammered dulcimer, concertina ·, Colin McAllister · voce, bodhran ·, Hunter McConnell · voce, chitarra ·, David John Munro · uilleann pipes · e Gearoid O’Laoghaire · violino ·) residenti nell’area di Glasgow ed il repertorio di questa cassetta era fatto di canti narrativi e di suite di danze: tra i primi menziono una bella versione di “John Franklin” · presentata anche nel concerto veronese K, “Lovely Old Fintown” raccolta nella contea di Derry e “Carrickmammon Lake” proveniente invece dalla Contea irlandese di Down qui proposta nella versione della cantante tradizionale Sarah Ann O’Neill e qui con la splendida voce di Colin McAllister. Tra gli strumentali senz’altro va citata la suite di tre slides provenienti dalla regione di Cork e il medley “Da Auld Resting Chair · Hakki’s Polka · The Old Polka” (la seconda dalle Shetland e l’ultima dalle isole Orkney) e la suite di jigs “The Boys of the Town · The Connaughtman’sRamble · The Eaversdropper“.

In definitiva un lavoro ben riuscito, forse poteva essere un demotape per un possibile primo CD dei Setanta, peccato che il progetto non si sia concretizzato. Ma c’è sempre tempo …..

Back in Italy in 1989 (after an appearance at Folkermesse Festival) thanks to the journalist Enzo Palombella · who also edited the cover’ graphic of the audio cassette · for their tour organized by FOLKITALIA, the Setanta played in Verona al Posto on April 13th to present their the only engraving with the eponymous title and which mysteriously bears the publication date of the following year. It’s a real pity that Setanta’s recording career practically never started because listening to their cassette and the artisanal recording of their live performance in Verona still emerges today the quality, panache, freshness and balance of their sound appreciated by the numerous audiences who flocked to the venue under the influence of the charm of Scot·Irish folk despite being musicians engaged in other professions on a daily basis; a peculiarity that distinguished the Setanta from the folk revival groups of the time was undoubtedly the sound of the hammered dulcimer played with great taste and skill by the Scotsman Jack Bethel (listen to “O’Dwyers” on side B of the cassette).

It was a well-established group made up of Irish and Scottish players (Mike Berry fiddle, tin whistle, Jack Bethel hammered dulcimer, concertina, Colin McAllister vocals, bodhran, Hunter McConnell vocals, guitar, David John Munro uilleann pipes · and Gearoid O’Laoghaire · violin ·) resident in the Glasgow area and the repertoire of this tape was made up of narrative songs and dance suites: among the former I mention a beautiful version of “John Franklin” also presented in the Verona concert K, “Lovely Old Fintown” collected in the county of Derry and “Carrickmammon Lake” coming instead from the Irish County of Down proposed here in the version of the traditional singer Sarah Ann O’Neill and here with the splendid voice of Colin McAllister. Among the instrumentals, the suite of three slides from the Cork region and the medley “Da Auld Resting Chair · Hakki’s Polka · The Old Polka” (the second from Shetland and the last from the Orkney Islands) and the suite of jigs “The Boys of the Town · The Connaughtman’sRamble · The Eaversdropper”.

Ultimately a successful work, perhaps it could have been a demotape for a possible first Setanta CD, a pity that the project did not materialize. But there is always time …..

Lato A:

GOING TO THE WELL FOR WATER

WHEELS OF THE WORLD · THE RIGHTS OF MAN

TIBBIE FOWLE

DA AULD RESTIN CHAIR · HAKKI’S POLKA · THE OLD POLKA

LOVELY OLD FINTOWN

OUT ON THE OCEAN · THE MISTY MOUNTAIN · PADDY O’RAFFERTY

Lato B:

LORD FRANKLIN

THE BOYS OF THE TOWN · THE CONNAUGHTMAN’S RAMBLE

CARRICKMANNON LAKE

THE STRANGER · O’DWYERS · OFF TO CALIFORNIA

SWEET COUNTRY ANTRIM

THE MAID BEHIND THE BAR · THE HUMORS OF TULLA · THE TORN PETTICOAT · THE SAILOR’S BONNET

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SILLY WIZARD “So Many Partings”

SILLY WIZARD “So Many Partings”

SILLY WIZARD “So Many Partings”

Highway Records. LP, 1979

di alessandro nobis

So Many Partings” è il terzo disco dopo l’esordio del 1976 e “Caledonia Hardy’s Songs” del 1978 del gruppo scozzese con una formazione che si è ormai stabilizzata rispetto all’inizio della loro carriera (che risale al 1972, quando assumono il nome di Silly Wizard): al’epoca della registrazione di questo disco ne facevano parte Phil Cunningham (accordion, tin whistle, whistle, tastiere, voce), Martin Hadden (basso, harmonium, chitarra), Johnny Cunningham (violino e voce), Gordon Jones (chitarra, mandola e bodhrán ) e Andy Stewart (voce e banjo). Il repertorio è quello dei gruppi che si sono occupati del recupero della tradizione, a qualunque latitudine: canti narrativi e temi a danza, di tradizione e di nuova composizione e nel caso dei Silly Wizard si naviga nel repertorio scozzese che spesso è in comune con quello della vicina Irlanda. Il suono dalla band è caratterizzato in primis dall’accordeon e dal violino di Phil e Johnny dCunningham oltre che dalla voce di Andy Stewart. L’esecuzione dell’abbinata aperta dal bodhran “Donald Mc Gillavry” (qui il nome del capitano indica l’armata giacobina nel suo complesso e la canzone, interpretata anche da Ewan McColl nel 1962 trova origine nel 1715) e dalla “Calvary March” dal repertorio raccolto dal Capitano della polizia di Chicago, l’irlandese Francis O’Neill dà alla perfezione l’idea del suono dei Wizard che anche dal vivo avevano questa sorta di “wall of sound” (prendo in prestito dalla mitologia deadiana questa definizione) davvero impattante.

andy Stewart porta il suo importante contributo soprattutto con un brano tradizionale dal repertorio della sua famiglia, ovvero “Wi’ my dog and gun” (la storia di una ragazza che rifiuta le impetuose advances di un giovanotto troppo insistente · diciamo così ·) il cui testo è conosciuto anche in Irlanda anche se qui eseguito utilizzando un’altra melodia, e “The Valley of Strathmore“, un canto di emigrazione che narra la storia di un uomo che lasciata la Scozia realizza il suo piccolo sogno ma anche la mancanza dell’amata. Infine un reel in quattro parti, (“Cameron’ Strathspey · Mrs. Martha Knowles · The Pitnacres Ferryman · The new Shillin’“)” tra le quali segnalo il reel conclusivo scovato da Johnny Cunningham in un antico manoscritto e qui registrata per la prima volta ed il secondo, composizione di Johnny Cunningham.

Disco bellissimo a mio avviso e da parte mia chiudo con un caro ricordo della gentilezza e dell’arte di Johnny Cunningham che nel 1993 venne in tour in Italia (suonarono a Verona presso “Il Posto” di Luciano Benini il 2 Aprile) impreziosendo assieme al primo chitarrista degli Yardbyrds Top Topham le già meravigliose canzoni di Bill Morrissey.

Purtroppo sia lo storyteller americano che il violinista scozzese non ci sono più, ma fortunatamente rimane la loro immensa musica.

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“So Many Partings” is the third album after the debut of 1976 and “Caledonia Hardy’s Songs” of 1978 of the Scottish group with a formation that has now stabilized since the beginning of their career (which dates back to 1972, when they take the name of Silly Wizard): at the time this album was recorded it included Phil Cunningham (accordion, tin whistle, whistle, keyboards, vocals), Martin Hadden (bass, harmonium, guitar), Johnny Cunningham (violin and vocals), Gordon Jones (guitar, mandola and bodhrán) and Andy Stewart (vocals and banjo). The repertoire is that of the groups that have dealt with the recovery of tradition, at any latitude: narrative songs and dance themes, of tradition and of new composition and in the case of the Silly Wizard we navigate the Scottish repertoire which is often in common with that from neighboring Ireland. The band’s sound is primarily characterized by the accordion and fiddle of Phil and Johnny Cunningham as well as the vocals of Andy Stewart. The execution of the match opened by the bodhran “Donald Mc Gillavry” (here the name of the captain indicates the Jacobin army as a whole and the song, also interpreted by Ewan McColl in 1962, originates in 1715) and by the “Calvary March” from the repertoire collected by the Captain of the Chicago police, the Irishman Francis O’Neill perfectly gives the idea of ​​the sound of the Wizards who even live had this sort of “wall of sound” (I borrow this definition from Deadian mythology) really impactful.

Andy Stewart brings his important contribution above all with a traditional song from his family’s repertoire, namely “Wi’ my dog ​​and gun” (the story of a girl who refuses the impetuous advances of a too insistent young man · shall we say ·) whose text is also known in Ireland although performed here using another melody, and “The Valley of Strathmore”, an emigration song which tells the story of a man who left Scotland realizes his little dream but also the lack of loved. Finally a reel in four parts, (“Cameron’ Strathspey · Mrs. Martha Knowles · The Pitnacres Ferryman · The new Shillin'”)” among which I point out the final reel found by Johnny Cunningham in an ancient manuscript and recorded here for the first time and second, composition by Johnny Cunningham.

Beautiful album in my opinion and for my part I close with a fond memory of the kindness and art of Johnny Cunningham who toured Italy in 1993 (they played in Verona on April, 2nd at “Il Posto” di Luciano Benini) embellishing the already wonderful songs of Bill Morrissey together with the lead guitarist of the Yardbyrds Top Topham.

Unfortunately both the American storyteller and the Scottish violinist are gone, but fortunately their wonderful music remains.

OSSIAN “Ossian”

OSSIAN “Ossian”

OSSIAN “Ossian”

Springthyme Records. LP, 1977

di alessandro nobis

Nel ’77 viene pubblicato dall’etichetta scozzese Springthyme l’album di esordio di uno dei gruppi che negli anni successivi verrà considerato assieme a pochi altri (Battlefield Band, Silly Wizard, Boys of the Lough) come riferimento del cosiddetto folk·revival della terra di Scozia, gli Ossian. Questa prima line·up era un quartetto, con George Jackson (violino, plettri, flauti e chitarra), Billy Jackson (arpa scozzese, uilleann pipes, flauti), John Martin (violoncello, violino e mandolino) e Billy Ross (chitarra, flauto e dulcimer); ho di proposito tralasciato di citare le quattro voci perchè gli arrangiamenti, le armonie e la bellezza delle parti vocali sono sempre state una delle caratteri che identificano della musica degli Ossian naturalmente assieme il suono dell’arpa scozzese in studio ed anche dal vivo.

Il repertorio degli Ossian · band che prende il nome dell’omonimo bardo del III secolo · è ricchissimo e la scelta è sempre oculata alla ricerca della più pura delle tradizioni e dei poeti, numerosissimi, che nei secoli hanno scritto della loro terra e delle persone che la abitano. Come la ballata “The Corncrake” raccolta nel sud ovest scozzese che apre il disco ed è una love song che fa riferimento al richiamo della quaglia, uccello diventato molto raro a causa della diminuzione del suo habitat lungo il fiume Doune; è una canzone conosciuta in tutta la Scozia continentale e proviene dalla raccolta di Folk Songs di Greig-Duncan stampata nel 1925, qui abbinata a “I Hae a Wife O Ma Ain” una lirica di Robert Burns suonata a tempo di jig. Splendido il set “ The 72nd Highlanders Farewell Tae Aberdeen (Pipe March) / The Favourite Dram (Bumpkin)” eseguito da due violini, clarsach e flauto che combina una pipe·march ad un slip·jig dalla collezione risalente al 1816 di Simon Fraser, come la slow air proveniente dalla roccoltae del violinista e compositore James Scott Skinner (“The Strathsey King”) vissuto tra il 1843 ed il 1927 ed infine voglio citare il set di reels provenienti dalle isole Shetland “ Spootaskerry (Shetland Reels) / The Willow Kishie / Simon’s Wart ” composti rispettivamente da Ian Burns, Willie Hunter Jr. e Wille Hunter Sr..

Questo disco eponimo degli Ossian non dovrebbe mancare in una collezione di musica tradizionale che si rispetti a mio avviso, come peraltro anche “Seal Song” e St. Kilda Wedding (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/11/14/ossian-st-kilda-wedding/). A questi aggiungerei anche il disco solo del compianto Tony Cuffe che più tardi entrerà nel gruppo lasciando un’impronta importante (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/03/02/suoni-riemersi-tony-cuffe-when-first-i-went-to-caledonia/).

In 1977 the Scottish label Springthyme released the debut album of one of the groups who in the following years would be considered together with a few others (Battlefield Band, Silly Wizard, Boys of the Lough) as a reference of the so-called folk revival of the earth of Scotland, the Ossians. This first line up was a quartet, featuring George Jackson (violin, picks, flutes and guitar), Billy Jackson (Scottish harp, uilleann pipes, flutes), John Martin (cello, violin and mandolin) and Billy Ross (guitar, flute and dulcimer); I deliberately omitted to mention the four voices because the arrangements, the harmonies and the beauty of the vocal parts have always been one of the characteristics that identify Ossian's music naturally together with the sound of the Scottish harp in the studio and also live.

The repertoire of Ossian · a band that takes its name from the 3rd century bard of the same name · is very rich and the choice is always careful in search of the purest of traditions and poets, very numerous, who over the centuries have written about their land and people who inhabit it. Like the ballad "The Corncrake" collected in southwestern Scotland that opens the disc and is a love song that refers to the call of the quail, a bird that has become very rare due to the decrease in its habitat along the Doune river; is a song known throughout mainland Scotland and comes from Greig-Duncan's collection of Folk Songs printed in 1925, here combined with "I Hae a Wife O Ma Ain" a Robert Burns lyric played in jig time. The set "The 72nd Highlanders Farewell Tae Aberdeen (Pipe March) / The Favorite Dram (Bumpkin)" performed by two violins, clarsach and flute that combines a pipe march with a slip jig from the collection dating back to 1816 by Simon Fraser is splendid. like the slow air coming from the violinist and composer James Scott Skinner ("The Strathsey King") who lived between 1843 and 1927 and finally I want to mention the set of reels from the Shetland Islands " Spootaskerry (Shetland Reels) / The Willow Kishie / Simon's Wart" composed by Ian Burns, Willie Hunter Jr. and Wille Hunter Sr. respectively.

This eponymous album by Ossian shouldn't be missing in a self-respecting traditional music collection in my opinion, as well as "Seal Song" and St. Kilda Wedding (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/11/14/ ossian-st-kilda-wedding/). To these I would also add the solo album by the late Tony Cuffe who will later join the group leaving an important imprint (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/03/02/suoni-riemersi-tony-cuffe-when-first -i-went-to-caledonia/).

OSSIAN “St. Kilda Wedding”

OSSIAN “St. Kilda Wedding”

OSSIAN “St. Kilda Wedding”

Iona Records IR001. LP, 1978

di alessandro nobis

St. Kilda Wedding” è il secondo album degli scozzesi Ossian dopo l’eponimo pubblicato nel 1977 dalla Springthyme ed è anche il primo ad apparire nel catalogo dell’importante label di Glasgow Iona Records. Gli Ossian si sono sempre distinti dagli altri gruppi che hanno valorizzato la tradizione musicale di Scozia per l’indovinata combinazione strumentale oltre che per lo studio e gli arrangiamenti dei temi a danze e della ballate: anche dal vivo hanno sempre mantenuto questa caratteristica ed in tutti i concerti ai quali ho potuto assistere ed organizzare dai tempi di “Seal Song” ho sempre apprezzato il perfetto equilibrio tra cordofoni, strumenti ad arco e naturalmente la magnifica arpa celtica di Billy Jackson, un vero Maestro di questo strumento oltre che ottimo uilleann piper. Qui la line · up prevede quattro musicisti (Tony Cuffe ancora non faceva parte della band) ovvero John Martin (violino, violoncello e voce), George Jackson (plettri, violino, tin whistle, flauto e voce), Billy Jackson (arpa, uilleann pipes, voce e tin whistle) e Billy Ross (voce solista, chitarra, dulcimer e tin whistle). Il repertorio è molto interessante, va dalla tradizione delle isole Shetland, così tanto influenzata da quella scandinava come il set di reels che chiude l’album “More Grog Coming ·  Tilley Plump · Da Foostra” con le pipes irlandesi di Billy Jackson, la ballad “The Braes O’ Strathblane” riportata nella collezione Mavers pubblicata nel 1866 e molto diffusa nel nord est Ebridi comprese o ancora la melodia “St. Kilda Wedding” (splendida la combinazione tra violino e plettri con le pipes che fanno inizialmente da bordone che racconta attraverso la melodia i matrimoni sull’isola di St. Kilda delle Ebridi Esterne (ed è tratto dalla collezione di musica delle Highlands del Capitano S. Fraser di Knockie), melodia abbinata ai reels aperti dalle uilleann pipes  “Perrie Werrie · The Honourable Mrs. Moll’s“. Infine segnalo il canto gaelico di “‘S Gann Gunn Dirich Mi Chaoidh” dove l’autore, Norman Nicolson di Skye racconta la propria storia di bracconiere, fratello del capo Clan John Nicolson ultimo leader del Clan prima di emigrare in Canada e quindi in Australia e l’aria “Gie me a lass wi a lunp o’ land” dalla raccolta di Alan Ramsey “Tea Table Miscellany” pubblicata nel 1724, con clarsach e flauti a disegnare la eterea melodia di questa slow air.

Gran bel gruppo gli Ossian, dalla loro musica non si può prescindere se si vuole conoscere in profondo la musica popolare scozzese con i suoi suoni ed i suoi contenuti.

DICK GAUGHAN “No More Forever”

<strong>DICK GAUGHAN</strong> “No More Forever”

DICK GAUGHAN “No More Forever”

Leader Records. LP, 1972.

di alessandro nobis

Nel 1972 l’illuminata etichetta di Bill Leader pubblica il disco d’esordio dell’allora ventiquattrenne chitarrista, cantante, compositore e studioso Richard Peter “Dick” Gaughan che lo aveva registrato l’anno precedente. Il ’72 lo vide coinvolto anche nella fornazione del leggendario gruppo · almeno per chi segue la musica scozzese · Boys of the Lough partecipando alla registrazione del loro eponimo primo disco, ma lasciò il gruppo quasi subito dedicandosi ad una carriera solistica per la quale è conosciuto ovunque anche se la sua produzione discografica è stata poco prolifica ma di grandissima qualità.

La qualità del suo stile chitarristico è a dir poco stellare, combinando lo stile flat·picking con il fingerpicking con grande efficacia e lo ha fatto diventare in breve uno dei grandi maestri della chitarra acustica, come mi disse in occasione di un suo concerto Tony McManus. Del resto basta ascoltare quella magnifica raccolta di strumentali che è “Coppers and Brass” del 1977 per la Topic per rendersene ben conto, ma già da questo “No More Forever” emerge sia il suo talento allo strumento che la capacità interpretativa dei brani cantati alcuni dei hanno origini molto antiche. Vedasi la coppia di reels “The Teetotaller · Da Tushker“, strumentali con la sovraincisioni del mandolino sulla chitarra o i canti narrativi come la Child Ballad (#293) “Jock O’Hazeldean” nata da un frammento di una ballad scritta da Sir Walter Scott o ancora “The Thatchers O’Glenrae” risalente al XIX secolo composta da Hector McIlfatrick con il testo abbinato alla melodia di un’altra ballad, “Erin Go Bragh” (nel repertorio di Gaughan) ed infine “Cam’ Ye Ower Frae France” la cui origine risale alle guerre Giacobine del XVIII secolo.

La discografia di Gaughan è tutta da ascoltare e da apprezzare, compreso quel bizzarro ma significativo (rispetto al suo repertorio folk) disco di musica improvvisata, “Fanfare for Tomorrow” pubblicata dalla Impetus nel 1985 con il batterista Ken Hyder.

Gaughan non sta bene al momento, ha sofferto anni fa per un infarto ed i tempi di riabilitazione non sono brevi come è facile immaginare, e l’augurio è quello di rivederlo in attività quanto prima.

Disco da avere, come tutti i suoi. C’è bisogno di dirlo?

BOYS OF THE LOUGH “Midwinter Night’s Dream”

BOYS OF THE LOUGH “Midwinter Night’s Dream”

BOYS OF THE LOUGH “Midwinter Night’s Dream”

Blix Street Records. CD, 1994

di alessandro nobis

Dedicato alle tradizioni legate alla stagione invernale nelle terre del Nord” potrebbe essere il sottotitolo di questo gran bel lavoro dei Boys of the Lough che qui si presentano in quartetto (Christy O’Leary, Aly Bain, Cathal McConnell e Dave Richardson) e che presentano un repertorio che comprende brani provenienti dalle Isole Shetland, dalla penisola scandinava, dal nord est scozzese e dalla Contea irlandese di Wexford; il suono dei “Boys” è inconfondibile, possono cambiare i musicisti ma il carattere quasi cameristico, come ho detto in altra occasione, rimane inalterato. Come nella magnifica “That Night in Bethlehem” antica “Christmas Carol” probabilmente antecedente al 1691 quando vennero promulgate le Penal Laws che proibivano la composizione e l’esecuzione di canti natalizi, come scrive Donal O’Sullivan; questa è cantata in gaelico irlandese da Christy O’Leary e si caratterizza per lo splendido arrangiamento che mette in gran risalto il pianoforte di Henning Sommerro di Trodheim. Interessante la suite di danze “The Greenland man’s tune / Da Forfit O’ Da Ship Reel / Green Grow da Rashes Reel” non solo perchè provengono dal repertorio dei balenieri della Shetland ma anche perchè la prima è di origine Eskimo e la cui versione orifginale era cantata in Yaki; il violino  di Aly Bain e la chitarra dello straordinario chitarrista inglese Chris Newman, ospite graditissimo, fanno il resto evidenziando al meglio il fascino e la bellezza di queste melodie nordiche. Dalla Svezia il suggestivo ed evocativo set “Sankt Staffan Han Rider / Christmas day in the Morning / Trettondagsmarschen“, introdotto dal pianoforte e cantato da Christy O’Leary, che dalla sua Irlanda porta in dote “The Wexford Carol“, canto sulla natività la ciui prassi esecutiva si basa su quella del cantante dublinese Frank Harte: anche cui il fine cesello della chitarra di Chris Newman è il valore aggiunto al brano.

Spesso i dischi dedicati al Natale paiono raffazzonati per soddisfare le esigenze del consumismo legato a questa Festa; ci sono delle eccezioni e questo“Midwinter Night’s Dream” ne è la prova, sia per la qualità e raffinatezza del repertorio che per il marchio di garanzia dei “Boys of the Lough” sempre rigorosi ed allo stesso tempo piacevolissimi. Non ricordo infatti dischi “mediocri” nella loro poderosa discografia.

THE BOYS OF THE LOUGH “The Fair Hills of Ireland”

THE BOYS OF THE LOUGH “The Fair Hills of Ireland”

THE BOYS OF THE LOUGH “The Fair Hills of Ireland”

Lough Records, CD 1992

di alessandro nobis

Questa incisione dei Boys Of The Lough, risalente al 1992 che celebra il 25° anniversario della costituzione del gruppo, è una di quelle preferisco del gruppo scoto-irlandese soprattutto per l’eleganza degli arrangiamenti che si distingue da tutti i gruppi di folk revival di area celtica; il suono del pianoforte di John Coakley regala infatti una visione chiara ed unica del repertorio tradizionale, direi in alcuni momenti quasi cameristica che valorizza i ritmi della musica popolare e la bellezza delle melodie della ballate. Mi riferisco in particolare ai tre canti di emigrazione; la bellissima “Ban Chnoic Erin O” con l’evocativo pianoforte di Caokley e la voce di McConnell, a “Erin Gra Mo Chroi / Ireland, love of my heart” (un canto di emigrazione, i ricordi del dolore della madre per la sua partenza e del profumo della torba che brucia nel camino) ed a “The Bonnie Labouring Boy“, canto di emigrazione scozzese risalente alla metà del XIX secolo presente nella raccolta Roud al numero 1162 (racconta nello specifico della storia d’amore ostacolata dai genitori di lei che costringe las coppia a scappare a Belfast e di qui imbarcarsi per il Nordamerica). Ci sono poi naturalmente i set di danze nei quali la coesione tra Aly Bain, Cathal McConnell, Dave Richardson, Christy O’Leary e Coakley è ancora una volta ben evidente facendo dei Boys of The Lough uno dei più interessanti ensemble di area celtica che hanno calcato le scene (ma che purtroppo, in Italia non si sono mai visti per quel che mi ricordo) negli ultimi decenni nei festival e nelle sala da concerto. Il set di jigs “The Wandering Minstrel / Fasten the Leg in Her / Coleman’s Cross” con le uilleann pipes di O’Leary in gran spolvero e la ritmica del pianoforte e la slow air “Father Brian Mac Dermott Roe” composta da Turlogh O’Carolan eseguita da O’Leary in solo sono quelli che più ho apprezzato, sebbene il livello di tutto questo “The Fairy Hills of Ireland” sia davvero altissimo. Tra i dischi del BOFL, questo è uno di quelli da avere assieme al primo (con Dick Gaughan) ed a “Welcoming Padfdy Home” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/02/01/suoni-riemersi-the-boys-of-the-lough-welcoming-paddy-home/).

BOYS OF THE LOUGH “Farewell and Remember Me”

BOYS OF THE LOUGH “Farewell and Remember Me”

BOYS OF THE LOUGH “Farewell and Remember Me”

Lough / Shanachie Records. LP, 1987

di alessandro nobis

Questo ellepì del gruppo scoto irlandese è il secondo, dopo “Welcoming Paddy Home” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/02/01/suoni-riemersi-the-boys-of-the-lough-welcoming-paddy-home/) che si avvale delle uilleann pipes di Christy O’Leary e del pianoforte di John Coakley, entrambi irlandesi, che raggiungono il violinista delle Shetland Aly Bain, il suonatore di concertina e di plettri Dave Richardson dalla regione scozzese del Northumberland e l’altro irlandese, il flautista Cathal McConnell; “Farewell and Remember Me” è un altro lavoro straordinario che conferma la qualità della proposta musicale in termini di scelta del repertorio e del modo di proporlo con arrangiamenti eccellenti e godibilissimi anche dal pubblico poco avvezzo all’ascolto della musica popolare scozzese (e irlandese) e che confermò all’epoca la statura di una band che aveva già registrato con grande regolarità la bellezza di tredici album a cominciare dal disco eponimo del 1973 (e Dick Gaughan faceva parte del gruppo).

Il suono dei Boys of the Lough è sempre stato tutto sommato diverso dalle altre formazioni scozzesi, soprattutto per l’assenza dell’arpa e delle highland bagpipes ed il repertorio di questo bel disco presenta una selezione di musiche e di canzoni tradizionali inserite sia in raccolte storiche che provenienti delle regioni di appartenenza dei componenti del gruppo. Non potevano mancare vista la loro straordinaria importanza brani tratti dalla raccolta stampata nella prima decade del 19° secolo di O’Farrell “Pocket Companion for the Irish Union Pipes”, ossia il walzer (“The Waterford Waltz”) abbinato a “The Stronsay Waltz” raccolto da Richardson a Stromness nelle isole Orcadi, e da quella di Francis O’Neill (“Music of Ireland”) dalla quale il piper O’Leary interpreta “Den Bui”, jig di apertura del disco abbinato ad altre due jigs, il primo dal repertorio del grande violinista del Donegal Tommy Peoples e “Lark in the Morning” imparato dal piper dalla madre di un altro grande suonatore di cornamusa irlandese, Willie Clancy.

Infine voglio citare la ballad irlandese risalente al 1790 “An Spalpin Fanach”, in una versione del Connemara che racconta di un lavoratore disoccupato che vaga di villaggio in villaggio alla ricerca di un lavoro.

Uno dei dischi dei Boys Of The Lough da avere assolutamente, a mio parere.

SUONI RIEMERSI: THE WHISTLEBINKIES

SUONI RIEMERSI: THE WHISTLEBINKIES

SUONI RIEMERSI: THE WHISTLEBINKIES “The Whistlebinkies”

Claddagh Records. LP, 1977

di alessandro nobis

Ricordo che ai tempi della pubblicazione dei dischi degli scozzesi Whistlebinkies questi venivano definiti dalle nostre parti con troppa faciloneria “i Chieftains di Scozia”; allora bastava un’arpa ed una cornamusa ed il gioco era fatto. Sicuramente il quintetto scozzese non era molto seguito dai fans della musica celtica nostrani sebbene facessero parte della scuderia della dublinese Claddagh Records e questo è stato davvero un peccato come lo è stato non vederli mai dal vivo.

Questo album è datato 1977 e nonostante siano passati oltre quattro decenni lo si ascolta molto volentieri perché il suono dalla band era diverso dalle altre compagini conterranee come Ossain, Battlefield Band, Silly Wizard o Boys Of The Lough per citarne quattro; il clarsach di Charles Guard (qui indicato come ospite ma presente nella foto di copertina), le cornamuse di Rab Wallace, i flauti di Eddie McGuire, la voce e le percussioni di Mick Broderick ed il violino di Rae Siddall sono gli strumenti ed i componenti del gruppo con un suono fortemente caratterizzato dalle bagpipes e dalla voce e con un repertorio che affronta la tradizione scozzese ma non solo, come testimonia il brano che apre la seconda facciata, “Ireland”, interpretazione caledoniana della tradizione irlandese (la marcia “Brian Boru”, “Morrison’s Jig” e l’aria “Eileen Aaron”) e “Brittany” dedicato naturalmente alla Bretagna.

Del repertorio scozzese molto interessante “Donald MacGillivray” (interpretato anche dalla Battlefield Band) che ci riporta ai tempi della ribellione Giacobita del 1745 che narra storia di duecento uomini guidati da una donna, Lady of Moy, “The Battle of Sheriffmoore” che ricorda l’omonimo scontro del 13 novembre 1715 tra Highlanders e le truppe inglesi e per finire davvero particolare “Mrs MacLeod and Friends”, un reel tradizionale che introduce brevi interventi solistici dei Whistlebinkies.

Gruppo come dicevo in apertura di grande valore per il lavoro di recupero della musica e della orgogliosa storia del popolo di Caledonia, i suoi dischi per la Claddagh sono da avere, non credo sia una ricerca così difficile …….

JONATHAN DUNFORD & ROB MacKILLOP  “Love is the cause”

JONATHAN DUNFORD & ROB MacKILLOP  “Love is the cause”

JONATHAN DUNFORD & ROB MacKILLOP  “Love is the cause”

Alpha Records. CD, 2011

di alessandro nobis

Scottish Tunes for Viola da Gamba & Baroque Guitar”, così recita il sottotitolo di questo brillante lavoro pubblicato all’etichetta Alpha nel 2011, è un viaggio nella Scozia del 17° secolo ai tempi di King James Istd’Inghilterra e VIthdi Scozia quando la Corte scozzese era un attivissimo centro culturale che attirava musicisti e scrittori dall’Europa Continentale, ed una delle occupazioni dei primi era la trascrizione delle ballate e arie delle danze popolari in voga al momento; alla metà del secolo venne tra l’altro pubblicato “The Good and Godlie Ballads”, che ottenne il beneplacito del Clero, della Nobiltà e dei Parlamentari. Jonathan Dunford (viola da gamba) e Rob MacKillop (chitarra barocca) hanno scelto come repertorio brani provenienti da volumi stampati soprattutto nel 17° secolo con un’esecuzione dal notevole impatto emotivo ed anche evocativo in grado di farci fare un lungo salto all’indietro nel tempo, e soprattutto chi si interessa alla musica tradizionale scozzese troverà qui le lontane origini temporali dei canti narrativi e dei temi a danza suonati ancora oggi.

I cinque brani – eseguiti in duo – che compongono la suite iniziale provengono dall’”Orpheus Caledonius” un corpus di canti raccolto da William Thomson(1695–1753), una fondamentale raccolta che riporta ben cinquanta testi abbinati alle melodie pubblicata nel 1725 alla quale ne seguì una seconda, con altri cinquanta. Altrettanto splendidi quelli per viola da gamba tratti dalla raccolta di John Leyden (il primo proprietario della raccolta stessa, trascritti nel 17° secolo ma la cui origine è antecedente di almeno un secolo) tra i quali segnalo “Sweet Willie”, “The Duke of Lorains March” e “Maggie I Must Love Thee” mentre suggestivi quelli per chitarra barocca a 5 cori tratti dalla raccolta “Princess Anne’s Guitar Book” che risale alla fine del 17° secolo, una delle poche raccolte riferibili sicuramente alla musica delle isole britanniche: fra questi splendide le tre “Scots Tunes”.

Non è frequente imbattersi in lavori dedicati alla musica barocca scozzese ed inoltre qui i livelli esecutivo e storiografico sono davvero importanti. Il tutto arricchito da esplicative note riportate nel libretto, in lingua inglese e francese.