RITMIA “Forse il mare” / “Perhaps the Sea”

RITMIA “Forse il mare” / “Perhaps the Sea”

 

Robi Droli, LP, CD. 1986

Shanachie Records, LP. 1989

di alessandro nobis

Pubblicato dalla benemerita Robi Droli, etichetta emanazione de La Ciapa Rusa, “Forse è il mare” è a mio modesto parere uno dei progetti degli anni ottanta che hanno segnato in modo ben chiaro una possibile evoluzione della musica popolare italiana, lo spartiacque tra quella eseguita in modo filologico ed un nuovo sentiero; già all’epoca della sua realizzazione era evidente che qualcosa di innovativo si stava ascoltando ed oggi, trentacinque anni dopo, al di là del fatto che questa musica ha resistito all’usura del tempo e che si ascolta sempre in modo piacevolissimo, prendiamo atto che sono numerosi i musicisti che hanno preso l’ispirazione da questo lavoro di Riccardo Tesi, Daniele Craighead, Enrico Frongia e Alberto Balìa.

R-8623661-1465363766-5269.jpeg.jpgAbbinare testi tradizionali come “Siscari” e di nuova composizione come “La stella e la luna” di Enrico Frongia a musica originale ma di ispirazione popolare fu un’operazione in qualche modo rivoluzionaria per l’Italia perchè andava in qualche modo controcorrente a quello che era il filone del folk revival. La già citata Siscari ad esempio, una lunga suite di oltre tredici minuti in cui i ritmi della tradizione sarda si abbinano al testo popolare ed agli strumenti sì legati alla tradizione ma ispirati anche da musiche altre: le due magnifiche chitarre di Balìa e Frongia, le evoluzioni dell’organetto diatonico ed il canto hanno il respiro della tradizione riportata prepotentemente ai nostri giorni con preziosi arrangiamenti che lasciano lo spazio ad assoli che a mio avviso guardano anche al jazz come quello del sax soprano di Craighead e dell’organetto di Tesi. Anche la durata dei brani, tre dei quali intorno ai dieci minuti, lasciano piena possibilità al quartetto di declinare il loro percorso musicale. Come anche la splendida “Serenata Mare” che apre la prima facciata scritta da Tesi, Balìa e Craighead con la voce accompagnata dall’organetto ed il ruolo importante riservato flauto dolce che accompagna l’ascolto nella prima parte del brano al quale subentrano i suoni delle chitarre che duettano con l’organetto diatonico e che si conclude con il canto.115597240

Poco tempo dopo in Francia “quelli della Silex” avrebbero definito la musica dei Ritmia  e dei progetti di Riccardo Tesi con l’azzeccata definizione di “Nuova musica acustica”.

Il disco fu pubblicato anche dalla prestigiosa etichetta Shanachie in Nordamerica con il titolo “Perhaps the sea” nella collana “World Beat Etno pop”, una definizione che oggi fa un po’ sorridere, o no?

 

Pubblicità

AA.VV. “Live Recordings from the William Kennedy Piping Festival” Vol. 2

AA.VV. “Live Recordings from the William Kennedy Piping Festival” Vol. 2

AA.VV. “Live Recordings from the WKPF” Volume 2.

WKPF RECORDS, 2CD. 2018

di Alessandro Nobis

Per celebrare la 25^ Edizione del William Kennedy Piping Festival che si tiene ad Armagh, nell’Ulster, intorno alla metà del mese di novembre, viene pubblicata dagli organizzatori questa preziosa antologia – è il secondo volume di una serie che raccoglie registrazioni che coprono un lungo periodo, dal 2003 al 2017. Chi avrò l’opportunità di ascoltare questo doppio CD – e mi riferisco in particolare a coloro i quali sono mai stati tra il pubblico del Festival, scoprirà l’incredibile polimorfismo che la cornamusa ha sviluppato nel secoli praticamente ovunque in Europa.

Qui potrete assaporare – tra le altre – le launeddas di Luigi Lai accanto alle uillean pipes “di casa” di Paddy Keenan, ospite con Paddy Glackin anche nell’edizione 2018, di Cillian Vallely e di Robbie Hannan, la gaita galiziana di Anxo Lorenzo, la Gaida bulgara di Ivan Georgiev e la Sackpipa svedese di Olle Gallmo e la Duda magiara di Balasz Istvanfi, le Northumberland Smallpipes di Andy May accanto alla cornamusa scozzese delle Highlands di Finlay McDonald.

Un vero tripudio della tradizione musicale legata a questo ancestrale strumento legato indissolubilmente alla cultura pastorale che ha trovato il modo, come dicevo, di sviluppare forme e suoni come nessun altro nella cultura europea e mediorientale. Una proposta questa, come lo era il primo volume, che testimonia l’appassionato lavoro e le straordinarie competenza e cura – oltre ad una massiccia dose di curiosità – nella scelta degli interpreti che da un quarto di secolo l’Armagh Pipers Club ha fatto diventare il WKPF un punto di incontro degli appassionati della cultura popolare.

La pubblicazione è supportata dall?arts Council e dall’Irish Traditional Music Archive, ed è acquistabile contattando il Club sul sito www.armaghpipers.com

Per il report dell’edizione 2018 vedi: in Lingua inglese: https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/12/15/william-kennedy-piping-festival-2018-nov-15th-18th-2018-armagh-co-armagh-ireland/ed in lingua italiana https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/12/11/dalla-piccionaia-william-kennedy-piping-festival-2018-15-18-novembre-armagh-co-armagh-irlanda-seconda-parte/e https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/12/04/dalla-piccionaia-william-kennedy-piping-festival-15-18-nov-2018-armagh-co-armagh-irlanda-prima-parte/

ESTER FORMOSA & ELVA LUTZA “Cancionero”

ESTER FORMOSA & ELVA LUTZA “Cancionero”

ESTER FORMOSA & ELVA LUTZA “Cancionero”

Tronos Records, Distr. Felmay. CD 2018

di Alessandro Nobis

Chi ancora pensa che le tradizioni della Sardegna siano immutabili nel tempo, con questo bel lavoro di Ester Formosa e del duo Elva Lutza subisce un colpo decisivo alle sue convinzioni. In realtà sono parecchi i musicisti che partendo dalla memoria hanno saputo e sanno ancora percorrere sentieri che li fanno apprezzare in molte parti del mondo. Il geniale Paolo Angeli, per fare un esempio, e tra gli altri spiccano appunto Nico Casu (trombettista e cantante) e Gianluca Dessì (plettri) che in collaborazione con la cantante catalana Ester Formosa hanno confezionato questo prezioso lavoro, “Cancionero” che segue il pregevole “Amada” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/02/11/elva-lutza-renat-sette-amada/) nato da una collaborazione con Renat Sette.

“Canzoniere” appunto, una splendida raccolta di canti, eterogenea nella provenienza ma resa omogenea dai brillanti arrangiamenti studiati per ogni singolo brano; canzoni di nuova composizione (“A Su Tramuntu” e “Curucutxu”) scritte da Nico Casu, la prima impreziosita dall’organetto del pistoiese Riccardo Tesi e la seconda dai fiati di Dante Casu (clarinetto), Giovanni Becciu (basso tuba) e Michele Garofalo (corno), brani della tradizione sefardita (“Esta Muntanya D’Enfrente”) e catalana come la copla di inizio Novecento “La Violetera” di Josè Padella), brani d’autore rivisitati tra i quali segnalo “Menica, Menica” di Bruno Lauzi con l’inaspettata quanto gradevolissima citazione coltraniana di “My Favourite Things”, brano che a mio avviso si può considerare paradigmatico del lavoro di Elva Lutza e “Lune” scritta a quattro mani da Carlo Muratori e Tesi (all’organetto), brani di tradizione “altra” come l’originale arrangiamento della messicana “Cielito Lindo” – ma appartenente alla copla catalana, genere poetico particolarmente in voga nel periodo anteguerra – dove i “nostri” intelligentemente offrono una versione lontana mille miglia dalle versioni “da cartolina”.

Un lavoro direi notevolissimo e quindi pienamente convincente, dove l’espressiva voce di Ester Formosa crea una magìa alchemica con il duo Elva Lutza: aria fresca per le nostre orecchie.

E, ancora una volta, “mi sia consentito” sottolineare come il disco “Veranda” di Tesi e Patrick Vaillant sia ancora (dal 1990) la “stella polare” per questa musica, tra innovazione e tradizione. Onestamente e gagliardamente da non – musicista, pi permetto di dire che sì, ci avevo visto giusto.

www.tronosdigital.it

www.felmay.it

SEBASTIANO PILOSU “Il canto a tenore di Orgosolo”

SEBASTIANO PILOSU “Il canto a tenore di Orgosolo”

SEBASTIANO PILOSU “Il canto a tenore di Orgosolo”

Squi[libri], 2017. Pagg. 204 con 2 CD, € 25,00

di Alessandro Nobis

ba0166c7a50d96eb270097f3f911e08a_XLQuesto volume è il secondo che la casa editrice Squi[libri], pubblica nella Collana “Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia” dedicato alla Sardegna; il primo, del 2015, era “Musiche tradizionali di Aggius (1950 – 1962)” mentre questa nuova pubblicazione è dedicata al canto “a tenores” di Orgosolo, e contiene in allegato 2 compact disc con 56 preziosissime tracce audio registrate da ricercatori come Diego Carpitella, Franco Cagnetta, Giorgio Nataletti e Antonio Santoni Rugiu tra il 1955 ed il 1961 ed archiviati nelle raccolte 26, 31 e 56 dell’Accademia di Santa Cecilia.

La stesura del volume è stata curata da Sebastiano Pilosu e dall’Associazione Tenore Supramonte di Orgosolo e riporta intelligentemente l’attenzione sul canto “a tenore” che negli anni Novanta si era trovato sotto i riflettori dei media grazie al CD registrato dallo storico quartetto di Bitti e prodotto da Peter Gabriel per la sua etichetta Real World. Una volta spenti i riflettori, questa forma di canto è tornato nel suo alveo originale, ovvero quello del popolo sardo e degli appassionati di musica tradizionale. L’introduzione di Ignazio Macchiarella e naturalmente il saggio di Pilosu raccontano con un linguaggio sì scientifico ma anche divulgativo – e questo è uno dei pregi dell’intera collana – le vicende legate allo sviluppo, alla conservazione e dello status attuale del canto a tenores, così unico, peculiare ed affascinante quanto ancestrale ma talvolta considerato solamente un aspetto folcloristico “estivo” isolano. L’ascolto delle voci si accompagna alla lettura dei testi riportati nel volume anche in lingua italiana, e questo aiuta nella comprensione del significato del contesto sociale del canto e ad una ulteriore presa di coscienza di come la cultura sarda si sia perpetuata e continui a viaggiare nel tempo grazie a molti giovani musicisti e studiosi che la praticano e la studiano.

http://www.squilibri.it

 

ANDREA CUBEDDU “Jumpin’ up and down”

ANDREA CUBEDDU “Jumpin’ up and down”

ANDREA CUBEDDU “Jumpin’ up and down”

Autoproduzione. CD, 2017

di Alessandro Nobis

Dopo l’esordio di Manuel Tavoni ecco un’altra opera prima di un bluesman italiano, Andrea Cubeddu; credo, anzi sono sicuro che Cubeddu sia il primo chitarrista blues proveniente dalla Sardegna che abbia mai ascoltato, forse sarà anche l’unico. Ma detto questo va ben specificato che come prima incisione – autoprodotta – Cubeddu coraggiosamente lascia da parte le rivisitazioni di brani che hanno fatto la storia della Musica del Diavolo preferendo invece cimentarsi nella composizione ed esecuzione di brani scritti di proprio pugno. E già questa sarebbe una motivazione più che sufficiente per avvicinarsi al chitarrista sardo, ma se aggiungiamo la qualità della sua tecnica quando suona la sua Resonator della Dean dal suono sempre affascinante ed ancestrale combinata la sua voce diventa necessario fare almeno un ascolto di questo “Jumpin’ up and down”, che poi so che riascolterete e riascolterete……

Nei testi in inglese si ritrovano quasi le stesse tematiche dei bluesmen anteguerra: l’abbandono forzato della propria casa e famiglia per ragioni economiche, la difficoltà di vivere in una città con ritmi quotidiani agli antipodi di quelli natali, le relazioni amorose difficili e tormentate, le stesse tematiche che Cubeddu ha dovuto affrontare trasferendosi dalla natìa Barbagia a Milano. Ma qualcosa rimane anche esteriormente delle proprie radici, ed ecco che in copertina il chitarrista appare travestito da “mamuthone” bianco con in braccio la maschera di caprone.

Gran bel lavoro: “I Sold My Soul to the Devil”, “Traveller Blues” e “Don’t Love me no more” sono i brani che ripetutamente ascoltato, ma tutto il lavoro è ampiamente “stellato” e consigliato. Ecco, lo volevo dire.

 a.cubeddu@gmail.com

 

ALÌ’NGHIASTRË “Erba medica e veleno”

ALÌ’NGHIASTRË “Erba medica e veleno”

ALÌ’NGHIASTRË

“Erba medica e veleno”

Associazione Culturale Alì’nghiastrë, 2016

di Alessandro Nobis

Bella l’idea di dedicare un disco al mondo vegetale, un sorta di erbario musicale; l’ha avuta l’Ensemble Alì’nghiastrë, quartetto di base a Trento nel quale militano la cantante, percussionista e chitarrista Sara Giovinazzi, la violinista Lucia Cabrera, il violoncellista Gianmaria Stelzer ed il chitarrista Enrico Breanza. Costituitosi nel 1998, il gruppo ha subito numerose trasformazioni, incidendo tre ellepì prima di questo nuovo “step” nella storia del gruppo. Questa formazione in quartetto ha raggiunto un equilibrio sonoro ottimale e la scelta di dedicare tutto il lavoro al mondo vegetale mi pare vincente ed originale.

Dal vischio al mirto, dal lauro al sambuco, la musica si ascolta piacevolmente ed è tutta intrisa di tradizione popolare dell’area mediterranea, con riletture di Rosa Balestreri, Rino Durante e due brani di nuova composizione. “Non potho riposare”, ad esempio, è uno dei simboli della tradzione musicale sarda, i testi in greco di “Arapines” (mirto) e di “Ela apopse stou Thoma” (sesamo) la dicono lunga sulla loro origine così come la Taranta di San Marzano (ruta).

La voce di Sara Giovinazzi è sempre interessante, e visto il repertorio anche duttile ed espressiva, e con lei i compagni di viaggio hanno costruito arrangiamenti ben articolati (presumo che siano stati elaborati dal gruppo intero) e sull’affidabilità di Enrico Breanza, Lucia Cabrera e Gianmaria Stelzer c’è poco da dire se non apprezzarla assieme alla loro capacità di dialogo.

La prova del fuoco, per Alì’nghiastrë, sarà quando verrà il momento di comporre musica originale “in toto”: le radici nella tradizione ci sono, e sono ben salde. Quindi…………

PEO ALFONSI “Itaca”

PEO ALFONSI “Itaca”

PEO ALFONSI

“Itaca” EGEA Records, 2010 – Pubblicato su Folk Bulletin, 2010

di Alessandro Nobis

E’ stato pubblicato ai primi di febbraio e si pone già come uno dei migliori dischi di questo 2010. E’ “Itaca”, la nuova fatica del compositore – chitarrista sardo Peo Alfonsi, raffinato strumentista che per l’occasione ha “convocato” in studio un nugolo di musicisti di grande valore come il trombettista Kyle Gregory, il clarinettista Gabrilele Mirabassi, il contrabbassista – violoncellista Salvatore Maiore ed il percussionista Antonio Mambelli.

Sebbene i suoi compagni di viaggio siano frequentatori soprattutto dell’universo jazzistico, nelle undici composizioni di Alfonsi dimostrano di essere perfettamente a loro agio, regalando anche momenti nei quali viene facile riconoscere lo stilema della musica afroamericana: gli assoli, l’interplay, le sfumature e le coloriture che danno un valore aggiunto alle partiture del chitarrista sardo.

In questa musica c’è l’amore per il sudamerica, c’è certamente il jazz, ci sono le atmosfere ed i profumi della sua terra di origine e c’è soprattutto il gusto di elaborare qualcosa di originale. “Gismontiana” ad esempio, ispirata e dedicata al grande Egberto Gismonti con il clarinetto, il flicorno ed il violoncello che si rincorrono ripetendo il tema, “Femme fetal” nel quale è evidente già nell’incipit quanto lo stile di Ralph Towner sia stato importante nella formazione di Alfonsi, o ancora “Wis for Wheel”, dedicata a Kenny Wheeler e quindi con in evidenza il flicorno di Kyle Gregory.

Ma a nostro parere sono “Samovar”, una bellissima ballad eseguita in “solo”, “Naele” in duo con Mirabassi e “Le mille una note” che ci danno la cifra stilistica di Peo Alfonsi da Cagliari, che a nostro avviso ha pienamente assorbito e personalmente rielaborato la lezione di coloro che preferiscono la cura della melodia e dell’aspetto compositivo all’esibizione puramente tecnica: i già citati Gismonti e Towner, ma ci sembra anche Guinga e Marco Pereira. E se uno come Al Di Meola ha scelto l’intelligenza e la bravura di Peo Alfonsi per il suo quartetto acustico, ci sarà pure una ragione……

ELVA LUTZA & RENAT SETTE “Amada”

ELVA LUTZA & RENAT SETTE “Amada”

ELVA LUTZA & RENAT SETTE

“Amada” – AUTOPRODUZIONE, 2014 – pubblicato su Folk Bulletin, 2014

di Alessandro Nobis

Affronto l’ascolto di questo “Amada” non sapendo nulla né di Renat Sette e nemmeno di Elva Lutza. Imparo dalle brevi note di copertina che Renat Sette è un cantante provenzale e che Elva Lutza è un duo sardo, composto dal trombettista cantante Nico Casu e dal chitarrista Gianluca Dessì.

Inizio l’ascolto di questo “Amada”. Il progetto è interessante, molto interessante, la formula dell’incontro di persone e di culture apparentemente lontane non è naturalmente nuovo, ma qui funziona direi egregiamente: il repertorio – e non può essere altrimenti – si muove tra la Provenza e la Sardegna e non è così difficile individuare l’origine dei brani, vuoi per i ritmi vuoi per la voce cantata. E poi c’è l’intrigante abbinamento degli strumenti – plettri e tromba – con inoltre la presenza mai invadente, ma intelligente e sempre puntuale dell’elettronica, che rende il tutto molto affascinante ed assolutamente equilibrato.

Sento in “Loison” l’eco di quel disco capolavoro di trentanni fa che fu “Veranda” della premiata ditta Tesi – Vaillant (un disco che ha lasciato il segno), in “Maire Nostra” mi gusto l’austero omaggio all’indimenticata Maria Carta e la tradizione chitarristica e vocale sarda in “Amada Giuventude”; navigo attraverso l’alto Tirreno ed eccomi sul “Pont de Mirabeu” con l’omonimo canto narrativo eseguito a cappella da Renat Sette ed Ester Formosa con la tromba di Nico Casu, gli splendidi canti provenzali “Lo Promerenc Principi” con un arrangiamento davvero efficace arricchito ancora da un solo di Casu ed il suggestivo brano d’apertura “Bèla Calha”, che fa subito comprendere la cifra artistica di questo splendido “Amada”.

Mi è piaciuto. Parecchio. E’ un disco che ti sorprende per l’atmosfera che ti pervade durante l’ascolto. Certo, note di copertina più esaustive – non so, l’origine dei brani, il significato dei testi – mi avrebbero aiutato nell’apprezzare maggiormente questo bel lavoro.

Ma forse anche no, va bene così. Scoprire un po’ alla volta il sentiero che ti conduce alla fine del disco può essere piacevole. E intrigante.

PAOLO ANGELI “S’Û”

PAOLO ANGELI “S’Û”

PAOLO ANGELI

“S’Û”

AnMa & ReR Mecacorp RECORDS, CD, 2015

PUBBLICATO SU FOLK BULLETIN, 2015

Ogni lavoro di questo straordinario musicista sardo è già una sfida per coloro che ne affrontano solamente l’ascolto, figuriamoci per quanti azzardino solo l’idea di scriverne personali impressioni (perché questa è l’unica possibilità, considerato che ad analizzare le sue architetture sonore, peraltro complesse, lasciamo l’arduo compito agli “esperti”).

Dunque, ecco dopo “Sale quanto basta” del 2013 Paolo Angeli pubblica S’Û che, nella sua edizione limitata, include un libretto che contiene un frammento autobiografico e la descrizione dei singoli brani.

Ora, bisogna porsi il problema se queste annotazioni vadano lette prima, durante o dopo l’ascolto. Si deve scegliere. Agli impavidi consiglio la lettura a posteriori: giusto per vedere se quanto comunicato dalla musica corrisponde a quanto immaginato durante l’ascolto. Perché – e questa è una delle sfide della musica – non sempre quanto si vuole comunicare corrisponde esattamente a quanto viene recepito dal fruitore, soprattutto in situazioni non schematiche ed organizzate come quelle proposte dal jazz e dalla musica improvvisata o di quella così deliziosamente sfuggente di Paolo Angeli.

Sì certo, i piedi sono ben fissi nella terra madre (“Mi e La” con testo di Anton’Istevene Demuro, uno dei protagonisti della stagione dei Cantadores dei primi decenni del Ventesimo Secolo, “Mancina” aria danzante, come forse la suonerebbe oggi Efisio Melis), ma si parla e si descrive anche altro: la disperazione dei migranti nordafricani in “Melilla” e di quelli transadriatici della nave “Vlora” (e qui Angeli si riferisce alla vicenda dell’omonima nave arrivata nel porto di Bari il 7 agosto del 1991 con ventimila albanesi alla ricerca de La Merica e poi rimpatriati dal Cossiga nostrano).

Il mare, la Sardegna, le miniere abbandonate del Sulcis, la casa a Bosa con i pescatori, Punta Palau. Si dice che la cultura sarda è millenaria, ancestrale, fissa. Eppur si muove verso il futuro grazie a musicisti come Angeli, visionari artisti che trascinano in avanti la tradizione popolare fino a diventarne parte essi stessi. Come i rami più giovani e più lontani dalle radici di un millenario ulivo.