TERREMOTO VERONA 1891 (quotidiano “Arena”, prima parte)
La notte del 7 giugno del 1891, erano da poco passate le due, un forte terremoto sconquassò la città di Verona e la zona ad est della città provocando notevolissimi danni materiale e fortunatamente solo una decina di vittime.
I due quotidiani dell’epoca, “Arena e “Adige” riferirono le vicende umane e le conseguenze di quel sisma che, come leggerete se ne avrete la pazienza, fu avvertito a centinaia di chilometri. I corrispondenti si recarono sul posto immediatamente per descrivere ai lettori la situazione, e lo fecero con grande precisione e sensibilità.
Mia intenzione è quella si riportare in modo completo gli articoli pubblicati dalle due testate, partendo da “Arena”, il cui archivio – consultabile dal pubblico attraverso i microfilm – si trova presso la Biblioteca Civica di Verona nella sezione “Veronensia”.
ARENA, 7 – 8 GIUGNO 1891 “IL TERREMOTO DI STANOTTE”
IN CITTA’.
Da parecchi anni non andavamo soggetti, nel Veneto, a scosse violente di terremoto. Dopo i terremoti del 29 giugno 73 (1873), così disastrosi per la provincia di Belluna e più specialmente per la vallata del Piave; quelli del 1 agosto 83 (1893), letali per Casamicciola e quelli del 23 febbraio 1887 che rovinarono addirittura alcuni paesi del litorale ligure; fenomeni tellurici che furono poco avvertiti da noi, dei terremoti si parlava qui come di una curiosa specialità del Baldo, il quale di tanto in tanto freme moderatamente.
Ma questa notte pur troppo la spaventevole forza ignea della terra si manifestò per modo da farcene rammentare per lungo tempo.
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Erano le 2 e 4 minuti primi e la immensa maggioranza dei cittadini dormiva, quando una terribile scossa sussultoria, preceduta da un rombo fortissimo mise a s soqquadro la popolazione.
In un attimo si aprirono finestre e balconi, si spalancarono usci di strada, e mentre da quelli donne terrorizzate, discinte, invocavano aiuto, da questi uscivano, a mezzo vestiti, uomini, bambini, signore, chiamandosi, raggruppandosi, e dirigendosi, pazzamente correndo, verso l’aperto.
La scossa fu infatti tremenda.
Pare che le case dovessero precipitare sgretolate, perché i muri scricchiolavano, i soffitti si screpolavano, e i mobili si mossero con fracasso.
In quei cinque o sei secondi quanti ne durò – e questo fu lo spaventoso – il terremoto, non era possibile rimanere in piedi.
In meno di dieci minuti, tanta fu la forza dello spavento, tutte le vie pullulavano di cittadini avvolti in paludamenti di ogni foggia e colore, pochi completamente vestiti e Via Nuova specialmente e la Bra, erano gremite.
Via abbiamo veduto il generale Pianell, il generale Besozzi, il Procuratore del Re, il giudice istruttore capo Aroldi, il Questore, e vi fu un momento in cui, all’infuori della musica che mancava, pareva di assistere all’affollato passeggio della domenica.
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In Piazza Sant’Anastasia havvi, come si sa, il grande palazzo Bastogi, che è abitato da numerose famiglie signorili.
Quando vi passammo, verso le quattro, una quarantina fra signore e signori, seduti chi su poltrone chi su sedie, stavano attorno al monumento a Paolo Veronese, non osando rientrare.
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Sua Eminenza il Cardinale di Canossa, così gravemente malato com’è che lo assistono, non si alterò al sentire la scossa, ma rivoltosi ai famigliari disse loro: non abbiate paura, pregate il Signore.
E poscia si addormentò.
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Certo Guatelli Cesare. Direttore della tratoria Chiodo, quello stesso che giorni sono, cadendo di carrozza a Padova, si ruppe una gamba, si trovava a letto, con la gamba ingessata, in una casa sita nella Salita San Carlo.
Fu tanto spaventato dalla prima scossa di terremoto, che si fece portare, col proprio letto, in piazzetta Santo Stefano, dove rimase fino a stamane.
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In via dietro Mura Santo Stefano, al N. 2, casa Cipriani, abita certo Castagna Antonio di anni 34.
Cistui fu tanto terrorizzato all’udir cadere uno specchio e tutti gli utensili di rame appesi in cucina, che saltò in mezzo alla camera, e si diede ad urlare e smaniare per modo da far temere della sua stagione.
Una di lui cognata corse alla farmacia Caliari dove le fu confezionato un calmante che, somministrato al Castagna, ebbe per effetto di piombarlo in un sonno potente, dal quale alle 9 di stamane non s’era riavuto.
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In via Santa Felicita, poco dopo le due, da una casa partivano grida disperate.
Due cittadini che transitavano, trovato l’uscio di casa aperto, salirono e riscontrarono deserti il primo ed il terzo piano, i cui inquilini erano fuggiti.
Dal secondo poi si udivano le grida accennate.
Avvicinatisi all’uscio, i due cittadini seppero che là abitavano marito e moglie e varii bimbi loro figli, e che in quel momento – come nel resto usava le altri notti – il marito era uscito portando con se la chiave onde non era loro possibile uscire.
La disperazione e la paura di quella povera donna e dei bambini era tanta, che le due citate persone, a forza di spalle abbatterono la porta, permettendo ai rinchiusi di rifugiarsi in istrada.
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In mezzo al terrore l’aneddoto gaio.
In piazza Bra, tranquillamente passeggiando, dopo le tre, si poteva vedere l’egregio mandolino Marini, in soprabito e scialle, con una cassetta amorosamente sostenuta sotto il braccio destro.
Il Marini – cambista ai Portoni dei Borsari – aveva bensi sentito il bisogno di scappare di casa per salvare la pelle, ma aveva eziandio pensato a salvare il gruzzoletto che doveva rendere meno triste la eventuale perdita dei mobili o delle masserizie di casa.
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I pressi di Ponte Garibaldi, e in genere tutte le piazze, presentavano, fino a stamane, l’aspetto di un bivaccamento.
Dappertutto gruppi, capannelli, e un chiedersi ansiosi di notizie, le quali poi venivano esagerate, tragicizzate in modo che se si fosse dovuto por mente alle voci che correvano stanotte, oggi dovremmo registrare un centinaio di morti.
Fortunatamente, per una inesplicabile mitezza del destino, il disastro non fu quale poteva essere.
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In via S. Alessio dalla casa del Notaio Mistrorigo caddero due camini e una grondaia.
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Pure in via S. Alessio nella facciata della casa dell’ing. Guglielmi si scorge una fessura che dal terzo piano giunge al primo.
Gli inquilini spaventati sgombrarono dall’abitato.
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Fuori di Porta Palio corsero oltre trecento persone, parte in camicia, parte vestendosi per via.
Un tale portò il proprio materasso sotto la porta, vi si sdraiò sopra e fini a a stamane non volle muoversi.
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Molti furono i camini che precipitarono dai tetti. Fino ad ora abbiamo in nota i seguenti:
Uno dall’Istituto Leonardi, in via Puotti. Uno dalla casa all’angolo delle Seghe di San Tommaso. Due ai Filippini: due ai leoni, due in piazza Erbe, casa Lombroso, uno alle scalette San Marco, due a Sant’Egidio, uno a casa Bottagisio, uno in Piazzetta racchetta, uno in vicolo Boccare, uno in vicolo Derelitti, parecchi in via paradiso, due al Giardinetto, in casa Cartolari.
A casa Pastorello precipitò un soffitto.
In palazzo Maffei, a Piazza Erbe, si verificò un grosso crepaccio.
Da casa Castellani, in via Sottoriva, precipitò un pezzo di muro.
I mulini sull’Adige, che erano tutti in attività, si fermarono di botto alla prima scossa, e non si rimisero in moto che quando la scossa ebbe fine.
Nella casa di proprietà della Società Filarmonica si manifestò un largo crepaccio.
Molti commessi viaggiatori alloggiati all’Aquila Nera, impressionati dal cadere di pietre e parte dei soffitti – era in costruzione – scapparono in strada, alcuni in camicia ed altri mezzo vestiti.
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Il per finire.
Alle tre e mezza una forte scampanellata chiamò alla finestra il prof. Goiran. Chiesto di che si trattava, una voce, spaventata, gridò dalla strada: scusi il terremoto si rinnoverà? Non sono a dirsi le benedizioni di cui il Goiran gratificò l’importuno visitatore.
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Alla Cadrega, dalla casa N.1 cadeva un camino precipitando in cucina: dal N. 4 un altro camino; un altro dal N. 8, dove è in pericolo imminente il tetto, al quale è necessaria una visita tecnica. Particolare curioso: in via Cadrega la scossa fu sentita molto più fortemente che negli altri punti della città.
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Le campane delle macchine del Tram a vapore si misero a suonare né cessarono per tutta la durata del fenomeno.
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Un particolare curioso: tanta fu la folla che si rovesciò in Bra, che il caffè Vittorio, aperto lì per lì, in un ora fece 60 lire di introito.
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Il Ministero ha messo telegraficamente a disposizione del Prefetto, per i danni del terremoto, una prima somma di 3000 lire.
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Fu notato che fino alle undici i colombi, le galline, i cani era inquietissimi. I cani, in campagna, urlavano, poco prima della scossa.
LE DISGRAZIE.
Una intanto, gravissima, irreparabile, dobbiamo registrare con sommo dolore.
Ognuno può immaginare quale scompiglio abbia prodotto nel Collegio femminile agli Angeli la scossa di terremoto. Le ragazze, spaventate, si misero ad urlare disperatamente. La signra Lucrezia De Forni vedova Leonardi, donna attempata, Vice – Direttrice del Collegio, fu tanto impressionata dalla scossa prima, dalle grida delle educande poscia, che presa da insulto cardiaco per la commozione perdette i sensi, e poco di poi, prima che i soccorsi dell’arte giungessero, spirò l’anima. Non è a dire quanta tristezza incomba sulle ragazze e sul personale del collegio per questa sventura. La Direttrice, signora Cantoni, attualmente a Milano, fu avvertita per telegrafo del fatto.
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In Via San Bernardino una donna di 72 anni certa Rosa Recchia vedova Molteni abitante al N. 37 fu presa da tale terrore che sbarrò gli occhi, si alzò di scatto in piedi, battè le braccia nel vuoto, e cadde morta.
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La moglie del vetturale Ferrari, abitante in Cantarane, ebbe come paralizzata la lingua, si mise a balbettare, ad emettere suoni inarticolati, e il medico, chiamato in fretta, dichiarò che, a ameglio andare, ne avrà per tre o quattro giorni.
(continua)