CARLO BAZAN • CARLO RISPOLI “IL CASO SINDELAR”

CARLO BAZAN • CARLO RISPOLI “IL CASO SINDELAR”

CARLO BAZAN • CARLO RISPOLI – “IL CASO SINDELAR”

LE INCHIESTE DEL COMMISSARIO BARONI

Segni D’Autore Edizioni. Volume 30,5 x 24,5 cm. Pagg. 56, 2020

di alessandro nobis

Vittorio Pozzo, che di calcio se ne intendeva (la doppietta mondiale 1934 e 1938 fu anche merito suo), scriveva di lui il 26 gennaio del ‘39 su La Stampa di Torino: «La sua non era una finta scomposta, plateale, marcata. Era un accenno, una sfumatura, il tocco di un artista. Fingeva di andare a destra e poi convergeva a sinistra colla facilità, la leggerezza, l’eleganza di un passo di danza alla Strauss, mentre l’avversario, ingannato e nemmeno sfiorato, finiva a terra nel suo vano tentativo di carica

Lui era “Carta Velina”, il “Mozart del Calcio”, lui era il numero 10 della nazionale austriaca, lui era l’antesignano del “falso nove”, il miglior giocatore austriaco di tutti i tempi anche se austriaco non era; era Matej (a.k.a. Matthias) Sindelar di Kozlov in Moravia, uno di quelli capaci di rinunciare alla sua carriera pur di dire “NO” alla nazionale tedesca (dopo l’annessione dell’Austria alla Germania hitleriana i giocatori della rappresentativa danubiana passarono alla nazionale tedesca) ed al nazismo, e per questo con la moglie Camilla Castagnola fu giustiziato in modo “non ufficiale” dalla Gestapo a Vienna, il 23 gennaio del 1939 nel loro appartamento probabilmente dopo la manomissione della stufa da poco acquistata.

Della loro scomparsa e soprattutto dei suoi motivi indaga il Commissario di Polizia Andrea Baroni che dal commissariato di Porta Vittoria a Milano si trasferisce quasi in clandestinità in quel di Vienna per far luce sul duplice omicidio su accorata richiesta dei genitori di Camilla, rischiando non poco e ………… 

Al solito sia le immagini di Carlo Rispoli sia la sceneggiatura di Carlo Bazan sono efficaci e descrittive quanto basta per lasciare al lettore la possibilità di fantasticare e di entrare nella storia, come nel caso della loro precedente collaborazione in occasione della pubblicazione del bellissimo “Sangue sul Lago Otsego”.

www.segnidautore.it

 

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TERREMOTO 1891 (quotidiano Arena, settima parte)

TERREMOTO 1891 (quotidiano Arena, settima parte)

TERREMOTO 1891 (settima parte)

ARENA, 9 – 10 GIUGNO 1891

IL TERREMOTO DEL 7 – SUI LUOGHI DEL DISASTRO

A TREGNAGO

Ed ora, dobbiamo noi dare una descrizione materiale del disastro?

Quando s’è detto che la desolazione è generale, che non una casa è illesa e che le meno guaste esternamente sono spaventevolmente rovinate all’interno, non vi sarebbe altro da aggiungere.

Però ci fermeremo alcun poco su quanto ci ha maggiormente colpito in quell’ammasso di macerie, di muri screpolati, di spigoli aperti, di frontoni caduti, di pietre divelte, che è formato da Tregnago, Badia Calavena  le loro frazioni.

9.10.6.1891 pag 2A Tregnago, la casa della Pretura è in uno stato deplorevole. Dall’attica sono cadute le pesanti decorazioni, i muri maestri sono fuori di piombo, i soffitti squarciati, e la scala è in pezzi. Fu subito sgomberata, perché minaccia di rovinare completamente.

La casa Castelli (droghiere, salumaio, chincagliere) esternamente non presenta grandi screpolature. Ma l’interno fa allibire. Il muro della facciata è letteralmente staccato da resto della fabbrica e tutti i muri trasversali sono spaccati dai tetti alle fondamenta, e le camere ingombre di calcinacci, di pezzi di soffitto. Gli architravi degli usci e delle finestre sono tutti spostati, e molti spezzati.

In peggiori condizioni ancora si trova la casa al N. 11, di G. Vinco, negoziante di pellami. Fu chiusa e puntellata da ogni parte perché non è possibile entrarvi senza esporsi a manifesto pericolo.

Tagliata a fette dall’alto in basso è la casa dell’esattore Colombari. I muri maestri sonostrapiombatiin modo spaventevole, le volte spaccate, le scale inservibili, e ad ogni tratto si presenta una nuova apertura.

Così pure è ridotta in condizioni da titubare ad entrarvi, la casa adibita ad uso delle scuole comunali. V’hanno crepe attraverso le quali passa il corpo di un fanciullo.

Né è a dirsi in quale stato si trovi la casa del famoso salumiere Rinaldi, la farmacia, la casa Doria, la casa Massalongo, la villa Franchini, la villa del medico. Dappertutto crepacci, muri sfasciati, porte divelte, pezzi di tetto precipitati.

Nel mezzo del paese, talchè ingombra la circolazione, cadde una casa, fortunatamente non abitata, le cui macerie i soldati del genio stanno ora sgomberando.

Danneggiata in modo notevole fu la frazione dei Colognato, dove una casa è precipitata e le altre quasi tutte sono a tal partito da augurarsi abbiano a cadere per evitare eventuali disgrazie.

Ma ripetiamo, non è possibile accennare alle case danneggiate: tutte lo sono, e tutte hanno bisogno di lavori radicali, moltissime d’essere in gran parte abbattute.

A MARCEMIGO

Da Tregnago passammo nella vicina frazione di Marcemigo.

Qui, la casa al N. 48 è quella che precipitò, travolgendo nella rovina la povera Roncari Teresa, ed uccidendola. Il piano terreno è un immenso monte di rottami, di sotto ai quali si scorge, in pezzi, il letto nel quale dormivano i coniugi Roncari e dal quale fu estratta, orribilmente pesta, la povera Teresa.

Alcuni contadini presenti ci narrano che allorquando cadde la casa essi credettero al finimondo. Balzarono in istrada gli uni, nel cortile gli altri, ed accorsero alle grida disperate che il Roncari mandava di tra le macerie.

salveme! aiuto! salveme! fè a pian! no me stè a copar! fe a pian! moro! – gridava il tapino, che si trovava ad avere per miracolo il capo protetto dal vano del secchiaio nel quale, non si sa come, s’era a metà introdotto, mentre sulle gambe e sulle spalle gli incombeva il pondo immane delle travi, delle tegole e dei sassi.

Lavorando appena rischiarati da lumicini ad olio, quei bravi terrazzani riuscirono in breve ora ad estrarre vivo il povero Roncari, mentre dopo un lavoro più lungo e più difficile poterono finalmente scoprire il cadavere della infelice Teresa, colle gambe trattenute sul letto da un enorme trave e il corpo rovescioni, letteralmente coperto da grossi pezzi di muro. Il Roncari era tanto inebetito dallo spavento provato, che allorquando gli dissero che sua moglie era morta, non seppe trovare una lacrima, un lamento, ma balbettò, cogli occhi sbarrati: Povareta!

E ieri il misero frale di questa donna di 45 anni era là, disteso sur un po’ di paglia, sotto un porticato del meschino cortile, con accanto la bianca cassa di abete che sull’imbrunire l’avrebbe rinchiuso per servirgli da riparo alla terra della fossa.

Quale funereo spettacolo!

Qui una casa crollata, più in là un vasto porticato di certo Biasioli, rovinato, accanto due case squarciate, più su un muro di facciata a mezzo caduto lasciando scorgere l’interno della camera, un poco altre dieci, venti case puntellate, mancanti di parte del tetto, prive delle finestre, o comunque malconcie, e di faccia, dormente nella pace infinita della morte. Indifferente ormai alle lacrime, alle miserie prodotte dal disastro, la vittima di esso, Teresa Roncari, giacente accanto al feretro!

E tutti que’ contadini guatavano la morta, rivolgevano gli occhi alle proprie case cadute o cadenti, e rabbrividivano, pensando che solo un miracolo ha fatto si che essi non si trovassero in quello stesso momento, allineati vicino alla morta Teresa, pronti per essere rinchiusi nella cassa funerale!

Povera gente”

*

Ma la via lunga ne sospingeva.

Il dettaglio era per ogni dove eguale: rovina, desolazione, pianto, case inabitabili, famiglie intiere, posseditrici esclusivamente della sfasciata catapecchia e di un orticello, o di un campo, o di un gerbido, che pensavano, con terrore, all’impossibilità di rifabbricarsi la misera casetta.

A Cogòlo, a Scorgnan, ai Finetti, frazioni tutte di Tregnago la scena è identica di quella di Marcemigo.

Due case senza tetto a Cogòlo; il campanile spostato la chiesa rovinata e chiusa al culto, musri di cinta sventrati come da cannoante, due porticati in frantumi; la casa dell’assessore Marani in stato da far pietà, due case rovinate ai Tessari.

L’ultima casa di Cogòlo verso Badia, al primo urto del terremoto si sfasciò. Dormivano al primo piano parecchie persone che si poterono salvare non si sa ancora in qual modo. Una però mancava all’appello, ed era una ragazza di 22 anni. Cercata fra i rottami, fu trovata in letto, coperta di macerie, ma viva. E in che modo? Due travi, grossissime, del tetto, erano cadute contemporaneamente sul letto, proprio accanto ai due lati della sua testa, una a destra e l’altra a sinistra facendole schermo. Così i materiali non la colpirono. Questa ragazza oggi ha gli occhi sbarrati e pare sorpresa da ebetismo.

Qui, come a Marcemigo, come in tutte le altre frazioni, i lavori dei campi sono abbandonati.

I contadini si aggirano sulla via, attorno alle tende, coi bimbi in braccio, istupiditi, e non torvano la forza di andare in campagna e di lavorare.

QUI LA PRIMA PARTE: (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/08/30/terremoto-verona-1891-quotidiano-arena-prima-parte/)

QUI LA SECONDA PARTE (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/09/20/terremoto-verona-1891-quotidiano-arena-seconda-parte/)

QUI LA TERZA PARTE (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/09/29/terremoto-1891-quotidiano-arena-terza-parte/)

QUI LA QUARTA PARTE (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/10/05/terremoto-verona-1891-quotidiano-arena-quarta-parte/)

QUI LA QUINTA PARTE (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/10/25/terremoto-1891-quotidiano-arena-quinta-parte/)

QUI LA SESTA PARTE (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/11/10/terremoto-1891-quotidiano-arena-sesta-parte/)

 

 

 

 

DIEGO ALVERA’ “Tazio Nuvolari Pozzo 1928”

DIEGO ALVERA’ “Tazio Nuvolari Pozzo 1928”

DIEGO ALVERA’ “T. Tazio Nuvolari Pozzo 1928”

SCRIPTA EDIZIONI 2018. PAGG. 154, € 13,00

di Alessandro Nobis

Affrontare i miti dello sport come Dorando Pietri, Silvio Piola, Costante Girardengo o Tazio Nuvolari è un po’ come affrontare un “tornante Bordino” a tavoletta: rischi di uscire fuori strada e di schiantarti sul muro delle ovvietà e della semplice cronistoria biografica.

alvera'Questo volume scritto con la consueta verve narrativa da Diego Alverà affronta il “mito” Nuvolari prendendo come pretesto gli accadimenti di quel 25 marzo 1928 al Circuito Stradale del Pozzo (sarebbe stata la terza edizione della corsa), a pochissimi chilometri da Piazza Brà cuore di Verona. Alverà è uno storyteller oramai navigato che ha attraversato le vite di Gilles Villeneuve, di Walter Bonatti, di Miles Davis o di Ian Curtis descrivendo questi “incroci” con passione, con una lunga e maniacale ricerca del dato storico al servizio del suo stile narrativo sempre avvincente e sempre lontano “Mille Miglia” dal puro dato storico.

“T” ha non solamente il merito di restituire al presente un frammento della storia dello sport veronese e dell’automobilismo ma anche quello di riportare in vita personaggi e vicende di quella fase epica di questo sport e della simbiosi tra “uomo” e “macchina” così legata alle idee futuriste di moda a quel tempo; D’Annunzio, per citare un episodio, regalò al mito una tartaruga-talismano sussurrandogli “l’animale più lento per l’uomo più veloce” e come scrisse Patrizio Roversi (Alverà mi consentirà la citazione), “Nuvolari ha le mani come artigli, Nuvolari ha un talismano contro i mali” (forse quel talismano?)

Nello scorrere di una giornata si costruisce il “romanzo” della vita di Tazio Nuvolari da Castel D’Ario, si ricorda che prima della Scuderia Ferrari ebbe breve vita la Scuderia Nuvolari, si ricordano le forme della Bugatti 35B, azzurra e dalla sagoma affilata come un coltello; Alverà descrive bravamente fotogramma dopo fotogramma il sorpasso ai danni di Pietro Bordino sotto un fitto acquazzone, su una strada a dir poco sconnessa, con gli schizzi di fango sugli occhiali da motociclista, con il pubblico stipato lungo il circuito mentre la Bugatti numero 4 sopravanza quella di Bordino. La descrizione dura una dozzina di pagine, fotogramma dopo fotogramma naturalmente tutto a colori, da gustare a piena mente.

Alla fine “T” torna dalla sua Carolina, bastano un bacio in fronte e la medaglia vinta tra le mani per tornare “umano”.

 

 

 

LUIGI PANELLA “Colonnello Ferenc”

LUIGI PANELLA “Colonnello Ferenc”

LUIGI PANELLA “COLONNELLO FERENC”

ULTRASPORT EDIZIONI, 2017. Pagg. 189, € 16,00

di Alessandro Nobis

C’è stato un “prima” e c’è stato un “dopo” nella vita di Franz Purczeld a.k.a. Ferenc Puskas jr.

Il solco iniziò ad essere scavato la notte del 22 novembre 1956 quando la sua squadra, l’Honved, giocò e perse 3 – 2 la partita di andata degli Ottavi di finale con l’Athetic Bilbao nei Paesi Baschi e fu completato qualche giorno dopo quando i giocatori, vista la sanguinosa e spietata normalizzazione sovietica in atto a Budapest che mise fine al sogno del popolo ungherese guidato da Imre Nagy, si rifiutarono di tornare in patria e giocarono la partita di ritorno all’Heysel di Bruxelles (3-3) finendo eliminati dal torneo ma rimanendo così in Europa Occidentale.

Colonnello-FerencDel “prima” e del “dopo” si narra in modo molto dettagliato in questo interessante e piacevole volume di Luigi Panella, giornalista di Repubblica ed anche autore di “Roma sul Ring”, 2014 e di “La strategia del Tasso, 2011: vi si narra del Puskas “colonnello” dell’esercito e dei trionfi in patria, del Puskas “zingaro” delle seguenti sue peregrinazioni in giro per l’Europa, del Puskas “spagnolo” – che disputò con le Furie Rosse il Torneo Mondiale del ’62 in Cile e che indossò la casacca dei Blancos assieme all’argentino Alfredo Di Stefano – e del Puskas allenatore che portò alla finale della Coppa dei Campioni l’improbabile Panatinaikos. Fino al suo ritorno in Patria nel 1992 ed alla sua davvero ultima partita persa cercando un’impossibile dribbling al morbo di Alzheimer.

La lettura scorre via veloce, tra dettagliate ricostruzioni sportive e gli indispensabili e puntuali collegamenti geopolitici legati in modo indissolubile a quei tragici giorni – tragici solo per gli ungheresi in verità, considerata l’inerzia ed il disinteresse della comunità internazionale alle prese con la contemporanea crisi di Suez -.

Avvenimenti che non rimarranno unici, visti gli accadimenti che una dozzina di anni dopo coinvolgeranno la Cecoslovacchia di Alexander Dubcek.

Dice Jànos Betlen nella breve prefazione a questo volume che ad oggi almeno 170.000 ungheresi avrebbero o hanno visto Ferenc Puskas giocare a pallone. Le sue gesta, la sua vita, la leggenda dell’Honved e della Grande Ungheria, i trofei vinti e soprattutto il suo piede sinistro resteranno per sempre nella storia non solo sportiva magiara. E non è un caso che lo stadio di Budapest nel 2002 fu chiamato Nèpstadium Ferenc Puskas.

La scena svolge a Riverton, nel Wyoming, un paio di decenni or sono; stavo percorrendo in direzione sud la US 26 quando decisi di pernottare in un motel alle porte di questa anonima cittadina non lontana dalla catena montuosa dei Grand Teton. Era gestito da una coppia di mezza età dallo strano accento; lui non proferiva parola, lei era leggermente più loquace e ospitale. Avevo già sentito quell’accento – dissi fra me e me – ma non riuscivo a ricordare dove. Mi aiutò a ricordare la fotografia – sbiadita in bianco e nero – appesa sullo spoglio muro dietro al bancone, sopra il pannello di legno al quale erano appese le chiavi delle stanze; se quello nella foto era – ed eccome se lo era – il profeta del calcio danubiano Ferenc Puskas con la casacca dell’Honved, allora quella coppia era ungherese ed il loro accento lo avevo sentito a Budapest, giusto l’inverno prima. La mattina seguente ebbi l’occasione di scambiare qualche parola con la signora, le dissi di conoscere abbastanza bene l’Ungheria, di averla visitata quattro volte e che mi aveva colpito di trovare due persone così lontane, in una zona così diversa da casa loro. Mi raccontò che nel ’56 appena ebbero il sentore che le frontiere sarebbero state chiuse dalle truppe sovietiche, raccolsero poche cose e si diressero verso il confine austriaco, che oltrepassarono appena in tempo. Si rifugiarono da conoscenti a Vienna e quando ebbero la possibilità di emigrare in Nordamerica lo fecero: “allora o mai più”, mi disse. E cominciarono una nuova vita. Insomma, quella fotografia di Ferenc Puskas ritagliata da una rivista sportiva era l’unico ricordo tangibile rimasto della loro vita budapestina.

Chi fosse interessato all’argomento può leggere anche “La squadra spezzata – La Grande Ungheria di Puskas e la Rivoluzione del 1956” di Luigi Bolognini, pubblicato una prima volta nel 2007 da Limina e recentemente ristampato (con diversa copertina però) da 66thAND2nd.