OREGON “Violin”

OREGON “Violin”

OREGON “Violin”

Vanguard Records. LP, 1978

di alessandro nobis

Nel 1978 la collaborazione degli Oregon con la Vanguard Records sta per terminare · l’ultimo ellepì sarà “Moon and Mind” dell’anno seguente · e durante un loro tour francese di quell’anno incontrano in occasione di una trasmissione per Radio France il violinista polacco Zbigniew Seifert e l’intesa fu da subito così intensa che oltre a salire sul palco durante un concerto del violinista lo portarono in studio per registrare questo che resta uno dei più interessanti lavori del quartetto americano. E’ questo il settimo album del quartetto (ottavo considerando “Our First Record” registrato nel 1970 ma pubblicato dieci anni dopo · https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/09/26/oregon-our-first-record/ ·) e l’equilibrio è perfetto, non è cosa facile entrare in sintonia con un gruppo così stabile e rodato ma il violinista polacco è perfettamente a suo agio con gli “Oregon”, un “amore a prima vista” che produce un suono che Seifert arricchisce ancora più con i suoi interventi e assoli che spostano il progetto di Towner, Walcott, Moore e McCandless ancora più verso il jazz più, chiamiamolo così, mainstream, ricco di suoni etnici ed unico in questo linguaggio musicale. Oltre a ciò l’ascolto attento rivela anche una comunione di intenti tra i cinque musicisti soprattutto in uno dei brani che ritengo più interessanti, ovvero gli oltre quindici minuti dell’improvvisazione di “Violin” che apre la prima facciata; splendido ed etereo “Flagolet” di Glen Moore con un brillante duetto improvvisato tra gli archetti del contrabbasso e violino mentre “Raven’s Wood“, sempre uscito dalla penna del chitarrista, declina alla perfezione l’alfabeto del “temporaneo quintetto” per la bellezza del tema sul quale Zbigniew Seifert cuce alla perfezione uno dei suoi assoli più interessanti del disco e per, desidero sottolinearlo, le coloriture delle percussioni (dalle tablas ai cembali) di Colin Walcott e per il solo alla chitarra classica di Towner.

A mio avviso una delle migliori registrazioni del gruppo americano. Direi indispensabile in una discoteca che si rispetti …….

In 1978 the collaboration of Oregon with Vanguard Records is about to end · the last LP will be “Moon and June” of the following year · and during their French tour of that year they meet the violinist on the occasion of a broadcast for Radio France Pole Zbigniew Seifert and the understanding was immediately so intense that in addition to going on stage during a concert by the violinist, they took him to the studio to record this which remains one of the most interesting works of the American quartet. This is the quartet’s seventh album (eighth considering “Our First Record” recorded in 1970 but released ten years later https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/09/26/oregon-our-first-record/ ) and the balance is perfect, it is not easy to get in tune with such a stable and tested group but the Polish violinist is perfectly at ease with the “Oregons”, a “love at first sight” that produces a sound that Seifert enriches even more with his interventions and solos that move the project of Towner, Walcott, Moore and McCandless towards jazz more, let’s call it that, mainstream. In addition to this, attentive listening also reveals a communion of intents between the five musicians especially in one of the pieces that I consider most interesting, namely the more than fifteen minutes of improvisation of “Violin” which opens the first side; splendid and ethereal “Flagolet” by Glen Moore with a brilliant improvised duet between the bows of the double bass and violin while “Raven’s Wood”, always coming from the guitarist’s pen, perfectly declines the alphabet of the “temporary quintet” for the beauty of the theme on which Zbigniew Seifert sews to perfection one of his most interesting solos on the disc and for, I would like to underline it, the coloring of the percussions (from the tablas to the cymbals) by Colin Walcott and for the classical guitar solo by Towner.

In my opinion one of the best recordings of the American group. I would say indispensable in a records collection …….

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NORMAN BLAKE “Directions”

NORMAN BLAKE “Directions”
NORMAN BLAKE  “Directions”
TAKOMA RECORDS. LP, 1978

di alessandro nobis

"Directions" è il secondo ed ultimo album di Norman Blake pubblicato dalla Takoma dopo l'ottimo "Live at McCabe's" (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/04/25/norman-blake-live-at-mccabes/); nel 1987 vennero pubblicati entrambi sullo stesso CD dalla stessa etichetta.
"Directions" è un disco del duo Nancy & Norman Blake e come questa straordinaria coppia ci ha abituato è una piacevolissima alternanza di tradizionali e di brani originali interpretati in modo straordinario grazie al perfetto equilibrio degli strumenti ad arco o a plettro utilizzati che sono il marchio inconfondibile ed inimitabile dei due musicisti.
Al solito i brani che preferisco sono quelli con la voce di Blake come "The Louisville & Nashville Don't Stop Here Anymore", scritta da Jean Ritchie considerata la madre del folk americano, è un canto narrativo che racconta della crisi economica appalachiana dovuta alla chiusura delle miniere di carbone ed al conseguente isolamento delle piccole comunità del Kentucky accentuato anche dalla soppressione dei treni passeggeri della linea "Louisville & Nashville Railroad Company", "Poor Ellen Smith" una classica ottocentesca "murder ballad" che racconta dell'omicidio di Ellen Smith avvenuto a Winston · Salem nel North Carolina, della cattura e dell'esecuzione del suo assassino ed infine un'altra ballad, "Rake and the Ramblin' Blade" presa dal repertorio dei Carolina Tar Heels che la registrarono nel 1929 e che testimonia, se ce ne dìfosse ancora bisogno, dell'attenzione che Norman Blake dmostra verso questi repertori spesso caduti nell'oblìo ma che sono parte fondamentale della storia culturale americana.
Tra i brani strumentali brillano una bella interpretazione di "White Horse Breakdown" composto da Bill Monroe ma registrato per la prima volta dal suo violinista Kenny Baker nel '72, ma soprattutto ci sono il medley dal sapore irlandese "Loch Lavan Castle · Santa Ana's Retreat · Cattle in the cane" eseguito dal duo chitarre e mandolino e "Uncle sam" impreziosito dagli ottoni di Miles Anderson.
Il CD è quasi introvabile, entrambi gli ellepì (mi riferisco anche a "Live at McCabe's") paradossalmente sono più reperibili sul mercato dell'usato. Buona caccia.

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"Directions" is Norman Blake's second and last album released by Takoma after the excellent "Live at McCabe's" (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/04/25/norman-blake-live-at-mccabes /); in 1987 both were released on the same CD by the same label.
"Directions" is a record by the duo Nancy & Norman Blake and as this extraordinary couple has accustomed us, it is a very pleasant alternation of traditional and original songs interpreted in an extraordinary way thanks to the perfect balance of the stringed or plectrum instruments used which are the unmistakable trademark and inimitable of the two musicians.
As usual, my favorite songs are those with Blake's voice such as "The Louisville & Nashville Don't Stop Here Anymore", written by Jean Ritchie considered the mother of American folk, it is a narrative song that tells of the Appalachian economic crisis due to the closure of the coal mines and the consequent isolation of the small communities of Kentucky accentuated also by the suppression of the passenger trains of the line "Louisville & Nashville Railroad Company", "Poor Ellen Smith" a classic nineteenth-century "murder ballad" which tells of the murder of Ellen Smith occurred in Winston Salem in North Carolina, of the capture and execution of his assassin and finally another ballad, "Rake and the Ramblin' Blade" taken from the repertoire of the Carolina Tar Heels who recorded it in 1929 and which testifies, if there were still need, of the attention that Norman Blake shows towards these repertoires often fallen into oblivion but which are a fundamental part of the cult history american ural.
Among the instrumental pieces shine a beautiful interpretation of "White Horse Breakdown" composed by Bill Monroe but recorded for the first time by his violinist Kenny Baker in '72, but above all there are the Irish-flavored medley "Loch Lavan Castle Santa Ana's Retreat · Cattle in the cane" performed by the guitar and mandolin duo and "Uncle sam" embellished by the brass of Miles Anderson.
The CD is almost unobtainable, both LPs (I'm also referring to "Live at McCabe's") paradoxically are more available on the used market. Good hunting.







SOSTIENE BORDIN: DEVO “Q: Are we not men? A: We are Devo”

SOSTIENE BORDIN: DEVO “Q: Are we not men? A: We are Devo”

SOSTIENE BORDIN: DEVO

“Q: Are we not men? A:We are Devo”

VIRGIN RECORDS. LP, 1978

di Cristiano Bordin

Se per produrre il disco di esordio di una band si offrono David Bowie, Brian Eno, Robert Fripp e Iggy Pop è facile prevedere che quell’album sarà destinato a restare nella storia. Ed è quello che è successo a “Q:Are we not men? A:We are Devo”. Se vogliamo tradurre in suoni una definizione come “new wave” la scelta può sicuramente cadere su questo disco.

L’anno era il 1978 e, per la cronaca, la gara tra i produttori la vinse Brian Eno che però dovette poi mediare parecchio con il quintetto di Akron, Ohio. “Q. are we not men? A: We are Devo” è insomma il classico disco   capace di reggere i cambiamenti epocali che ci sono stati nella musica da allora ad oggi e quindi di diventare un disco senza tempo. I suoni- per quanto realizzati con le tecnologie e gli strumenti dell’epoca-  sono ancora  freschi e potenti come allora. Basta il riff di “Uncontrollable urge”, la voce schizoide di Gerry Casale, i cori- elemento importante dell’album- e si è pronti per un viaggio in un mondo alla rovescia e per un futuro inquietante anche se descritto con ironia. “Era un mongoloide/A nessuno importava/ Più felice di te e di me”: dice infatti “Mongoloid”.

Ma il viaggio nel futuro – o quello che sarebbe stato il nostro futuro senza che noi lo sapessimo – continua con l’episodio forse più celebre, una “Satisfaction” che da monumento della storia del rock   si trasforma diventando un’altra cosa, lontano anni luce dall’essere una cover. Ma il 1978 conosceva anche l’esplosione del punk: c’è traccia di questo nel disco? Senz’altro, tenendo conto che “punk” per i Devo è una forma di espressione, un mezzo, non una gabbia, e che quindi finiscono per essere quelli che hanno tenuto davvero fede al senso originario di quel movimento. “Come back Jonee”, “Gut feeling” devono molto al punk, i riff sono secchi come epoca impone, ma poi c’è sempre qualche particolare, qualche invenzione che supera i clichè.

I cinque di Akron- i fratelli Casale, i fratelli Mothersbaugh con il batterista Alan Myers – hanno la capacità di reinventare e di rileggere suoni ed ispirazioni tra le più diverse: dai Kraftwerk al punk, dall’elettronica a Captain Beefhart alle sigle pubblicitarie. Ne esce un disco da ascoltare, quasi 45 anni dopo, tutto di un  fiato fino al finale, più lento e avvolgente, di “Shrivel up”.

C’è un altro elemento importante che segna la storia di questo come dei lavori successivi: la visionarietà, il saper vedere un mondo che cambiava in peggio quando erano in pochi ad accorgersene. E in questa capacità c’entra anche il vissuto dei protagonisti. Il 4 maggio 1970 quando scoppia la rivolta studentesca alla Kent State in Ohio e la polizia spara Gerry Casale era lì. Se andiamo oltre le tute gialle, il gusto per lo show, gli occhiali bizzarri e i cappelli elicoidali scopriamo un gruppo che aveva una forte carica politica. “Sono sempre stato politicizzato – racconta in una intervista Casale – qualunque scelta che noi facciamo è politica, anche la più banale. Oggi stiamo assistendo ad una separazione tra i poveri e ricchi sempre più ricchi, antidemocratici per definizione. Siamo arrivati a questo punto per colpa del peggior capitalismo possibile”.

La devoluzione ha vinto come loro avevano previsto e anche in Usa se ne vedono i frutti come si è visto nei protagonisti dell’assalto a Capitol Hill: “Vogliamo parlare di quel tipo con l’elmo da vichingo? – continua Casale – Assolutamente incredibile, un vero subumano. “Are we not men“? Ecco spiegato il senso di un titolo come quello”.

Il cerchio si chiude, passato e presente con questo album si mescolano, la distopia è servita e la devoluzione continua a stravincere.

Loro, nel 1978, avevano già capito tutto…

OSSIAN “St. Kilda Wedding”

OSSIAN “St. Kilda Wedding”

OSSIAN “St. Kilda Wedding”

Iona Records IR001. LP, 1978

di alessandro nobis

St. Kilda Wedding” è il secondo album degli scozzesi Ossian dopo l’eponimo pubblicato nel 1977 dalla Springthyme ed è anche il primo ad apparire nel catalogo dell’importante label di Glasgow Iona Records. Gli Ossian si sono sempre distinti dagli altri gruppi che hanno valorizzato la tradizione musicale di Scozia per l’indovinata combinazione strumentale oltre che per lo studio e gli arrangiamenti dei temi a danze e della ballate: anche dal vivo hanno sempre mantenuto questa caratteristica ed in tutti i concerti ai quali ho potuto assistere ed organizzare dai tempi di “Seal Song” ho sempre apprezzato il perfetto equilibrio tra cordofoni, strumenti ad arco e naturalmente la magnifica arpa celtica di Billy Jackson, un vero Maestro di questo strumento oltre che ottimo uilleann piper. Qui la line · up prevede quattro musicisti (Tony Cuffe ancora non faceva parte della band) ovvero John Martin (violino, violoncello e voce), George Jackson (plettri, violino, tin whistle, flauto e voce), Billy Jackson (arpa, uilleann pipes, voce e tin whistle) e Billy Ross (voce solista, chitarra, dulcimer e tin whistle). Il repertorio è molto interessante, va dalla tradizione delle isole Shetland, così tanto influenzata da quella scandinava come il set di reels che chiude l’album “More Grog Coming ·  Tilley Plump · Da Foostra” con le pipes irlandesi di Billy Jackson, la ballad “The Braes O’ Strathblane” riportata nella collezione Mavers pubblicata nel 1866 e molto diffusa nel nord est Ebridi comprese o ancora la melodia “St. Kilda Wedding” (splendida la combinazione tra violino e plettri con le pipes che fanno inizialmente da bordone che racconta attraverso la melodia i matrimoni sull’isola di St. Kilda delle Ebridi Esterne (ed è tratto dalla collezione di musica delle Highlands del Capitano S. Fraser di Knockie), melodia abbinata ai reels aperti dalle uilleann pipes  “Perrie Werrie · The Honourable Mrs. Moll’s“. Infine segnalo il canto gaelico di “‘S Gann Gunn Dirich Mi Chaoidh” dove l’autore, Norman Nicolson di Skye racconta la propria storia di bracconiere, fratello del capo Clan John Nicolson ultimo leader del Clan prima di emigrare in Canada e quindi in Australia e l’aria “Gie me a lass wi a lunp o’ land” dalla raccolta di Alan Ramsey “Tea Table Miscellany” pubblicata nel 1724, con clarsach e flauti a disegnare la eterea melodia di questa slow air.

Gran bel gruppo gli Ossian, dalla loro musica non si può prescindere se si vuole conoscere in profondo la musica popolare scozzese con i suoi suoni ed i suoi contenuti.

EGBERTO GISMONTI “Sol do Meio Dia”

EGBERTO GISMONTI “Sol do Meio Dia”

EGBERTO GISMONTI “Sol do Meio Dia”

ECM Records. LP, 1978

di Alessandro Nobis

Ispirato dalle frequentazioni amazzoniche delle etnie Xingu e Sapain, il compositore, chitarrista e pianista brasiliano Egberto Gismonti nel novembre del 1977 entra nel Talent Studio ECM di Oslo dove il fondatore Manfred Eicher gli fa trovare un gruppo di straordinari musicisti come Ralph Towner, Jan Garbarek, Colin Walcott e Nana Vasconcelos per registrare questo album che oggi possiamo considerare tra i più importanti della sua corposa discografia.

Sol Do Meio Dia” (il sole di mezzogiorno) pubblicato nel ’78 si caratterizza per la presenza della lunga suite in quattro movimenti che occupa tutta la seconda facciata del disco ovvero “Cafè (Procissão De Espirito)“, “Sapain (Sol Do Meio Dia)”,Dança Solitaria No. 2 ” (Voz Do Espirito)” ed infine “Baião Malandro (Fogo Na Maranhão · Mudança)”. Il movimento più significativo tra i quattro è a mio avviso quello eponimo (ovvero il secondo), nel quale Towner e Gismonti abbandonano i cordofoni utilizzati nella splendida e lunga apertura (quella che ospita il sax soprano di Garbarek, inconfondibile davvero, e i duetti tra le due chitarre) per imbracciare assieme a Walcott e Vasconcelos le percussioni autoctone, i flauti indigeni, le voci ricreando nello studio il fascino e il mistero del Brasile più recondito, quasi un richiamo disperato a valorizzare e proteggere le etnie amazzoniche da sempre – ed oggi più di allora grazie alle politiche di Bolsonaro – in pericolo di sterminio o di “forzata” assimilazione alla cultura predominante di derivazione europea. Una suite · che si conclude con un meraviglioso introspettivo brano alla chitarra 8 corde di Gismonti (“Dança Solitaria No. 2 ” · Voz Do Espirito · ) e dal movimento conclusivo, per pianoforte e percussioni · tutta da ascoltare con grande attenzione, solo così saprà trasportarvi in altro luogo e in altro tempo……..

Nella prima facciata del disco troviamo un altro brano “amazzonico”, ovvero “Kalimba“, per strumenti etnici · niente chitarra di Gismonti quindi ·, ed il delicatissimo brano di apertura composto dal chitarrista brasiliano dove duetta con la dodici corde di Towner, florilegio per chitarre provenienti da culture diverse ma con la capacità di dialogare alla perfezione senza essere mai autoreferenziali, una vera meraviglia paradisiaca per i chitarristi ……. e per tutti.

Uno dei migliori “casting” di Manfred Eicher di quegli anni, quasi mezzo secolo ma la musica fluisce e sorprende come allora.  Da avere assolutamente.

LA LIONETTA “Danze e Ballate dell’Area Celtica Italiana”

LA LIONETTA “Danze e Ballate dell’Area Celtica Italiana”

LA LIONETTA “Danze e Ballate dell’Area Celtica Italiana”

SHIRAK Records. LP, 1978

di alessandro nobis

Sul modello di più celebri ensemble dell’area celtica, francese ma anche magiara che con dischi di grande qualità riportavano alla contemporaneità il patrimonio tradizionale delle loro aree di origine culturale, anche in Italia c’era chi si prefiggeva lo stesso obiettivo centrandolo spesso con risultati di ottima qualità: uno dei gruppi più interessanti certamente erano i piemontesi “La Lionetta” che nel ’78 pubblicavano il loro esordio discografico, questo “Danze e Ballate dell’Area Celtica Italiana” che dopo quarantacinque anni si fa ancora apprezzare per il contenuto e gli arrangiamenti.

Roberto Aversa (voce, chitarra acustica, tin whistle, cornamusa, percussioni, Maurizio Bertani (mandolino, flauto dolce, bombarde, metallofono, violino, voce), Marco Ghio (violino, tablas, voce), Vincenzo Gioanola (melodeon, accordeon, dulcimer, banjo, percussioni, voce) e Laura Malaterra (voce, chitarra classica, dulcimer, percussioni) pescano dal repertorio raccolto e studiato da Costantino Nigra e da quelli frutto delle ricerche loro e di Roberto Leydi e lo interpretano con una vasta gamma di suoni e di arrangiamenti per l’epoca del tutto innovativi.

Citate da Nigra ecco ad esempio il brano di apertura “Dona Bianca” (lezione astigiana di “Donna Lombarda“, Nigra 01, raccolta da Leydi), “Un’eroina” (Nigra 13) con la parte musicale arrangiata su una registrazione sempre di Leydi e ancora “Prinsi Raimund” (Nigra 06) probabilmente di origine francese ed inedita al di fuori dell’area piemontese; il repertorio “a ballo” proviene dalle valli del Piemonte orientale come la Varaita, la Grana e la Val di Susa e comprende la splendida giga di Sampeyre, una curenta occitana e di una suite per cornamusa della val di Susa ed infine un salterello diffuso nel nord Italia di origine medioevale.

A distanza di tutto questo tempo il valore della musica di gruppi come “La Lionetta”, ma potrei anche citare La Ciapa Rusa, i Calicanto o dei Suonatori delle Quattro Province (appartenenti ad una fase successiva del folk revival nord italiano), assume un valore ancora più alto di quello, peraltro notevole, dato all’epoca della loro pubblicazione: il valore di questi progetti ha attraversato il tempo e sono ancora una modello per quanti siano interessati alla riproposizione del materiale tradizionale in una chiave non ortodossa.

HISEMAN · BRUCE · SURMAN “Le session del 1971 · 1978”

HISEMAN · BRUCE · SURMAN “Le session del 1971 · 1978”

“Le session del 1971 · 1978” “The 1971 – 1978 Sessions”

di alessandro nobis

Dall’officina musicale di Graham Bond, a partire dai primissimi anni sessanta, sono uscite le migliori menti che hanno saputo miscelare sapientemente il blues, il rock ed il jazz senza specificare “britannico” perché il valore di molta di questa musica è, o almeno lo ritengo personalmente, globale. Non tutto è stato pubblicato su dischi specifici, molto è rimasto negli archivi anche della BBC ma molti dei lavori sono rimasti come dicevo nella storia della nostra musica.

Le session negli studi di registrazione della BBC tra John Hiseman, Jack Bruce e John Surman sono state due a quel che mi risulta, senza nessuna post produzione e realizzati specificatamente per essere mandati in onda dall’emittente di stato britannica. Non sappiamo se oltre a questi 45 minuti ci sia dell’altro, ma comunque si tratta di sei brani pubblicati nel 2008 dalla Polydor nel triplo cofanetto “Spirit: Live at BBC” dedicato al bassista e compositore Jack Bruce del quale ne costituiscono la parte decisamente più interessante per i cultori del jazz; questa è una formazione che non può non ricordare quella del trio formato da John Surman, Barre Phillips e da Stu Martin che registrò nel 1970 il capolavoro del free europeo “The Trio”.

La prima session risale come detto del 1971, il 10 agosto per la precisione, e venne trasmessa dalla BBC per la trasmissione “Jazz in Britain” in due parti, il 31 dello stesso mese ed il 23 febbraio dell’anno seguente; tre i brani registrati scritti da Jack Bruce, ovvero “Jack’s Gone”, “Clearway” e “Powerhouse Sod”. Si tratta di due splendide improvvisazione improntate sulle frasi del basso elettrico, molto energetiche dove nella prima emerge la straordinaria musicalità e capacità di John Surman e la seconda aperta dal drumming di John Hiseman come noto caratterizzata da grande energia e tecnica sul quale si innestare le creazioni del baritono, ed anche il solo del batterista è una prova evidente dello stile di Hiseman sempre legato al rock ma in grado di suonare anche dell’ottimo jazz e di “Powerhouse Sod”, introdotta da basso e voce, è un brano più strutturato degli altri almeno nelle parti cantate dove Surman fa da contraltare a Bruce; questo brano entrerà in seguito nel repertorio di West, Bruce & Laing e registrato nel disco “Live ‘n’ Kickin’” del 1974, questo per la storia.

I tre si reincontrano nel 1978, il 26 di giugno, e registrano altri tre brani, tre improvvisazioni intitolate “Fifteen Minutes Part Three”, “Ten To Four” e “Twenty Past Four”, forse gli orari delle registrazioni, e vennero mandate in onda il 4 di settembre. Tre momenti di musica spontanea nelle quali  le sonorità di Surman assumono toni quasi lirici con il sax soprano e con il baritono, quasi ad anticipare le melodie ECM con le quali delizierà il palato dei suoi non pochi estimatori e con il poderoso ed incisivo basso elettrico di Jack Bruce che propone uno splendido solo accompagnato inizialmente dai piatti di Hiseman il cui apporto rimico svela la sua dimensione jazzistica. Sono tre mondi musicali diversi solamente in apparenza ed uniti da comuni origini, la conoscenza ed il rispetto reciproco mi sembrano assoluti e lo dimostra un attento ascolto di questi sei brani nei quali il linguaggio improvvisativo si esprime a livelli di eccellenza.

Musica di grande valore, un vero peccato che nessuno si sia preso la briga di pubblicare come disco questi 45 minuti.

Starting from the very early sixties, Graham Bond's musical workshop produced the best minds who knew how to skilfully mix blues, rock and jazz without specifying "British" because the value of much of this music is, or at least I consider it personally, global. Not everything has been released on specific discs, much has remained in the archives of the BBC as well, but many of the works have remained, as I said, in the history of our music.

The sessions in the BBC recording studios between John Hiseman, Jack Bruce and John Surman were two to my knowledge, without any post-production and made specifically to be broadcast by the British state broadcaster. We don't know if there is anything else besides these 45 minutes, but in any case these are six songs published in 2008 by Polydor in the triple box set "Spirit: Live at BBC" dedicated to bassist and composer Jack Bruce of which they constitute the decidedly more interesting for jazz lovers; this is a formation that cannot fail to recall that of the trio formed by John Surman, Barre Phillips and Stu Martin who recorded in 1970 the masterpiece of the European free "The Trio".
The first session dates back to 1971, on August 10th to be precise, and was broadcast by the BBC for the "Jazz in Britain" broadcast in two parts, on the 31st of the same month and on February 23rd of the following year; three recorded songs written by Jack Bruce, namely "Jack's Gone", "Clearway" and "Powerhouse Sod". These are two splendid improvisations based on the phrases of the electric bass, very energetic where in the first emerges the extraordinary musicality and ability of John Surman and the second opened by the drumming of John Hiseman as known characterized by great energy and technique on which the creations are grafted of the baritone, and also the solo of the drummer is a clear proof of Hiseman's style always linked to rock but also able to play excellent jazz and "Powerhouse Sod", introduced by bass and voice, is a more structured piece of the others at least in the sung parts where Surman counters Bruce; this song will later enter the repertoire of West, Bruce & Laing and recorded on the 1974 "Live 'n' Kickin'" album, this for history.
The three meet again in 1978, on June 26, and record three other songs, three improvisations entitled "Fifteen Minutes Part Three", "Ten To Four" and "Twenty Past Four", perhaps the times of the recordings, and were sent aired on the 4th of September. Three moments of spontaneous music in which Surman's sonorities take on almost lyrical tones with the soprano sax and the baritone, as if to anticipate the ECM melodies with which he will delight the palate of his many admirers and with the powerful and incisive electric bass of Jack Bruce who proposes a splendid solo initially accompanied by Hiseman's cymbals whose rhyming contribution reveals his jazz dimension. They are three different musical worlds only in appearance and united by common origins, mutual knowledge and respect seem absolute to me and this is demonstrated by attentive listening to these six pieces in which the improvisational language is expressed at levels of excellence.

Music of great value, a pity that no one has bothered to release these 45 minutes as a record.

DUCK BAKER “Les Blues Du Richmond – Demos and Outtakes”

DUCK BAKER “Les Blues Du Richmond – Demos and Outtakes”

DUCK BAKER “Les Blues Du Richmond – Demos and Outtakes”

TOMPKINS SQUARE Records. CD, LP 2018

di Alessandro Nobis

Ogni volta che Duck Baker apre i suoi archivi e pubblica registrazioni inedite non sai mai che cosa ti aspetta: jazz? americana? blues? folk anglo irlandese? musica improvvisata? Più ascolti i suoi repertori e più comprendi quanto sia importante il ruolo che questo chitarrista di Richmond, Virginia ha non solo nel mondo del fingerpicking ma anche – e forse soprattutto – per il carattere con il quale ripropone e sviluppa la sua musica, originale e rivisitata che sia.

Stavolta tocca al Duck Baker “prima maniera”, ovvero gli anni settanta quando con le sue incisioni per la Kicking Mule attirò l’attenzione degli appassionati e degli estimatori, da subito moltissimi. Le prime sei tracce (registrate in “solo”) arrivano da session americane del ’73, le altre otto (tre con Mike Piggot al violino e Joe Spibey al contrabbasso) da altre europee registrate a Londra tra il ’77 ed il ’79, quindi credo di poter dire tra il suo primo disco “There’s something for everyone in America” e “The kid on the mountain” ovvero del periodo “Kicking Mule”.

Esecuzioni impeccabili, perfette tanto che ti chiedi come mai non furono pubblicate allora, brani alcuni dei quali Baker suona ancora dal vivo – rivisitati, con inserti improvvisativi – come una memorabile “St Thomas” di Sonny Rollins (qui “Fire down there”), l’immortale brano di Scott Joplin “Maple Leaf Rag”. Splendide anche quelle in trio (ne vogliamo ancora, Duck) e quelle di origine europea come “Swedish Jig” e “The Humors of whiskey”.

Stampato dall’attivissima etichetta Tompkins Square, specializzata in ristampe ed edizioni di qualità molto elevata. Buona caccia!

http://www.tompkinssquare.com

GRAZIELLA DI PROSPERO “A E I O U alla scola ‘n ci voglio ‘i più”

GRAZIELLA DI PROSPERO “A E I O U alla scola ‘n ci voglio ‘i più”

GRAZIELLA DI PROSPERO “A E I O U alla scola ‘n ci voglio ‘i più”

FONIT CETRA FOLK 46, LP,  1978

di Alessandro Nobis

aeiou-alla-scola-n-ci-voglio-i-piu.jpgPiù di 300 ore di registrazioni sul campo sono il patrimonio culturale che Graziella Di Prospero – con il suo compagno Giorgio Pedrazzi – ha lasciato ai cultori della tradizione popolare ed agli etnomusicologi; materiale raccolto tra il ’72 ed il ’75 nell’area del Basso Lazio dove era nata nell’estate del 1943 (visse fino al 2013) che naturalmente costituisce un fondo importantissimo per quanti poi si sono incaricati di rivitalizzarlo e riproporlo coinvolgendo anche sui palcoscenici – come molti facevano e la Di Prospero non si sottrasse a questa regola – portatori originali conosciuti nel corso delle sue ricerche.

Registrò tre LP per la fondamentale collana FOLK della Fonit Cetra, mai stampati su CD ed oggetto di collezione da parte degli appassionati; questo “A E I O U alla scola ‘n ci voglio ‘i più” pubblicato nel 1978 è il secondo lavoro (numero 46 della collana) che segue “Tengo no bove se chiamo Rosello” (Numero 32) e precede “In mezzo al petto mio ce stà ‘m zerpente” (Numero 72). Graziella Di Prospero in realtà era ben più di una raccoglitrice ed interprete di musica popolare, visto che nella sua vita fu giornalista, sceneggiatrice di cinema e tv e cabarettista; fu impegnata politicamente nelle file del P.C.I. ed una figura importante nella cultura italiana di quegli anni che arrivò allo studio della tradizione popolare approfondendo sempre più i temi a lei più cari come la condizione femminile nell’ambito lavorativo e più in generale, sociale.

In questo disco presenta con la sua voce profonda ed estremamente efficace canti narrativi, canti fanciulleschi e stornelli (villotte si chiamano nell’area veneta e non solo); tra i più significativi due belle versione di canti legati all’emigrazione e patrimonio dell’Italia settentrionale fino al basso Lazio come “Un bel giorno andando in Francia” (due belle interpretazioni sono anche quelle del Nuovo Canzoniere Veronese e di Franco Morone in coppia con Raffaella Luna che testimoniano la presenza di questo canto in altre zone d’Italia) e la diffusissima “Mamma mamma mamma dammi cento lire”, un canto dedicato al Primo Maggio (“Canta More Primo de Maggio”), una versione dell’ancestrale canto alla zampogna “Arbere Sicche” e gli “Stornelli Anticlericali” che chiudono l’ellepì. Con le ci sono Giorgio Battistelli alle percussioni, Francesco Giannattasio all’organetto diatonico, Francesco Splendori alla zampogna e Marzio Zoffoli al flauto e chitarra.