QUAI DES BRUMES “Au bord de l’eau”

QUAI DES BRUMES “Au bord de l’eau”

QUAI DES BRUMES & AMF STRING QUARTET “Au bord de l’eau”

Associazione AMF. CD, 2020

di alessandro nobis

Se vi piace la Storia della terra di Francia ma non avete voglia di leggere un saggio che vi guidi attraverso la sua complessità, non ci sono problemi: ascoltate la straordinaria musica che il trio “Quai des Brumes” suona e sicuramente il desiderio di approfondire verrà. “Au bord de l’eau” è il secondo affascinante lavoro che il clarinettista Federico Benedetti, il chitarrista Tolga During ed il contrabbassista Roberto Bartoli hanno QUAI 1pubblicato qualche settimana or sono: il primo lavoro d’esordio “Chansons Boîteuses” era un viaggio esplorativo negli anni che precedettero il secondo conflitto mondiale, dal ’36 al ’38, gli anni del governo del “Front Populaire”. La Francia, soprattutto Parigi, si distingueva per la sua multiculturalità, erano i migliori anni della “Chanson Francaise” ed i Quai Des Brumes avevano saputo intelligentemente e molto lucidamente dare un quadro della musica che si suonava nei bistrot e nei teatri parigini: i quindici brani percorrono un itinerario che ci porta nei caffè, nei bistrot, nella sale-concerto di quel periodo e, citando “Nunn o Pani naschella” ci si immerge nel jazz manouche, “Les copains d’abord” di George Brassens in una splendida esecuzione strumentale di uno dei grandi della canzone d’autore mondiale ed il pacato swing di Sidney Bechet dell’immortale “Petite Fleur” potete avere un’idea del repertorio che però, per essere apprezzato nel profondo, va ascoltato perché la perizia dei tre musicisti e gli arrangiamenti curati in modo molto efficace da Federico Benedetti riescono in modo molto equilibrato ad omogeneizzare i vari repertori facendo sì che questo “Chanson Boiteuses” sia un disco splendido, arricchito anche da tre composizioni originali tra le quali voglio citare quella dell’eccellente chitarrista Tolga During, “Waltz for my father”.

QUAI 2Con “Au bord de l’eau” Quai des Brumes va oltre, e si avvale della collaborazione di un quartetto d’archi, l’AMF (acronimo di Associazione Musicisti di Ferrara) String Quartet: Pierclaudio Fei e Massimo Mantovani violini, Julie Shepherd alla viola e Giacomo Grespan al violoncello. Anche qui prima di dire due parole sul programma voglio sottolineare gli arrangiamenti – sempre del clarinettista – che riescono in maniera davvero notevole a creare un comune dialogo tra gli archi ed il trio ed a rendere ancora una volta omogenei i vari stili affrontati ed anche sulla bravura dei tre solisti varrebbe la pena spendere qualche riga; sulla precisione ed efficacia del contrabbasso di Roberto Bartoli, sulla straordinaria chitarra “Manouche” visto che imbraccia una Maccaferri, di Tolga Turing bravissimo a suonare le parti “cantate” e nello swing di “Ecrin” (un piccolo capolavoro con la chitarra ed il clarinetto che duellano con gli archi) e sul clarinetto – e clarinetto basso – di Federico Benedetti sempre espressivo e puntuale nei soli e nel lavoro sulle melodie.

Il repertorio è molto interessante, e mi limito a segnalarvi una splendida rilettura della canzone  “Nuit d’etolies” composta da Claude Debussy nel 1880, due delle canzoni composte di Gabriel Faurè ovvero “Dans les ruines d’una abbaye” e “Au bord de l’eau”, “Les Anges” di Erik Satie (una delle tre melodie del 1887) ed infine “Ma premiere lettre” di Cecile Chaminade che apre il disco. Ascoltate con attenzione, chiudete gli occhi e vi ritroverete nella Francia di fine Ottocento, quella della Comune di Parigi, lungo le sponde della Senna e, magari, incontrerete George Pierre Seurat mentre dipinge una delle sue opere.

Di Roberto Bartoli avevo scritto in occasione del suo “Landscapes”: https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/09/19/roberto-bartoli-landscapes/

Di Tolga During in occasione del suo “Gelibolu”: https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/10/24/tolga-during-ottomani-gelibolu/

www.quaidesbrumes.it

 

 

 

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JAMES MURRAY “Embrace Storms”

JAMES MURRAY “Embrace Storms”

JAMES MURRAY  “Embrace Storms”

Krysalisound & Slowcraft Records, CD. 2019

di alessandro nobis

“Embrace Storms” è la più recente produzione del talentuoso compositore inglese James Murray che concretizza il suo pensiero musicale attraverso un sapiente e consapevole utilizzo dell’elettronica: le sue composizioni nascono, si sviluppano, si concretizzano lasciando l’ascoltatore in balìa delle proprie emozioni che si originano dall’attento ascolto di queste due lunghe tracce, “In Your Head” e “In Your Heart”. I sapienti classificano questa musica come “ambient”, ma mi piace piuttosto definirla semplicemente come musica elettronica visto che segue il solco di certa musica sviluppatasi già negli anni settanta e che ha avuto diverse “denominazioni”; che questa musica sia frutto di un approccio consapevolmente improvvisativo, sia progettata anche nei minimi particolari o entrambe le cose ha poca importanza, ciò che più conta è la ricerca dei suoni e la loro combinazione – sovrapposizione e la ricerca del perfetto, godibile e delizioso equilibrio finale raggiungibile a questi livelli solo se padroneggi in modo sicuro e consapevole la tecnologia a disposizione. Qualcuno ha definito la musica di James Murray “caos controllato” e questa definizione forse è la mediazione tra le due modalità a cui accennavo prima.

Embrace Storms - CD #02

Quel che posso dire, da profano, è che questo “Embrace Storms” è un lavoro di grande fascino che cattura l’attenzione dalle prime battute e che ad ogni ascolto ti fa scoprire i suoni “nascosti” ed immaginare le modalità di esecuzione che stanno alla base di lavori come questo.

“Embrace Storms” è una coproduzione tra le etichette Slowcraft e la KrysaliSound ed è disponibile in CD (copie numerate), in formato digitale ed anche in un prezioso LP di 140 g, sempre in una turatura limitatissima.

http://www.krysalisound.com | info.krysalisound@gmail.com http://www.slowcraft.info | slowcraftrecords@gmail.com

https://slowcraft.bandcamp.com/album/embrace-storms https://krysalisound.bandcamp.com/album/embrace-storms

 

 

CAOIMHIN O’FEARGHAIL “ Uilleann Piping from County Waterford”

CAOIMHIN O’FEARGHAIL “ Uilleann Piping from County Waterford”

CAOIMHIN O’FEARGHAIL

“The Ace and Deuce of Piping Vol. 4: Uilleann Piping from County Waterford”

Na Píobaíri Uilleann. CD, 2020

di alessandro nobis

Il piper Caoimhín Ó Fearghail è originario di uno dei Gaeltacht irlandesi e precisamente da An Rinn, nella meridionale Contea di Waterford e come quasi tutti gli uilleann pipers ha iniziato a suonare la musica tradizionale partendo dal tin-whistle, il flauto diritto di metallo per poi passare alla cornamusa, molto più complessa e considerata lo strumento principe della musica popolare irlandese. Allievo di David Power, dichiara apertamente di aver subito l’influenza – e non poteva essere altrimenti – dei capostipiti Willie Clancy, Patsy Touhey, Tommy Reck e naturalmente Seamus Ennis.

FEARGHAIL 1Questo magnifico CD è il quarto della serie “The Ace and Deuce of Piping” curato dall’associazione Na Piobairi Uilleann ed il suo repertorio apre una finestra sulla tradizione della sua terra, appunto il Waterford come il reel “The One Horned Cow” appreso da Lima Walsh e da lui inciso nel lontanissimo ‘33 e qui associato a “The Ramblin Thatcher”, appreso dal disco “The Fire Aflame” (O’Flynn, Jeane e Molloy) ed a “The Fermoy Lasses” o la slow air “Miss Brien an Chuilfhionn” imparata ascoltando una versione cantata da Walter Power.

Notevolissima la versione in “solo” di Johnny Cope che gli appassionati ricorderanno incisa anche dai primi Planxty (ma anche dal flautista Fintan Vallely)  nel 1984 e da Ennis nel ’78) e soprattutto il set “Bonaparte’s Retreat” abbinato alla hornpipe “Callaghan’s Hornpipe”, quest’ultima ispirata al grande Seamus Ennis; di “Bonaparte’s Retreat” ne sono state incise varie versioni (Chieftains, Finbar Furey e oltreoceano da Norman Blake e John Hartford) e presumibilmente fu composta nel XIX secolo dopo la ritirata di Napoleone del 1812 in Russia, disfatta che secondo alcuni storici salvò le isole britanniche da una possibile invasione francese ….. O’Fearghail ne riporta una versione struggente come probabilmente era quella di Tommy Kearney, violinista che insegnò la melodia al nostro giovane piper della Waterford County.

Non sono a conoscenza di altre incisioni di Caoimhín Ó Fearghail: attendo notizie, ma intanto questo disco è bellissimo.

https://napiobairiuilleann.bandcamp.com/artists

 

 

DALLA PICCIONAIA: I NOSTRI ANNI SETTANTA

DALLA PICCIONAIA: I NOSTRI ANNI SETTANTA

DALLA PICCIONAIA: I NOSTRI ANNI SETTANTA

di alessandro nobis

Negli ultimi anni non è che ci siamo frequentati molto. A parte una spedizione padovana per un concerto di Barre Phillips e Roberto Zorzi ci si incrociava il mercoledì mattina verso mezzogiorno, al mercatino rionale sotto casa dove scambiavano due parole di fretta e furia. Mai solo “ciao” e “ciao”.

Negli anni Settanta, intorno alla metà degli anni Settanta, le cose erano invece molto diverse, gli incontri erano quasi quotidiani e si frequentavano ragazzi che come noi condividevano la passione per la musica e con i quali saremmo rimasti in contatto per decenni, fino ai nostri giorni.

Il martedì mattina l’appuntamento era all’edicola di via Cesare Abba per acquistare Ciao 2001, settimanale musicale che ai tempi era considerato una sorta di testo sacro della musica che ascoltavamo: il giovedì ci si alzava prima e si andava in un’altra edicola, quella di fronte alla Chiesa di Santa Anastasia, dove arrivava qualche copia di Melody Maker, rivista inglese che ha segnato la storia dell’editoria musicale almeno in Europa.

Spesso di pomeriggio si andava assieme ad altri amici al negozio di dischi in Galleria Pellicciai, fornitissimo di tutte le novità italiane e di importazione della “nostra musica” preferita di allora, il prog.; nelle cabine potevi ascoltare tre long-playing ma ne dovevi acquistare almeno uno e così quando un uno di noi se lo poteva permettere avvisava gli altri ed insieme si andava. Poi a casa il disco veniva spesso registrato su cassetta: capitava spesso anzi quasi sempre di trovarsi a casa di Nicola ad ascoltarlo più e più volte, a condividere pareri, emozioni ed anche sogni, un momento di crescita che in seguito si dimostrerà fondamentale per molti di noi. Nicola aveva all’epoca dei gusti musicali che andavano dai Genesis di Peter Gabriel ai Roxy Music di Brian Eno, passando ai “Pianeti” di Holst ed alla musica antica suonata da David Munrow; molto avevamo in comune ma piano piano i miei gusti si spostarono all’ambiente della musica tradizionale americana e come si diceva allora anglo-scoto-irlandese. L’importante era sempre e comunque ascoltare, ascoltare e commentare. E crescere musicalmente.

Chi se lo poteva permettere andava anche ai concerti fuori porta e naturalmente della musica ascoltata e dei gruppi visti se ne parlava a lungo, qualcuno addirittura li registrava con un apparecchio a cassette e vi lascio immaginare la qualità del suono che per noi comunque sembrava formidabile; alcuni di noi impararono a suonare uno strumento riuscendovi ed altri, come il sottoscritto, una volta capito di non essere in grado di affrontare lo studio della musica, barattarono il proprio (un basso Fender Precision di seconda mano trovato a Bolzano con il quale cercavo di scimmiottare Gary Thain senza ovviamente riuscirci) con un registratore a cassette che si rivelò però fondamentale nel mio percorso di ascolti, approfondimenti ed esplorazioni sonore.

Nicola aveva un notevole talento creativo, si interessava non solo di musica ma anche di fotografia e di grafica ed avrebbe più tardi disegnato il logo dei Licaon in puro stile Roger Dean: prendeva lezioni di pianoforte dalla madre ed aveva un talento musicale tant’è che ad un certo punto, credo fosse il 1974, entrò a far parte dei Licaon, gruppo nato dalle ceneri dei Gem (dei quali facevano parte Dario Vignato, batteria, e Mario Natale alle tastiere, un altro che proseguì la sua carriera di musicista), fondato dal chitarrista Johnny Rao e dal bassista Maurizio Chavan ai quali si aggiunsero anche il batterista Carlo Arzeni e il giovanissimo fiatista Benny Weiss (da molti anni apprezzato jazzista).

I Licaon, all’epoca la band più interessante in circolazione dalle nostre parti con delle notevoli potenzialità allora solo parzialmente espresse (parliamo di ragazzi mediamente di sedici anni), non suonavano brani altrui ma componevano musiche originali come la complessa suite “Lo Hobbit” ispirata naturalmente al volume di Tolkien che nella versione Licaon comprendeva testi e parti recitative scritte da Carlo Ridolfi portate in scena da Nucci Rao. I mezzi erano pochi (ricordo che quando a Johnny arrivò la chitarra Gibson Les Paul De Luxe ci fu una sorta di pellegrinaggio in camera sua) ma erano suppliti da un grande entusiasmo ed anche da una certa abilità strumentale che negli anni seguenti alcuni di loro avrebbero sviluppato per continuare il loro percorso musicale. Del loro “Lo Hobbit” resta traccia ufficiale in “Years of songs” un compact disc realizzato nel 2011 da Johnny Rao che contiene una versione de “La Battaglia dei Cinque Eserciti” suonata con Nicola e Valentina Turata al violino, un breve assaggio di quello che era la musica dei Licaon. Poi ci sono senz’altro delle registrazioni in qualche archivio segreto …….. Di loro ricordo tre bei concerti: al Teatro Laboratorio, nel parco di Villa Pullè al Chievo e nello spazio retrostante il Liceo Fracastoro durante un’occupazione studentesca, mi sembra nel ’77.

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D’estate eravamo fortunati, si andava a Londra per un paio di settimane con la scusa di imparare e di impratichirsi con l’inglese: in realtà le giornate passavano alla ricerca di negozi di dischi, da Oxford Street a Camden Town a Shaftesbury Avenue da Dobell’s e Collett’s due fornitissimi negozi che spacciavano vinili di folk inglese e di jazz, dischi che potevano guardare ma raramente comperare …… ricordo che Johnny cercò per tutta Londra un 45 giri di EL&P, ed io un cofanetto antologico di folk britannico, ma alla fine li trovammo entrambi!

IMG_3868Ma di quelle settimane londinesi uno dei miei ricordi più lucidi fu la mattina in cui accompagnai Johnny e Nicola a Portobello Road, quando consegnarono – io rimasi in strada, al mercatino- nel piccolissimo negozio di Richard Branson un demotape dei Licaon, e quello che sarebbe di lì a poco diventato il patron della Virgin spedì in seguito una lettera nella quale si complimentava con il gruppo, anche se poi non se ne fece più nulla. Peccato, ma l’offerta musicale di quegli anni era davvero sbalorditiva, tutto era concentrato sulla novità della musica punk ed il progressive era caduto nel dimenticatoio. Peccato davvero.

L’avventura, il progetto Licaon si concluse nel ’78: il termine delle scuole superiori ed il trasferimento di alcuni membri fuori Verona furono le principali cause. Di recente so pr certo che si voleva fare una reunion del gruppo, ma purtroppo le cose sono andate diversamente ….

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I Licaon, qualche tempo fa.

Prima di chiudere vorrei ricordare però l’impegno di Nicola a Radio Centrale, un’esperienza formativa non solo per lui, che aveva una trasmissione con l’amico di sempre Johnny ma per tutti noi che a vario titolo avemmo un ruolo nella programmazione musicale di quella Stazione Radio le cui frequenze, 104 FM, passarono in seguito a Radio Popolare: in molti passarono da Piazza Broilo, da semplici appassionati come me a giornalisti professionisti. tele-radio-centrale-verona-2A questo punto però necessito di una “memoria esterna”, quella di Johnny: “Nicola ed io fummo proprio co-fondatori di Radio Centrale, grazie alla stima ed amicizia di Giovanni “Mimmo” Colombo che ci chiese se volevamo par parte della nascita di una radio privata indipendente; la radio iniziò dalla sede di Via Nicola Mazza, per poi trasferirsi successivamente in Piazza Broilo”.Fu quella di Radio Centrale un’altra esperienza almeno per me molto importante per gli ascolti di musiche diverse, per gli approfondimenti, le amicizie, per le discussioni riguardanti le uscite discografiche o i concerti ai quali riuscivamo ad andare. Ma durante un formidabile temporale estivo un fulmine centrò distruggendola l’antenna di Radio Centrale sulle Torricelle: la Radio come la nascente Tele Centrale chiusero i battenti e qualche tempo dopo si trasferirono in un capannone in Borgo Roma.

Poi, come detto, quel periodo terminò e per Nicola iniziarono il periodo milanese alla scuola di Bruno Munari e nuove esperienze musicali ed iniziò a produrre bellissime grafiche per gli straordinari e formativi Festival Jazz a cavallo del 1980.

Ma questa è un’altra storia che non saprei raccontare per non averla vissuta direttamente ma solo “a margine”.

Ciao Nicola.

MILK JAZZ TRIO “Drink Jazz, listen to milk”

MILK JAZZ TRIO “Drink Jazz, listen to milk”

MILK JAZZ TRIO  “Drink Jazz, listen to milk”

Cat Sound Records. CD, 2020

di alessandro nobis

A dieci anni dal disco d’esordio per la Philology il contrabbassista / bassista Roberto Pascucci, il pianista Gabriele Petetti ed il batterista Ricky Turco ovvero il “Milk Jazz Trio” tornano in sala d’incisione con undici nuove composizioni, dieci scritte dal contrabbassista Pascucci e una, “Hours by the Window”, composta da Phil Gould-Mark King, batterista della band inglese Level 42 (niente a che fare con il jazz, ma con una sezione ritmica formidabile e autori di un pop “perfetto”).

12637241504_6ec9da8374_bUtilissimo anche per noi neofiti del jazz riascoltare il primo ottimo lavoro per cercare di comprendere l’evoluzione che il trio ha sviluppato in questo lungo periodo, perché un’evoluzione c’è stata: una ricerca ancora più attenta e profonda della melodia (“No Redemption without Attention”), un suono prevalentemente acustico, jazz lontano dall’interpretazione di standards afraomericani, ballads originali di ampio respiro vicino a composizioni dai tempi più marcati (“Heavy Metal Kids have tender Heart” con una bella intro della batteria per un brano che profuma di “jazzrock acustico”) ed infine un uso della strumentazione elettrica pacato e mai sopra le righe. Etichettare la musica del trio in un qualsivoglia modo a mio avviso non è corretto: è jazz marcatamente europeo nel quale un ruolo importante lo gioca il background dei musicisti che hanno studiato anche profondamente la musica classica europea e contemporanea (ad esempio sapere che Pascucci è stato allievo di Stefano Scodanibbio la dice piuttosto lunga …) e che da queste ne sono stati inevitabilmente influenzati.

COVER MILK 1In “Drink Jazz, Listen to Milk” si respira un’aria un po’ diversa con riferimenti o piuttosto citazioni soprattutto sonore del miglior jazz elettrico tipico dei Settanta; l’interplay è sempre di gran livello, le composizioni di Pascucci sono estremamente godibili e apparentemente “facili”, appaiono strumenti come il Moog ed anche i suoni del basso assumono talora i connotati della chitarra. Detto dell’interpretazione strumentale di “Hours by the Window”,  dei Level 42 – che contribuisce a creare nuovi confini alla musica del Milk Jazz 3 -, vi invito all’ascolto di “Bitter sweet”, pacata ballad con due espressivi quanto significativo solo di basso elettrico accompagnato alle spazzole da Turco, “Aerobrain”, un tema che ci riporta molto volentieri al miglior jazz elettrico d’annata ed infine la suggestiva “Cinematic Mood” con un’ostinato di Rhodes che introduce un’altra ballad, segno distintivo del Milk Jazz Trio.

Speriamo di non dover attendere altri 10 anni per il terzo disco, ed altrettanto ci auguriamo di poter fruire al più presto di una loro esibizione dal vivo.

 

 

STEFCE STOJKOVSKI  “Dance and Songs from Mariovo”

STEFCE STOJKOVSKI  “Dance and Songs from Mariovo”

STEFCE STOJKOVSKI  “Dance and Songs from Mariovo”

Autoproduzione. CD, 2019

di alessandro nobis

Ho conosciuto il polistrumentista Stefce Stojkovski lo scorso novembre, all’edizione 2019 del William Kennedy Pipers Festival; orgogliosamente cittadino della Repubblica di Macedonia (quella di Skopje, per intenderci, denominata Repubblica di Macedonia del Nord per compiacere all’UE) al di là della simpatia e gentilezza è stata una delle piacevoli sorprese del festival. Si sa come gli irlandesi amino da tempo grazie al lavoro di Andy Irvine le danze in tempo dispari balcaniche e la bellissima esibizione di Stojkovski nella sede dell’Armagh Pipers Club è stata un successo.

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Questo “Dance and Songs from Mariovo” è il più recente lavoro di Stojkovski che lo ha tenuto impegnato dal 2012 al 2019, considerati le sue numerose attività culturali a Skopje. L’idea che sta alla base di questo lavoro è quella di perpetuare la secolare tradizione macedone, in particolare negli stili della regione montuosa meridionale di Mariovo, componendo musica contestualizzata alla danza e interpretando canzoni dedicate alla storia della Repubblica di Macedonia ed in particolare alle lotte contro gli Ottomani, modificandone in parte i testi come nelle bellissime “Zaplatako e Mariovo” (nel repertorio anche della cantante Petranika Kostadinova) che apre questo dischetto e “Po pat odam, za pat prasham”.

Non potevano mancare le “oro”, o “Horo”, le più antiche danze tradizionali – pare tipiche dei Traci – che accompagnano i balli di gruppo e che sono il marchio della musica macedone in generale. Stojkovski suona tutti gli strumenti e canta, ma l’illusione di trovarsi davanti ad un ensemble è molto forte, e questo onora le capacità strumentali – gaida, kaval, percussioni, tambura – e l’intelligenza creativa anche in fase di registrazione del musicista macedone, basta ascoltare “Sitnoto oro” che chiude in bellezza il disco e “”Arnautskoto oro”. Danze travolgenti che ti portano in un attimo nei villaggi macedoni a partecipare a qualche celebrazione della storia di questo popolo orgoglioso, un disco che apre un’ampia finestra su questa !nuova” nazione balcanica e naturalmente europea.

Uno straordinario esempio di attaccamento alle proprie radici storico culturali.

http://stefcestojkovski.mk

 

NOVOTONO  “Wood (Winds) at Work”

NOVOTONO  “Wood (Winds) at Work”

NOVOTONO  “Wood (Winds) at Work”

Auterecords. CD, 2020

di alessandro nobis

Di Adalberto Ferrari avevo parlato in occasione del suo “Unstable Waterlors” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2020/02/28/adalberto-ferrari-unstable-watercolors/), e di Andrea Ferrari di “Essential Lines (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2020/02/11/andrea-ferrari-essential-lines/): ora i due fratelli pubblicano un nuovo disco in duo (è il quarto dopo “Wanderung” del 2007, “On War” del 2008 e “Overlays” del 2018) naturalmente dedicato ai suoni della famiglia dei clarinetti e dei sassofoni.

WOOD(WINDS)_AT_WORK_coverE’ un’operazione coraggiosa ma altrettanto ben riuscita nella quale l’interplay è spinto al limite; non è solo una questione di “familiarità” ma di un progetto dove mi sembra di poter dire che l’improvvisazione gioca un ruolo fondamentale accanto alla scrittura dei temi. Il risultato finale è alquanto effervescente ed intrigante e ho trovato “Wood (WInds) at Work” assolutamente meritevole di tutta l’attenzione possibile anche perché come fortunatamente spesso succede i reiterati ascolti rivelano nelle pieghe della musica i “segreti” del dialogo inter-strumentale che mettono in evidenza i percorsi comuni e non tra i due musicisti.

“Coco the puppet” è uno dei brani più emblematici del lavoro dove il breve tema quasi “circense” esposto dal clarinetto basso viene circondato e si intreccia al dialogo con il sax soprano ad imitare una reale discussione tra due burattini; “One way” che apre il disco è un’efficace “call and response” tra sax baritono e clarinetto basso, protagonisti anche dell’immaginifica e fiabesca “Folletto folle dei boschi”, in “Poli” i due fiati si rincorrono e si incrociano creando parallellismi che si intersecano (è un ossimoro, ma provate ad ascoltare attentamente).

Disco davvero notevole, una delle cose più interessanti che mi è capitato da ascoltare in questi mesi di quarantena, tra avanguardia e classicismo jazz.

http://www.novotono.com

 

 

 

SUONI RIEMERSI: WOOD QUARTET “Strade”

SUONI RIEMERSI: WOOD QUARTET “Strade”

SUONI RIEMERSI: WOOD QUARTET “Strade” Le Parc Music. CD, 1995

di alessandro nobis

wood quartet (1)Ricordo sempre con piacere la serata di presentazione di questo disco nello show-room dell’azienda Morelato nello splendido Palazzo Taidelli a Salizzole, nella Bassa Veronese: sono passati ben venticinque anni, ma il ricordo della bellezza del sito e della musica sono rimasti ben fissi nella mia memoria e va dato atto agli organizzatori di avere scelto un luogo ideale per quell’evento. Era la metà degli anni Novanta, un periodo piuttosto fertile per la musica “jazz e dintorni” veronese, e questo progetto “Wood” è uno di quelli che a distanza di tutto questo tempo esprime ancora il suo valore e si fa ascoltare ancora con piacere ed interesse, l’inizio di un’avventura che continua ancora oggi e che si è contraddistinta anche per il suo polimorfismo se mare equilibrato, come si può vedere dalla discografia sotto riportata.

wood 1
La confezione dell’edizione “lusso” del CD

Enrico Breanza, chitarra, Marco Pasetto, clarinetti, ocarina e sax soprano, Gianni Sabbioni, contrabbasso e Massimiliano Zambelli, percussioni sono i musicisti coinvolti in questo disco d’esordio al quale dà il suo contributo un altro clarinettista, Mauro Negri in tre degli undici brani composti soprattutto da Breanza. Sempre splendido il dialogo tra il clarinetto basso ed il clarinetto in “Pantea”, convincente il lungo solo di ocarina che apre “Equi-Libri” che poi enuncia il tema con la chitarra acustica, evocativa “Protus” (un’altra scrittura di Breanza) con apertura di chitarra ed il sempre misurato e preciso soprano di Pasetto ed infine “On Land” che apre questo “Strade” descrivendo al meglio il progetto di questo ensemble.

Resta il rammarico per non avere mai visto il Wood Quartet, ma questo vale anche per i migliori musicisti dell’area veronese dell’epoca, inserito nel cartellone del prestigioso (in quegli anni) Verona Jazz, probabilmente per la sua “appartenenza etnico – geografica”.

Un disco che potete ascoltare, come gli altri, sulla piattaforma Spotify: (https://open.spotify.com/playlist/3H0zorv9O1EVD8D2Ku6uj3?si=gCa8-_hfSOGbm44_0kTj4Q&fbclid=IwAR3t2h72Sq_bC1vuNBof34JeNrQ8gsZd6SDBI_kiCK-fc6YquzMDJm3KbUk)

DISCOGRAFIA:

WOOD QUARTET:

“Lands”, 1996

“In the wood”, 2002

“Agorà”, 2003

 

WOOD ORCHESTRA (Wood Quartet con Elena Bertuzzi, Michele Pachera, Thomas Sinigaglia, Paola Zannoni e Renato Perina):

“L’attesa”, 2006

 

WOOD DUO (Marco Pasetto, Enrico Breanza), 2010

WOOD TRIO (Marco Pasetto, Enrico Breanza ed Andrea Oboe), 2017

CENTAZZO · SCHIAFFINI · ARMAROLI “Trigonos”

CENTAZZO · SCHIAFFINI · ARMAROLI “Trigonos”

CENTAZZO ·SCHIAFFINI ·ARMAROLI  “Trigonos”

Dodicilune Records. CD Ed420, 2018

di alessandro nobis

Questo lavoro pubblicato un paio di anni or sono dalla pugliese Dodicilune Records affianca due fondamentali figure della musica contemporanea e della musica improvvisata europea come Andrea Centazzo e Giancarlo Schiaffini al bravissimo vibrafonista (ma è anche un artista sonoro, poeta e percussionista “concreto”) Sergio Armaroli che racchiusi nello studio di registrazione dialogano, si incontrano e producono composizioni istantanee piacevolissime all’ascolto.

Armaroli e Schiaffini già si erano incontrati producendo sempre ottima musica in occasione di “Luc FerrariExercisesd’improvisation” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/03/24/schiaffini-prati-gemmo-armaroli-luc-ferrari-exercises-dimprovisation/), di “From the Alvin Curran Fakebook: The Biella Sessions” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/12/01/curran-schiaffini-c-neto-armaroli-from-the-alvin-curran-fakebook-the-biella-sessions/), e di “Micro and More Exercises” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/12/01/curran-schiaffini-c-neto-armaroli-from-the-alvin-curran-fakebook-the-biella-sessions/)sempre per la Dodicilune Records e qui relazionano i loro strumenti e le loro culture musicali soprattutto in “The Real Vibone” eseguita in duo e nelle quattro parti dell’improvvisazione “Trigonos” alle quali partecipa alla loro creazione anche Andrea Centazzo. Percussioni – vibrafono – trombone è una triade perfetta per lasciare libera la creatività dei musicisti, ed anche timbricamente l’equilibrio ritengo sia perfetto: mai una sovrapposizione, un intervento che sovrasti la musica dei compagni, un dialogo che scorre come non sempre succede con la musica creata istantaneamente. Significa anche una grande preparazione e, a mio avviso, un reciproco rispetto tra i performer.

Quattro tracce invece, ovvero le due parti di “Deuterium” (emblematico lo sviluppo della prima con improvvisazione iniziale che anticipa una reiterazione di due note al vibrafono sulle quali intervengono e interagiscono le percussioni) e le due di “Metapenta” sono eseguite in duo da Armaroli e da Centazzo con grande intensità (segnalo il secondo segmento di “Metapenta”) come del resto tutta la musica che nasce da queste session “informali”; è la magia della musica improvvisata che come la fenice nasce, si evolve, termina per rinascere appena ci sono nuove condizioni: qui per fortuna qualcuno ha provveduto a “fissare il processo creativo” per averne testimonianza e per poterlo riascoltare più e più volte. Naturalmente il desiderio di poter assistere ad una performance è grande ………. ma intanto gustiamoci questo piccolo capolavoro.

http://www.dodiciluneshop.it