DALLA PICCIONAIA: Casa Dismappa, Verona 7 maggio 2017

DALLA PICCIONAIA: Casa Dismappa, Verona 7 maggio 2017

DALLA PICCIONAIA: Casa Dismappa, Verona 7 maggio 2017

di Beppe Montresor. Foto Ida Cassin S.B. (grazie!)

Lo scorso 7 maggio abbiamo assistito ad un house concert  ‘fantastico’ – scusate ma è l’aggettivo che immediatamente ci è venuto a mente – del quartetto formato da Giuliana Bergamaschi (voce), Federico Mosconi (chitarra), Paola Zannoni (violoncello) e Luca Pighi (batteria). Il ‘salotto’ scelto per l’occasione era quello di Casa Dismappa, alias Nicoletta Ferrari, uno spazio nato appositamente per accogliere e ospitare persone con disabilità motorie, in pieno centro a Verona in Corso Portoni Borsari. Una sorta di showcase scelto dal quartetto non solo per allietare gli amici ma anche per far conoscere agli addetti ai lavori, che per qualche motivo ancora non hanno avuto ancora il piacere di conoscerlo, la cristallina bellezza del repertorio in questione, interamente dedicato a brani di Fabrizio De André. Una premessa che dobbiamo fare: consideriamo quella di Fabrizio De André la voce più alta della canzone d’autore italiana e probabilmente tra le più alte anche a livello mondiale. Non vogliamo lanciare confronti sempre impossibili, ma la pulizia vocale, il fraseggio apparentemente piano ma capace di infondere incredibile forza e autorevolezza ad ogni parola pronunciata, il gusto melodico e degli arrangiamenti, ci sembrano elementi tutti compresenti nel canto di De André, addirittura in maggior misura rispetto ad alcuni dei suoi celebrati maestri. C’è chi sostiene che Fabrizio, nella gran parte della sua produzione, è stato via via aiutato da diversi musicisti e autori, e probabilmente è vero. Ma alla fine di tutto il processo creativo magari condiviso con altri, c’erano sempre le sue scelte, nella definizione e nell’interpretazione del pezzo, a renderlo unico e inimitabile. Insomma, per reinterpretare senza rovinare De André occorrono sensibilità particolare nell’approccio mentale e tecnico delle canzoni, lunghe assimilazioni del repertorio selezionato alfine di trovare il giusto equilibrio tra la bellezza degli originali (anche quantitativamente, per noi, nessuno come lui: i pezzi poco riusciti in tutta la discografia di Fabrizio si contano probabilmente su una mano, anche in virtù del suo proverbiale ma riconosciuto perfezionismo) e voglia, comunque, di elaborarne con rispetto riarrangiamenti che non risultino goffi, pretenziosi, o invece troppo scontati. Beh, in tanti anni abbiamo ascoltato molte riproposizioni del materiale di ‘Faber’, alcune anche molto belle e interessanti (così a memoria ricordiamo con piacere album delle sarde Andhira nonché del ‘vituperato’ Morgan), ma forse niente così armoniosamente gratificante come quella ascoltata a Casa Dismappa. Giuliana Bergamaschi è voce meravigliosa di donna senza rivali su questo repertorio, sia per motivi di talento naturale ma soprattutto perché, probabilmente, ha ascoltato e continuato a cantare De André da quando era bambina, e ne restituisce ogni sillaba come fosse un puro distillato, corposo, pregnante e delizioso contemporaneamente. Lo può fare, naturalmente, perché sostenuta da uguale delicatezza e gusto (e in primis naturalmente dalla maestrìa tecnica)dei tre strumentisti del gruppo, con i quali l’ormai lunga collaborazione ha fatto fiorire l’intesa, negli intenti e nella loro realizzazione in tutto il suo splendore. Tutta incantevole la scaletta, con brividi al massimo, personalmente, per “Leggenda di Natale”, “Geordie”, “Megu Megùn”, “Il suonatore Jones”, e “Canzone dell’amore perduto”, una di quelle cose che vorresti non finissero mai.

Bergamaschi Pighi Mosconi Zannono a Casa Dismappa

 

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SERGIO ARMAROLI – FRITZ HAUSER “Structuring the Silence”

SERGIO ARMAROLI – FRITZ HAUSER “Structuring the Silence”

SERGIO ARMAROLI – FRITZ HAUSER

“Structuring the Silence”

Dodicilune Records ED368, 2CD, 2017

di Alessandro Nobis

Era dai tempi di “Crisscrossing” (2004), gran bel disco di Pierre Favre in coppia con Fredy Studer che non avevo l’occasione di ascoltare musica progettata e realizzata per un duo di batteristi / percussionisti. In questo stuzzicante doppio CD prodotto dalla Dodicilune la coppia è formata dal batterista svizzero Fritz Hauser (sarà un caso la sua nazionalità?) ed percussionista Sergio Armaroli alle prese con vibrafono, elettronica, percussioni varie e glockenspiel: due cd nei quali la base è costituita da quella che viene chiamata “improvvisazione non idiomatica” cioè improvvisazione non nata da melodie definite – quello che avviene solitamente nel jazz cosiddetto mainstream – ma che si forma da brevi spunti concordati e da “incroci” spontanei, e pertanto musica “irripetibile” per dirla come Dekek Bailey.

duo percussionIl primo Cd contiene un brano di ampio respiro suddiviso in tre movimenti, “Structuring the Silence” dove l’interplay tra il batterista svizzero ed il percussionista italiano dà la dimostrazione di quanto possa essere interessante sviluppare il tema dell’improvvisazione non idiomatica offrendo all’ascoltatore continui e forti stimoli per riflettere su questo linguaggio musicale. Il secondo CD contiene invece otto brevissimi ed interessanti spunti improvvisativi, una breve suite in tre movimenti, “Anathem” ed un lunghissimo brano di venticinque minuti, “After the Silence” ascoltando il quale mi sembra davvero difficile pensare che Armaroli ed Hauser non abbiamo preso “accordi” prima di iniziare il processo creativo che mi è sembrato sempre fluido e molto piacevole all’ascolto.

Immagino che dal vivo poco resti di quanto inciso qui, anzi me lo auguro: se improvvisazione deve essere, lo sia fino in fondo, concerto dopo concerto e nota dopo nota. Paradossalmente Bailey diceva che questa è musica che va ascoltata una sola volta, la seconda ti fa perdere già lo spirito della sua creazione istantanea; stavolta non ho seguito il chitarrista inglese, e questa musica me la sono proprio gustata più e più volte. Fatelo anche voi.

 

“Structuring the Silence” è una ricerca sonora attraverso l’improvvisazione a partire da una una scrittura minima, all’interno di un’architettura del vuoto e del silenzio intesa come un paesaggio sonoro quale luogo di ascolto ecologico. L’esecuzione è intesa come “scultura vivente” in un processo costante di dialogo come una “percussion conversation”.

“Silence has been an essential element of my percussion playing since the very beginning. Developing sounds out of silence, fading into silence, stopping a cymbal crescendo to let the silence explode into space. These were some of the elements I used a lot, and I still do. Then I met John Cage, who wrote a piece for me. One of his number pieces -one4- , and depending on how you deal with the given elements and performance rules, you end up with a lot more silence than I was used to. Silence that makes you listen, silence that makes you think. Silence that can frighten you, but also silence that gives you peace, and hope… Sergio Armaroli is a percussionist/composer who has given much more than just a thought or two to silence. He has made an extensive research on composing techniques, and improvising concepts. He has explored all possible ways to deal with silence and he has put these reflections into the concept pieces of STRUCTURING THE SILENCE. Playing with him, and creating silence with him was both a pleasure, and a challenge: Silence is an endless ocean, sound is the vessel to travel on it…” Fritz Hauser

 

 

MANUEL TAVONI “Back to the Essence”

MANUEL TAVONI “Back to the Essence”

MANUEL TAVONI “Back to the Essence”

AZ Blues Records, CD, 2017

di Alessandro Nobis

Una volta esauritasi la vena aurifera del così chiamato British Blues – decenni or sono -, gli adepti europei della Musica del Diavolo hanno sempre rivolto lo sguardo verso la fonte del blues, oltreoceano, prendendo suoni, ispirazioni, repertorio sì dei Padri ma in seguito anche delle generazioni successive indipendentemente dal loro essere afroamericani o bianchi.tavoni

E questo naturalmente vale anche per l’Italia, dove numerosi sono stati e sono ancora gli esempi di ottimo blues, acustico e nella fattispecie elettrico.

Il chitarrista e cantante Manuel Tavoni – sostenuto dalla sempre benemerita “Blues Made In Italy,” – ha confezionato questo bel lavoro d’esordio, “Back to the Essence” – che merita certamente l’attenzione di tutti i missionari del blues e degli addetti ai lavori per più di una ragione. Innanzitutto per il coraggio, quasi sfrontatezza, di presentare un repertorio tutto originale – 12 brani originali, testo e musica – al primo “tentativo”, scelta che dopo già il primo ascolto si conferma azzeccatissima vista la qualità della sua “penna”, e poi per il suono d’insieme compatto, deciso, equilibrato che si muove tra il blues mainstream ed il soul ed infine per la qualità dei collaboratori scelti per questo viaggio – tutti italiani, lo voglio specificare – che con il Tavoni confezionano una musica piacevole, scorrevole ma non per questo superficiale o calligrafica. Belle in particolare ”I’m talking about the blues” e “Back to the Essence” con due cammei della chitarra di Lorenz Zadro, il soul di “My grandma” con le voci di di Yvonne Renè, Ivelisse Franco e Francesca Artioli, e di “Walking down the river” con un bel solo di chitarra dello stesso Tavoni.

“Back to the Essence”, “Torniamo all’essenzialità della musica, alla sua fonte” ci dice il Tavoni. Appunto, torniamo al blues che è meglio va ………… O no?

SUONI RIEMERSI: GIULIO REDAELLI

SUONI RIEMERSI: GIULIO REDAELLI

SUONI RIEMERSI: GIULIO REDAELLI

“Connemara (2008), Aquiloni (2013)”

AUTOPRODUZIONI

di Alessandro Nobis. La fotografia è di Paolo Ferrazzi (grazie mille!)

Succede una sera a Verona (al Cohen) che in occasione di un Open Mic di Zonacustica incontri Giulio Redaelli che è così squisito di farmi avere i suoi due CD più recenti; succede di conseguenza che, curioso come un gatto, per qualche giorno metti sul “piatto” (io lo chiamo ancora così) “Connemara” e “Aquiloni” e succede anche che ad un certo punto ti domandi come mai della musica così ben scritta e suonata debba circuitare praticamente solo negli ambienti dei devoti del fingerpicking; sì è vero è una domanda che purtroppo – molto purtroppo – mi faccio spesso, ma tant’è. E quindi perché non parlarne in questa rubrichetta “Suoni Riemersi”, perché non valorizzare queste due orette di ottima musica per chitarra?

Ma andiamo con ordine: nel 2008 viene pubblicato “Connemara”, otto originali (le liriche “il respiro del mare” e la travolgente “Walking and running”) e quattro omaggi tra i quali un bel medley targato Doc Watson / Leo Kottke e due notevolissime interpretazioni di ragtime di Scott Joplin; con lui un manipolo di validi musicisti tra i quali trovo doveroso menzionare Socrate Verona ed il percussionista Dario Tanghetti. Fingerpicking d’altra scuola, cristallino, mai lezioso e convincente, insomma un bel disco. Cinque anni dopo – lunga pausa – ecco “Aquiloni”, più breve del precedente: numero di ospiti più ristretto, sempre il fedelissimo Socrate Verona alla viola, violino e mandolino, e sempre musica raffinata alla ricerca della melodia “perfetta”. Il brano di apertura eponimo, l’omaggio all’indimenticato eroe della Windham Hill William Ackerman (“The Impending Death of the Virgin Spirit”), la dolcezza di “Scilla e Andrea” ed ancora “L’Ostinato” con il mandolino di Verona.

Gran bel chitarrista che tutti dovrebbero conoscere ed apprezzare e sono convinto, concludendo, che le sensazioni più belle ed intriganti – ascoltando i due cd e dal vivo anche se per pochi minuti – riesca a comunicarle come del resto molti fingerpickers della sua levatura, soprattutto in solitudine.

Egoisticamente mi aspetto quindi – e oramai sono passati quattro anni da “Aquiloni” – un lavoro di sola chitarra fingerpicking. Che meraviglia sarebbe ………………..

 

 

BENOZZO, BONVICINI, F. lli MANCUSO “Un Requiem Laico”

BENOZZO, BONVICINI, F. lli MANCUSO “Un Requiem Laico”

BENOZZO, BONVICINI, FRATELLI MANCUSO “Un requiem Laico”

Arci – Fondazione Ex Campo di Fossoli, CD, 2016

di Alessandro Nobis

“Un Requiem Laico” è l’importante, splendido e toccante frutto della collaborazione tra Fabio Bonvicini, Francesco Benozzo ed i Fratelli Mancuso sfociata nello spettacolo tenutosi a Fossoli il 25 aprile 2015 (e qui ne viene riportato l’audio), ed è a mio avviso uno di quei dischi che “servono”.

“Serve” a farci ricordare un luogo, Fossoli nel modenese nei pressi di Carpi, che dal 1942 al 1947 ha visto prima transitare nel campo di concertamento e transito migliaia di prigionieri in attesa di essere trasferiti nei lager nazisti (anche Primo Levi “passò” di qui prima di essere portato ad Auschwitz) e poi detenere prigionieri coinvolti con il regime fascista; “serve” a farci ricordare nel modo più profondo il giorno della Liberazione, “serve” a puntualizzare ancora una volta quanto sia ricco il patrimonio della cultura popolare e quanto importanti siano coloro che – raccogliendo, studiando, rielaborando e suonando – dedicano parte della loro vita a mantenere acceso il fuoco della cultura tradizionale: un lavoro encomiabile e preziosissimo questo,  da sempre conosciuto da pochi ma patrimonio invece di tutti noi. CD requiem digipack - esecutivo (1)Queste considerazioni – forse banali ed ovvie ma che trovo sempre opportuno ripetere – per ribadire la validità del progetto di cui vi parlo: un incontro tra musicisti e ricercatori competenti, apprezzati e ben conosciuti come Francesco Benozzo (arpa e voce), Lorenzo (chitarra e voce) ed Enzo (violino, chitarra, colascione e voce) Mancuso ed infine Fabio Bonvicini (flauti, voce e percussioni) con un repertorio che si muove tra le parole (ad esempio quelle scritte da un prigioniero, Giangio Banfi, alla moglie Julia che aprono “Disiu ti tia” dei Frantelli Mancuso) e la musica, fatta di brani più conosciuti (“Fuoco e mitragliatrici” in una lezione emiliana e “La figlia del soldato”) ad altri originali come “Quando il mondo fu creato” scritto da Benozzo e Bonvicini e “Cinno Zòbei”, canto militante che richiama la figura di Eliseo Zòbei ed infine “Deus Meus”, ancora dei Mancuso. Un gran bel lavoro curato nei suoni e negli arrangiamenti, dedicato alla memoria, ed a tutte le “donne e uomini spezzati” che lasciarono le loro vite non solo a Fossoli ma negli eventi bellici. Tutti.

 

 

MISSING IN ACTION: “La Festa C’è”. Verona, Caserma Santa Marta 25 Aprile 2017

MISSING IN ACTION: “La Festa C’è”. Verona,  Caserma Santa Marta 25 Aprile 2017

MISSING IN ACTION: “La Festa C’è”. Verona,  Caserma Santa Marta 25 Aprile 2017

di Beppe Montresor. Foto: Courtesy of I.B.S.

E’ lo spirito complessivo di disponibilità alla collaborazione, di messa al bando, una volta tanto, di competitività e narcisismi, l’elemento che caratterizza e più ci piace di “La Festa c’è”, kermesse muzorzi.jpgsicale pomeridiana che anche quest’anno l’Istituto Storico della Resistenza ha organizzato per la celebrazione del 25 aprile alla Caserma Santa Marta. Spirito incarnato perfettamente da strumentisti di grande valore come il chitarrista Claudio Moro o il batterista Luca Pighi, che hanno messo generosamente il proprio talento a disposizione di cantautori e interpreti di diversa espressività. La Festa offre un po’ di tutto, a differenti livelli tecnici e professionali (ci sono musicisti “ a tempo pieno” o quasi ed altri che affrontano l’impegno più come un ‘piacere’ da concedersi una tantum in sintonia, appunto, con la generale rilassata atmosfera dell’occasione). E al di là appunto di diseguali capacità soprattutto dal punto di vista di consuetudine e padronanza scenica, tutti i partecipanti alla kermesse, dal primo all’ultimo, hanno saputo trasmettere lodevoli elementi di condivisione. Spicca sempre, naturalmente, la carismatica caratura assoluta di Deborah Kooperman, chitarrista/cantante di eccellenza tra classici tradizionali del folk angloamericano (“John Henry”, “The Cuckoo”) e il Dylan da brividi di “Tomorrow Is A Long Time” e soprattutto “Masters of War” (come faceva la Baez, Kooperman ‘taglia’ l’ultima strofa, quella più ‘cattiva’ con  i “signori della guerra”). Anche l’Acoustic Duo ( cui per l’occasione si è aggiunto Gianpaolo Zago alla batteria) e Giuliana Bergamaschi sono da tempo forze consolidate di punta sulla scena musicale cittadina. nicolis.jpgNicola Nicolis è l’emblema di un’indomabile coerenza ad un cantautorato di impegno civile tra antimilitarismo e spirito anarchico. Canzone d’autore di marca classica anche per Alberto Guerra, con reminiscenze non solo di De André ma anche da Vecchioni e Gaber. Margherita Zorzi e Andrea Fiorilli, separatamente e insieme, hanno significativamente omaggiato un Woody Guthrie non troppo conosciuto (“Jarama Valley”, sul sacrificio di volontari antifranchisti nella guerra di Spagna) e Leonard Cohen che rese celebre “The Partisan”. Annalisa Buzzola ha concentrato la sua attenzione su canzoni che, in tempi e luoghi diversi, trattavano il tema dell’emigrazione. Alessandra Torricelli ha portato la sua provenienza lirica sul disinvolto swing italiano anni ’30-40 di “Crapa pelada” e “In cerca di te”, e la Contrada Lorì ha concluso la Festa con la sua proverbiale vena coinvolgente e popolaresca scendendo dal palco per cantare e suonare fisicamente in mezzo al pubblico. Al contrario è salito più volte sul palco, a sorpresa, il polistrumentista e cantante Ottavio Giacopuzzi, imprevedibile “cane sciolto” dal branco in disamo dei Lupi della Stecca.

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DUCK BAKER “The Preacher’s Son”

DUCK BAKER “The Preacher’s Son”

DUCK BAKER “The Preacher’s Son”

FULICA RECORDS FCD – 103, 2017

di Alessandro Nobis

Dopo “Outside” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/07/02/duck-baker-trio/) e “Shades of Blue” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/05/03/duck-baker-shades-of-blue/) il chitarrista americano pubblica questo “The Preacher’s Son” sempre per la Fulica Records. Stavolta dal suo imponente archivio Baker ha recuperato un paio di brani risalenti al 2009 (“For Dancers Only” e “The Blood of the lamb” che aprono e chiudono il cd) mentre gli altri quattordici sono datati tra il 2010 ed il 2011;The-Preachers-Son-600x600 non ci sono grandi novità dal punto di vista stilistico, sempre gran bella musica eseguita nello stile del chitarrista della Virginia, sempre affascinante ascoltare come sempre riesca a smontare, rimontare e rivestire brani standard, tradizionali e brani scritti da altri suoi colleghi e stavolta eseguiti in totale solitudine. “Maybelline” di Chuck Berry ad esempio (la prima volta che la ascolto in acustico, con una bella intro ed il tempo swingante, “The Preacher” del pianista Horace Silver, l’omaggio al suo indimenticato amico – e ispiratore? – Davy Graham, la danza “Callaghan’s Hornpipe”. E da ascoltare e riascoltare la conclusiva “The Blood of the Lamb”, brano originale.

La Fulica Records sembra sia nata con l’intento di pubblicare parte dell’archivio di Baker, e questi primi tre episodi credo lascino solamente intravedere il fascino e l’importanza della musica che questo chitarrista ha letteralmente seminato in giro per il mondo nella sua lunga carriera. Meno male che “qualcuno” ha registrato – oltre allo stesso Duck – i suoi concerti.

Tutto “grasso che cola”, e aspetto i volumi seguenti.

 

NEW LANDSCAPES “Rumors”

NEW LANDSCAPES “Rumors”

NEW LANDSCAPES “Rumors”

CALIGOLA RECORDS 2224, 2017

di Alessandro Nobis

rumors_frontSe l’oud, il “Sultano degli strumenti”, è uscito dal mondo della tradizione araba – in veste solista o in ensemble o infine in orchestre – lo deve a mio modesto avviso soprattutto al libanese Rabih Abou Khalil ed al tunisino Anouar Brahem (anche se per essere preciso segnalo che Jonathan Tim Jr. a.k.a. Ahmed Abdul-Malik lo aveva già suonato con il gruppo di John Coltrane nel 1961 come nei concerti al Village Vanguard) che hanno saputo trasportarlo nel ventesimo secolo in occidente affiancandogli strumenti provenienti da diverse culture con appropriati arrangiamenti e scrivendo nuove composizioni. E dico questo non solo perché guarda caso il brano che conclude questo affascinante lavoro (“Parfum de gitane”) è stato scritto da Anouar Brahem, ma perché Silvia Rinaldi, Luca Chiavinato e Francesco Ganassin seguono l’idea di inventare suoni di territori immaginari abitati da culture a suoni diversi che in “Rumors” si ritrovano in modo armonioso ed equilibrato, cogliendo in pieno il bersaglio. Violino barocco, liuto barocco, oud e clarinetto basso sono gli strumenti i cui suoni si fondono e si intrecciano ed il cui suono d’insieme è davvero a mio avviso raro a trovarsi di questi tempi mescolando in modo sempre rispettoso musica antica, musica del novecento e contemporanea. E le nuove ambientazioni delle scritture di Erik Satie (sorprendente quanto originale e piena d’effetto la riproposta della Gnossienne No. 1), di John Dowland o del già citato autore tunisino vanno a complementare le nove composizioni originali, tra le quali vi segnalo “Barracuda” del clarinettista (Francesco Ganassin), “Le Voyage” scritta dal liutista Luca Chiavinato (qui all’oud) e “Rumors” che da il titolo a questo splendido disco. Ancor più splendido per il fatto che, anziché rinchiudersi in uno studio di registrazione, il trio New Landscapes lo ha registrato dal vivo a Mestre, all’Auditorium Candiani nel giugno del 2016. Niente male per un esordio.

 

 

DALLA PICCIONAIA: TERRENI KAPPA live

DALLA PICCIONAIA: TERRENI KAPPA live

DALLA PICCIONAIA: TERRENI KAPPA live. Cohen Verona 5 maggio 2017

di alessandro nobis

Avendo già ascoltato dal vivo la musica di TK 3 alla Fontana ai Ciliegi un paio di mesi fa, si trattava in questa occasione – nella fattispecie il loro concerto al Cohen di Verona di venerdì 5 maggio – come procedeva il progetto di Luca Crispino, Roberto Zantedeschi e Luca Pighi alla luce anche dell’intensa attività live, fondamentale per trovare la quadratura del progetto.

IMG_2209Difficile riprodurre in concerto la musica registrata in studio e pubblicata in “Ripples in the Lagoon” vuoi per la purezza del suono, per l’assenza di un impianto di amplificazione ed infine per la caratteristica che accomuna le “situazioni” dal vivo che non siano festival o rassegne, ovvero l’impossibilità di presentare la musica in un ambiente totalmente silenzioso. Ma, alla conta dei fatti, il progetto regge bene, il trio è molto affiatato ed il suono – alla luce dicevo di un’amplificazione – è stato equilibrato ed i tre musicisti sono riuscite bene a controllare i volumi, anche quando la tromba veniva “filtrata”. La strada è quella tracciata nel loro primo disco, che abbiamo ascoltato nella sua interezza, ed il suo proseguimento si è ben visto nei quattro brani inediti ppresentati: “Red Wine”, “Nocturna”, “Cannibal” e “Abrazar”, jazz nel grande fiume del mainstream ma tutto di composizione, con una formazione abbastanza inusuale che dà un ulteriore tocco di particolarità al TK. Bella l’intro di batteria di “Nocturna” ed il seguente solo di Zantedeschi al flicorno, ed è stato molto godibile riascoltare la bellissima “Run About” – sembra uscita da un noir anni sessanta in bianco e nero ……….. indovinate voi il titolo – guidata alla tromba con la sordina e l’atmosfera di “Ripples in the Lagoon”.

Ora è venuto il momento di trovare la forza di uscire dall’accogliente guscio cittadino e di frequentare terreni al di fuori delle mura scaligere per evitare di essere in fretta riassorbiti dal contesto “culturale” urbano, come purtroppo abbiamo avuto spesso l’occasione di vedere in passato con musicisti e gruppi dalle grandi potenzialità. Auguro a TK, per cominciare, di trovare in fretta un’etichetta discografica che sappia valorizzare – in termini di produzione, distribuzione e promozione – la loro interessante e piacevolissima musica.

 

MISSING IN ACTION: “Luigi Tenco” di Michele Piacentini, Ed. Imprimatur.

MISSING IN ACTION: “Luigi Tenco” di Michele Piacentini, Ed. Imprimatur.

MISSING IN ACTION: “Luigi Tenco” di Michele Piacentini Ed. Imprimatur. Libreria Feltrinelli, Verona

di Beppe Montresor 

luigi_tenco_fronte_low “Una via di mezzo tra biografia e réportage”, per sottolineare la grandezza di un artista che nella sua canzone parlava di “amore, libertà e democrazia”. Così Enrico de Angelis, alla Libreria Feltrinelli, ha cominciato la presentazione di “Luigi Tenco”, di Michele Piacentini (Imprimatur, 158 pagine, 14 euro), portavoce della famiglia degli eredi del cantautore piemontese e figlio di Tullio Piacentini, uomo di cinema – oltreché antifascista storico –  che a metà anni ’60 girò alcuni filmati musicali (due dei quali con Tenco, “Ho capito che ti amo” e “Io lo so già”) destinati ai cinebox, e sorta di antesignani dei futuri videoclip. Al di là della sua vicinanza con la famiglia Tenco (cioè Graziella, moglie del fratello di Tenco Valentino, e i suoi figli Patrizia e Giuseppe), Piacentini ha assicurato di aver scritto il libro in totale autonomia, con l’idea prioritaria di ‘ripulire’ la figura di Luigi da tutte le falsità e i luoghi comuni (per esempio la ‘leggenda’ del cantautore triste e depresso per antonomasia) che a lui sono stati associati dopo la sua morte al Festival di Sanremo. Naturalmente anche se la presentazione del libro (come una conversazione in serata con Enrico de Angelis e Margherita Zorzi allo Speziale di via Venti Settembre) è stata inserita in una serie di eventi in tutta Italia e a Parigi allo scopo di ricordare vita e compleanno di Tenco – che cade il 21 marzo – più che la sua scomparsa nel gennaio 1967, non si è potuto fare a meno di discutere anche della sua tragica fine, qualificata formalmente dagli atti di polizia come “insano gesto”. Piacentini nel libro ha evidenziato, in totale oggettività, le tante ovvie discrepanza nelle indagini, chiaramente sostenendo l’idea che il “biglietto d’addio” di Tenco trovato nella sua camera da Dalida fosse in realtà un atto di denuncia del guazzabuglio di losche manovre di vario tipo che circolavano dentro e attorno al Festival di Sanremo. Se non si può provare  che Tenco sia stato fisicamente assassinato quella notte tra il 26 e il 27 gennaio, certamente da quel momento è stato immediatamente messo in atto un suo omicidio metaforico da i tanti che hanno tentato di ‘liquidarlo’ come un atto compiuto da un uomo infelice, depresso, squilibrato, forse alterato da abuso di alcol e droghe. Niente di tutto questo in una persona anche al Festival estremamente lucido, analitico, e tutt’altro che sprovveduto, anche se profondamente sincero, onesto, altruista, generoso, intriso di quegli ‘antichi’ valori contadini con cui era stato cresciuto tra i vigneti di Ricaldone, lontano dai vizi, dall’affarismo e dai compromessi (anche con certa malavita) dello show business. Tenco era assolutamente deciso alla pubblica denuncia di tutto questo, idea naturalmente non tollerabile da chi, anche molti suoi colleghi che si sono definiti ‘amici’, di questo sistema era parte attiva o comunque non avversa. Piacentini ha parlato di “colpevoli omertà” o di volute ‘distorsioni’, per diversi motivi, anche da parte di Mogol, Lucio Dalla, Gino Paoli, Bruno Lauzi, solo per citare celebri personaggi della canzone che, pur sapendo, hanno sempre preferito tacere; mostra invece comprensione per Dalida, che a suo giudizio non avrebbe mai superato il senso di colpa per non essere stata, in quel momento, completamente a fianco di Luigi, dalla cui battagliera onestà era pure sinceramente affascinata.