SUONI RIEMERSI: HOT TUNA “Historic Hot Tuna”

SUONI RIEMERSI: HOT TUNA “Historic Hot Tuna”

SUONI RIEMERSI: HOT TUNA “Historic Hot Tuna”

Relix Records. LP, CS. 1985

di alessandro nobis

Nel 1985 l’etichetta neworkese Relix pubblica questo vinile (disponibile nei colori rosso, giallo o verde) dedicato ad uno dei più significativi gruppi della Bay Area, gli Hot Tuna di Jorma Kaukonen, Jack Casady, Papa John Creach e Sammy Piazza. Le registrazioni risalgono al 1971 e provengono da registrazioni di due trasmissioni radiofoniche della stazione KSAN-FM.

La prima facciata riporta la registrazione di una trasmissione del 30 aprile, tre brani per i quali il quartetto adotta un suono semi-acustico, più rilassato e più adatto all’occasione: si tratta di “Been So Long” scritto da Jorma, di “Search My Heart “, lo standard di Rev. Gary Davis autore tra i più apprezzati da Kaukonen ed il tradizionale “True Religion” (che aprirà lo splendido terzo disco “Burgers” del ’72) cavallo di battaglia degli Hot Tuna che ancora oggi interpretano dal vivo. Magnifica performance, registrazione buona superata però dalla qualità della musica, superba.

La seconda facciata è in realtà una selezione di tre brani estratti dal set del 3 luglio 1971 al Fillmore West (suonarono prima dei Quicksilver Messenger Service) in occasione della sua chiusura, concerto in seguito pubblicato dalla benemerita Keyhole Records nel 2014 in un doppio CD del quale a margine di questo articolo pubblico la scaletta. I tre brani trasmessi sempre dalla stazione KSAN-FM provengono dagli archivi della Bay Area Music e sono alcuni classici del “Tonno Caldo” ossia “Rock Me Baby” (brano registrato per la prima volta nel ’64 da B.B.King), “Want You To Know” della premiata ditta Casady – Kaukonen presente sul secondo disco ufficiale “First Pull Up, Then Pull Down” e la rilettura elettrica del brano di Lightnin’ Hopkins “Come Back Baby“, anche questo presente sull’ellepì citato. Il suono è quello classico dei Tuna “elettrici”, con Casady (uno dei migliori bassisti della storia del rock) e Kaukonen in grandissima forma e con il brillante violino di John Creach, tre Jefferson con il supporto del preciso drumming di Sammy Piazza.

Hot Tuna: meglio la versione acustica, quella semi-acustica o quella elettrica che da qui ad un paio di anni si svilupperà (“Yellow Fever” è del ’75, “Hoppkrov” del ’76, “America’s Choice” del ’75 e parte di “Double Dose” del ’78 sono lì a testimoniare la “terza” scelta)?

Personalmente non ho alcun dubbio e non salomonicamente ma convinto faccio la mia scelta: tutte e tre!

O no?

FILLMORE WEST, 3 LUGLIO 1971

THAT’LL NEVER HAPPEN NO MORE

HOW LONG

CANDY MAN

NEW SONG FOR THE MORNING

KEEP YOUR LAMPS TRIMMED AND BURNING

UNCLE SAM BLUES

JOHN’S OTHER

ROCK ME BABY

BABE I WANY YOU TO KNOW

KNOW YOU RIDER

BEEN SO LONG

COME BAK BABY

FEEL SO GOOD

English Version (Google Translator)

In 1985 the New York label Relix released this vinyl (available in red, yellow or green) dedicated to one of the most significant bands in the Bay Area, Jorma Kaukonen’s Hot Tuna, Jack Casady, Papa John Creach and Sammy Piazza. The recordings date back to 1971 and come from recordings of two radio broadcasts of the KSAN-FM station.

The first side shows the recording of a broadcast of  April 30, three songs for which the quartet adopts a semi-acoustic sound, more relaxed and more suitable for the occasion: it is “Been So Long” written by Jorma, of “Search My Heart “, the standard of Rev. Gary Davis author among the most appreciated by Kaukonen and the traditional “True Religion” (which will open the splendid third album “Burgers” of ’72) workhorse of Hot Tuna who still today interpret live. Magnificent performance, good recording but surpassed by the quality of the music, superb.

The second side is actually a selection of three songs extracted from the set of July 3, 1971 at the Fillmore West (they played before the Quicksilver Messenger Service) on the occasion of its closure, a concert later released by the well-deserving Keyhole Records in 2014 on a double CD of the which on the sidelines of this article I publish the song list. The three songs also broadcast by the KSAN-FM station come from the Bay Area Music archives and are some classics: “Rock Me Baby” (song recorded for the first time in ’64 by BBKing), “Want You To Know” by the award-winning company Casady – Kaukonen present on the second official album “First Pull Up, Then Pull Down” and the electric rereading of Lightnin ‘Hopkins song “Come Back Baby”, also present on the aforementioned LP. The sound is that of the classic “electric” Tuna, with Casady (one of the best bassists in rock history) and Kaukonen in great shape and with John Creach’s brilliant violin, three Jeffersons with the support of Sammy Piazza’s precise drumming.

Hot Tuna: better the acoustic version, the semi-acoustic one or the electric one that will develop within a couple of years (“Yellow Fever” is from ’75, “Hoppkrov” from ’76, “America’s Choice” from ’75 and part of “Double Dose” of ’78 are there to witness the “third” choice)?

Personally I have no doubts and not solomonically but convinced I make my choice: all three!

Or not?

FILLMORE WEST, 3rd July 1971

THAT’LL NEVER HAPPEN NO MORE

HOW LONG

CANDY MAN

NEW SONG FOR THE MORNING

KEEP YOUR LAMPS TRIMMED AND BURNING

UNCLE SAM BLUES

JOHN’S OTHER

ROCK ME BABY

BABE I WANY YOU TO KNOW

KNOW YOU RIDER

BEEN SO LONG

COME BAK BABY

FEEL SO GOOD

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JOHN MAYALL’S BLUESBREAKERS “Bare Wires”

JOHN MAYALL’S BLUESBREAKERS “Bare Wires”

SUONI RIEMERSI: JOHN MAYALL’S BLUESBREAKERS “Bare Wires”

Decca Records. LP, 1968

di alessandro nobis

Questa reincarnazione dei Bluesbreakers ebbe vita breve dopo la registrazione di questo significativo “Bare Wires” avvenuta nell’aprile del ’68 e prodotto da Mike Vernon e John Mayall: dopo qualche mese, in agosto, Tony Reeves, Dick Heckstall Smith presero armi e bagagli ed assieme a John Hiseman lasciarono Mayall per dedicarsi al nuovo progetto del batterista, la band Colosseum andando registrare il loro primo disco.

John Mayall in quegli anni “svezzò” chitarristi come Peter Green ed Eric Clapton e qui, alla chitarra, c’è un altro strumentista molto influenzato dal blues, Mick Taylor: il repertorio di Bare Wires comprende un’interessante eponima suite che occupa a prima facciata suddivisa in sette movimenti e composta dallo stesso Mayall nella quale emerge sì l’ambientazione blues ma anche le influenze del jazz: l’apporto dei tre futuri Colosseum è ad un attento ascolto rilevante contribuendo al suono dell’ensemble ed anche con interessanti, direi anzi notevoli interventi solisti. Il tenore di H.S. sul finire del blues “Open a new door” chiusa dalla sezione fiati di Heckstall Smith, Henty Lowther e Chris Mercer, lo splendido duetto batteria – armonica (di Mayall) di “Fire” (una personale rilettura del tradizionale americano “Dark is the colour of my true love’s hair”) e lo splendido lavoro di Tony Reeves in ”Look in the Mirror” che chiude la suite con la batteria di Hiseman e il sax di Heckstall Smith (non sentite già il profumo di Colosseum?) sono solo tre momenti della suite, forse una delle composizioni più articolate uscite dalla penna di John Mayall che splende anche per gli arrangiamenti e per la composizione dei Bluesbreaker nei quali oltre alla voce e le tastiere del leader brilla per i sempre indovinati interventi della chitarra del grande Mick Taylor.

La seconda facciata si apre con lo slow blues “I’m a Stranger” con la sezione fiati in evidenza che sostengono la voce e marcano il tempo – notevole il lavoro del drumming di Hiseman – ed infine tengo a citare “She’ Too Young”, un altro blues a firma Mayall con i soli del sax tenore e di batteria.

Bare Wires” è a mio avviso l’ultimo grande disco di John Mayall, “British Blues” ed ha avuto anche il “grande merito” di essere stato la causa del divorzio dai tre futuri Colosseum.

Per completezza segnalo in oltre che nell’antologia “Thru The years” pubblicata nel 1971 che contiene registrazioni dal ’65 all’aprile del ’68 sono presenti altri due brani provenienti dalle session di “Bare Wires”, ovvero “Knockers Step Forward” con Heckstall Smith, Hiseman e Reeves e “Hide and Seek” con i soli Hiseman e Reeves; nella ristampa su CD con 6 inediti son presenti ai due già citati inediti “Jenny”, “Knocker’s Step Forward”, “Start Lookin’” e “Intro – Look at the Girl”.

(Google English)

This reincarnation of the Bluesbreakers was short-lived after the recording of this significant “Bare Wires” in April of ’68 and produced by Mike Vernon and John Mayall: after a few months, in August, Tony Reeves, Dick Heckstall Smith took up their instruments and together with John Hiseman they left Mayall to devote themselves to the new project of the drummer, the Colosseum band, going to record their first album.

John Mayall in those years “weaned” guitarists like Peter Green and Eric Clapton and here, on the guitar, there is another instrumentalist very much influenced by the blues, Mick Taylor: the repertoire of Bare Wires includes an interesting eponymous suite that occupies a prima facade divided into seven movements and composed by Mayall himself in which the blues setting emerges but also the influences of jazz: the contribution of the three future Colosseum is to a careful and relevant listening contributing to the sound of the ensemble and also with interesting, I would say indeed notable solo interventions. The tenor of H.S. at the end of the blues “Open a new door” closed by the wind section of Heckstall Smith, Henty Lowther and Chris Mercer, the splendid drum – harmonica duet (by Mayall) of “Fire” (a personal reinterpretation of the traditional American “Dark is the color of my true love’s hair “) and Tony Reeves’ magnificient work in” Look in the Mirror” which closes the suite with Hiseman’s drums and Heckstall Smith’s sax (don’t you already smell Colosseum?) are just three moments of the suite, perhaps one of the most articulated compositions to come out of John Mayall’s pen which also shines for the arrangements and for the composition of the Bluesbreaker in which in addition to the voice and keyboards of the leader shines for the always guessed interventions of the guitar of the great Mick Taylor.

The second side opens with the slow blues "I'm a Stranger" with the horn section in evidence that support the voice and mark the time - notable the work of Hiseman's drumming - and finally I want to quote "She 'Too Young" , another blues signed by Mayall with the solos of the tenor sax and drums.
In my opinion, "Bare Wires" is John Mayall's latest great album, "British Blues" and also had the "great merit" of being the cause of the divorce from the three future Colosseums.
For the sake of completeness, in addition to the anthology "Thru The years" published in 1971, which contains recordings from '65 to April '68, there are two other songs from the sessions of "Bare Wires", or "Knockers Step Forward" with Heckstall Smith, Hiseman and Reeves and "Hide and Seek" with only Hiseman and Reeves; in the reissue on CD with 6 unreleased tracks, the two previously mentioned unreleased songs "Jenny", "Knocker's Step Forward", "Start Lookin '" and "Intro - Look at the Girl" are present.

SUONI RIEMERSI: BROTHER OSWALD & CHARLIE COLLINS “That’s Country”

SUONI RIEMERSI: BROTHER OSWALD & CHARLIE COLLINS “That’s Country”

SUONI RIEMERSI: BROTHER OSWALD & CHARLIE COLLINS “That’s Country”

ROUNDER Records 0041. LP, 1975

di alessandro nobis

Alle registrazioni di questo bel disco accreditato al chitarrista / mandolinista Charlie Collins ed al dobroista/ cantante Oswald Pete Kirby (entrambi degli Smokey Mountain Boys di Roy Acuff) partecipa anche il loro grande amico Norman Blake: la cosa sembra appartenere alla normalità direte voi seguaci di Blake se non fosse che nei quattro brani ai quali partecipa suona non la chitarra ma bensì il mandolino, molto probabilmente per lasciare il giusto spazio all’amico Charlie, peraltro finissimo strumentista: non c’è solo Blake invitato in studio ma anche Sam Bush e quindi ci ritroviamo di nuovo di fronte alla “compagnia” targata Rounder che suona e si diverte – e ci fa divertire – al suono di questa musica “americana” legata sì al bluegrass ma proiettata anche verso le nuove composizioni. “Remember me”, il reel “Fort Smith”, “Kahola March” (versione della Ford’s Hawaiian Orchestra) e “Saint Ann’s Reel” (un brano molto diffuso in nordamerica e di origine, almeno nella sua prima parte, irlandese) sono i brani dove Blake suona magnificamente il mandolino; si tratta di quattro tradizionali, come lo sono tutti i brani del disco, e ciò che si percepisce dal loro ascolto è la perfetta intesa e la naturalezza della musica, oltre naturalmente alla preparazione ed alla profonda conoscenza del materiale proposto spesso raccolto da “informatori”. Anche Sam Bush, altro straordinario strumentista, dà il suo apporto con il suo mandolino ad esempio nel super classico “Wabash Cannonball” e con il violino affianca Collins al mandolino in “Grey Eagle”, ma naturalmente vanno assolutamente citati i brani eseguiti dal duo Kirby – Collins e tra questi il brano di apertura “Nobody’s Business”, il blues “Columbus Stockade” con Kirby al banjo in stile old-time e solo di Coillins, ed “Old John Henry”.

Splendido e “vero” disco, non credo esista una versione in CD: peccato.

(GOOGLE ENGLISH)

Their great friend Norman Blake also participates in the recordings of this beautiful record credited to guitarist / mandolinist Charlie Collins and dobroist / singer Oswald Pete Kirby (both of Roy Acuff's Smokey Mountain Boys): this seems to belong to normality, you followers of Blake were it not for the fact that in the four songs in which he participates he plays not the guitar but the mandolin, most likely to leave the right space for his friend Charlie, who is also a very fine instrumentalist: there is not only Blake invited to the studio but also Sam Bush and then we find ourselves again in front of the Rounder "company" that plays and has fun - and entertains us - to the sound of this "American" music linked yes to bluegrass but also projected towards new compositions. "Remember me", the reel "Fort Smith", "Kahola March" (version of Ford's Hawaiian Orchestra) and "Saint Ann's Reel" (a very popular piece in North America and of Irish origin, at least in its first part) are the pieces where Blake plays the mandolin beautifully; there are four traditional ones, as are all the tracks on the disc, and what you perceive from listening to them is the perfect understanding and naturalness of the music, as well as of course the preparation and in-depth knowledge of the proposed material often collected by "informants" . Even Sam Bush, another extraordinary instrumentalist, gives his contribution with his mandolin, for example in the super classic "Wabash Cannonball" and in "Gray Eagle", but of course the pieces performed by the duo Kirby - Collins and among these the song of opening "Nobody's Business", the blues "Columbus Stockade" with Kirby on the banjo in old-time style and only by Coillins, and "Old John Henry".

BOYS OF THE LOUGH “Farewell and Remember Me”

BOYS OF THE LOUGH “Farewell and Remember Me”

BOYS OF THE LOUGH “Farewell and Remember Me”

Lough / Shanachie Records. LP, 1987

di alessandro nobis

Questo ellepì del gruppo scoto irlandese è il secondo, dopo “Welcoming Paddy Home” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/02/01/suoni-riemersi-the-boys-of-the-lough-welcoming-paddy-home/) che si avvale delle uilleann pipes di Christy O’Leary e del pianoforte di John Coakley, entrambi irlandesi, che raggiungono il violinista delle Shetland Aly Bain, il suonatore di concertina e di plettri Dave Richardson dalla regione scozzese del Northumberland e l’altro irlandese, il flautista Cathal McConnell; “Farewell and Remember Me” è un altro lavoro straordinario che conferma la qualità della proposta musicale in termini di scelta del repertorio e del modo di proporlo con arrangiamenti eccellenti e godibilissimi anche dal pubblico poco avvezzo all’ascolto della musica popolare scozzese (e irlandese) e che confermò all’epoca la statura di una band che aveva già registrato con grande regolarità la bellezza di tredici album a cominciare dal disco eponimo del 1973 (e Dick Gaughan faceva parte del gruppo).

Il suono dei Boys of the Lough è sempre stato tutto sommato diverso dalle altre formazioni scozzesi, soprattutto per l’assenza dell’arpa e delle highland bagpipes ed il repertorio di questo bel disco presenta una selezione di musiche e di canzoni tradizionali inserite sia in raccolte storiche che provenienti delle regioni di appartenenza dei componenti del gruppo. Non potevano mancare vista la loro straordinaria importanza brani tratti dalla raccolta stampata nella prima decade del 19° secolo di O’Farrell “Pocket Companion for the Irish Union Pipes”, ossia il walzer (“The Waterford Waltz”) abbinato a “The Stronsay Waltz” raccolto da Richardson a Stromness nelle isole Orcadi, e da quella di Francis O’Neill (“Music of Ireland”) dalla quale il piper O’Leary interpreta “Den Bui”, jig di apertura del disco abbinato ad altre due jigs, il primo dal repertorio del grande violinista del Donegal Tommy Peoples e “Lark in the Morning” imparato dal piper dalla madre di un altro grande suonatore di cornamusa irlandese, Willie Clancy.

Infine voglio citare la ballad irlandese risalente al 1790 “An Spalpin Fanach”, in una versione del Connemara che racconta di un lavoratore disoccupato che vaga di villaggio in villaggio alla ricerca di un lavoro.

Uno dei dischi dei Boys Of The Lough da avere assolutamente, a mio parere.

COLOSSEUM “Those Who are About to Die”

COLOSSEUM “Those Who are About to Die”

COLOSSEUM “For Those Who are About to Die”

Dunhill Records. CD, 1969

di alessandro nobis

Questa è la stampa americana e canadese dell’album di esordio dei Colosseum, “Morituri te Salutant · Those Who About to Die Salute You” pubblicato nel luglio del ‘69. Allora succedeva così ed i Colosseum, recidivi, lo avrebbero rifatto pochi mesi più tardi con “Valentyne Suite / The Grass is Greener”: stampa americana diversa da quella inglese, diversa casa discografica, copertina diversa così come la track list, giusto per complicare la vita ai “followers” della band inglese.

Questo è l’esordio del gruppo di John Hiseman che con Tony Reeves e Dick Heckstall Smith aveva registrato qualche mese prima, nel 1968, l’ottimo “Bare Wires” con John Mayall ed i Bluesbreakers fondando subito dopo i Colosseum e dando alle stampe “questo” disco.

Una facciata, assieme alla rilettura lo shuffle di Graham Bond “Walking in the Park” cavallo di battaglia della band inglese, riporta la versione completa di Valentyne Suite, a mio parere il punto più lontano dal blues della produzione Colosseum ma quello più giustamente conosciuto per la sua bellezza ed organicità che in Europa venne pubblicato dall’omonimo disco, il primo dell’etichetta Vertigo: tre movimenti, i primi due composti da Dave Greenslade e quindi con l’Hammond in grande evidenza che lega le prime due parti ed il terzo ispirato anche dalla musica di J. S. Bach con un bell’arrangiamento per il sassofono di Heckstall-Smith, quest’ultimo movimento sostituito nella versione inglese per la Fontana da “The Grass is Greener“; ma sentiamo cosa racconta lo stesso Hiseman a David Wells: “I primi due movimenti di The Valentyne Suite furono composti assieme a Beware The Ides Of March, terzo e conclusivo brano. Questo era come la suite veniva suonata dal vivo in America e come venne là pubblicata su disco. Noi però avevamo pubblicato questa terza parte nel nostro album d’esordio per il mercato europeo e così la suite, nella versione inglese di V.S., venne completata con The Grass is Greener”. Questa versione di Valentyne Suite ospita anche “The Kettle”, il brano di apertura di entrambi gli album composto dal sassofonista – che in questa versione però non suona – ed eseguito in trio con Litherland che con la voce dialoga con le “sue” chitarre.

Molto interessanti sono i blues, il primo nato da un’improvvisazione in studio (“Plenty Hard Luck”) ed il primo brano mai registrato dalla band, lo strumentale “Debut” con significativi assoli di sassofono e di hammond.

Uno splendido debutto, che però come dicevo ha mandato in stato confusionale noi aficionados europei; fortunatamente le recenti ristampe in CD della Sanctuay Records ed il cofanetto “Morituri Te Salutant” hanno aggiustato il tiro ……..

CANADA & U.S. PRINT – DUNHILL 1969

The Kettle

Plenty Hard Luck

Debut

Those About to Die

Valentyne Sweet (January’s Search – February’s Valentyne – Beware of the Ides of March)

Walking in the Park (Graham Bond)

UK PRINT – FONTANA 1969

Walking in the Park (Graham Bond)

Plenty Hard Luck

Mandarin

Debut

Beware of the Ides of March (da V. Suite)

The Road she Walked Before

Backwater Blues (Leadbelly)

Those About to Die

SUONI RIEMERSI: RÉALTA “Open the Door for Three”

SUONI RIEMERSI: RÉALTA “Open the Door for Three”

SUONI RIEMERSI: RÉALTA “Open the Door for Three”

Autoproduzione. CD, 2012

di alessandro nobis

Con la benedizione di John Brian Vallely, fondatore del prestigioso William Kennedy Piping Festival e dell’Armagh Pipers Club, i Réalta nel 2012 pubblicano in modo del tutto autonomo questo splendido disco d’esordio; al tempo la formazione era a “tre” con una particolarità davvero inusuale, la presenza di ben due uilleann pipers, peculiarità anche dei Sean Nua (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/07/12/suoni-riemersi-sean-nua-the-open-door/) che vantavano nelle loro fila John McHugh e JoeMcKenna.

Oltre ai due piper Conor Lamb (anche ai flauti) e Aaron O’Hagan (anche lui ai flauti ed al bodhran) c’è la bravissima cantante, fine chitarrista e suonatrice di bouzouky Deirdre Galway il cui apporto nelle dinamiche nel mantenimento dell’equilibrio del gruppo è veramente fondamentale.

Il repertorio comprende brani provenienti da antiche raccolte di musica irlandese come “Dance Music of Ireland” di Francis O’Neill (1848 – 1936), da una raccolta di Robert Cinnamond (1884 – 1968) e “Collection of Irish Music for the Union Pipes” di Patrick O’Farrell (1792), dal repertorio del piper di Loughrea Patsy Tohey (1865 – 1923) oltre che da composizioni di autori meno conosciuti: da quella di Cinnamond è tratta la ballata “Gathering Mushrooms” con il canto evocativo di Dreidre G. che si accompagna con il bouzouky, da quella di O’Neill lo slip jig che apre il disco “Open the Door for Three” con un arpeggio di chitarra che espone la melodia ed un convincente arrangiamento per low-whistle e per le pipes che si sovrappongono, e splendido il set di reel e slip jigs “The Exile Jig / The yellow Stocking” di P. Touhey (il primo) e della raccolta di O’Farrell (il secondo). Notevoli, anzi splendidi il set March / Reel di “Tuamgraney Clastle / The Rathcrogan Reel” con due pipes e la chitarra che esegue la parte ritmica e la slow air “Sliabh Geal gCua” eseguita dalle due cornamusr.

Disco d’esordio che lascia il segno sin dal primo ascolto per una band che si è imposta come una delle migliori in circolazione; noi che siamo dei suoi fan aspettiamo il loro terzo lavoro che avrà una importante novità rispetto alle due produzioni precedenti, ovvero la presenza del piper francese Loïc Blejean – con la band dal 2018 –  in luogo di Aaron O’Hagan. Di Blejean voglio infine ricordare la collaborazione con i Fratelli Boclè nello straordinario “Rock The Boat” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/01/11/bocle-bros-rock-the-boat/).

NORMAN BLAKE “The Fields of November”

NORMAN BLAKE “The Fields of November”

“The Fields of November” Flying Fish Records 004. LP, 1974

di alessandro nobis

“The Fields of November” è la quarta uscita della Flying Fish e la produzione di questo album di Norman Blake fu affidata all’amico dobroista Tut Taylor, compagno anche negli anni a seguire di mille battaglie musicali del chitarrista americano. Con Blake alla chitarra, voce, violino, mandolino e dobro i “soliti” straordinari compagni di viaggio ovvero Nancy Ann Short (futura “Blake”), al violoncello, Robert Arthur Tut Taylor al dobro e Charile Collins alla chitarra e violino l’ensemble confeziona uno dei più riusciti lavori nell’ambito della cosiddetta “americana” di quegli anni dando un particolare risalto al ruolo degli strumenti ad arco, peculiarità che in seguito Nancy e Norman (scusate la confidenza) approfondiranno con il Rising Fawn String Ensemble ed inoltre mette in risalto il talento compositivo di Norman Blake vesto che tutti i brani portano la sua firma. Il brano eponimo, “Uncle” e quello che apre il disco, “Green Leaf Fancy” sono eseguiti dal trio violino – violoncello – chitarra e sono tra quelli che preferisco assieme a “Krazy Kurtis” suonato in solo da Blake al dobro; non mancano i canti narrativi che raccontano storie di emigrazione dovute alla chiusura delle miniere di carbone come lo splendido “Last Train from Poor Valley” ed all’estrema povertà come il malinconico ed allo stesso tempo incisivo “Lord Won’t You Help Me” (“Viaggiando e vagabondando per tutto il tempo / da solo con la mia chitarra / per un dollaro ed un quarto /ed un bicchiere di vino / o Dio, non vuoi aiutarmi prima che impazzisca”).

Un disco che segna assieme a “Old and New” che lo segue (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/03/05/suoni-riemersi-norman-blake-old-and-new/) il percorso stilistico di Norman Blake che da un lato proseguirà in solo o in duo (memorabile “Whiskey Before Breakfast” in duo con Charlie Collins) e dall’altro rivolta alla costruzione ed alla sua realizzazione di un suono legato agli archi, un aspetto questo mai affrontato prima, e mai lo sarà in seguito, dal mondo della musica di ispirazione tradizionale americano.

COLOSSEUM “The Grass is Greener”

COLOSSEUM “The Grass is Greener”

COLOSSEUM “The Grass is Greener”

ABC DUNHILL Records. LP, 1970

di alessandro nobis

The grass is greener” ovvero “una copertina per due dischi” verrebbe da dire per il terzo album pubblicato per il mercato americano nel 1970 diventato già nel ’70 oggetto di collezionismo in Europa, dove pochissimi ebbero l’occasione di acquistarlo sul mercato d’importazione come si chiamava mezzo secolo fa (personalmente, questa versione non l’ho mai vista!). Altri gruppi dell’epoca come i Van Der Graaf Generator o i Gentle Giant pubblicarono dischi con copertine diverse (“H to He Who am The Only One” e “Octopus” rispettivamente)  ma i Colosseum seppero fare di meglio utilizzando la copertina del precedente “Valentyne Suite” virandola leggermente al blue e cambiandone anche il font delle scritte; giusto quel poco per farne un rompicapo capace di far dannare i non pochi fans dell’epoca (ora si chiamerebbero followers) della straordinaria band di John Hiseman & C; band che seppe mescolare con equilibrio ed eleganza il blues elettrico, il rock ed il jazz ma che fu erroneamente spesso collegata alla corrente che molti chiamano “progressive”, un termine a mio avviso senza alcun significato tanto meno se accostato al suono dei Colosseum.

Ma andiamo con ordine: l’unico brano che hanno in comune i due album è “Elegy”, mentre altri tre (“Betty’s Blues”, “The Machine Demands a Sacrifice” aperta dal flauto di H.S. e dal basso di Tony Reeves e lo splendido brano eponimo introdotto dai sassofoni, con un bel solo di basso ed una davvero notevole parte di chitarra) presentano una versione differente rispetto a “Valentyne Suite” con il chitarrista Clem Clempson anche come voce solista in sostituzione di Litherland che nel frattempo aveva lasciato il gruppo diventando quindi una chicca preziosa per gli appassionati dei Colosseum visto il suono più legato al blues elettrico di Clempson che caratterizzerà l’ultima fase di vita della band. Il nuovo missaggio risale al ’69 durante il quale vennero registrati anche i quattro brani inediti: due diventarono cavalli di battaglia dei concerti, e mi riferisco in particolare al blues scritto da Jack Bruce e Pete Brown “Rope Ladder to the Moon” con un bell’arrangiamento per la marimba ed a “Lost Angeles” scritta a quattro mani da Greenslade ed Heckstall – Smith, una versione che in questo lavoro ha la durata di cinque minuti e mezzo ma che nelle esibizioni dal vivo supera il quarto d’ora grazie all’immaginifica introduzione dell’Hammond di Dave Greenslade. Gli altri due brani inediti sono un arrangiamento del “Bolero” di Maurice Ravel (personalmente lo ritengo il brano più debole, non mi sono mai piaciuti gli arrangiamenti rock di brani classici, lo devo dire) ed una bella composizione di Mike Taylor e Dave Tolin, “Jumpin’ Off the Sun” introdotta dalle campane tubolari di Hiseman e con significativo assolo di chitarra.

A fare un po’ d’ordine ci ha pensato nel 2002 la Sanctuary Records pubblicato un doppio CD che contiene sia “Valentyne Suite” che “The Grass is Greener” con due inediti (“Arthur’s Moustache” e “Lost Angeles” provenienti dalla trasmissione Top Gear re mandati in onda il 22 novembre del 1969.

NORMAN BLAKE · RED RECTOR “Norman Blake & Red Rector”

NORMAN BLAKE · RED RECTOR “Norman Blake & Red Rector”

NORMAN BLAKE · RED RECTOR “Norman Blake & Red Rector”

County Records. LP, 1976

di alessandro nobis

Attribuito a Norman Blake ed al mandolinista del North Carolina Red Rector (1929 – 1990), questo ellepì si avvale anche della fondamentale opera della ritmica formata da Charlie Collins alla chitarra e da Roy Huskie Junior al contrabbasso, ed è l’unico lavoro di Blake pubblicato dalla County Records di Dave Freeman che nel 2018 ha chiuso i battenti. Le fonti dalle quali Blake e Rector hanno attinto per arrangiare i brani – nessuno è originale – ed inciderli in questo che resta dopo quasi mezzo secolo un meraviglioso lavoro, uno degli highlights della discografia di Norman Blake, sono numerose; alcuni brani sono classificati come “tradizionali” e quindi di autore sconosciuto, mentre altri sono stati registrati e composti in varie epoche da musicisti considerati “colonne” del folk americano. Immagino un lungo e certosino lavoro nella ricerca e trascrizione dei 78giri degli anni Venti e Trenta che fa di questo disco un doveroso e riuscito omaggio alle radici della musica americana. C’è “Denver Belle”, una fiddle tune del grande Kenny Baker, c’è “Darling Nellie Across the Sea” dal repertorio della seminale Carter Family (1929) e, sempre da quell’anno “Mississippi Sawyer” 78giri di esordio della string band – che suonava l’old time music – “The Hill Billies” e “Sweet Lorena” ballad cantata da Blake e scritta dai fratelli Henry e Joseph Webster con un bel solo di mandolino ed il preciso contrabbasso di Roy Huskie, lo splendido strumentale “Girl I Left Behind Me”, una dance tune con il perfetto alternarsi chitarra – mandolino, uno dei brani più significativi di questo album a mio avviso ed infine “Limehouse Blues” di Douglas Furber e Philip Braham suonato per la prima volta nel ’21 da Gertrude Lawrence e Jack Buchanam, con al solito strepitosi soli di Red Rector e Norman Blake.

Disco notevole, come detto uno dei più interessanti del chitarrista di Sulphur Springs che mette in luce anche il mandolinista Red Rector.

SUONI RIEMERSI: GRATEFUL DEAD “American Beauty”

SUONI RIEMERSI: GRATEFUL DEAD “American Beauty”

SUONI RIEMERSI: GRATEFUL DEAD “American Beauty”

Warner Bros. Records. LP, 1970

di alessandro nobis

“American Beauty”, pubblicato nel 1970, è a mio avviso uno dei più significativi dischi dei Grateful Dead assieme al coevo “Workingman’s Dead” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2020/08/30/grateful-dead-workingmans-dead-50th-anniversary-edition/) per il suono elettroacustico e soprattutto per l’evidente forte legame con il folk americano d’autore. Gli arrangiamenti delle parti vocali sono splendidi, i brani, quasi tutti originali, saranno suonati dal vivo con lunghissime improvvisazioni, caratteristica questa che ha da sempre contraddistinto i concerti dei Dead. American Beauty”, e questa è una novità, non è solamente un lavoro della band di Garcia & C. ma ospita alcuni eccellenti musicisti della Bay Area alcuni dei quali coinvolti nella riproposta in una versione più moderna e quindi meno ortodossa della tradizione: tra questi Dave Torbert, David Nelson, David Grisman e Howard Wales, e non è un caso se i primi due, assieme a Garcia, Lesh e Hart daranno origine ai New Riders of the Purple Sage, una sorta di avventura parallela “roots”, almeno per i primi due album, al gruppo madre dei Dead. Il mandolinista Grisman da un apporto importante a “Friend of the Devil”, brano quasi sempre presente nei set acustici dal vivo, Torbert e Nelson in una delle composizioni più conosciute dei Dead, “Box Of Rain” che apre il disco (con il testo di Robert Hunter), “Candy Man”, un’altra delle hit dei Grateful Dead (ma anche dei “cugini” Hot Tuna di Jorma Kaukonen e Jack Casady), ci riporta alle tradizioni della musica americana (e qui c’è Howard Wales all’hammond) e “Ripple” è una delicatissima ballata scritta dalla coppia Garcia / Hunter.

I Grateful Dead aprirono il decennio dei Settanta con due capolavori, questo e “Workingman’s”, con la formazione a sette (Ron McKernan sarà della partita fino al ’73, anno della sua dipartita) a mio giudizio il loro periodo più significativo almeno per ciò che concerne, come detto, le registrazioni in studio. Dal vivo, come ben si sa, il livello dei concerti si manterrà altissimo fino al loro scioglimento nel 1995: i Dead, senza Jerry Garcia, non avrebbero più avuto motivo di continuare.

Nel cofanetto “The Golden Road 1965 – 1973” pubblicato nel 2001 sono stati inseriti otto inediti tra cui sei dal vivo mentre nella versione del 2020 a celebrazione del cinquantennale sono presenti due CD che riportano il concerto del 18 febbraio 1971 al Capitol Theatre di Port Chester, New York.