DUCK BAKER “Contra Costa Dance”

DUCK BAKER “Contra Costa Dance”

DUCK BAKER “Contra Costa Dance”

Confront Recordings. CD, 2022 (1982)

di alessandro nobis

Rimasti chiusi in una scatola nel garage dell’amico Dix Bruce dal 1982 fino all’anno scorso, questi nastri erano nati come “demo” che però, sottoposti all’attenzione di diverse case discografiche, non vennero da queste ben accolte probabilmente perchè come scrive lo stesso Baker nelle note di copertina, “esulavano dallo stile di chitarra riconducibile alla “new · age” che stava prendendo piede nel mercato della musica acustica“; per farla breve questo avrebbe dovuto essere il seguito di “The Kid on the Mountain” pubblicato dalla Kicking Mule nel 1980 e dopo oltre quaranta anni, finalmente considerata la qualità della musica, questi dodici brani vedono la luce grazie alla Confront Recordings (ed anche a Dix Bruce naturalmente). Detto tra noi poi, a me onestamente questi nastri sembrano ben più che dei “demo” ma piuttosto un disco pronto per essere pubblicato, e lo dico sinceramente, da non musicista.

Gustiamoci quindi questi quarantasei minuti di “Demo Tapes“, queste dodici composizioni originali che ci riconsegnano un Duck Baker che rielabora tutte le sue precedenti letture della musica “americana” scrivendo ed improvvisando senza mai lasciarsi andare a puri esercizi stilistici: nella slow air di “The Flowers of Belfast” ed in “Highlands Spring” sembra di sentire l’eco della tradizione delle isole britanniche, splendida l’aria di valzer di “Waltz with Mary’s Smile” come l’atmosfera del brano che apre questa antologia di “demo”, ovvero “Putney Bridge” del brano eponimo, “Contra Costa Dance“.

Duck Baker nel suo peregrinare attorno al mondo ha tenuto un numero imprecisato di concerti, un numero sicuramente notevolissimo e quindi con tutta probabilità esiste un numero cospicuo di registrazioni di varia qualità dei suoi live come anche ci saranno dei nastri perduti · o presunti tali · come questi conservati da Dix Bruce ad Oakland, in California.

http://www.confrontrecordings.com

Pubblicità

DALLA PICCIONAIA: INTERNATIONAL UILLEANN PIPING DAY in ITALIA

DALLA PICCIONAIA: INTERNATIONAL UILLEANN PIPING DAY in ITALIA

DALLA PICCIONAIA: INTERNATIONAL UILLEANN PIPING DAY in ITALIA

“Modena, 5 novembre 2022”

di alessandro nobis

Sabato 5 novembre sarà un giorno importante per gli estimatori della musica irlandese visto che si celebra la “Giornata Internazionale della Cornamusa Irlandese“; nel nostro Paese questo strumento e la musica che rappresenta come si sa sono molto amati almeno dal primo periodo del folk revival degli anni settanta quando il fenomeno della musica celtica iniziò ad avere un grande seguito in tutta Europa.

Quest’anno in Italia la giornata si terrà in quel di Modena (l’anno passato si tenne a Parma) ed è organizzata dalla I.U.P.A., acronimo di “Italian Uilleann Pipers Association” ·  fondata nel 2014 dal piper Nicola Canovi & Company · in collaborazione con la prestigiosa istituzione irlandese “Na Píobairí Uilleann” di Dublino che promuove e patrocinia questo importante avvenimento. Come nel 2021 arriverà per questo appuntamento un prestigioso piper e se nella passata edizione toccò a Mick O’Brien suonare e tenere un seminario a Parma quest’anno la scelta è caduta su Maitiú Ó Casaide di Ranelagh, nei pressi della capitale irlandese.

Come spessissimo succede in Irlanda, ma non solo, Maitiú Ó Casaide rappresenta la terza generazione di musicisti all’interno della sua famiglia e dopo aver studiato da giovanissimo il violino ed il tin whistle (lo strumento considerato propedeutico alle uilleann pipes) si avvicina alla cornamusa grazie allo zio Odhrán, componente del gruppo Na Casaidigh assieme ad altri cinque fratelli. Da lì in poi la sua vita musicale sarà totalmente dedicata al repertorio delle uilleann pipes seguendo gli insegnamenti dei grandi maestri e frequentando la “Na Píobairí Uilleann“; non ha mai fatto parte di ensemble particolarmente noti ma la sua attenzione si è rivolta soprattutto al repertorio solistico, alle session spesso informali ed alla didattica e quindi la scelta di invitarlo a Modena mi sembra particolarmente azzeccata.

A Modena quindi, presso lo spazio “La Tenda” in Viale Monza, che si trova all’angolo con Viale Monte Kosica, si terrà quindi questo importante appuntamento musicale, l’occasione sia per incontrare ed apprendere i segreti · o i primi rudimenti dello strumento · dal Maestro Maitiú Ó Casaide sia per incontrare altri musicisti appassionati di musica irlandese che suonano altri strumenti. Non a caso, sabato 5 dopo il concerto del piper ci sarà una session aperta a tutti i musicisti, una occasione da non perdere per “fare comunità” e per scambiare pareri e repertori. La giornata comunque si aprirà in mattinata con uno stage di uilleann pipes (tra le 10:00 e le 13:00) mentre nel pomeriggio alle 17:30 ci sarà la possibilità di incontrare Maitiú Ó Casaide per scambiare pareri per conoscere i “suoi” segreti tramandati dalla sua famiglia ed appresi dai grandi Maestri irlandesi. Alle 20:30 concerto e session come detto.

La mattinata della domenica prevede la conclusione dello stage e dell’incontro per quest’anno · con una lezione che si terrà dalle 9:00 alle 11:00.

Per partecipare al seminario di Maitiú Ó Casaide è previsto un contributo di € 5,00.

CONTATTO: NICOLA CANOVI 335 6837204

WEATHER REPORT “Live in Austria ’71”

WEATHER REPORT “Live in Austria ’71”

WEATHER REPORT “Live in Austria ’71”

Equinox Records. 2CD, 2022

di alessandro nobis

Quasi certamente queste registrazioni dal vivo sono cronologicamente le prime disponibili dei Weather Report ed appartengono alla tourneè di promozione dei loro primo epocale disco pubblicato nel febbraio del 1971 (il giorno 16, per dovere di cronaca). La line-up è quella con Miroslav Vitous, Alphonse Mouzon e Dom Un Romao oltre naturalmente alle due travi portanti Wayne Shorter e Joe Zawinul che lo aveva registrato (alle percussioni vi era però Airto Moreira al posto di Romao) e del quale ben cinque brani sono qui riproposti in chiave live ovvero con parecchi quanto notevolissimi momenti improvvisativi, una delle caratteristiche più importanti di questa prima fase dei Report. L’idea iniziale del W.R. era dunque quella di sviluppare una visione che sebbene nascesse dalle innovative idee del Miles Davis elettrico portasse un maggior sviluppo della parte ancor più creativa e quindi libera rispetto alla svolta che Davis seppe dare per primo al jazz ispirando così la nascita di una serie di gruppi i cui componenti erano passati dalla sua scuola.

Il doppio cd riporta il concerto che il quintetto tenne al Internationales Musikforum, Stiftshof di Ossiach, cittadina austriaca della Carinzia, che si tenne tra il 25 giugno e il 5 luglio del 1971, festival organizzato dal pianista Friedrich Gulda e che in cartellone ospitava nientemeno che i Pink Floyd, il trio Surman · Phillips · Martin ed i Tangerine Dream tra gli altri; il festival portò come possiamo immaginare grande scompiglio tra i residenti nella piccola cittadina alpina non abituata alla presenza di un numero enorme di persone soprattutto per i numerosi hippies là convenuti per il concerto dei Pink Floyd, tant’è che il festival nelle edizioni successive si tenne a Viktring.

Nel triplo ellepì edito dalla tedesca BASF Records nello stesso anno i compilatori inserirono uno dei brani che i Weather Report suonarono, ovvero una lunga versione di “Eurydice” di oltre 14 minuti (nella scaletta si riporta “Umbrellas” ma si tratta come detto in effetti di “Eurydice“, errore imperdonabile, e ci sono altre imprecisioni, di chi ha curato la pubblicazione questo CD); qui la qualità della registrazione è onestamente inferiore ma comunque apprezzabile (non si tratta delle registrazioni ufficiali BASF ma piuttosto di audio tratto da video o da trasmissioni radiofoniche), quello che conta è ovviamente la musica che ci regala un importante momento dello sviluppo di Zawinul & Co.. Le significative esecuzioni di “Morning Lake“, “Waterfall” e dell’allora inedito “Firefish” sono il punto di partenza dell’esperienza Weather Report che più avanti grazie soprattutto al genio di Zawinul cercherà in modo del tutto originale di combinare il jazz elettrico ai suoni provenienti dalle più diverse musiche etniche. Ma questa è un’altra storia, per ciò che mi riguarda i primi anni del gruppo resteranno nella storia del jazz per l’originalità del progetto e per la perfetta comunità di intenti dei cinque componenti.

COLOSSEUM “Live!”

COLOSSEUM “Live!”

COLOSSEUM “Live!”

Bronze Records. 2LP, 1971

di alessandro nobis

Beh, dovessi scegliere il doppio ellepì registrato dal vivo che più ho ascoltato ed amato (e ascolto e amo tuttora) dagli anni della mia adolescenza ovvero da una cinquantina di anni, questo è il “Live” dei Colosseum, in cima alla montagna. E pensare che i musicisti non erano del tutto convinti di pubblicare quei nastri registrati all’Università di Manchester ed al Big Apple di Brighton nel marzo del ’71, ma le cose andarono per nostra fortuna diversamente e la Bronze Records (e la Warner Bros. negli USA) consegnarono alla storia della musica rock questo luminosissino diamante. Scusate la retorica ma veramente questo è uno straordinario disco, la band è all’apice della creatività, la line-up è quella fantastica con Chris Farlowe alla voce, Dave “Clem” Clempson alla chitarra, con John Hiseman alla batteria, Dick Heckstall-Smith ai fiati, Dave Greenslade all’Hammond e Mark Clarke al basso, il repertorio è la visione musicale live dei Colosseum, un rock ad alto tenore energetico intriso di blues con ampio spazio al jamming che sviluppa grandemente i brani del repertorio. Basta ascoltare la progressione di hammond e il dialogo con la chitarra di “Lost Angeles”, composta dopo una permanenza californiana a “Los Angeles” (di Farlowe, Hiseman e Heckstall · Smith) o la potenza interpretativa della voce di Chris Farlowe ed il lunghissimo solo di Clempson in “Skeglinton” di Clampson e Hiseman, brani che occupano ciascuno una facciata di questo doppio ellepì. Altre due perle che “raccontano” della formazione musicale dei membri dei Colosseum sono il celeberrimo brano di T·Bone Walker “Stormy Monday Blues” in delle più convincenti e vigorose versioni in assoluto, la prima parte più simile all’originale e quella centrale con una jam tra Clempson, Farlowe e Heckstall · Smith e la splendida rilettura di “Walking in the Park” composto dall’organista e scopritore di talenti Graham Bond nella cui Organ·Isation molto di quello che riguardo il cosiddetto British Blues ebbe inizio a cavallo del ’60.

Nella versione in CD pubblicata nel 2004 è riportato anche un brano di James Litherland, “I’Can’t Live Without You” (presente nell’antologia “The Collector’s Colosseum”).

Disco memorabile a mio avviso: miracolo irripetibile? Macchè, i due Live registrati nel ’94 a Colonia e pubblicati l’anno seguente stanno lì a testimoniarne un altro, stessa energia, scaletta molto simile, stessa band ancora al “top”: due Cd che testimoniano la chiusura di un’epoca, ed il seguente “Bread & Circuses” del 1997 è la prova del cambiamento. Ne parleremo.

PAUL HILLIER “Proensa”

<strong>PAUL HILLIER</strong> “Proensa”

PAUL HILLIER “Proensa”

ECM NEW SERIES Records. CD, 1989

di alessandro nobis

Al di là dell’accuratezza nella scelta del repertorio e delle scelte timbriche, sono convinto che questo “Proensa“, progetto del “Theatre of Voices” abbia avvicinato agli straordinari tesori della musica antica non pochi degli appassionati dell’etichetta bavarese di Manfred Eicher.

E’ un viaggio attraverso il periodo d’oro della poesie trobadorica, tra il Duecento e il Trecento, e qui troviamo i più importanti poeti dell’epoca, da Guglielmo Duca d’Aquitania a Macabruno, da Peire Vidal e Giraut De Bornelh  da Bernart De Ventadorn fino al meno conosciuto Guiraut Riquier: la straordinaria ed evocativa voce di Paul Hillier, il salterio e l’arpa di Andrew Lawrence-King, il liuto e il salterio di Stephen Stubbs e la viella di Erin Headley ci riportano magicamente a quel periodo storico troppo spesso indicato come “l’era buia” prima della rinascita. E’ questo uno quartetto formato da musicisti · studiosi dalla classe cristallina che danno lettura davvero efficace rara a sentirsi; “Reis Glorios” di Guiraut de Bornelh (provenzale, attivo nella seconda metà del 12° secolo) è un'”albada” (una sveglia) di cui conosciamo la musica che inizialmente ha la forma di preghiera ma che si trasforma in una risata, cantata da una guardia mentre il cavaliere si intrattiene con una dama, l’arrangiamento che accompagna questo testo è davvero notevole, accompagna ed allo stesso tempo crea un’ambientazione di un’aurora magica. “Pos Tornatz Sui Proensa” · da qui il titolo dell’album · venne scritta da uno tra i più celebri trovatori provenzali, Peire Vidal di Tolosa che durante la sua vita “prestò servizio” alla corte di Budapest al seguito di Costanza D’Aragona che andò in sposa al Re Imre nel 1198 (un’altra significativa interpretazione di questo canto trobadorico la si può ascoltare in “Peire Vidal: A Trobadour in Hungary” curata dall’ensemble ungherese Fraternitas Musicorum e pubblicata dalla Hungaroton nel 1981): racconta del ritorno di un trovatore nella sua terra, la Provenza.

Ho citato solamente due delle otto composizioni presenti in questo “Proensa” ma il livello di tutto il lavoro è veramente altissimo, a mio modesto avviso una delle migliori raccolte di canti trobadorici mai pubblicate e grande merito di questa realizzazione va senz’altro al patron dell’ECM per la sua visione sempre aperta verso i più diversi idiomi musicali.

MIZOOKSTRA “Also Sprach Mizookstra”

MIZOOKSTRA “Also Sprach Mizookstra”

MIZOOKSTRA “Also Sprach Mizookstra”

Sangue Disken. CD · CS · DIGITALE, 2022

di alessandro nobis

Il sassofonista Simone Garino, co · leader del quartetto Night Dreamers con questo recentissimo “Also Sprach Mizookstra” va “oltre” e con Mario Conte (musicista che si muove nell’ambito della musica elettronica) letteralmente crea questo bel lavoro di ricerca musicale frutto di otto session informali dove la creazione spontanea ovvero l’improvvisazione è l’assoluta protagonista del progetto, da ascoltare con grande calma e concentrazione.

Il suono acustico del sassofono ben si combina con l’elettronica, con i suoni “industriali” e contemporanei come ad esempio nella “Session # 6” dove il baritono segue il ritmo con una interessante sequenza di assoli o nella breve “Session # 5” aperta dai sax sovraincisi che lasciano poi lo spazio al minuzioso lavoro di Conte che sceglie e combina i suoni ideali da affiancare a quelli di Garino con un finale in crescendo. Ancora “Session # 8 parte 1” creata esclusivamente dagli efficaci suoni elettronici e infine la lunga “ Session # 2″ con i suoni di apertura che ricordano molto bene alcuni episodi dell’elettronica tedesca anni settanta però permeati dagli assoli del baritono e dalla reiterazioni di una “sirena di allarme” per niente fuori posto.

Ascoltando “Also Sprach Mizookstra”, si capisce bene la qualità del lavoro di studio e di interplay che c’è dietro questo progetto e soprattutto si comprende come questa musica non sia affatto ostica o riservata a pochi “eletti”: nelle performance naturalmente come nella miglior visione della musica improvvisata, tutto può cambiare e trasformarsi in qualcosa d’altro, e questa è la sostanza della creazione spontanea.

NORMAN BLAKE “Whiskey Before Breakfast”

<strong>NORMAN BLAKE</strong> “Whiskey Before Breakfast”

NORMAN BLAKE “Whiskey Before Breakfast”

Rounder Records. LP, 1976

di alessandro nobis

Questo è senza dubbio il disco di Norman Blake “solista” che preferisco, uno dei capolavori della sua discografia e della chitarra acustica americana. Il suono, la musica che scorre in modo così fluido (la pulizia del suono nel brano di Hank Snow “Under the Double Eagle“, per esempio), la tecnica così perfetta (“Old Grey Mare“), il repertorio, il feeling con Charlie Collins ne fanno come dicevo una pietra miliare, un autentico faro per chi si è avvicinato in passato o voglia avvicinarsi oggi alla chitarra flat·picking.

Tre brani sono suonati assieme all’amico Charlie Collins, ovvero “Hand Me Down my Walking Cane” di James Blan (raccolta Roud 11.733), “Salt River” e “The Girl I Left in Sunny Tennessee” registrata la prima volta da Byron G. Harlan; gli altri vedono Norman Blake in totale solitudine, un piacere per gli amanti della grande musica, una cavalcata tra strumentali, brani tradizionali (“Arkansas Traveller“, “The Minstrel Boy To The War Has Gone / The Ash Grove” e naturalmente la suite strumentale ” Fiddler’s Dram / Whiskey Before Breakfast“) e di composizione come ad esempio “Down at Milow’s House” o il blues “Old Church” ed ancora il suggestivo “Slow Train Through Georgia“.

Penso che questo “Whiskey Before Breakfast” sia il perfetto punto di partenza per avvicinarsi alla musica · ed al talento · di Norman Blake perchè ascoltandolo si scopre il mondo della tradizione musicale d’oltreoceano, quella tramandata per decenni oralmente e quella di nuova composizione, l’unico modo questo per perpetuare quello che le generazioni del passato hanno conservato e trasmesso alla nostra.

PAOLA ARNESANO · VINCE ABBRACCIANTE “Opera!”

PAOLA ARNESANO · VINCE ABBRACCIANTE “Opera!”

PAOLA ARNESANO · VINCE ABBRACCIANTE “Opera!””

Dodicilune Dischi. CD, 2022

di alessandro nobis

Questa idea – invero brillante – di cantare e suonare le arie d’opera più popolari non soddisferà forse il “fine” palato dei melomani più ortodossi, ma questo lavoro di Paola Arnesano e Vince Abbracciante va ascoltato a mio modesto avviso in modo molto attento per comprendere bene il progetto della cantante barese e del fisarmonicista brindisino Vincenzo “Vince” Abbracciante. Dal canto loro i jazzofili più puri e più curiosi non avranno difficoltà – viste le qualità dei due protagonisti – ad avvicinarvisi scoprendo come la cantante e ed il fisarmonicista hanno pensato di affrontare questo insidioso repertorio che conferma come si possa translare dall’ambito classico a quello jazzistico un patrimonio importante come quello del melodramma.

Innanzitutto il repertorio, scelto con particolare cura tra brani · canzoni · più conosciuti e meno conosciuti dalle opere verdiane come “Il Trovatore“, “La Traviata” e “I Vespri Siciliani” al repertorio pucciniano di “La Bohème” e “Tosca” fino a Gaetano Donizetti (“Lucrezia Borgia“) giusto per citarne qualcuno: poi l’accurato lavoro per arrangiare questi “totem” musicali che come si può ben immaginare rispecchiano le melodie originali fino ad un certo punto per poi lasciare al talento dello straordinario fisarmonicista Abbracciante ed alla splendida voce di Paola Arnesano di imprimere un’impronta jazzistica fatta di abbellimenti, assoli e soprattutto l’intenso interplay tra i due protagonisti di questo importante progetto che si distingue a mio avviso nel panorama del jazz moderno per originalità e l’ardimento nel “toccare” un repertorio così importante per la cultura italiana.

In “Mercé, Dilette Amiche” dai Vespri Siciliani di Verdi (libretto di Charles Duveyrier” Paola Arnesano assume le vesti di Helene, in “Ecco Respiro Appena” quelli di Adriana Lecouvreur (dall’omonima opera di Francesco Cilea con il libretto di Arturo Colautti) ed ancora di Cho Cho San nella “Madame Butterfly” pucciniana (libretto di Giuseppe Giacosa) ed infine ancora Puccini in “O mio babbino caro” con un delicato ed efficace assolo vocale: sempre le melodie sono permeate dal suono della fisarmonica di Abbracciante, sempre preciso, fantasioso, oserei dire perfetto (non a caso gli esperti jazzofili lo considerano uno straordinario interprete del jazz moderno).

Disco tra i più significativi tra quelli pubblicati di recente, quasi quasi mi vien voglia di ascoltare le opere nella loro versione originale …

P. S. Magari nelle grandi città queste arie · e le opere cui appartenevano · si ascoltavano nei teatri o nei salotti delle famiglie borghesi dove erano accompagnate dal pianoforte, ma mi piace (molto) pensare che il popolo le abbia conosciute attraverso il suono dei mandolini magari nelle botteghe dei barbieri, o nelle piazze e mercati dove il canto era accompagnato non già da una fisarmonica ma dal suono più antico dell’organetto diatonico contribuendo magari attraverso “fogli volanti” alla alla diffusione.

Di Arnesano e Abbracciante ne avevo parlato anche in occasione del loro “MPB!” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/03/28/paola-arnesano-vince-abbracciante-mpb/)

HOT TUNA “Yellow Fever”

HOT TUNA “Yellow Fever”

HOT TUNA “Yellow Fever”

Grunt Records. LP, 1975

di alessandro nobis

Penso che i tre album usciti tra il 1975 ed il 1976 ovvero “America’s Choice”, “Hopkrov“, parte di “Double Dose” e “Yellow Fever” – del quale per il Record Store Day ne è stata pubblicata una versione con vinile naturalmente giallo – spiazzarono non dico tutti · ma quasi tutti · i followers dell’epoca innamorati di quel suono magico elettro·acustico costruito da Jorma Kaukonen e Jack Casady, suono che poi avrebbero ripreso più avanti fino ai nostri giorni. Qui Kaukonen opta per un nuovo suono, più hard, effettato dall’elettronica come non gli conoscevamo con assoli efficacissimi come in “Song for the Fire Maiden” e ingaggia con Casady un batterista incisivo in grado di assecondare questa sua svolta come Bob Steeler, un secondo chitarrista John Sherman (in “Baby What You Want Me To Do) ed il tastierista Nuck Buck (suo è il suono del sintetizzatore in “Bar Room Crystal Ball“).

“Hard Blues”,  “Hard Rock”, “Mainstream Rock” chiamatelo come volete ma questo e gli altri due lavori della tripletta citata in apertura restano a mio avviso degli ottimi dischi; Kaukonen non abbandona le sue origini di suonatore di blues e propone in “Yellow Fever” due rivisitazioni di brani accredidati a Mathis James “Jimmy” Reed (il già citato “Baby What You Want Me To Do) e “Hot Jelly Roll Blues” del misconosciuto bluesman George Carter, vissuto nella prima metà del XX secolo che registrò, questo per la cronaca, solamente quattro brani su 78giri; i due brani aprono “Yellow Fever”, quasi il chitarrista californiano volesse avvisare i suoi estimatori che non aveva abbandonato il blues e che non aveva l’intenzione di farlo ma che aveva trovato un modo diverso (più moderno? più innovativo?) per suonarlo.

Tra i brani di nuova composizione voglio citare “Half / Time Saturation” scritto dai tre Tuna e con notevolissimo assolo “effettato” di Kaukonen ed il conclusivo brano del chitarrista “Surphase Tension” con il fingerpicking elettrico in apertura ed una interessante sovrapposizione di chitarre ma con un andamento che sembra riportare il suono della band a quello dei primi album.

“Yellow Fever” è un album da rivalutare a mio parere. Chi ce l’ha lo estragga dallo scaffale e lo riposizioni sul giradischi.