OPEN PAPYRUS JAZZ FESTIVAL 2022

OPEN PAPYRUS JAZZ FESTIVAL 2022

OPEN PAPYRUS JAZZ FESTIVAL 2022 “Parole di Jazz”

14 · 15 · 16 · 17 · 18 SETTEMBRE, IVREA

di alessandro nobis

E con questa sono ben quarantadue le edizioni dell'”Open Papyrus Jazz Festival” di Ivrea. Un bel traguardo non c’è che dire soprattutto perchè negli anni la direzione artistica ha saputo conciliare la qualità e la varietà delle proposte ottimizzando un budget che non sarà senz’altro quello dei più quotati festival jazz nostrani (anche se spesso in molto casi si tratta di poco jazz e molto altro): cinque giornate dedicate alla musica, un Festival che rispecchia alla perfezione quello che un Festival dovrebbe essere, musica suonata e danzata, differenziazione dei luoghi degli eventi che coinvolgono Ivrea e le sue strade e infine presentazione di libri. Eventi gratuiti per avvicinare appassionati e non al jazz, e solamente due con un biglietto d’ingresso, ovvero quelli di più “richiamo”: il “Patrizio Fariselli Area Open Project · facile immaginare il contenuto del concerto · e l'”Enrico Rava Edizione Speciale“.

Ma come detto non sono certo due nomi, anche se di spessore, che fanno un festival, ma tutto il resto del gustoso e dell’alto valore di questa edizione 2022 del Festival: personalmente non mi perderei la presentazione dei CD “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” e”Woland” con i protagonisti dei due lavori, Eloisa Manera, Emanuele Sartoris, Massimo Barbiero e il cornista Martin Mayes (venerdì 16 in Sala Santa Marta, h 19:00), il concerto del Deval Quartet con le due chitarre di Maurizio Brunod e Loris Deval, la voce di Sabrina Oggero e la tromba di Tiziano Codoro (sabato 18, Sala Santa Marta h 18:00) e ancora le coreografie create sulle musiche del recente lavoro “In Hora Mortis” per sole percussioni di Massimo Barbiero (domenica 18, al Museo Garda, h. 18:00).

Ma una visita accurata alla mostra di fotografie di Roberto Cifarelli ed alla mostra collettiva “Musica senza confini” non me la farei mancare, poi Ivrea è città da vedere ed grazie al festival anche da vivere e certamente vanno fatti i complimenti agli ideatori e organizzatori per riuscire a mantenere alta la qualità degli eventi; se potessi farlo, suggerirei personalmente ai rappresentanti delle istituzioni locali non solo di continuare il sostegno al festival ma di implementare i finanziamenti perchè “Open Papyrus” è un fiore all’occhiello non solo della città di Ivrea, ma della programmazione estiva nazionale dei jazz festival.

Chiudo riportando le parole di Music Studio · Ivrea Jazz Club, una dichiarazione di intenti del tutto condivisibili che ritengo possano riferirsi a tutte le persone, musicisti e non, che si adoperano per la riuscita dei festival cosiddetti “minori” ma che invece hanno la missione di conservare questo linguaggio musicale vivo e vegeto:

Noi crediamo che la cultura sia soprattutto ”integrità morale”, lo sforzo di questi ultimi 10 anni di andare oltre questo termine “jazz” non è semplice operazione di upgrade, ma la convinzione che la contaminazione tra le arti (musica, danza, fotografia, letteratura, pittura…) sia l’unica strada e che il jazz quello sia sin dalle origini.Non si tratta di manifestazioni di nicchia, di proposte autoreferenziali, perché l’Italia, l’Europa e il mondo hanno intrapreso da anni questa via. Noi proviamo solo a essere all’altezza di questa responsabilità, perché costruire è molto più difficile che cercare il consenso, ma la responsabilità di cui sopra è proprio quella che ci spinge a questo impegno.”

IL PROGRAMMA NEL DETTAGLIO:

MERCOLEDÌ 14

· ore 18.30 – Spritz
Inaugurazione mostre

Roberto Cifarelli (fotografo Blue Note)

“High key on jazz”

“The black square”

Guido Michelone presenta il libro:
”Io sono un Jazzista”

Tre coreografie sulle musiche del CD
”Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”.

Con
Sara UgoreseGiulia Bedin, Eleonora Buratti

GIOVEDÌ 15

· ore 17.00 – Atelier Eporedia New

Inaugurazione mostra
”Musica senza confini”, Collettiva d’arte organizzata da: 

Daniela Borla e Ettore Della Savina.

Presenta l’evento Ennio Pedrini. 

Opere di: E. Francescotti, R. Coin, A. Betta, A. Guarnieri, D. Covolo, S. Baruzzi,  L. Accattino, G. Samperi, I. Casalino, T. Franzin, L. Cordero, P. Filannino, V. Filannino, E. Della Savina, D. Borla (Le opere saranno visibili fino al 30 settembre).

VENERDÌ 16

· ore 18.00 · Sala Santa Marta

Discussione
”Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”

Gian Luca Favetto: scrittore

Davide Ielmini: critico musicale

Renato Cravero: letture

Coordina Davide Gamba.

In collaborazione con Libreria Mondadori

· ore 18.30 · Sala Santa Marta, degustazioneAperitivo

· ore 19.00 · Sala Santa Marta

Presentazione CD:
”Verrà la morte e avrà i tuoi occhi” e Woland”

Eloisa Manera: violino

Emanuele Sartoris: pianoforte

Massimo Barbiero: batteria.

Special guest: Martin Mayes: corno

· ore 21.15 · cortile Museo Garda* Con biglietto d’ingresso € 15,00

PATRIZIO FARISELLI  AREA OPEN PROJECT.Il repertorio degli Area nella versione cantata.

Claudia Tellini:  voce

Patrizio Fariselli: pianoforte

Marco Micheli: basso

Walter Paoli: batteria

SABATO 17

· ore 18.00 · Sala Santa Marta

DEVAL QUARTET

Loris Deval: chitarra

Sabrina Oggero Viale: voce

Tiziano Codoro: tromba

Maurizio Brunod: chitarra

· ore 21.15 · Cortile Museo Garda* Con biglietto d’ingresso € 15,00

ENRICO RAVA EDIZIONE SPECIALE

Enrico Rava: flicorno

Francesco Bearzatti: sax tenore

Francesco Diodati: chitarra

Giovanni Guidi: pianoforte

Gabriele Evangelista: contrabbasso

Enrico Morello: batteria

DOMENICA 18

· ore 18.00 · Museo Garda, special project

“IN HORA MORTIS”, Tre coreografie di Giulia CeolinFrancesca GalardiCristina Ruberto sulle musiche dell’omonimo CD di Massimo Barbiero

Danzano:
Luciana Trimarchi, Giulia Bedin, Beatrice Benetazzo, Sara Celeste, Emma Nemes, Cecilia Boldrin, Alice Mistretta, Alina Mistretta,  Arianna Mistretta, Valentina Papaccio e Sara Ugorese.

Con letture dal libro:
“In hora mortis” di Thomas Bernhard.

Inoltre:
Tre officine di artisti per una serie di invenzioni 
da ambientare in Sala Santa Marta:
Susanna ClarinoToni MuroniEugenio Pacchioli

·

INFORMAZIONI:

Ingresso:
ven 16 ore 21.15:  € 15,00 
sab 17 ore 21.15:  € 15,00 
Abbonamento: € 25,00. 
Dove non indicato l’ingresso è gratuito. In caso di pioggia, gli eventi del Museo Garda si terranno al Teatro Giacosa – piazza Teatro 1, Ivrea.

Atelier Eporedia New: 
via Arduino 37, Ivrea

Spritz:
via Arduino 6/8, Ivrea

Sala Santa Marta:
piazza Santa Marta, Ivrea

Museo Garda:
piazza Ottinetti, Ivrea

La manifestazione è organizzata da:
Ivrea Jazz Club e Music Studio

Direzione Artistica di Ivrea Jazz Club / Music Studio

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EGBERTO GISMONTI “Sol do Meio Dia”

EGBERTO GISMONTI “Sol do Meio Dia”

EGBERTO GISMONTI “Sol do Meio Dia”

ECM Records. LP, 1978

di Alessandro Nobis

Ispirato dalle frequentazioni amazzoniche delle etnie Xingu e Sapain, il compositore, chitarrista e pianista brasiliano Egberto Gismonti nel novembre del 1977 entra nel Talent Studio ECM di Oslo dove il fondatore Manfred Eicher gli fa trovare un gruppo di straordinari musicisti come Ralph Towner, Jan Garbarek, Colin Walcott e Nana Vasconcelos per registrare questo album che oggi possiamo considerare tra i più importanti della sua corposa discografia.

Sol Do Meio Dia” (il sole di mezzogiorno) pubblicato nel ’78 si caratterizza per la presenza della lunga suite in quattro movimenti che occupa tutta la seconda facciata del disco ovvero “Cafè (Procissão De Espirito)“, “Sapain (Sol Do Meio Dia)”,Dança Solitaria No. 2 ” (Voz Do Espirito)” ed infine “Baião Malandro (Fogo Na Maranhão · Mudança)”. Il movimento più significativo tra i quattro è a mio avviso quello eponimo (ovvero il secondo), nel quale Towner e Gismonti abbandonano i cordofoni utilizzati nella splendida e lunga apertura (quella che ospita il sax soprano di Garbarek, inconfondibile davvero, e i duetti tra le due chitarre) per imbracciare assieme a Walcott e Vasconcelos le percussioni autoctone, i flauti indigeni, le voci ricreando nello studio il fascino e il mistero del Brasile più recondito, quasi un richiamo disperato a valorizzare e proteggere le etnie amazzoniche da sempre – ed oggi più di allora grazie alle politiche di Bolsonaro – in pericolo di sterminio o di “forzata” assimilazione alla cultura predominante di derivazione europea. Una suite · che si conclude con un meraviglioso introspettivo brano alla chitarra 8 corde di Gismonti (“Dança Solitaria No. 2 ” · Voz Do Espirito · ) e dal movimento conclusivo, per pianoforte e percussioni · tutta da ascoltare con grande attenzione, solo così saprà trasportarvi in altro luogo e in altro tempo……..

Nella prima facciata del disco troviamo un altro brano “amazzonico”, ovvero “Kalimba“, per strumenti etnici · niente chitarra di Gismonti quindi ·, ed il delicatissimo brano di apertura composto dal chitarrista brasiliano dove duetta con la dodici corde di Towner, florilegio per chitarre provenienti da culture diverse ma con la capacità di dialogare alla perfezione senza essere mai autoreferenziali, una vera meraviglia paradisiaca per i chitarristi ……. e per tutti.

Uno dei migliori “casting” di Manfred Eicher di quegli anni, quasi mezzo secolo ma la musica fluisce e sorprende come allora.  Da avere assolutamente.

TEMPEST “Living in Fear”

TEMPEST “Living in Fear”

TEMPEST “Living in Fear”

Island · Bronze Records. LP, 1974

di alessandro nobis

Chiusa l’esperienza in quintetto con le due chitarre di Alan Holdsworth e Ollie Halsall ed il cantante Paul Williams (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/05/20/jon-hiseman-tempest-bbc-session-1973/), nell’ottobre del 1973 Hiseman ritorna in studio con il fedelissimo Mark Clarke e con il solo Halsall, una formazione in trio quindi per registrare il secondo album, “Living in Fear” che verrà pubblicato nell’aprile del 1974 sempre dalla Bronze Records. All’epoca dei fatti le cronache della stampa specializzata della terra di Albione riportavano commenti piuttosto freddi rispetto di quelli di solo qualche mese prima: “tre ottimi musicisti non fanno una ottima band“, dicevano, una frase “di circostanza” usata spesso.

Degli otto brani equamente suddivisi nelle due facciate, al solito ne segnalo quelli che a mio avviso sono i più significativi: “Waiting for a Miracle” è l’unica oasi di relativa tranquillità in un mare fatto di rock molto arcigno, di riff squadrati, di assoli misurati dove la ritmica dei Colosseum lascia quelle atmosfere facilmente riconoscibili e grazie alla rugginosa chitarra di Ollie Halsall entra nel mondo dei “power trio” nella migliore accezione del termine, e la rilettura “hard” della beatlesiana “Paperback Writer” mi piace ancora, non troppo calligrafica e con un bel solo di chitarra.

Walking down a dusty road” è l’incipit di “Stargazer” scritta da Clarke assieme a Susie Bottomley è il brano che a mio avviso può essere considerato il brano manifesto di “Living in the Fear“, per i breaks di Halsall, per la ricerca sonora delle percussioni di Hiseman mentre “Dance of my Tune” sempre di Clarke · Bottomley è un lungo brano di grande impatto dove il basso duetta con la batteria (fondamentale è ascoltare con attenzione il fantastico drumming di Hiseman) con una parte centrale più lenta che contiene un lungo e prezioso solo di chitarra che conduce via via al gran finale.

Un gran bel disco che si fa apprezzare almeno da sottoscritto ancora oggi, un peccato che la storia dei Tempest finisca qui: i power trio non ebbero grande fortuna, quello di Tim Bogert, Carmine Appice e Jeff Beck potrebbe raccontarci una storia simile ………..

Succede a Verona: CHITARRE PER SOGNARE 2022

Succede a Verona: CHITARRE PER SOGNARE 2022

CHITARRE PER SOGNARE, XVI edizione

Terme di Giunone, Caldiero (VR), 27 agosto 2022

di alessandro nobis

Sul finire di agosto, esattamente sabato 27 con inizio alle 21, si terrà alle Terme di Giunone nei pressi di Caldiero, la sedicesima edizione di “Chitarre per Sognare” ideata e concretizzata da Giovanni Ferro con la preziosa collaborazione dell’Assessorato alla Cultura del Comune appunto di Caldiero.

Quattro i set previsti che presentano chitarristi dagli stili diversi, dal flatpcking al fingerpicking alla chitarra classica.

Quest’ultima sarà imbracciata da Ilaria Pellegrino, chitarrista da una formazione classica ma che come altri suoi colleghi è rimasta affascinata dai compositori ispanici e sudamericani che tanto hanno dato allo sviluppo del repertorio classico del ventesimo secolo. Avremo coì modo di conoscere il venezuelano Rodrigo Rieira (1923 · 1999), autore di un corposo repertorio ispirato alla regione di provenienza (lo stato di Lara per la precisione) e importante didatta, João Teixeira Guimarães , meglio conosciuto come João Pernambuco  (1883 · 1947) del quale Ilaria Pellegrino eseguirà il choro “Sons de carrilhõesI” risalente agli anni ’20 (lo registrò nel 1926) e lo spagnolo Federico Moreno Torroba (1891 · 1982), Un’altra composizione molto nota anche nel nostro Paese che avremo l’occasione di ascoltare sarà “Eu sei que vou te amar” di Antonio Carlos Jobim e Vinicius de Moraes che venne tradotta anche in italiano ed interpretata da Ornella Vanoni con il testo di Bardotti.

Lo stile flatpicking sarà il tema del set di Federico Franciosi a.k.a. “Ciosi”, autore dell’ottimo cd “The Big Sound” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/09/15/ciosi-the-big-sound/); il suo repertorio presenta brani originali – e già questo fa capire la cifra stilistica del chitarrista – e vicino a riletture dei grandi maestri del folk americano (etichetta che contiene numerosi mondi musicali) in particolare dei grandi maestri che hanno fatto di questo linguaggio quasi una “religione”.

Dario Fornara, autore di due bei dischi (“Amore e Psiche” del 2009 e “Sequeri” del 2013), è fine chitarrista e compositore (anche giornalista viste le sue collaborazioni con la rivista “Chitarra Acustica” ed il suo raffinato fingerpicking lo pone ai vertici di questo stile per la sua costante ricerca della melodia perfetta senza mai eccedere in sterili virtuosismi, ed è questo ultimo aspetto che lo apprezzare così tanto dai cultori della chitarra acustica. A Caldiero, e sono consapevole di scrivere una frase “obsoleta”, Dario Fornara presentarà il suo “ultimo 45 giri”, naturalmente in vinile, con i suoi due brani inediti come da copione: “Portata dal vento“, che dà il titolo al disco, e “Momenti di te“.

Naturalmente sarà della partita anche Giovanni Ferro con il suo repertorio composto da riletture di brani della canzone d’autore – con la seconda chitarra di Francesco Bonsavier in occasione delle riproposta di “Cara” di Lucio Dalla – opportunamente arrangiati in modo originale ed efficace dallo stesso chitarrista veronese oltre a brani che faranno parte del lungamente atteso secondo CD.

L’appuntamento è quindi per sabato 27 agosto alle ore 21 con ingresso gratuito come di consueto per questa manifestazione; in caso di malaugurato maltempo “Chitarre per Sognare” si terrà presso il Teatro Comunale di Caldiero.

ROSWELL RUDD · DUCK BAKER “Live”

ROSWELL RUDD · DUCK BAKER “Live”

ROSWELL RUDD · DUCK BAKER “Live”

DOT TIME RECORDS. CD, 2021

di alessandro nobis

Nell’ampio (molto ampio) repertorio di Duck Baker gli spiriti benevoli di Herbie Nichols e Thelonious Monk aleggiano spesso, quando poi ci si mette di mezzo anche un pezzo da novanta come il trombonista americano Ruswell Rudd la qualità della musica è assicurata; questo “Live” pubblicato qualche mese or sono dalla Dot Time testimonia due incontri tra i due musicisti, quello a New York del 5 gennaio 2002 e quello di Albuquerque del 28 marzo 2004. Magari chi segue il Baker solista che affronta la musica di derivazione tradizionale americana conosce poco la figura di Roswell Rudd, straordinario trombonista ed etnomusicologo – ha lavorato anche con Alan Lomax – purtroppo scomparso nel 2017 e sempre in prima linea nel jazz d’avanguardia godendo della compagnia tra gli altri di Steve Lacy (un altro monkiano DOC), Pharoah Sanders o Archie Shepp.

The Happenings” che apre il disco – e della quale Baker ne ha incisa una versione solistica in “The Spinning Song” – è una eccitante versione di un blues  del pianista di Manhattan e “Well, You Needn’t” e “Bemsha Swing” sono naturalmente due brani monkiani dove l’esposizione degli inconfondibili temi sono solo un “pretesto” per dialogare e improvvisare e i due assoli nel primo brano sono davvero significativi. Mi ha colpito anche la rilettura di “Buddy Bolder’s Blues” (una rielaborazione di “Funky Butt” dello stesso Bolden), composto dal cornettista Charles B. B. (1877 · 1931) che pur non avendo registrato nulla, diede un’impronta decisiva alla nascita del jazz grazie alle sue improvvisazioni all’interno del gruppo di ragtime nel quale militava, e benissimo hanno fatto Rudd e Baker a inserire nel programma questo brano, a conferma della ricerca etnomusicologica che entrambi hanno svolto. Segnalo infine “A Boquet for JJ“, eseguita in solo da Roswell Rudd, che sembra essere – ne sono “quasi certo” – un omaggio al leggendario Jay Jay Johnson, un altro pilastro del jazz dagli anni cinquanta, riferimento assoluto per chi si dedica a questo strumento.

Certo che l’abbinamento chitarra acustica e trombone, del tutto inedito, sembra un po’ forzato ma basta ascoltare i brani citati per comprendere che se ci sono la tecnica, la conoscenza del repertorio e la comune voglia di dialogare nel reciproco rispetto – che sono poi le architravi dell’improvvisazione spontanea – il risultato è magnifico.

http://www.dottimerecords.com

ANTONIO FUSCO QUINTET “Peaceful Soul”

ANTONIO FUSCO QUINTET “Peaceful Soul”

ANTONIO FUSCO QUINTET “Peaceful Soul”

DA VINCI JAZZ RECORDS. CD, 2022

di alessandro nobis

Ho apprezzato il drumming di Antonio Fusco ascoltando “Gershwin on Air” del contrabbassista Massimilano Rolff (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/11/23/massimiliano-rolff-gershwin-on-air/) ed ora ho avuto il piacere di ascoltare questo “Peaceful Soul” in cui svolge il ruolo di band leader e compositore considerato che sei degli otto brani registrati portano la sua firma. E nonostante le sue frequentazioni ed interessi verso le avanguardie sceglie di allestire un quintetto assieme al contrabbassista Satoshi Tokuda, al pianista Yuki Hirate, al trombettista Noah Lynn Hocker ed al sassofonista Yasuhiro Kohama scrivendo spartiti all’interno del fiume mainstream. Giusto per circoscrivere l’ambientazione, vista la formazione ed ascoltata la musica siamo nell’ambito dei quintetti che hanno reso celebri etichette come la Blue Note nell’ormai lontano passato e se devo dare un riferimento meno antico, al quintetto degli anni ottanta di Tony Williams, ovvero jazz ben scritto e dai temi molto cantabili, ottimamente suonato in grado di ricostruire molto bene lo spirito di quella musica rinnovandola con nuovi brani. Anche perchè le due composizioni che il quintetto interpreta brillantemente sono di due “pericolosi” giganti come Duke Ellington (“Take the Coltrane“) e Theloniuos Monk (“Evidence“) riletti, ricomposti ma mai calligrafici. L’interplay è senz’altro all’altezza della situazione, i cinque sono musicisti molto preparati e gli spartiti di Fusco sono suonati con grande verve e passione: “Around Milan” che apre questo “Peaceful Soul” è un waltz che sembra scritta appositamente per mettere in evidenza il tocco di Yuki Hirate che la introduce lungamente prima del tema esposto dai due fiati, “Together” è un’altra bellissima ballad aperta dal batterista che pur essendo il titolare del disco accompagna sempre con grande misura i suoi compagni di viaggio senza mai sovrapporvisi (si concede pochi ma misurati soli come nel brano ellingtoniano ed in “18th Floor“), e bello qui il dialogo tra sassofono e tromba come ancora una volta efficace il pianismo di Hirate.

Insomma mi è piaciuto questo moderno “post – bop” se così lo vogliamo chiamare e fa sempre piacere rilevare la qualità del jazz italiano, anche se qui dovremmo parlare di “internazionale”; il problema comunque rimane quello, ovvero che nei programmi dei grandi festival jazz del nostro strano Paese lo spazio per il jazz italiano è sempre limitato ai soliti nomi.

www.antonio-fusco.com

NORMAN BLAKE “The Rising Fawn String Ensemble”

NORMAN BLAKE “The Rising Fawn String Ensemble”

NORMAN BLAKE “The Rising Fawn String Ensemble”

Rounder Records. LP, 1981

di alessandro nobis

Pubblicato nel 1981, questo è il primo ellepì dove appare il nome “The Rising Fawn String Ensemble“. È il primo embrione di quella che diventerà una formazione a cinque che l’anno seguente pubblicherà “Original Underground Music from the Mysterious South” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/01/06/the-rising-fawn-string-ensemble-original-underground-music-from-the-mysterious-south/) tant’è che il disco, attribuito al solo Norman Blake, presenta in copertina il trio dove il chitarrista non si trova al centro del trio: forse un indizio criptato del futuro progetto?

Il livello di questo lavoro è a mio avviso davvero notevole sia per la scelta del repertorio che per la bellezza e le scelte strumentali negli arrangiamenti favoriti dal fatto che i tre sono polistrumentisti, e la terza traccia sul secondo lato mi pare emblematica di quanto detto: il medley di tre brani, il primo di origine scozzese dalle isole Shetland scritto da Tom Anderson (“Da Sockit Light“), il secondo è una fiddle tune scritta da Buddy Thomas dal Kentucky (“Briarpicket Brown“) ed infine “Stony Fork” del violinista Ellis Hall del West Virginia e lo stesso dicasi per l’originale slow air di Nancy Blake “The Promise“; Blake e James Ryan al violino e Nancy Blake al violoncello ne danno un’ambientazione personale, colta e cameristica che si ascolta anche nella rilettura di una ballad  (“Old Ties“) che il banjosta Uncle Dave Macon registrò quasi cento anni or sono, qui cantata e suonata da Blake con la chitarra accompagnato da violino e violoncello.

Da ultimo tengo in particolare citare per il suo arrangiamento un brano scritto per due mandolini e violino da Norman Blake, “Jeff Davis“, dedicato al Presidente Confederato Jefferson Davis e nato nell’omonimo pub di Lexington, nel Kentucky. Disco bellissimo.

MOVING HEARTS “Moving Hearts”

MOVING HEARTS “Moving Hearts”

MOVING HEARTS “Moving Hearts”

WEA Records. LP, 1981

di alessandro nobis

Per gli appassionati di musica irlandese questo primo ellepì dei Moving Hearts fu una sorta di pugno nello stomaco: vedere Donal Lunny, Dave Spillane e Christy Moore “contaminare” la loro purissima cultura tradizionale con musicisti di ambito rock fece un certo effetto. Per chi invece aveva già conosciuto queste “contaminazioni” nel decennio precedente come quelle provenienti dalla vicina Inghilterra fu una grandissima sorpresa, erano due idiomi che si fondevano alla perfezione dando origine ad uno straordinario nuovo mondo musicale inedito per l’Irlanda che sfruttava tutta l’energia portata non solo dai tre “tradizionalisti” citati sopra ma anche da Noel Eccles, Eoghan O’Neill, Declan Sinnott (gran chitarrista anche acustico che in seguito accompagnerà Moore in numerosi tour), Keith Donald e Brian Calman.

Non è difficile trovare le tracce della tradizione irlandese soprattutto grazie alle pipes di Spillane o della migliore canzone d’autore, ma soprattutto leggendo la scaletta ed i testi è facile comprendere il contenuto fortemente politico che i Moving Hearts hanno voluto dare a questo disco: la travolgente “Hiroshima Nagasaki Russian Roulette” scritta dal songwriter americano Jim Page ci narra naturalmente dell’olocausto nucleare ed ha dei magnifici break di Spillane (il primo piper a decontestualizzare le uilleann dal contesto tradizionale) e Sinnott, le pipes sono protagonista dello strumentale “McBrides“, composizione di Lunny e Sinnott dedicata alla figura dell’attivista pacifista Sean McBride, la splendida rilettura cantata da Christy Moore della “Before the Deluge” di Jackson Browne dell’attivismo ecologista, “Irish Ways and Irish Laws” è un brano di notevole impatto scritto da John Gibbs che ricorda come prima dell’arrivo dei Vichinghi – i primi ad arrivarvi nel 795 – l’Irlanda fosse una terra “libera” con la propria vita e le proprie leggi.

Da segnalare inoltre una rilettura di “Faithful Departed” di Philip Chevron dei Pogues, è la storia d’Irlanda rappresentata dall’emigrazione oltreoceano, dalla disoccupazione e dal secolare conflitto nelle contee dell’Ulster.

Questo disco eponimo degli Hearts rappresenta una sorta di disco “perfetto” dove l’equilibrio del suono tra rock, folk ed anche in qualche misura jazz (i break di Keith Donald) e la forza dei testi è a mio avviso perfetto; uno dei dischi dai quali non mi separerei mai.

SERENA SPEDICATO “Io che amo solo te: le voci di Genova”

SERENA SPEDICATO “Io che amo solo te: le voci di Genova”

SERENA SPEDICATO “Io che amo solo te: le voci di Genova”

DODICILUNE RECORDS. CD + libro 20 x 20 cm,, 2022

di alessandro nobis

Per chi come me ha una conoscenza epidermica della canzone d’autore italiana ed in particolare della cosiddetta “scuola genovese”, questo recentissimo album di Serena Spedicato mi sembra il punto iniziale perfetto per approfondirne la conoscenza; per chi invece ha seguito da sempre e segue ancora oggi il gruppo degli straordinari poeti e musicisti che ne fanno parte, questo cd rappresenta un modo diverso di affrontare allo stesso tempo le diversità, le poetiche e le musiche che hanno portato quei musicisti ad essere ancora celebrati dopo mezzo secolo godendone di una prospettiva filtrata dagli autori del progetto.

Io che amo solo te: le voci di Genova” è un recital, come si diceva un tempo, un esempio di “teatro canzone” dove si narra di Luigi Tenco, Fabrizio De André, Ivano Fossati, Gino Paoli, Sergio Endrigo, Umberto Bindi e Bruno Lauzi, dove si ascoltano le loro canzoni e dove si ascoltano le parole di Osvaldo Piliego dalla voce narrante di Serena Spedicato con gli arrangiamenti curati dal fisarmonicista Vince Abbracciante che assieme al chitarrista Nando Di Modugno e il contrabbassista Giorgio Vendola hanno curato la parte musicale.

Il disco si ascolta tutto d’un fiato, il narrato è in perfetto equilibrio con il cantato e la scelta degli autori e dei brani mi pare molto indovinata: i brani sono autentici “standards” della canzone d’autore italiana ed il loro valore musicale risalta ancor più perchè si adattano ad ambientazioni musicali diverse.

Del resto la capacità di Serena Spedicato di raccontare sè stessa affrontando repertori inaspettati (vedi l’ottimo lavoro sulle composizioni di Sylvian – https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/10/11/serena-spedicato-nicola-andrioli-the-shining-of-things/ -) è ben nota e la bravura e duttilità di Vince Abbracciante (appena pubblicato “Opera!” con Paola Arnesano) si completano in modo efficace come sono convincenti i ruoli di Vendola e Di Modugno. “Io che amo solo te” con l’intro di chitarra e contrabbasso sono una toccante rilettura del brano di Sergio Endrigo, “Il nostro concerto” di Umberto Bindi, la rilettura con tempo più andante di “Un giorno dopo l’altro” di Tenco ed infine la conclusione con il narrato che precede una essenziale versione di “Anime Salve” sono solamente i quattro brani che segnalo, quattro brani di un disco davvero ben riuscito, un omaggio alla scuola genovese, omaggio delicato, di rara raffinatezza e quel che più conta, davvero originale.

Il cd è accompagnato da un volumetto che oltre a riportare i testi di Piliego, ospita le fotografie di Marina Damato e Maurizio Bizzocchetti.

http://www.dodicilune.it