DAVE VAN RONK “Live at Sir George Williams University 1967”

DAVE VAN RONK “Live at Sir George Williams University 1967”

DAVE VAN RONK “Live at Sir George Williams University 1967”

Justin Time Records. LP, 2018

di Alessandro Nobis

Il più recente Record Store Day, quello per intenderci del 21 aprile, ha visto per lo più la pubblicazione o meglio la ri-pubblicazione di singoli, EP e album oramai fuori catalogo da decenni tradendo un po’ quello spirito secondo il quale in queste occasioni andrebbero pubblicate registrazioni inedite in studio o dal vivo che mai hanno lasciato gli archivi delle case discografiche; incomprensibilmente spesso le ristampe vengono realizzate cambiando misteriosamente anche le copertine originali con altre che danno l’impressione di avere a che fare con dei bootleg, soprattutto quando il materiale è stampato su supporto vinilico per la prima volta.

Un “caso” – di un altro ve ne parlerò in altra occasione – è questo di “Live at Sir George Williams University 1967” del folksinger “urbano” Dave Van Ronk, figura cardine del movimento folk americano al quale venne dedicato dai fratelli Coen il bellissimo film “Inside Llewyn Davis”; questo concerto venne pubblicato nel 1987 – con copertina diversa – ed in questa versione in ellepì è stata aggiunta una versione rimissata di “Statesboro Blues” di Blind Willie McTell che chiude la seconda facciata.

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La copertina del CD del 1987 nella serie “Collector’s Classics”

Di sicuro chi quella sera era presente, parlo della sera del 27 gennaio nell’auditorio della Sir George Williams University di Toronto, difficilmente   scorderà i due set visto che nel primo si esibiva Reverend Gary Davis e nel secondo il Sindaco di McDougall Street, Dave Van Ronk appunto, con il suo repertorio fatto di blues, di ballads, di classe e di personalità grazie alla sua voce graffiante, alla sua gran tecnica alla chitarra ed alla buona dose di sarcasmo condito da ironia sferzante.

Un disco che fa il paio con “Hear me howl” registrato tre anni prima (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2015/12/27/dave-van-ronk-hear-me-howl/) e che non può mancare nella discoteca di un appassionato del cantautorato newyorkese di quegli anni, vicino a quelli di Eric Von Schmidt, di Ramblin’ Jack Elliott o di Richard & Mimi Farina. “Gambler’s Blues”, “Cocaine”, “Frankie and Albert” o “Song of the Wandering Angus” sono alcuni dei pilastri sui quali si fonda – e reggono ancora bene – il movimento del folk cantautorale americano.

Da avere, anche se, da collezionista, quella inspiegabile copertina grida vendetta ……..

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SEBASTIAN PIOVESAN “Travelling Notes”

SEBASTIAN PIOVESAN “Travelling Notes”

SEBASTIAN PIOVESAN “Travelling Notes”

Dodicilune Records. CD, 2018

di Alessandro Nobis

Il taccuino da viaggio su cui scrivere impressioni, descrizioni, disegnare schizzi o ricordare particolari spesso sfuggenti alla memoria si trasforma spesso poi in una fonte difficilmente esauribile per scrivere racconti, dipingere quadri o, come nel caso del bassista Sebastian Piovesan, per comporre della musica che contenga richiami ai paesaggi visti o alle esperienze vissute. Ecco, questo raccontano in sostanza le sette tracce di questo bel “Travelling Notes” pubblicato recentissimamente dall’attivissima Dodicilune Records; racconti di viaggio scritti dallo stesso Piovesan e da lui sapientemente arrangiati per una line-up “classica” per la musica afroamericana, ovvero il quintetto, del quale fanno parte anche il trombettista Francesco Ivone, il sassofonista Giorgio Giacobbi, il pianista Francesco De Luisa ed la batterista Camilla Collet. Beninteso, qui non troverete l’avanguardia più spinta della musica afroamericana o le sperimentazioni improvvisative di stampo europeo, siamo nel pieno del più puro maistream: suono pulitissimo ed equilibrato, bei dialoghi tra strumenti, arrangiamenti efficaci che ben illustrano le “fotografie” scattate ed immortalate sul pentagramma da Piovesan. C’è “Funky Feeling” con una lunga intro di basso elettrico e con una bella sequenza di assoli tra i quali voglio citare quello di Camilla Collet – anche perché, nei dischi in studio, i soli di batteria sono cosa rara -, il bel tema delle ballad “Whillip” e della struggente “Näeme Jälle” – forse un ricordo del freddo Nord.

Queste “Note di Viaggio”, queste “Travelling Notes” sono a mio parere un altro bell’esempio del jazz italiano che mai come in questi anni sta evidenziando talenti di ottima levatura grazie ad etichette che promuovono il jazz di casa nostra, artisti che, come ho già scritto, vorremmo tutti vedere sui palchi dei più significativi festival, meglio se quelli che si dedicano alla promozione “jazz”, quello vero beninteso.

PROGETTO “SECONDO”

PROGETTO “SECONDO”

PROGETTO “SECONDO”

Autoproduzione, Distribuzione EGEA. CD, 2018

di Alessandro Nobis

Il bello di avere il piacere di far parte della giuria del Premio di Loano è anche quello di vedersi arrivare un bel giorno via e-mail le tracce di un disco che non conosci e scoprire un poco alla volta una delle cose più interessanti ascoltate negli ultimi tempi.

“Secondo” è la storia di una missione impossibile (“quasi” impossibile) intrapresa da sette “signori” musicisti di grande duttilità e preparazione (Claudio Zappi l’ideatore del progetto, arrangiatore e clarinettista, Alessandro Petrillo arrangiatore e chitarrista, Milko Merloni al contrabbasso, Gianluca Nanni alla batteria, Enrico Guerzoni al violoncello, Luisa Cottifogli alla voce ai quali va aggiunto il fisarmonicista Simone Zanchini), ovvero quella di voler far uscire la musica da ballo popolare dalla sua autoreferenzialità e schematizzazione, caratteristiche queste tipiche a mio modesto parere appunto dei repertori funzionali alla danza. Il “quid” sono gli spartiti scritti da Secondo Casadei (1906 – 1971) che a partire dagli anni Venti segnò l’epoca del folklore romagnolo, nella fattispecie il ballo liscio, che qui sono quasi “sventrati” e ricomposti da un combo di musicisti provenienti da diverse esperienze che grazie agli splendidi arrangiamenti regalano una inaspettata quanto nuovissima livrea a classici del genere come “Romagna Mia” o “Vandemiadora”; una nuova vita che non ti aspetti perché gli arrangiamenti lasciano solo intuire le “coordinate” dei brani di Casadei, e le tracce delle melodie e degli inserti con i ritmi originali sono amalgamati con il jazz più intelligente, con un interplay di livello davvero alto, “blocchi” improvvisativi che ti fanno saltare sulla sedia facendoti uscire dalla dimensione del folk ed entrare in quella del jazz più attuale. Non credo affatto di esagerare nell’entusiasmo, ma andate ad ascoltare il duetto di apertura voce – clarinetto di “Spigadora” o le architetture del brano di apertura “la Mazurka di Periferia” dove il clarinetto detta il ritmo e la voce ricorda la melodia originale su di tappeto di elettronica per poi trasformarsi in una ballad jazzistica con incroci “prog”.

Tessute le lodi incondizionate, c’è da augurarsi che l’Egea che cura la distribuzione di questo CD lo promuova a dovere come merita, e che quelli che si occupano della direzione artistica dei migliori festival soprattutto jazz abbiano la possibilità di ascoltare “Secondo” e di mettere nel cartellone il settetto.

Ripeto, musica magnifica, intrigante e …. sorprendente.

claudio zappi: clazappi@gmail.com, +39 333 2928772
alessandro petrillo: alessandrotnt@hotmail.com, +39 333 3002245

JIMI HENDRIX “Both Sides of the Sky”

JIMI HENDRIX “Both Sides of the Sky”

JIMI HENDRIX “Both Sides of the Sky”

SONY LEGACY RECORDS. LP, CD, 2018

di Alessandro Nobis

A parte “Are You Experienced?”, “Axis: Bold as Love” ed “Electric Ladyland”, alcune memorabili registrazioni live (Woodstock, Isle of Wight, Monterey) ed aggiungo io le BBC sessions, dalla morte di Hendrix sono state pubblicati in modo più o meno ufficiale numerosi album, cofanetti e cd, non tutti di pari valore artistico e soprattutto di livello sempre inferiore ai tre album “ufficiali” che ho citato in apertura.

Si dice ogni volta che la famiglia Hendrix e la Sony abbiano “grattato il fondo del barile”, e questo era avvenuto ad esempio con “Valleys of Neptune” pubblicato nel 2010 che conteneva brani registrati in studio in gran parte nel ’69 e che avrebbero dovuto – il condizionale è d’obbligo – far parte di un quarto album. Chissà. Qualche mese fa la Antahkarana Record ha dato alle stampe un vinile contenente parte dei concerti de “New York Pop Festival” e di un concerto all’Isola di Randall del 17 luglio del ’70, quindi il suddetto barile contiene, sul fondo, ancora qualcosa.

Detto questo va anche precisato subito che anche questo “Both Sides of the Sky”, che presenta registrazioni in studio tra il maggio ’68 ed il settembre del ’70, non contiene niente di assolutamente memorabile o irrinunciabile, pur tuttavia trattandosi del chitarrista di Seattle vi sono al suo interno alcune chicche interessanti e anche pregevoli: due brani con Steve Stills all’Hammond (“$ 20 Dollars Fine” dello stesso Stills e “Woodstock” di Joni Mitchell con Hendrix al basso elettrico), uno (“Things I used to do” di Eddie Jones) con il texano Johnny Winter, uno slow blues con il cantante sassofonista Lonnie Youngblood ed una bella versione di Mannish Boy di Muddy Waters, eseguita con un tempo diverso dall’originale che apre il disco.

Fra un paio di anni sarà il cinquantesimo della dipartita di Hendrix, e non oso immaginare che cosa stiano preparando alla Sony ………….. magari tutta la session con Stills, visto e considerato che Hendrix suonò uno strepitoso assolo in “Old Times Good Times”, un brano del suo disco di esordio.

 

MORA & BRONSKI “50 / 50”

MORA & BRONSKI “50 / 50”

MORA & BRONSKI “50 / 50”

A – Z BLUES RECORDS, CD, 2018

di Alessandro Nobis

Avevo già tessuto lodi piuttosto incondizionate del loro secondo lavoro, specificatamente dei brani originali scritti, arrangiati e suonati da Fabio Mora (a.k.a. “Mora”) ed il suo pard Fabio Ferraboschi (a.k.a. “ Bronski”) (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/05/11/mora-bronski-2/) ed ora che da qualche giorno ascolto e riascolto questo loro terzo lavoro “50 / 50” noto con gran soddisfazione che il percorso prosegue nella direzione intrapresa approfondendo in modo ancor maggiore lo sforzo compositivo (qui ci sono ben otto brani di composizione) ed ospitando “cammei” di “signori” musicisti come Aldo Zenzeni, Max Lazzarini e Stephanie Ghizzoni, Lorenz Zadro, Deborah Kooperman, Fabrizio Poggi e Pietro Marcotti. La ballad “Appuntamento al buio”, la conclusiva “Vudumanti”, “Anarcos” con la slide di Bronski e “Carezze all’Ossigeno” sono i quattro brani che vi voglio segnalare, tra gli originali, con testi in italiano e “americana”, un abbinamento difficile, guardato spesso con sospetto ma non impossibile come dimostrano ancora una volta i due protagonisti di questo ottimo “50 / 50”.MORA-BRONSKI-50-50-e1522407971395.jpg

Mora & Bronski non sono certo strumentisti alle prime armi, qui sfoderano tutto la loro tecnica, la loro esperienza e la loro intelligenza nel “rivestire” brani che fanno parte del patrimonio della musica americana (“Keep it to yourself” o “The Fat Man” tra gli altri) ma anche “Non Potho Reposare”, ormai uno standard della musica sarda che diventa una ballata di confine, con arrangiamenti sempre indovinati e rispettosi della storia e dei musicisti che li hanno composti; occhio ragazzi che Woody Guthrie, Doris Leon Menard, Sonny Boy, Robert Lee Burnside e Fats Domino vi tengono d’occhio.

Fino a qui, loro mi hanno sussurrato, tutto bene. Avanti così.

NELLO MALLARDO “La Bellezza dell’Essenziale”

NELLO MALLARDO “La Bellezza dell’Essenziale”

NELLO MALLARDO “La Bellezza dell’Essenziale”

DODICILUNE RECORDS, Ed396, CD, 2018

di Alessandro Nobis

Nove brani per raccontare sé stesso, nove scritture per pianoforte solo nel segna della cosiddetta “third stream”, la corrente che lega attraverso il linguaggio classico del Novecento alla musica afromericana. Alcuni dei musicisti che fanno parte di questa corrente arrivano dal jazz, altri dalla più pura tradizione del classicismo novecentesco; come Nello Mallardo che confeziona per la Dodicilune Records questo bel lavoro il cui titolo è paradigmatico al suo contenuto, “La Bellezza dell’Essenziale” nel quale ha saputo brillantemente mediare tra la straordinaria musica di Claude Debussy e le sue esperienze “altre” descrivendo le proprie emozioni e sentimenti.music-4

Mallardo ha alle spalle una solidissima preparazione classica che gli consente tra l’altro di coprire l’incarico di pianista del prestigioso corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli, ma ha evidentemente anche un’apertura culturale di ampio respiro che si rende evidente già al primo ascolto di “La Bellezza dell’Essenziale”; la sua è una musica lontana anni luce da quella fastidiosa autoreferenzialità che talvolta permea i lavori per pianoforte solo ma che invece si rivela essere ricca di sfaccettature che emergono sempre più da successivi ascolti.

Ecco, “Dreaming in Autumn”, “Ostinato”, “Rensie” e “Restless” sono mio modesto parere le quattro tracce più emblematiche, quelle che ci consegnano altrettante nitide istantanee del percorso stilistico del pianista napoletano.

Un altro gran bel disco targato Dodicilune che si dimostra sempre più una fucina ed una vetrina del jazz nostrano. Vecchi leoni vicini a nuovi talentuosissimi musicisti, come Aniello Mallardo Chianese appunto.

 

LUISA COTTIFOGLI “Come un albero d’inverno”

LUISA COTTIFOGLI “Come un albero d’inverno”

LUISA COTTIFOGLI “Come un albero d’inverno”

VISAGE RECORDS, CD, 2017

di Alessandro Nobis

“Come un albero d’inverno” celebra la bellezza, l’austerità, la cultura popolare e la grandiosità della “montagna”; lo fa partendo da spazi dalle coordinate conosciute per poi allargare il percorso a montagne immaginarie con una raffinatezza e delicatezza che oggi sono merce rara. Suoni naturali, suoni naturali elaborati e suoni elettronici combinati in modo così equilibrati rendono questo lavoro di Luisa Cottifogli di rara bellezza e preziosità; c’è un modo di trattare la tradizione rispettoso ed innovativo, come la resa di “Monte Canino” con l’arrangiamento ripreso da quello della Società degli Alpinisti Tridentini od il frammento di yodel che apre il disco, il canto romagnolo “Uselivè” (testo tradizionale, musica originale) che ci parla dei vicini Appennini o infine l’intreccio vocale maschile femminile di “Valcamonica”.

Il gran lavoro fatto in studio trova a mio avviso tutto il suo risalto – e qui va citato il chitarrista Gabriele Bombardini il cui lavoro permea tutto il lavoro – nelle composizioni originali che più delle altre liberano la creatività nella scrittura, nelle armonizzazioni e nella ricerca dei suoni, e voglio qui citare l’introspettiva “Il Giardiniere”, “Permafrost” mosaico vocale che affianca tonalità occidentali a quelle del canto nativo americano e la conclusiva “I say goodbye”, scritta dal Bombardini ed arrangiata dalla Cottifogli.

Una solida preparazione lirica, quella di Luisa Cottifogli, nella quale ha saputo innestare culture “altre” etniche e contemporanee, con curiosità differenziate che le hanno permesso di collaborare con artisti di mondi paralleli come quello jazzistico e contemporaneo. Alla fine, dico io, questo “Come un albero d’inverno” è un po’ il risultato di tutto questo, un  gran bel disco che spero abbia grazie alla Materiali Sonori che lo distribuisce la diffusione che merita.

Mi sono giocato uno dei voti per il premio “Città di Loano” per la musica popolare. Ma va bene così.

http://www.visagemusic.it

www.luisacottifogli.com

 

 

DALLA PICCIONAIA: CHITARRE PER SOGNARE, BRUSCO RISVEGLIO

DALLA PICCIONAIA: CHITARRE PER SOGNARE, BRUSCO RISVEGLIO

DALLA PICCIONAIA: CHITARRE PER SOGNARE, BRUSCO RISVEGLIO

di Alessandro Nobis

Il 2017 si era chiuso con l’inopinata chiusura della Rassegna “InLessinia” che raccoglieva l’eredità di “Luci e Suoni in Lessinia” ideata e diretta da Alessandro Anderloni e portata avanti con notevole successo; un successo che evidentemente non era bastato visto che i mancati finanziamenti da enti pubblici e privati non eran stati rinnovati, o almeno questo è quando mi è dato sapere. Chiusura annunciata con un laconico comunicato stampa e da un articolo su L’Arena di Verona, assolutamente insufficiente nell’indagare cause e motivazioni della fine di una rassegna che portava migliaia di persone alla scoperta della nostra montagna veronese. Ce ne siamo fatti una ragione.

Premessa dolorosa ma doverosa per dire che anche questo 2018 rischia fortemente – per usare un eufemismo – di vedere la sparizione di un’altra rassegna sul territorio della nostra provincia, organizzata nello spazio di una giornata, con un budget a disposizione risibile ma che in undici anni aveva portato con grandi sforzi nel più suggestivo angolo di Colognola ai Colli i più significativi nomi del chitarrismo acustico italiano, e non solo.

Sto parlando di “Chitarre per Sognare” e sto parlando di Giovanni Ferro, valente chitarrista, ideatore e direttore artistico della rassegna nonchè Presidente dell’Associazione Culturale ZONACUSTICA, che d’improvviso con il cambio dell’Amministrazione del centro dell’est veronese si è trovato con il cerino (acceso) in mano non avendo ricevuto a tutt’oggi alcuna risposta in merito rispetto ad un finanziamento davvero minimale; una risposta circostanziata che ritengo gli debba essere dovuta viste le energie ed il tempo che Ferro ha messo gratuitamente al servizio della comunità di Colognola e non a questo o quell’altro colore politico dei suoi amministratori. E’ ahimè una risposta che probabilmente a questo punto non gli verrà mai data, ed è un peccato che l’Amministrazione non abbia dato un segnale di continuità ad una serata che comunque portava nel piccolo anfiteatro di Villa Fano a Colognola ai Colli una ventata culturale dando la possibilità ai residenti di apprezzare dell’ottima musica ed anche richiamando dalla città appassionati della sei corde.

Duck Baker, Alex Gillan,  Peo Alfonsi, Dado Barbieri, Roberto Taufic, Rolando Biscuola, Karlijn Langendijk, Val Bonetti Goran Kuzminac e lo stesso Giovanni Ferro sono stati alcuni tra le decine dei protagonisti che hanno ci deliziato con le loro musiche negli undici anni di vita di “Chitarre per Sognare”, e Ferro a mio avviso ha a questo punto ha solo due opzioni, chiedere “asilo culturale” in altro comune – e le belle locations non mancano in quella zona dell’est veronese – o posizionare una bella e grossa pietra su questa rassegna. Naturalmente votiamo tutti per la prima ipotesi.

Altrimenti, ce ne faremo una ragione. Un’altra volta.