TEO EDERLE 4 · 5et “Fishes”

TEO EDERLE 4 · 5et “Fishes”

TEO EDERLE 4 · 5et “Fishes”

Flying Robert Music. CD, 2023

di alessandro nobis

Teo Ederle è un polistrumentista (e anche abile “manipolatore di suoni”) molto apprezzato con una lunga carriera alle spalle · ha iniziato praticamente da bambino con il flauto e la chitarra · durante la quale ha preso parte a interessanti progetti tra i quali voglio citare “The Bang” (con Roberto Zorzi, Bobby Previte, Tim Berne, Percy Jones, Herb Robertson e Mark Feldman), il trio “Blue Neptune” con Tiziano Zattera e Stefano Menato, i “Garlic” con Terragnoli ed il percussionista Sbibu, e ancora gli “Art·Erios” (Con Nicola Salerno e Fabio Basile): oltre a ciò è stato, e lo ancora, attento e curioso ascoltatore degli sviluppi che la musica “rock” in tutte le sue sfaccettature ha avuto negli ultimi decenni.

Fishes“, pubblicato dall’etichetta di Nelide Bandello fotografa lo “status quo”, del percorso musicale del polistrumentista veronese visto che tra i suoi solchi si nascondono molti degli elementi essenziali che a mio avviso hanno costituito il punto di partenza per la composizione delle sette tracce del disco alla registrazione delle quali hanno contribuito Enrico Terragnoli alla chitarra, Stefano Menato al sax, Davide Veronese alla tromba e Nelide Bandello alla batteria.

E, giusto per fare qualche esempio tra i brani del CD che più ho apprezzato, “Manta Matilde” è una delicata ballad dedicata alla madre (“A Dugongo Called Arnold” che apre il disco è invece tutta per il papà poeta Arnaldo) ed è introdotta dal basso e dal clarinetto di Menato, “Dennis the Sand Hopper” · in quintetto, aperta dal drumming di Bandello · è una significativa dedica all’attore americano che comprende una lunga sezione totalmente libera, “Octopus Full Moon Dance” introdotta dalle pulsazioni del basso di Ederle è un ritmo di danza orientaleggiante (forse di ispirazione Otto · Mana per stare al gioco di parole del titolo …..) che al suo interno ha gli assolo del sax di Menato e della chitarra di Terragnoli.

Infine voglio citare la pur breve ma interessante “One Minute Plancton“, sul versante “ambient · improvvisato” con la tromba sordinata di Davide Veronese: che queste sonorità presumano il tema del prossimo lavoro di Teo Ederle? Lo aspettiamo al varco ….. intanto godiamoci questo “Fishes”.

Il CD si può acquistare presso il negozio Dischi Volanti in Via Fama a Verona mentre dall’8 giugno potrà essere scaricato da BandCamp sulla pagina di Flying Robert Music.

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SERGIO ARMAROLI “Vibraphone solo in four part(s)”

SERGIO ARMAROLI “Vibraphone solo in four part(s)”

SERGIO ARMAROLI “Vibraphone solo in four part(s)”

Dodicilune Records. CD ED536, 2023

di alessandro nobis

“Introspezione”. È la prima parola alla quale ho pensato appena finito di ascoltare questo disco in “solo” del vibrafonista Sergio Armaroli registrato nel 2022 e pubblicato dalla Dodicilune, un musicista il cui interesse si muove attorno al jazz, alla musica contemporanea, alla sperimentazione ed alla creazione istantanea come testimonia la sua discografia delle sue più recenti frequentazioni: dalle composizioni di Monk alle collaborazioni con Schiaffini, Curran, Prati e Centazzo per citarne alcune.

Questo “Vibraphone solo in four part(s)” come si evince facilmente dal titolo è un percorso di ricerca in completa solitudine che Armaroli ha compiuto con il suo strumento, un viaggio in quattro tappe che attraversa il quotidiano non solo nei suoni più reconditi del vibrafono ma anche dentro sè stesso, introspettivo appunto.

La costruzione delle quattro tracce è una creazione spontanea e il poter riascoltare il processo di concretizzazione delle idee dà l’esatta percezione non solo della tecnica e della conoscenza delle potenzialità del vibrafono ma anche della visione musicale “solistica” che Sergio Armaroli ha pensato lasciando a sè stesso la più totale libertà mentale e quindi creativa. Dal vivo sarà tutto diverso, come si conviene ………..

Non è certo uno dei dischi più facili da ascoltare prodotti dall’etichetta pugliese · tra le più attive ed attente al panorama jazz e dintorni italiano · , non ci sono melodie da seguire o assoli da apprezzare, ma per questo di certo è uno dei più interessanti perchè consente di apprezzare uno strumento e la musica che ne scaturisce in tutta la sua purezza e bellezza.

Di Sergio Armaroli ne avevo parlato anche qui:

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/01/27/armaroli-%c2%b7-schiaffini-4tet-monkish-round-about-thelonious/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/03/14/schiaffini-%c2%b7-armaroli-deconstructing-monk-in-africa/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2020/06/03/centazzo-%c2%b7-schiaffini-%c2%b7-armaroli-trigonos/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/10/17/walter-prati-sergio-armaroli-close-your-eyes-oper-your-mind/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/03/24/schiaffini-prati-gemmo-armaroli-luc-ferrari-exercises-dimprovisation/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/12/23/sergio-armaroli-5et-with-billy-lester-to-play-standards-amnesia/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/12/01/curran-schiaffini-c-neto-armaroli-from-the-alvin-curran-fakebook-the-biella-sessions/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/05/29/sergio-armaroli-fritz-hauser-structuring-the-silence/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/08/26/sergio-armaroli-trio-with-giancarlo-schiaffini-micro-and-more-exercises/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/03/21/sergio-armaroli-axis-quartet-vacancy-in-the-park/)

THE BOTHY BAND “Old Hag You Have Killed Me”

THE BOTHY BAND “Old Hag You Have Killed Me”

THE BOTHY BAND “Old Hag You Have Killed Me”

Mulligan Records. LP, 1976

di alessandro nobis

Dopo l’eccellente album eponimo pubblicato nel 1975 (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2020/05/14/suoni-riemersi-the-bothy-band-bothy-band/)

il sestetto irlandese The Bothy Band · in realtà un vero e proprio supergruppo vista la qualità dei musicisti · si reca in uno studio nel tranquillo Galles per registrare questo altrettanto splendido secondo album avvalendosi di Paddy Keenan (uilleann pipes, tin whistle), Matt Molloy (flauto, tin whistle), Kevin Burke (violino), Tríona Ní Dhomhnaill (voce, clavinet, harmonium), Mícheál Ó Domhnaill (voce, chitarra) e il fondatore Donal Lunny (voce, bouzouki, chitarra, bodhrán). Il repertorio come si conviene è quello dei temi a danze, dei canti narrativi, delle ballate e in questo ellepì spiccano su tutte “Fionnghuala“, cantato a cappella nello stile “Puirt a Beaul”, costruito attorno al suono delle parole piuttosto che al loro significato e veniva cantato soprattutto dalle classi lavoratrici meno abbienti, quasi un incitamento al lavoro insomma un “work song”. Tra i canti narrativi segnalo “The Maid of Coolmore“, splendido arrangiamento con la voce di Tríona ed il controcanto del violino di Kevin Burke di un canto di emigrazione presente in raccolte come quella di Roud (# 2493) o Henry (#H687) e “Tiochfaidh An Samhradh (Summer Will Come)“, antica canzone d’amore che Mícheál Ó Domhnaill imparò dalla zia Neili nella sua terra natale, il Donegal. Magnificamente eseguiti, ed arrangiati, i set di danze come i tre jig “Old Hag You Have Killed Me / Dinny Delaney’s / Morrisson’s” introdotti dall’harpsichord e dalle uilleann pipes di Keenan; in particolare il primo che dà il titolo all’album è piuttosto conosciuto, Willie Clancy, Eliot Grosso, Robbie Hannan ed il chitarrista americano Dan Crary ne hanno inciso versioni significative. Da ultimi voglio menzionare il jig di Leo Rowsome ed il set di 4 reels che apre il disco con magnifici interventi di Matt Molloy e Kevin Burke.

Sfortunatamente la band · che possiamo definire uno dei migliori ensemble del folk revival di matrice celtica · dopo aver registrato “Out of the Wind Into the Sun” nel 1978 si scioglierà l’anno seguente lasciando un album dal vivo  (“After Hours“) ed un CD di registrazioni effettuate dalla BBC pubblicato nel 1994.

After the excellent eponymous album released in 1975 (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2020/05/14/suoni-riemersi-the-bothy-band-bothy-band/)

the Irish sextet The Bothy Band · actually a real supergroup considering the quality of the musicians · goes to a studio in quiet Wales to record this equally splendid second album using Paddy Keenan (uilleann pipes, tin whistle), Matt Molloy ( flute, tin whistle), Kevin Burke (violin), Tríona Ní Dhomhnaill (vocals, clavinet, harmonium), Mícheál Ó Domhnaill (vocals, guitar) and founder Donal Lunny (vocals, bouzouki, guitar, bodhrán). The appropriate repertoire is that of dance themes, narrative songs, ballads and in this LP “Fionnghuala” stands out above all, sung a cappella in the “Puirt a Beaul” style, built around the sound of the words rather than their meaning and was sung above all by the less well-off working classes, almost an incitement to work, in short, a “work song”. Among the narrative songs I point out “The Maid of Coolmore”, a splendid arrangement with the voice of Tríona and the countermelody of Kevin Burke’s violin of an emigration song present in collections such as that of Roud (# 2493) or Henry (#H687) and “Tiochfaidh An Samhradh (Summer Will Come)”, an ancient love song that Mícheál Ó Domhnaill learned from his aunt Neili in his homeland of Donegal. Beautifully performed and arranged dance sets such as the three jigs “Old Hag You Have Killed Me / Dinny Delaney’s / Morrisson’s” introduced by the harpsichord and Keenan’s uilleann pipes; in particular the first that gives the album its title is quite well known, Willie Clancy, Eliot Grosso, Robbie Hannan and the American guitarist Dan Crary have recorded significant versions of it. Finally I want to mention the jig by Leo Rowsome and the set of 4 reels that opens the disc with magnificent interventions by Matt Molloy and Kevin Burke.

Unfortunately the band · that we can define as one of the best Celtic folk revival ensembles · after recording “Out of the Wind Into the Sun” in 1978 will dissolve the following year leaving a live album (“After Hours”) and a CD of recordings made by the BBC released in 1994.

DALLA PICCIONAIA: BANDELLO · BEARZATTI · DIENI · MELLA · SAVOLDELLI · ZORZI

DALLA PICCIONAIA: BANDELLO · BEARZATTI · DIENI · MELLA · SAVOLDELLI · ZORZI

DALLA PICCIONAIA: BANDELLO · BEARZATTI · DIENI · MELLA · SAVOLDELLI · ZORZI

“Villafranca di Verona, Esotericproaudio Theater, 31 marzo 2023”

di alessandro nobis

Grazie a Mirko Marogna, titolare dell’Esotericproaudio Theater di Villafranca · a pochi chilometri da Verona · esiste un’altra “tana” (l’altra è il Paratodos, ma in città) per coloro che praticano suonare o amano ascoltare, o entrambe le cose, la musica così chiamata in modo generico di “avanguardia”. A Villafranca ho avuto la fortuna di assistere il 31 marzo ad un concerto di un sestetto di musicisti · esploratori dal grande valore e disponibilità a sperimentare costruito dalla fertile mente del chitarrista Roberto Zorzi: con lui Nelide Bandello alla batteria, Francesco Bearzatti al sax tenore e clarinetto, Pino Dieni al daxofono, Aldo Mella al contrabbasso e Boris Salvoldelli alla voce. Tema della serata l’improvvisazione musicale ripetibile nella forma ma irripetibile nella sostanza che si sviluppa da un’idea iniziale e che può portare ovunque, in questo caso anche al jazz più vicino al maistream, allo spiritual di “Down to the river to pray” ed alla canzone italiana naturalmente rivista e corretta. L’amalgama tra i diversi linguaggi è stato straordinario, la musica creata con tale fluidità che alla fine pure io mi sono chiesto se effettivamente i sei avevano provato o concordato alcuni passaggi perchè dal set di chitarra di apertura alle splendide reinterpretazioni istantanee di Savoldelli di “Parlami d’amore Mariù“, “‘O Sole Mio” e “Non ti fidar (di un bacio a mezzanotte)” che hanno chiuso il concerto mi è parso perfetto, senza cadute di tono, con i musicisti che hanno saputo calibrare i loro interventi e che hanno saputo anche momentaneamente farsi da parte per osservare l’evoluzione della musica e rientrare al momento più opportuno senza alterare il pathos dell’improvvisazione.

Come dicevo, ben progettata e realizzata anche la successione delle presenze sul palco dei sei compagni viaggio, ad iniziare dal set di Roberto Zorzi al quale poi si sono aggiunti Pino Dieni e Borsi Savoldelli mentre per la seconda parte il sestetto si è completato con Aldo Mella, Francesco Bearzatti e Nelide Bandello mantenendo sempre come dicevo una grande fluidità nel suono e nella creazione musicale ed attirando l’attenzione del pubblico che ha seguito “l’evolversi della situazione”.

Tornando a casa in auto mi sono convintamente detto che questo materiale dovrebbe essere pubblicato senza tanti tentennamenti o anche minime post·produzioni:  ripeto, serata straordinaria e al solito chi è rimasto a casa ha avuto torto ancora una volta …

SUCCEDE A VERONA “RITIRO NAZIONALE DI CANTO ARMONICO”

SUCCEDE A VERONA “RITIRO NAZIONALE DI CANTO ARMONICO”

SUCCEDE A VERONA

Associazione Culturale Alterjinga

“Ritiro Nazionale di Canto Armonico, Nona Edizione”

Verona, 5 · 6 · 7 maggio 2023

Circolo Nuovanalisi

di alessandro nobis

E con questa sono ben nove le edizioni di questo “Ritiro Nazionale di Canto Armonico, Nona Edizione” promosso dall’Associazione Culturale Alterjinga; si terrà a Verona nelle giornate del 5, 6 e 7 maggio prossimo presso l’attivo Circolo Culturale Nuovanalisi nel quartiere di Santa Lucia in Via Ghetto 14, a dieci minuti dall’uscita autostradale A4 di Verona Sud.

Tre giorni di lezioni teorico-pratiche sul Canto Armonico accompagnati da docenti come Giorgio Pinardi, Giorgio Lombardi e Paolo Avanzo che seguiranno passo dopo passo i partecipanti, siano essi principianti assoluti o praticanti già esperti. Al ritiro vi potranno partecipare solamente 16 persone, e questo per una precisa scelta legata alla didattica; le iscrizioni andranno presentate entro e non oltre il 28 aprile al seguente indirizzo mail: associazione.alterjinga@gmail.com

Ma che cosa è il “Canto Armonico”? E’ un canto difonico, antichissimo e diffuso in molte delle tradizioni musicali come quella del canto a tenores sardo (“I Tenores di Bitti”, per fare un esempio) fino al sub continente indiano e in quei percorsi che guardano più alla musica improvvisata e alle avanguardie che dà, per semplificare il discorso, la possibilità di emettere più note contemporaneamente.


Riporto il programma come è stato diffuso attraverso il Comunicato Stampa della benemerita Associazione Culturale Alterjinga, promotrice come detto del seminario:


· VENERDÌ 05 MAGGIO · 10:30 – 18:00
“Introduzione al Canto degli Armonici”

Giorgio Pinardi pratica da vent’anni il Canto Armonico, in parallelo ad un percorso trasversale sulla Voce che gli ha permesso di approfondire la tecnica vocale in ambito moderno, tecniche vocali estese in campo Sperimentale, l’Improvvisazione e pratiche vocali provenienti da culture diverse da tutto il Mondo, con esperienze artistiche e didattiche in Italia e all’estero attraverso corsi stabili, seminari, workshop, partecipazione a diversi Festival. In particolare sul Canto Armonico da diversi anni ha attiva una sperimentazione in collaborazione con foniatri e esperti di rilevanza nazionale, nelle sue connessioni la Voce cantata e parlata. Al Ritiro tratterà la materia dal punto di vista storiografico e teorico, per poi introdurre il proprio approccio personale alla parte tecnica, alla musicalità e agli obiettivi artistico-didattici della pratica. Sia il principiante che il praticante esperto troveranno molti stimoli per avvicinare o migliorare la pratica, unitamente a contenuti esclusivi rispetto ad altri seminari sul tema.

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2022/09/16/giorgio-pinardi-%c2%b7-mevsmyself-aion/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2020/01/28/giorgio-pinardi-mevsmyself-mictlan/)

· SABATO 06 MAGGIO · 10:30 – 18:00
“La Pratica degli Armonici: approfondimenti e applicazioni”

Giorgio Lombardi pratica da oltre trent’anni Canto Armonico, ha al suo attivo numerose pubblicazioni (articoli su riviste specializzate e libri) sul tema, è esperto di Yoga diplomato nel primo corso di formazione della Federazione Italiana Yoga, con la tesi “Mantra Yoga per l’Occidente”. Dagli anni Novanta ha perfezionato l’uso del suono attraverso diverse pratiche tra cui Canto degli Armonici, Nâda-yoga, Mantra e Bija, Liuqi- Jue (I 6 Suoni del Tao), Canto gregoriano e bizantino. Tiene conferenze, corsi e seminari sulle diverse materie citate, oltre a concerti da solo e/o con gruppi vocali in Italia e all’estero che hanno portato a pubblicazione di diversi album di musica inedita. Al Ritiro si occuperà di sviscerare la parte esperienziale, l’ear-training, il lavoro su respiro e vocali, ma anche il contesto armonico della pratica, per compiere insieme un passo avanti nella consapevolezza individuale e collettiva sugli Armonici, relazionata a forme musicali e vocali diverse.

· DOMENICA 07 MAGGIO · 10:30 – 18:00
“L’Esperienza degli Armonici: il Suono Profondo”

Paolo Avanzo è diplomato in presso il Conservatorio Pedrollo di Vicenza in Culture Musicali extraeuropee/indirizzo indologico, in Nada Yoga ed in Nadabrahma Music Therapy System con il prof. Vemu Mukunda. Tiene conferenze su Biofonia e workshop , sullo Yoga del Suono, la Biofonia e concerti di musica classica indiana, di meditazione e di ricerca. Allievo di Hatha Yoga, Canto è allievo di Pandit Shivnath Mishra in Sitar: ha studiato in passato anche con Pandit Ravi Shankar e con Buddhadytya Mukerjee. Al Ritiro porterà la sua grande esperienza nel Suono a 360°, con approfondimenti sulle connessioni del Canto Armonico con la Musica Indiana ed altre pratiche sonore.

informazioni: https://www.facebook.com/events/2877507325714557/?ref=newsfeed

ROBERT WYATT “Radio Experiment · Rome, February 1981”

ROBERT WYATT “Radio Experiment · Rome, February 1981”

ROBERT WYATT “Radio Experiment · Rome, February 1981”

RAI Trade Records. CD, 2009

di alessandro nobis

C’era una volta “Mamma Rai”. C’era una volta un programma radio che andava sul Terzo Canale che si chiamava “Un Certo Discorso” ideato da Pasquale Santoli che andò in onda per cinque giorni la settimana dal 8 novembre 1976 al 1 gennaio 1988. Era un programma di “attualità culturale” così lo definirei e il suo responsabile, Santoli appunto, diede un’imprenta editoriale con produzioni originali nel campo dello spettacolo, dell’intrattenimento, del giornalismo d’inchiesta e nel campo musicale.

Viene così invitato a partecipare la trasmissione una delle menti più lucide del panorama jazz più vicino al rock dell’ultimo mezzo secolo, una delle figure più seguite ed apprezzate dagli appassionati che dai tempi dei Wilde Flowers (correva l’anno 1964) e dei primi Soft Machine ha saputo pensare ad un nuovo percorso musicale: Robert Ellidge (a.k.a. Robert Wyatt) autore, sperimentatore, compositore, cantante e batterista.

Wyatt si trattiene a Roma dal 16 al 20 febbraio del 1961 e nella sala M del Centro di Produzione Radio, il 19 dà vita a queste registrazioni incidendo su un multitraccia pista dopo pista le sue idee: non gli viene chiesto di suonare i suoi brani storici ma gli viene lasciata la più totale libertà per documentare il suo processo creativo, il musicista inglese accetta e ringrazia per avere questa rara possibilità tanto più che viene data da un organismo governativo, la R.A.I. appunto. Ciò che si percepisce è la sintonia tra lo stesso Wyatt e gli autori radiofonici e, ribadisco, l’assoluta libertà lasciata di concretizzare ed espandere le idee senza un “fine discografico”.

Un processo creativo che si realizza con un pianoforte, tastiere, oggetti vari, scacciapensieri, percussioni e naturalmente con la sua voce e il suo genio con una libertà assoluta citando ad esempio il Charlie Parker di “Billie’s Bounce“; è questo cd uno dei più interessanti episodi della discografia di Wyatt anche perchè si avvicina di molto all’universo più sperimentale della musica europea, ovvero quello che pratica la creazione musicale spontanea ed irripetibile.

Once upon a time “Mamma Rai”. Once upon a time there was a radio program that went on the Third Channel called “Un Certo Discorso” created by Pasquale Santoli which went on air for five days a week from 8 November 1976 to 1 January 1988. It was a program of “cultural current affairs This is how I would define it and its manager, Santoli, gave an editorial imprint with original productions in the field of entertainment, investigative journalism and in the music field.

Thus one of the most lucid minds of the jazz panorama closest to rock of the last half century is invited to participate in the broadcast, one of the most followed and appreciated figures by enthusiasts who since the days of the Wilde Flowers (it was the year 1964) and the first Soft Machine has been able to think of a new musical path: Robert Ellidge (a.k.a. Robert Wyatt) author, experimenter, composer, singer and drummer.

Wyatt stays in Rome from 16 to 20 February 1961 and in room M of the Radio Production Center, on the 19th he gives life to these recordings by recording his ideas on a multitrack track after track: he is not asked to play his historical pieces but the most complete freedom is left to him to document his creative process, the English musician accepts and thanks for having this rare possibility especially since it is given by a government body, the R.A.I. precisely. What is perceived is the harmony between Wyatt himself and the radio authors and, I repeat, the absolute freedom left to materialize and expand ideas without a “recording purpose”.

Wyatt tells Michael King in ‘Wrong Movements: A Robert Wyatt History’, SAF Publishing 1994: “If they really want to see how I work before I know what I’m doing, then that’s what they’re going to get and if during that week something comes out of it, then it will do, but if it doesn’t then that will be more honest.  I deliberately went in there and improvised what I was doing as well as how I did it. The point wasn’t to have a finished result that could be listened to, the point was to see a process. It’s only in retrospect that I can see that bits of some of them have some kind of coherence“.

A creative process that takes place with a piano, keyboards, various objects, harps, percussions and of course with his voice and his genius with absolute freedom quoting for example the Charlie Parker of "Billie's Bounce"; this CD is one of the most interesting episodes of Wyatt's discography also because it is very close to the more experimental universe of European music, that is the one that practices spontaneous and unrepeatable musical creation.
1Opium War7:14
2Heathens Have No Souls7:12
3L’albero Degli Zoccoli8:28
4Holy War3:35
5Revolution Without “R”3:24
6Billie’s Bounce1:30
7Born Again Cretin2:35
8Prove Sparse10:10

BRUNOD · GALLO · BARBIERO “Gulliver”

BRUNOD · GALLO · BARBIERO “Gulliver”

BRUNOD · GALLO · BARBIERO “Gulliver”

Jando Music Records. CD, 2023

di alessandro nobis

Questo recente “Gulliver” è la seconda collaborazione in studio tra il batterista Massimo Barbiero, il contrabbassista Danilo Gallo e il chitarrista Maurizio Brunod dopo “Extrema Ratio” pubblicato nel 2015; sono due lavori diversi nella loro costruzione, e se il primo contiene undici composizioni originali oltre ad un brano di Chris Speed e uno di Charlie Haden questo secondo è una raccolta di riletture di brani legati alla tradizione popolare oltre a tre originali. In effetti non mi aspettavo questo viaggio nelle tradizioni, è cosa tutto sommato rara per i musicisti che gravitano in ambito jazzistico, e pertanto è stata una piacevolissima sorpresa ascoltarlo in quanto alcuni dei brani presenti li conosco bene visto il mio interesse verso la cultura popolare; pertanto il mio punto di vista sarà senz’altro diverso da quelli che abitualmente ascoltano jazz e dai critici musicali che operano in questo ambito.

Onestamente la parola “rilettura” non è sufficiente per definire alla perfezione il lavoro dei tre musicisti che si inseriscono con grande rispetto ed intelligenza nella tradizione modificandone non tanto il suo DNA ma trasportandola in un mondo musicale diverso da quello che l’ha originata; è interessante come la secolare musica popolare possa essere fatta rivivere dall’interno mantenendo le linee melodiche ma dialogando utilizzando l’idioma jazzistico.

Intendo fare tre esempi di ambito “europeo” per cercare di accendere l’interesse all’ascolto di questo ottimo disco anche dei cultori della musica tradzionale: la traccia numero due, “Scarborough Fair“, è la melodia di un canto narrativo inglese la cui origine risale al Settecento, pubblicato in due raccolte importanti, quella di Sir Francis Child · numero 2 · e la raccolta Roud · numero 12 ·, “Maria Giuana“, la melodia di una ballata raccolta da Costantino Nigra  · numero 87· e pubblicata nel 1888 in “Canti popolari del Piemonte” e presente anche in Provenza e infine “La Carpinese“, tarantella pugliese che trova origine nel XVII secolo qui trasformata in una ballad rallentandone in modo significativo il tempo di esecuzione. Trovo gli arrangiamenti molto interessanti, di grande equilibrio come di grande equilibrio è l’interplay tra i musicisti tra il rispetto delle melodie e l’improvvisazione che poi è il sale della musica afroamericana. “Ethiopian Song“, che apre il disco, è una melodia ovviamente di origine africana dove l’ostinato di contrabbasso (si dice così, vero?) si interseca con le percussioni e la chitarra di Brunod che a tratti si affianca al contrabbasso di Danilo Gallo creando un’ambientazione originale ed efficace, il brano ideale per aprire “Gulliver“. Da ultimo voglio citare “Cerchi Reine” accreditato a Massimo Barbiero e ispirato da una melodia nordica, norvegese in particolare, aperto dalle percussioni con la melodia esposta dalle sempre puntuale ed efficace chitarra di Brunod.

A mio modesto parere “Gulliver” è uno dei più affascinanti tra i lavori di Barbiero che ho ascoltato (la sua discografia conta oltre cinquanta titoli): aspettiamoci nel prossimi mesi un suo lavoro solistico, uno con Enter Eller e un terzo con il pianista Emanuele Sartoris e la violinista Eloisa Manera ……. buon ascolto.

http://www.massimobarbiero.com

COLOSSEUM “Daughter of Time”

COLOSSEUM “Daughter of Time”

COLOSSEUM “Daughter of Time”

Vertigo Records. LP, 1970

di alessandro nobis

Durante le registrazioni per “Daughter of Time” i Colosseum di John Hiseman definiscono quella che sarà la line – up del loro celeberrimo “Live” ovvero oltre al batterista Chris Farlowe, Dick Heckstall·Smith, Clem Clempson, Mark Clarke e Dave Greenslade. E’ a mio avviso l’album più complesso tra quelli registrati dal gruppo inglese, vuoi per l’alternarsi di diversi musicisti vuoi anche per gli arrangiamenti scelti per alcuni brani. In quattro di questi il basso è affidato a Louis Cennamo (che suonò anche nei primi due dischi dei Reinassance), una presenza breve la sua visto oltre a partecipare a queste session suonò con i Colosseum anche al Festival di Bath nel luglio del ’70 al quale parteciparono, davanti a 400.00 spettatori. anche i Led Zeppelin per fare un nome. Cennamo sostituì Tony Reeves ma alla fine Hiseman & C. fecero entrare nella band il giovanissimo Mark Clarke; due i brani che come accennavo vanno oltre il “Colosseum Sound” ovvero la ballad “Time Lament” e quello eponimo, presentano gli arrangiamenti di Neil Ardley vicini a certo rock sinfonico non inusuale per quegli anni, che prevedono la presenza di una sezione archi e di una di fiati della quale fanno parte oltre a Heckstall·Smith il trombettista Harry Beckett e la sassofonista Barbara Thompson.

Tra gli altri brani segnalo la magnifica composizione di Jack Bruce “Theme from Imaginary Western” (eseguita a Woodstock dai Mountain di Leslie West) e “Downhill and Shadows” slow blues scritto da Clempson, Hiseman e Tony Reeves con una introduzione del sax e una notevolissima performance vocale di Chris Farlowe. L’ellepì si conclude con “The Time Machine” con un lungo solo “d’altri tempi” di batteria mentre nella versione compact disc pubblicata dalla Sanctuary Records nel 2004 è presente anche l’energio rock blues di “Jumpin’ Off The Sun” risalente al 1971 con Chris Farlowe alla voce.

During the recordings for “Daughter of Time” John Hiseman’s Colosseum define what will be the line – up of their famous “Live” or in addition to drummer Chris Farlowe, Dick Heckstall Smith, Clem Clempson, Mark Clarke and Dave Greenslade. In my opinion, it is the most complex album among those recorded by the English group, both for the alternation of different musicians and also for the arrangements chosen for some songs. In four of these the bass is entrusted to Louis Cennamo (who also played on the first two Renaissance albums), a short presence seen in addition to participating in these sessions he also played with the Colosseum at the Bath Festival in July ’70 at the which they participated, in front of 400.00 spectators. even Led Zeppelin to name a few. Cennamo replaced Tony Reeves but in the end Hiseman & C. brought the very young Mark Clarke into the band; two songs which, as I mentioned, go beyond the “Colosseum Sound” or the ballad “Time Lament” and the eponymous one, present the arrangements by Neil Ardley close to a certain symphonic rock not unusual for those years, which include the presence of a string section and of a wind ensemble which includes not only Heckstall·Smith but also trumpeter Harry Beckett and saxophonist Barbara Thompson.

Among the other pieces I point out the magnificent composition by Jack Bruce “Theme from Imaginary Western” (performed in Woodstock by Leslie West’s Mountain) and “Downhill and Shadows” slow blues written by Clempson, Hiseman and Tony Reeves with a sax introduction and a remarkable vocal performance by Chris Farlowe. The LP ends with “The Time Machine” with a long “old time” drum solo while the compact disc version released by Sanctuary Records in 2004 also features the bluesy rock energy of “Jumpin’ Off The Sun” dating back to 1971 with Chris Farlowe on vocals.

NORMAN BLAKE · TONY RICE “Blake & Rice”

NORMAN BLAKE · TONY RICE “Blake & Rice”

NORMAN BLAKE · TONY RICE “Blake & Rice”

Rounder Records. LP, 1987

di alessandro nobis

Norman Blake e Tony Rice (1951 · 2020) sono due musicisti dallo straordinario talento, non solo per la tecnica superlativa e per le loro voci ma anche · e personalmente soprattutto · per l’immenso senso della misura e la cura negli arrangiamenti e nella scelta del repertorio. E, aggiungo, quando due musicisti di questo calibro incidono qualcosa, ci si aspetta dei numeri acrobatici: tutt’altro, qui la musica scorre gaudente, intima e personale, un incontro tra amici che per una volta suonano davanti ad un microfono. La loro collaborazione discografica proseguirà con l’incisione del compact “2” nel 1990 ma, va detto, quella delle esibizioni duo durerà almeno per una decina di anni.

Iniziamo dal finale, ovvero dalla ciliegina sulla torta, il brano che chiude la prima facciata ovvero una sontuosa interpretazione di uno delle composizioni più significativi di Norman Blake, “The Last Train from Poor Valley“, ballad sull’abbandono forzato della terra natìa causato dalla chiusura delle miniere, qui cantato da Tony Rice. Anche la scelta di interpretare “I’m not Sayin’” uno dei più bei brani del songwriter canadese Gordon Lightfoot (presente sia sul disco d’esordio del ’66 che nell’antologia “Gord’s Gold” dove fu registrato nuovamente in un medley con “Ribbon on Darkness” la dice lunga sull’accuratezza nella scelta del repertorio e lo stesso si può dire degli arrangiamenti di brani di alcuni “super · eroi” del bluegrass come i Delmore Brothers (“Gonna Lay Down my Old Guitar“) o di Charlie (“New River Train“) e Bill Monroe (“Monroe’s Hornpipe“). Le radici, quelle più antiche, le trovi in un vecchio brano del songwriter scozzese Archie Fisher “The Shipyard Apprentice” che racconta la dura vita dei lavoratori dei cantieri navali di Glasgow.

Questo “Blake & Rice” racchiude tutto ciò, è uno dei dischi che se suoni la chitarra acustica · qualsiasi genere pratichi · non puoi esimerti dall’ascoltare e se sei come chi scrive un semplice ascoltatore non puoi non essere deliziato dalla musica che esce dai solchi del vinile.

Norman Blake and Tony Rice (1951 · 2020) are two musicians of extraordinary talent, not only for their superlative technique and for their voices but also · and personally above all · for the immense sense of measure and the care in the arrangements and in the choice of the repertoire. And, I add, when two musicians of this caliber record something, acrobatic numbers are expected: far from it, here the music flows pleasure-loving, intimate and personal, a meeting between friends who for once play in front of a microphone. Their recording collaboration will continue with the recording of the compact “2” in 1990 but, it must be said, that of the duo performances will continue for at least ten years.

Let’s start from the finale, or from the icing on the cake, the song that closes the first side or a sumptuous interpretation of one of Norman Blake’s most significant compositions, “The Last Train from Poor Valley”, a ballad on the forced abandonment of the native land caused by closure of the mines, here sung by Tony Rice. Even the choice to interpret “I’m not Sayin'” one of the most beautiful songs by the Canadian songwriter Gordon Lightfoot (present both on the debut album of ’66 and in the anthology “Gord’s Gold” where it was re-recorded in a medley with “Ribbon on Darkness” speaks volumes about the accuracy in the choice of repertoire and the same can be said of the arrangements of songs by some bluegrass “super heroes” like the Delmore Brothers (“Gonna Lay Down my Old Guitar”) or by Charlie (“New River Train”) and Bill Monroe (“Monroe’s Hornpipe”).The roots, the oldest ones, can be found in an old song by the Scottish songwriter Archie Fisher “The Shipyard Apprentice” which tells the hard life of shipyard workers naval ships of Glasgow.

This “Blake & Rice” encompasses all of this, it is one of the albums that if you play acoustic guitar · any genre you practice · you cannot fail to listen and if you are like this writer a simple listener you cannot fail to be delighted by the music that comes out of vinyl grooves.

ALTSCHUL · BRAXTON · COREA · HOLLAND “Circle · Paris Concert”

ALTSCHUL · BRAXTON · COREA · HOLLAND “Circle · Paris Concert”

ALTSCHUL · BRAXTON · COREA · HOLLAND “Circle · Paris Concert”

ECM Records. 2LP, 1972

di alessandro nobis

Un quartetto che sfortunatamente ebbe breve durata ma che seppe prevedere quale sarebbe stato il linguaggio del jazz più avanzato degli anni seguenti e vista la qualità e l’importanza della musica, “Hats Off” a Manfred Eicher patron dell’E.C.M. che ebbe l’intuizione di registrare quel concerto parigino del 21 febbraio 1971 prodotto dall’O.R.T.F. e tenutosi nell’auditorium della Radio TV francese a mio avviso una delle più significative pubblicazioni dell’etichetta tedesca di sempre. Anthony Braxton (all’epoca dei fatti ventiseienne) alle ance, Chick Corea (trentenne) al pianoforte, Dave Holland (venticinquenne) al contrabbasso e violoncello ed il ventottenne Barry Altschul alla batteria danno la personale quanto rivoluzionaria visione di come rileggere un paio di standard come “Nefertiti” e “There is no Greater Love” per lasciarsi andare poi a magnifiche per intensità improvvisazioni solistiche e ad alcuni duetti memorabili oltre all’esecuzione dell’intricato brano di Braxton “73° Kalvin (Variation – 3” anticipato dal solo di Altschul “Lookout Farm”.

Voglio citare a titolo esemplificativo la prima delle quattro facciate del doppio che si apre con un celeberrimo brano di Wayne Shorter, “Nefertiti” (dall’omonimo LP del Miles Davis Quintet, già “rivista” da Corea in A.R.C., sempre del ’71) e si chiude con un meraviglioso brano in solo di Dave Holland, “Song for the Newborn“. La rilettura di “Nefertiti” declina alla perfezione il progetto “Circle” nel quale il free più spinto ed innovativo diventa complementare alla melodia shorteriana che a tratti emerge dall’improvvisazione ed il solo di Holland si può considerare il manifesto del contrabbasso solista liberato dalla sua convenzionale funzione ritmica e lo stesso si può dire di “Lookout Farm” (sulla seconda facciata) straordinario brano per sola batteria di Altschul che si evolve nella già citata composizione braxtoniana. Infine lasciatemi segnalare un brano storico (1936) di Isham Jones, “(There is) No Greater Love” (anche questo registrato dal quintetto di Miles Davis in “Four And More” del ’64 con George Coleman ma anche da Roberto Gatto e McCoy Tyner tra gli altri) con una esecuzione molto estesa che occupa tutta la quarta facciata di questo fondamentale doppio ellepì: lunga introduzione del pianoforte che accenna al tema e gli assoli si alternano con grande fluidità con un livello di interplay davvero raro. Braxton, Corea, Holland e i breaks di Altschul nell’ordine mostrano come si possa rimanere all’interno del tema originiario di Isham Jones concepito in un’era davvero lontana creando musica di straordinaria bellezza e vitalità. Sono passati cinquant’anni, ma questo live resta lì in tutta la sua freschezza e potenza.

Disco a mio avviso imperdibile per chi voglia conoscere la storia del jazz. Amen.