LIAM ÓG Ó FLOINN “Out To An Other Side”

LIAM ÓG Ó FLOINN “Out To An Other Side”

LIAM ÓG Ó FLOINN “Out To An Other Side”

TARA Records. CD, 1993

di alessandro nobis

L’influenza di Seoda an Ríadaígh (Sean O’Riada 1931 – 1971)sia sulla riscoperta e lo studio della musica popolare irlandese che sulla possibilità di scrivere nuova musica che rimandi alla tradizione è stato davvero enorme, soprattutto se guardiamo la scrittura di lavori orchestrali, ben documentati ad esempio nel cofanetto “The Essential Collection”. Ecco, ascoltare questo bellissimo lavoro di O’Flynn mi riporta a tratti al lavoro di O’Riada per il grande gusto negli arrangiamenti di Shaun Davey e dello stesso piper, e per l’ariosità e l’importanza del materiale tradizionale scelto. O’Flynn ha radunato una vera e propria orchestra della quale fanno parti molti nomi eccellenti del folk, ma non solo del folk, irlandese come Noel Eccles (batterista dei Moving Hearts), Arty McGlynn, Steve Cooney, Nollaig Casey, The Voice Squad e Sean Keane con naturalmente sempre in evidenza le sontuose e cristalline uilleann pipes di Liam O’Flynn. Dico che la lunga versione di “The Fox Chase”, della quale esistono registrazioni di Seamus Ennis e di Leo Rowsome, è davvero emblematica e descrive alla perfezione lo spirito di “Out to an Other Side”, che sviluppa il tema con una magnifica ed ariosa orchestrazione di Shaun Davey che descrive l’inseguimento ad una volpe e la voce solista, le uilleann pipes, che conducono l’ascoltatore ad immaginare l’inseguimento “condotto” dal corno francese di Fergus O’Carroll. E come spesso accade ci sono riferimenti alla storia, come nella magnifica versione a cappella curata da “The Voice Squad” della folk ballad “After Aughrim’s Great Disaster” che narra la sconfitta irlandese ad Aughrim (1691) ad opera degli orangisti condotti da Re William. Qui O’Flynn ha operato una scelta a mio avviso molto intelligente, lasciando campo libero a The Voice Squad e proponendo la struggente melodia a chiusura del disco, (“John O’Dwyer of the Glen”) eseguita dalla cornamusa accompagnata in modo “discreto” dalle tastiere di Rod McVey. Ultima citazione per la slow air “The Winter’s End” composta da Shaun Davey nel ’92 per una rappresentazione teatrale shakesperiana (“A Winter’s tale”) con la brillante parte di chitarra di Arty McGlynn, l’oboe di Matthew Manning e gli archi in puro stile O’Riada.

Qui una biografia di O’Flynn scritta in occasione della sua prematura scomparsa.

English: (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/03/21/looking-down-from-the-gods-liam-og-o-floinn-14-april-1945-14-march-2018/)

Italiano: (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/03/21/dalla-piccionaia-liam-og-o-floinn-1945-14-marzo-2018/)

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DALLA PICCIONAIA  “BALDO IN MUSICA 2021. SECONDA PARTE”

DALLA PICCIONAIA  “BALDO IN MUSICA 2021. SECONDA PARTE”

DALLA PICCIONAIA  “BALDO IN MUSICA 2021. SECONDA PARTE”

1 AGOSTO – 12 settembre

di alessandro nobis

La prima parte di “Baldo in Musica”, progetto abbina la musica di qualità al paesaggio con il patrocinio dell’Unione Montana del Baldo-Garda ed organizzata dall’Associazione Culturale “Baldo Festival” per la consulenza artistica di Marco Pasetto (la rassegna è stata divisa in due in modo fittizio da chi scrive per pura questione di spazio) ha fin qui avuto riscontri positivi del pubblico per la bontà delle scelte, ricercate e di qualità che sono le caratteristiche di questa iniziativa interessante che spero negli anni futuri, liberi dalle restrizioni sanitarie, venga potenziata per valorizzare al meglio le bellezze naturali ed antropiche che l’area del Monte Baldo offre. Racconta Marco Pasetto: “L’anteprima è andata bene, ottimo il concerto nella Chiesa di San Martino di Diane Peter e Anna Pasetto alla località Platano con pubblico davvero numeroso. Il primo concerto, con la Piccola Orchestra Vertical, è stato delizioso con Claudia Bidoli, Enrico Terragnoli, Fabio Basile e Roberto Lancia in gran forma. Il 10 luglio è stata una festa in piazza a Pazzon di Caprino con la GiBier Orchestra”.

Domenica 1 agosto, all’alba (ore 6:30), concerto di chitarra acustica di Giovanni Ferro nel suggestivo scenario della Valle del torrente Tasso, raggiungibile a piedi in una decina di minuti dalla frazione Pazzon, sulla strada che da Caprino Veronese conduce a Spiazzi: Giovanni Ferro è apprezzato strumentista e compositore oltre che “animatore culturale” dell’Associazione ZONACUSTICA (sono quindici anni che propone con successo “Chitarre per Sognare”) che raduna alcuni tra i migliori specialisti dello stile fingerpicking. Purtroppo per il pubblico Giovanni Ferro ha al suo attivo un solo album, “Chitarrista” del 2005 e tre partecipazioni a prestigiose antologie (“34 volte amore” e “Five guitars Clan” del 2009 e “Chateliers Guitars: The Players Collection” del 2018) al quale speriamo presto ne segua un secondo.

La domenica successiva (8 agosto ore 12) si sale a San Zeno di Montagna e ci si immerge nella grande faggeta in località “Ortigara”, a 1450 metri per un concerto del “Piassa Brass Quintet” (Francesco e Luca Perrone alle trombe, Dario Venghi al corno, Alessio Brontesi al trombone e Antionio Belluco alla tuba) con un repertorio varia da temi di celebri colonne sonore e, soprattutto, brani originali.

Il concerto di sabato 28 agosto (ingresso € 10,00) si terrà in orario serale (ore 21) alla villa Nichesola – Rigo a Caprino Veronese con un interessante recital dedicato al grande compositore Lucio Dalla dal titolo “Lettere DALLA Luna”: Marco Pasetto (clarinetti, ocarina, sax soprano), Daniele Rotunno (pianoforte), Francesco Sbibu Sguazzabia (percussioni) e Stephanie Ocean Ghizzoni (voce) hanno arrangiato in modo personale alcune tra le più belle composizioni dell’autore bolognese che ha scritto una pagina fondamentale della canzone d’autore.

La rassegna si conclude domenica 12 settembre alle 16 in uno dei più affascinanti luoghi, è proprio il caso di dirlo, tra il Monte Baldo ed il fiume Adige, appena prima della Chiusa di Ceraino: la Chiesetta medioevale (costruita nel XII e rimaneggiata più volte a partire dal XV) di San Michele al Gaium che probabilmente per la quasi irraggiungibile posizione, è rimasta conservata in un angolo di “paradiso” ma che ha continuamente necessità di restauro conservativo dopo quello del 2010 operato grazie a BALDOfestival, e per questo l’incasso del concerto (ingresso € 10)  andrà a finanziare appunto la continuazione del restauro della chiesetta. Protagonisti del concerto saranno la cantante Claudia Lanzetta, il chitarrista Pasquale palomba ed il clarinettista Marco Pasetto ovvero il Trio Essenziale che a Gaium terranno il loro debutto assoluto: brani originali accanto a riletture – mai scontate – di alcune pagine della grande canzone d’autore. Per raggiungere la chiesetta si attraversa l’Adige a Sega di Cavaion e si imbocca una strada sulla destra seguendo le indicazioni; in caso di avverse condizioni meteo, il concerto si terrà, alla stessa ora, in un affascinante luogo ovvero l’ex Polveriera dell’imponente Forte di Rivoli Veronese (altro luogo da “sfruttare” in futuro?)

Anche per gli ultimi appuntamenti la prenotazione, visti i tempi, è obbligatoria e si effettua su http://www.baldofestival.org

NANCY BLAKE “Grand Junction”

NANCY BLAKE “Grand Junction”

NANCY BLAKE “Grand Junction”

Rounder Records. LP, 1985

di alessandro nobis, kindly translated by Jay Beale

” Grand Junction ” is the only solo album by Nancy “Short” Blake, multi-instrumentalist and composer from Missouri whose artistic and sentimental life took a turn when, in 1972, she opened a Norman Blake concert with her ensemble “Natchez Trace” who had recently embarked on a solo career. Her first instrument was the cello but later she became an excellent mandolinist, violinist, guitarist, accordionist and finally a singer, one of the members of that “Rising Fawn String Ensemble” that has for year delighted the finest palates of the “American “; In fact, the violinist James Bryan (of RFSE) and the banjoist Tom Jackson collaborate in this work, in addition to her husband Norman.

Apart from the song that opens the disc, ” Florida’s Rag ” by the great John Hartford (Nancy on mandolin, Norman on guitar) and ” The Crysanthemum ” by Scott Joplin, you can listen to all original songs obviously respectful of tradition that few as the musicians involved know so thoroughly. Of course the understanding between Blake (s) is perfect, ” In Russia “, The Crysanthemun “(by Joplin) and” Lima Road Jig “are there to confirm it but the arrangements of the pieces in quartet are also truly splendid, such as” Walk along ”and“ Three Ponies ”. Nancy Blake is, as mentioned, a very talented instrumentalist who can also record multiple tracks to record a song (“Year of the Locust ”where he records two tracks with the mandolin and one with the guitar) and at the same time offer a“ solo ”piece for five-string violin as“ Mahnuknuk ”inspired by the homonymous god of banality Eskimo.

I do not think there is a CD version of this unfortunately unique work by Nancy Blake, certainly remains the purity of her music and the passion that transpires from it.

NANCY BLAKE “Grand Junction”

NANCY BLAKE “Grand Junction”

NANCY BLAKE  “Grand Junction”

Rounder Records. LP, 1985

di alessandro nobis

Grand Junction” è l’unico disco solista di Nancy “Short” Blake, polistrumentista e compositrice del Missouri la cui vita artistica e sentimentale ebbe una svolta quando, nel 1972, aprì con il suo ensemble “Natchez Trace” un concerto di Norman Blake che da poco aveva intrapreso una carriera solista. Il suo primo strumento fu il violoncello ma in seguito è diventata un’ottima mandolinista, violinista, chitarrista, fisarmonicista e infine cantante, una dei membri di quel “Rising Fawn String Ensemble” che ha per anno deliziato i più fini palati del genere “americana”; a questo lavoro collaborano infatti alternandosi, oltre al marito Norman, il violinista James Bryan (del RFSE) ed il banjoista Tom Jackson.

A parte il brano che apre il disco, “Florida’s Rag” del grande John Hartford (Nancy al mandolino, Norman alla chitarra) e “The Crysanthemum” di Scott Joplin si ascoltano tutti brani originali ovviamente rispettosi della tradizione che pochi come i musicisti coinvolti conoscono in modo così approfondito. Naturalmente l’intesa tra i Blake(s) è perfetta, “In Russia”, The Crysanthemun” (di Joplin) e “Lima Road Jig” sono lì a confermarlo ma davvero splendidi sono anche gli arrangiamenti dei brani in quartetto come ad esempio “Walk along” e “Three Ponies”. Nancy Blake è come detto strumentista talentuosissima in grado anche di registrare più tracce per registrare un brano (“Year of the Locust” dove registra due tracce con il mandolino ed una con la chitarra) e contemporaneamente offrire un brano in “solo” per violino a cinque corde come “Mahnuknuk” ispirato dall’omonimo dio della banalità Eskimo.

Non credo esista una versione CD di questo purtroppo unico lavoro di Nancy Blake, di certo resta la purezza della sua musica e la passione che da essa traspira.

SUCCEDE A VERONA: OGGI GNOCCHI CON LO “SMALZO PEPATO” SULLA TAVOLA DEI PIÙ TRADIZIONALISTI

SUCCEDE A VERONA: OGGI GNOCCHI CON LO “SMALZO PEPATO” SULLA TAVOLA DEI PIÙ TRADIZIONALISTI

Succede che una domenica ti rechi al mercato dell’antiquariato di Soave e finalmente trovi il volumetto che cercavi da tempo, “Il Carnevale veronese nella tradizione e nella cronaca” di Tullio Lenotti edito da Vita Veronese nel 1950. Succede anche che il precedente proprietario, tale Gianni Montini, avesse inserito nello stesso articoli, appunti, un paio di fotografie ed un ritaglio del giornale “L’Arena di Verona” del 7 febbraio del 1986 scritto da Pierpaolo Brugnoli, giornalista e studioso autore di più di centocinquanta saggi e di un migliaio di articoli riguardanti l’arte e la cultura del territorio veronese. Essendo il tema del’articolo inerente alle ricerche in vista del convegno “Giù la Maschera” che si terrà a settembre, mi è sembrato opportuno trascriverlo e pubblicarlo con il beneplacito del quotidiano veronese.

SUCCEDE A VERONA: OGGI GNOCCHI CON LO “SMALZO PEPATO” SULLA TAVOLA DEI PIÙ TRADIZIONALISTI

 di PierPaolo Brugnoli, “L’Arena di Verona 7 febbraio 1986”. Per gentile concessione.

Un condimento tanto antico che anche molti veronesi l’hanno dimenticato:

Oggi gnocchi con lo «smalzo pepato»sulla tavola dei più tradizionalisti.

Un tempo il tradizionale piatto carnevalesco si serviva con burro («Shmalz» per i cimbri) più pepe e cannella – Altre storiche ricette nell’«Ars macheronica»di Teofilo Folengo

Non scandalizziamoci sempre e comunque. Fra le tante stupidaggini dette sul conto del papà del gnoco, sire del Carnevale veronese, da parte di riviste disinformate ad alta tiratura, una non era poi tale: quella cioè relativa agli conditi con lo smalzo pepato, il quale altro non è che un condimento di burro fuso e pepe. Tornando cosi’ sul tema degli gnocchi, già ampiamente trattato in queste stesse pagine negli anni passati – dobbiamo ripetere che l’attuale versione veronese del caratteristico piatto non era un tempo praticata nemmeno da noi; e senza dissertare sui vari tipi di gnocchi oggi esistenti sotto ogni latitudine, ci si limiterà dunque a dire in che cosa, fino a non molto tempo fa, consistesse lo gnocco veronese e come fosse condito.

Anzitutto lo gnocco nostrano non era di patata, ma di farina di frumento forsanche frammista a pane grattugiato. La patata arriverà assai tardi, ben oltre la sua importazione dal Nuovo Mondo, e in dosi non massicce come le attuali, rappresentando adesso circa l’ottanta-novanta per cento delle componenti dello gnocco.

Così in un poemetto del 1787:

«Composto che sia il gnocco natural

d’acqua pura, e farina, e ben menà

ben cotto; ben bogi con lo so sal

con botter e formàgio ben conzà

Digo che chi disesse, ch’el fa mal,

Se ’l fusse como n’aseno pestà.

Nol me faria peccàm perché el diria

INFRA REROM NATURA na resia».

Anche il condimento di pomodoro era del tutto sconosciuto. Formaggio quello sì, unito a burro; ma anticamente si usavano anche altre ricette.

Lo smalzo – che viene dal tedesco Schmalz con il significato di grasso, di strutto, ma anche di burro – era termine usato non solo nella Lessinia, dove abitavano popolazioni di origine cimbra, ma pure in città. Lo usa, nel suo «Fioretto» anche Francesco Corna da Soncino, nella seconda metà del secolo decimoquinto, quando cosi’ scrive:

«E sono si grande e magna le Lisine

ch’è sopra le montagne veronesi

che con Vicenza e Trento ha sue confine;

e tante bestie li stan per tri mesi,

che de lor caso e smalzo le casine

son piene, tanto si monge in quel paese»

Dove il caso è cacio, cioè il formaggio, e lo smalzo e’ inequivocabilmente il burro, ottenuto appunto dalla mungitura delle mucche.

Condimento dunque di smalzo, cioè di burro. E sta bene. Ma il pepe, come altre spezie, c’era, eccome. Ce lo assicura quel Giulio Cesare Croce, il cantastorie che è padre del Bertoldo e che ha celebrato espressamente anche la festa popolare veronese, in una cantata manoscritta dal titolo Canzone sopra gli gnocchi e la gnoccata (Biblioteca Universitaria di Bologna):

«Su, su tutti alla gnoccata

ognuno corra al calderone,

che l’è fatta con ragione

ed è buona e delicata

viva gli gnocchi e la gnoccata.

Nel butiro e nel formaggio

Specie, pever e canella,

parchè èiaccia alle budella

l’abbiam volta e macinata

viva gli gnocchi e la gnoccata

La gnoccata tra’ la fame e discaccia l’appetito

Ed è un cibo saporito

Che rallegra la brigata …..»

Spezie dunque, pepe e cannella, appartengono con lo smalzo alla migliore e più antica tradizione.

E qui tornerò in acconcio ricordare che lo gnocco è cibo gustato fin dall’età del bronzo, giacchè nient’altro che questo potevano essere la decina di “gnocchetti” o “bocconi” scoperti nello strato I e impastati con farina di cereali macinati in modo grossolano con macine di pietra ……. Di cui scrive il Battaglia riferendoci alla loro occasionale scoperta nel deposito antropozoico della palafitta di Ledro (Trento). Gnocchi ovviamente di farina di un qualche cereale, e non di patate, ripetiamo, che quello dell’uso di tale ingrediente è fatto piuttosto recente. Gnocchi come quelli che tuttora si fanno in alcune malghe lessiniche e già conosciuti, con il termine, più appropriato, di macheroni, donde l’ars macheronica di Teofilo Folengo alias Merlin Cocai.

Dice appunto il Folengo: «ars ista poetica noncupatur ars macaronica e macaronibus derivata qui macarones sunt quoddam pulmentum farina, caseo, botiro compaginatum, grossum, rude e rusticum; ideo macaronices nil nisi grassadinem, ruditatem et vucabulazzos debet in se continere». La denominazione corrente sembra anzi – a detta di Corrain e Zampini essere stata usata per prima nella capitale folkloristica del gnocco, in Verona appunto, dove i giovani, che in numero di 36 insieme con Papà del Gnoco, formano la parte più colorita della festa. Non per niente sono chiamati macaroni.

E di gnochi impeperati c’è un eco a Verona ancora alla metà del secolo scorso in una poesia anonima stampata per il Vénardi gnocolardel 1847 dove, tra l’altro è detto:

«Trovandose cossi qualche putela

De quele che non va smorosinando,

E non badasse gnente a so sorela

Ma staga de la mama al so comando,

E staga sempre in drìo de sbardevela;

Tuti ghe dise, dopo ben pensando:

“Guarda quela putela, che bel toco,

L’è tanto bona che la par un Gnoco”;

Ma de sti gnocgi se ghe ‘n trova rari,

No serve che te diga la rason,

E tuti sti putei dise: “Magari

Ch’l me tocasse e mi quel bon bocon”.

Se t’ì vedessi per sti Gnochi cari

A girari note e di come el moscon,

E po’ inveze d’un Gnoco imbotierà,

I trova un Gnoco tuto impevarà»

ATRIUM MUSICAE DE MADRID “Musique Arabo – Andalouse”

ATRIUM MUSICAE DE MADRID “Musique Arabo – Andalouse”

ATRIUM MUSICAE DE MADRID “Musique Arabo – Andalouse”

Harmonia Mundi. LP, CD, 1977

di alessandro nobis

Si parla e si scrive spesso di “dischi seminali” e non spetta certo a me dire se a proposito o a sproposito; certo è che questo lavoro di Gregorio Paniagua e del da lui diretto e fondato Atrium Musicae de Madrid rientra nella categoria a pieno diritto. Fino al ’77, anno della sua pubblicazione, della musica arabo-andalusa, della sua storia, del suo repertorio e dei suoi suoni ben poco o nulla si conosceva dalle nostre parti. Ebbene, la pubblicazione di questo straordinario ellepì per la prestigiosissima Harmonia Mundi rimane a tutt’oggi una pietra miliare, un seme piantato nei musicofili più curiosi per i quali si è aperto un mondo culturale ricchissimo e non è un caso se nei decenni è stato ristampato numerose volte come compact disc. Si tratta di frammenti delle undici “nube” andaluse arrivate fino a noi – molte altre sono andate perse nei passaggi generazionali orali – conservatesi nel nordafrica occidentale (El Maghrib) da quando dopo il lungo assedio di Granada il 2 gennaio del 1492 il califfato fu costretto a “riparare” dalla Spagna Islamica (Al-Andalus) in quello che oggi è il Marocco. Non ci sono “nube” complete qui, e nemmeno le loro esecuzioni orchestrali: sono esecuzioni davvero minimali, più adatte ad ambienti chiusi e raccolti, al cospetto di un pubblico ridotto, familiare, attento alla musica piuttosto che al contorno.

Come sottolineavo in apertura, questo lavoro deve anche essere considerato un compendio, un’introduzione alla musica arabo-andalusa vista la varietà dei repertori e soprattutto la ricchezza timbrica per la quale va assolutamente sottolineato l’enorme lavoro di ricerca sia tra gli strumenti tradizionali tuttora utilizzati (il rabab, i tamburi a cornice ad esempio) sia tra quelli illustrati nelle splendide miniature delle Cantigas de Santa Maria raccolte nel XIII secolo dal Re Alfonso X “El Sabio” che mostrano armi, strumenti ed abbigliamento di quelle parte di Medioevo. Basta leggere gli strumenti suonati dall’ensemble: kamanjeh, rabab, ‘ud, cetra, zamar, qitar(Gregorio Paniagua), rabab, nay, darabukka, surnay, hella, daff, qanun, tarrija, arghul, mizmar, tar, nuqqeyrat(Eduardo Paniagua), jalali, tar, qanun, nay, santur, tarrenas, cliquettes, qaraqeb, jank, zil, gsbab(Christina Ubeda), rabab, al-urgana, tar, qanun (Pablo Cano), tae jalalil, sinj, bandayr, al-buzuq, castagnettes, qanun, ghaita, bordun (Beatriz Amo), tambur, darabukka, ‘ud, zil, rabab, (Luis Paniagua), rabab, darabukka, tarrija, tar, nay, santur, peihne en bois (Carlos Paniagua), ben  descritti nel libretto che accompagna l’ellepì (ma non il CD)

Come detto, disco fondamentale considerato che ha ispirato numerosi ensemble nei decenni successivi ad affrontare repertori e suoni, il prologo all’enorme e prezioso lavoro che Paniagua (Edoardo) sta facendo con la sua etichetta Pneuma.

SARTORIS · DI BONAVENTURA  “Notturni”

SARTORIS · DI BONAVENTURA  “Notturni”

SARTORIS · DI BONAVENTURA  “Notturni”

Caligola Records. CD, 2021

 di alessandro nobis

Del pianista ·compositore Emanuele Sartoris e delle sue imprese discografiche ho già parlato in passato (vedi i link in calce a questo articolo) e quello che più mi impressionato, al di là della sua sopraffina tecnica pianistica, è la capacità di creare un suono, una musica perennemente in bilico tra classicismo, jazz ed improvvisazione. Forse quest’ultimo aspetto è quello che risalta di più da questa ennesima magnifica incisione per la quale ha coinvolto lo straordinario suonatore di bandoneon Daniele Di Bonaventura, verrebbe da dire “l’uomo giusto al posto giusto” vista la sua capacità di muoversi da linguaggio musicale all’altro trasportando il bandoneon fuori dalla “confort area” del tango argentino; qui a mio avviso le parole che possono dare una chiave di lettura sono tre, ovvero “notturno”, impromptu” e “improvvisazione” che vanno a formare un triangolo al centro del quale si sviluppa questo progetto. I primi due sono in relazione alla stagione classica del Romanticismo; i “Notturni”, parliamo di quelli composti da Chopin ne 1832 due dei quali (il Primo ed il Secondo dell’Opera 9) filtrati da Sartoris e Di Bonaventura aprono e chiudono questo lavoro, sip restano perfettamente all’aggiunta di abbellimenti e di improvvisazioni (uno stilema esecutivo messo in pratica dallo stesso Chopin) mentre “Impromptu” è termine legato a Franz Schubert che al momento della loro composizione (1827) lasciava chiari riferimenti ad “aggiunte” personali degli esecutori dei brani. Il terzo termine, improvvisazione, è in senso moderno legato al alla musica jazz della quale come tutti sanno ne costituisce il cardine. Detto questo – in poche e semplici parole – quello che emerge dall’ascolto, ad esempio de “La Volta CelesteNotturno Op.4 N. 1” composto da Sartoris è la massima cantabilità del tema, il perfetto interplay tra i due musicisti che sembrano specchiarsi uno nell’altro scambiandosi l’esposizione del tema principale, tra l’altro di grande bellezza, creando spontaneamente la musica e facendo sembrare quasi inutile lo spartito. “Notturno d’inverno” è la composizione centrale del disco; è un brano composto da Di Bonaventura dove Emanuele Sartoris offre al bandoneonista un efficacissimo supporto, ritmico oserei dire da neofita. Infine voglio citare “La Fine dei Tempi Op. 4 Nr. 6” dove l’improvvisazione della parte centrale rende alla perfezione il progetto di questo “Notturni”, disco che naturalmente dovrebbe essere ascoltato da chi ama il jazz moderno ma anche e soprattutto dagli appassionati del pianismo classico; questi ultimi troveranno qui una inedita e splendida interpretazione contemporanea delle regole e delle idee dei grandi compositori della prima metà dell’ottocento. Qualcuno storcerà il naso, mi spiace per lui, a qualcun altro gli si spalancherà una finestra su un mondo nuovo.

In conclusione una curiosità: la scaletta segue una certa simmetria, al cento la composizione di Di Bonaventura, agli estremi due riletture di Chopin e in mezzo i sei Notturni di Sartoris. Grande bel disco, i direttori dei festival jazz e classica più arguti ascoltino questo, a mio modesto avviso, capolavoro. 

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2020/08/01/genot-sartoris-totentanz-evocazioni-lisztiane/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2020/04/03/barbiero·manera·sartoris-woland/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/12/14/emanuele-sartoris-i-nuovi-studi/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/10/01/night-dreamers-techne/)

SUONI RIEMERSI: SEAN NUA “The Open Door”

SUONI RIEMERSI: SEAN NUA “The Open Door”

SUONI RIEMERSI: SEAN NUA “The Open Door”

Shanachie Records. CD, 1993

di alessandro nobis

Mi risulta che questo “The Open Door” sia l’unica incisione di questo quartetto irlandese dalla formazione piuttosto atipica visto che comprende due pipers (Joe McHugh e Joe McKenna) accanto all’arpista e vocalist Antoinette McKenna ed al flautista e clarinettista Gerry O’Donnell. Non pensate che la varietà timbrica sia limitata perché i due pipers sono ottimi polistrumentisti ed un notevole contributo lo danno anche il percussionista Mario N’Goma ed il chitarrista Jo Partridge; la musica ha arrangiamenti interessanti ricchi di sfumature sonore, i brani sono tradizionali come si conviene a parte quattro titoli composti dall’arpista e da Joe McKenna come il set “Rapids / Jig of Stops” introdotto dall’arpa e dall’arpeggio di chitarra ai quali per la seconda parte del set si aggrega la brillante cornamusa di McKenna.

Le due uilleann pipes duettano meravigliosamente nel set “Innisheer / The Foggy Dew / Drops of Brandy / The Blasksmith Reel” e nella suite iniziale (“Happy To Meet, Sorry To Part / Cliffs Of Moher / Eaves Dropper”), “Tá Mé ‘Mo Shui” è una ballata tradizionale sull’amore e sul tradimento con la evocativa voce di Antoinette McKenna su di un leggero tappeto elettronico e con un importante ruolo del clarinetto e dell’accordeon, “Clara’s Vale” (un villaggio nella Contea di Wicklow) è una slow air suonata dall’arpa e dal preciso flauto di McKenna con le pipes di McHugh che accompagnano la melodia.

Un progetto, questo dell’ensemble Sean Nua, tra i più interessanti emersi dal panorama irlandese negli anni Novanta ma che ha purtroppo avuto una breve vita; un vero peccato perché i presupposti messi in evidenzia in questo loro unico disco c’erano tutti per imporsi nel frammentato e ricco scrigno della musica tradizionale. E, forse, l’aver pubblicato il disco oltreoceano per la seppur prestigiosa Shanachie  Records ha limitato la sua diffusione in Europa. Ma questa, ripeto, è solo una mia ipotesi.

LEONARDO CARGNEL “Mario Cargnel e la Foto Cargnel”

LEONARDO CARGNEL “Mario Cargnel e la Foto Cargnel”

LEONARDO CARGNEL “Mario Cargnel e la Foto Cargnel”

Volume. cm 23 x 22. Pagg. 260, 2021. € 30,00

di alessandro nobis

Dal 1941 al 2021 80 anni di fotografia” recita il sottotitolo di questo importante volume che Leonardo Cargnel ha voluto dedicare al padre Mario titolare dello storico negozio di Via XX Settembre, a Verona. “Vita e Storia” si cita puntualmente in copertina, gli aspetti che il fotografo Cargnel ha affrontato nella sua lunga carriera di testimone dei cambiamenti sociali, geografici e storici di Verona e della sua provincia fissandoli per sempre su pellicola e rigorosamente in bianco e nero.

Le immagini raccolte nel volume hanno a mio avviso un alto valore documentale per noi veronesi soprattutto per coloro che si occupano di storia locale visto che qui, ad esempio, ci sono numerosi scatti che immortalano i risultati dei bombardamenti anglo-americani sulla città e l’arrivo delle truppe – lo scatto al Ponte Pietra con il carro Sherman e quello ripreso a Poiano fissano questo importante momento – , vicino ad altri a mio giudizio ancora più importanti che documentano la poco conosciuta vita delle “vittime civili” (ora si chiamerebbero effetti collaterali) sopravvissute alla guerra ovvero quelli che mostrano le condizioni di “sopravvivenza” dei numerosissimi sfollati andati ad occupare le vecchie strutture imperiali ottocentesche asburgiche, quasi una riappropriazione di fortini e casematte costruite per scopi bellici come quelli di San Felice e di Lugagnano.

Ho trovato molto interessanti le foto che dell’alta Lessinia come ad esempio quelle che mostrano lo status della conca di San Giorgio prima del turismo di massa e della sua devastante antropizzazione oppure gli scatti dedicati alla leggendaria corsa automobilistica “Stallavena – Bosco”, appuntamento motoristico molto seguito dagli appassionati, i primi sciatori in alta Lessina ed ancora quelli che mostrano il ventre del Corno D’Aquilio, nella Spluga della Preta che Cargnel esplorò con il Gruppo Speleologico “GES Falchi” da lui costituito nel 1951.

Lo sport, la montagna e la città con le persone che la animano e che Cargnel ha immortalato in numerose occasioni; foto “animate” che fermano per un attimo la vita dei mercati di Piazza Erbe con i “piassaroti”, di Piazza Isolo, di Corso Porta Palio e di Interrato dell’Acqua Morta, il vigile che sembra sgridare un ciclista dall’alto della sua pedana in Piazza Erbe, la mamma con  i due figli che osserva il passaggio del Treno Verona – Affi – Garda, gli uomini che chiacchierano davanti all’edicola all’incrocio tra Via Carducci e Interrato dell’Acqua Morta, e, lasciatemi citarla per ultima, la foto di un ventenne Fausto Coppi che pedala sullo sterrato della strada delle Torricelle nel Giro d’Italia del 1940 che avrebbe poi vinto.

Il volume che ripercorre la storia di uno dei fotografi storici di Verona è stampato da Grafiche Aurora. Lo si può trovare presso il negozio Cargnel in Via XX Settembre 24 a Verona o nelle librerie più fornite della città.

fotocargnelvr@hotmail.it

Il mio personale augurio è che a questo prezioso libro ne segua presto un secondo, chissà quali perle custodisce l’archivio Cargnel ……..

COLOSSEUM “Lost Angeles · Live in Bremen 20 · 11 · 1970”

COLOSSEUM “Lost Angeles · Live in Bremen 20 · 11 · 1970”

SUONI RIEMERSI: COLOSSEUM  “Lost Angeles · Live in Bremen 20 · 11 · 1970”

Bootleg. LP, 1997

di alessandro nobis

Negli anni Settanta avevamo così fame di musica dal vivo su disco che qualsiasi “bootleg”, con vinile di qualsiasi qualità ed altrettanto qualsiasi qualità di registrazione riusciva a sfamarci. Pertanto rimasi colpito quando trovai in un negozio veronese, e questo parecchi anni or sono e quindi in piena era compact disc, questo ellepì dei Colosseum di Jon Hiseman che mi ricordò per filo e per segno, anche per l’etichetta totalmente bianca, quei “bootlegs” quasi inascoltabili. Qui comunque la qualità è decisamente decente per i parametri di mezzo secolo fa, e appena sufficiente per quelli odierni dove spesso purtroppo conta di più la qualità della registrazione che quella della musica.

Siamo nel novembre del 1970 a Brema quattro mesi prima della registrazione del loro leggendario doppio ellepì “Live” (18 e 27 marzo del ’71) per un concerto organizzato e presumo anche trasmesso all’epoca dalla benemerita emittente “Radio Bremen” che ogni tanto pubblica qualche sua registrazione (Nucleus, Clannad e Planxty per fare tre esempio); i Colosseum sono qui nella loro migliore line-up, quella con Chris Farlowe per capirci, ed il disco propone quattro brani, due tratti da “Daughter of Time”, uno da “The Grass is Greener” e “Tanglewood ‘63” presente sul già citato doppio. Una facciata riporta la registrazione dell’immancabile “Lost Angeles” in una proto-versione aperta da Dave Greenslade al vibrafono e “Tanglewood ‘63” con uno splendido assolo di organo e con la ritmica Hiseman – Clarke che introduce il lungo e brillante “solo” di Heckstall-Smith al tenore al quale aggiunge il soprano in pieno stile “Roland-Kirk”, quindi con il doppio sassofono. L’altra facciata, sembrerebbe la prima, contiene come detto due brani di “Daughter of Time”, album coevo a questo concerto; “Downhill and Shadows” è uno slow blues composto da Hiseman, Clempson e Tony Reeves – il primo bassista della band – con un efficacissimo assolo di chitarra ed una interessante improvvisazione dove si intrecciano tutti i componenti del sestetto e che chiude sul riff di “Spoonful” di Willie Dixon, e “Take me Back to Doomsday” di Greenslade, Hiseman e Clempson è una ballad aperta dal pianoforte e si contraddistingue per gli assoli del bravissimo Heckstall-Smith e di Clem Clempson. Performance davvero notevole, registrazione non perfetta ma, come dicevo sopra, quello che conta è la sostanza, e qui ce n’è davvero tanta.

Una curiosità: la copertina riporta un ritratto del gruppo, ma manca uno dei componenti.