COREA · BRAXTON · ALTSCHUL · HOLLAND “Early Circle”

COREA · BRAXTON · ALTSCHUL · HOLLAND “Early Circle”

COREA · BRAXTON · ALTSCHUL · HOLLAND “Early Circle”

Blue Note Records. CD, 1992 (rec. 1970)

di alessandro nobis

Qualche mese prima della loro tourneè europea testimoniata dal doppio disco “Paris Concert” pubblicato dall’ECM nel 1972 (il concerto a Parigi del 21 febbraio all’auditorium della O.R.T.F) Chick Corea, Barry Altschul, Dave Holland ed Anthony Braxton entrano in uno studio newyorkese per registrare una decina di brani pubblicati nel 1992 con il titolo piuttosto emblematico di “Early Circle“, quasi a puntualizzare che cosa era successo musicalmente prima del doppio ECM, una delle pubblicazioni più interessanti di sempre dell’etichetta di Manfred Eicher. La musica di Circle va inquadrata nel jazz più di avanguardia ed innovativa del tempo, più vicina al mondo dell’improvvisazione ed al jazz europeo segnata dalla parziale uscita dalle reinterpretazioni di standard · nel doppio c’è una splendida versione di “Nefertiti” di Wayne Shorter · e dalla ricerca di una via diversa nell’interplay che pur lasciando ampia libertà di azione ai musicisti pone comunque dei punti di incontro tra le linee suonate dagli stessi anticipando in qualche modo i tempi di una nuova fase del jazz; musica che ottenne grandi consensi dalla critica specializzata ma talvolta non dal pubblico che si aspettava naturalmente un jazz più vicino al mainstream ma, lo abbiamo imparato in seguito, se sul palco ci sono due come Altschul e Braxton non ti puoi aspettare standards eseguiti in modo canonico, ed anche di Holland e del Corea di quegli anni possiamo, credo, fare la stessa considerazione.

L’unico brano in comune con il doppio ECM è “73° – A KELVIN” scritta da Anthony Braxton, allora solo ventiseienne, affascinante per la scrittura del sassofonista così vicina alla musica contemporanea che anticipava il suo percorso negli anni successivi, e molto interessanti le tracce dove Holland è impegnato alla chitarra acustica: mi riferisco ad esempio a “Chimes I” e l’introspettivo e magico “Ballad” dove apre il brano nel quale poi intervengono il pianoforte ed il flauto di Braxton. Holland è anche ottimo violoncellista, e lo ascolta in “Chimes II” aperta dalle percussioni di Corea e dal pianoforte sulle quali il soprano e il violoncello in piena libertà (a me così pare) ricamano assoli che sembrano non guardarsi ma che invece sono caratterizzati da un efficace interplay.

Disco che a mio avviso è assolutamente complementare al già citato doppio, da cercare assolutamente.

A few months before their European tour witnessed by the double disc "Paris Concert" published by ECM in 1972 (the concert in Paris on February 21 at the O.R.T.F auditorium) Chick Corea, Barry Altschul, Dave Holland and Anthony Braxton enter in a New York studio to record a dozen songs published in 1992 with the rather emblematic title of "Early Circle", as if to point out what had happened musically before the double ECM, one of the most interesting releases ever of the label by Manfred Eicher. Circle's music should be framed in the most avant-garde and innovative jazz of the time, closer to the world of improvisation and to European jazz marked by the partial exit from standard reinterpretations · in the double there is a splendid version of Wayne's "Nefertiti" Shorter · and from the search for a different way in the interplay which, while leaving ample freedom of action to the musicians, nonetheless establishes meeting points between the lines played by them, somehow anticipating the times of a new phase of jazz; music that got great acclaim from the specialized critics but sometimes not from the public who naturally expected a jazz closer to the mainstream but, we learned later, if there are two on stage like Altschul and Braxton you can't expect standards performed in a canonical way , and also of Holland and Korea of ​​those years we can, I believe, make the same consideration.

The only song in common with the double ECM is "73° - A KELVIN" written by Anthony Braxton, then only twenty-six years old, fascinating for the saxophonist's writing so close to contemporary music that anticipated his path in the following years, and very interesting the tracks where Holland plays the acoustic guitar: I'm referring for example to "Chimes I" and the introspective and magical "Ballad" where he opens the piece in which Braxton's piano and flute then intervene. Holland is also an excellent cellist, and he listens to him in "Chimes II" opened by Korea's percussions and piano on which the soprano and cello in full freedom (so it seems to me) embroider solos that seem not to look at each other but which instead are characterized by an effective interplay.

Disc which in my opinion is absolutely complementary to the aforementioned double, to be sought absolutely.
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THE BOYS OF THE LOUGH “The Fair Hills of Ireland”

THE BOYS OF THE LOUGH “The Fair Hills of Ireland”

THE BOYS OF THE LOUGH “The Fair Hills of Ireland”

Lough Records, CD 1992

di alessandro nobis

Questa incisione dei Boys Of The Lough, risalente al 1992 che celebra il 25° anniversario della costituzione del gruppo, è una di quelle preferisco del gruppo scoto-irlandese soprattutto per l’eleganza degli arrangiamenti che si distingue da tutti i gruppi di folk revival di area celtica; il suono del pianoforte di John Coakley regala infatti una visione chiara ed unica del repertorio tradizionale, direi in alcuni momenti quasi cameristica che valorizza i ritmi della musica popolare e la bellezza delle melodie della ballate. Mi riferisco in particolare ai tre canti di emigrazione; la bellissima “Ban Chnoic Erin O” con l’evocativo pianoforte di Caokley e la voce di McConnell, a “Erin Gra Mo Chroi / Ireland, love of my heart” (un canto di emigrazione, i ricordi del dolore della madre per la sua partenza e del profumo della torba che brucia nel camino) ed a “The Bonnie Labouring Boy“, canto di emigrazione scozzese risalente alla metà del XIX secolo presente nella raccolta Roud al numero 1162 (racconta nello specifico della storia d’amore ostacolata dai genitori di lei che costringe las coppia a scappare a Belfast e di qui imbarcarsi per il Nordamerica). Ci sono poi naturalmente i set di danze nei quali la coesione tra Aly Bain, Cathal McConnell, Dave Richardson, Christy O’Leary e Coakley è ancora una volta ben evidente facendo dei Boys of The Lough uno dei più interessanti ensemble di area celtica che hanno calcato le scene (ma che purtroppo, in Italia non si sono mai visti per quel che mi ricordo) negli ultimi decenni nei festival e nelle sala da concerto. Il set di jigs “The Wandering Minstrel / Fasten the Leg in Her / Coleman’s Cross” con le uilleann pipes di O’Leary in gran spolvero e la ritmica del pianoforte e la slow air “Father Brian Mac Dermott Roe” composta da Turlogh O’Carolan eseguita da O’Leary in solo sono quelli che più ho apprezzato, sebbene il livello di tutto questo “The Fairy Hills of Ireland” sia davvero altissimo. Tra i dischi del BOFL, questo è uno di quelli da avere assieme al primo (con Dick Gaughan) ed a “Welcoming Padfdy Home” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2021/02/01/suoni-riemersi-the-boys-of-the-lough-welcoming-paddy-home/).

MOLLOY · KEANE · O’FLYNN “The Fire Aflame”

MOLLOY · KEANE · O’FLYNN “The Fire Aflame”

MOLLOY ·KEANE ·O’FLYNN “The Fire Aflame” Claddagh Records. CD, 1992

di alessandro nobis

Credo, e so di non essere il solo, che Matt Molloy, Sean Keane e Liam O’Flynn siano tre giganti della tradizione musicale irlandese avendo nei decenni attraversato la sua ”storia” militando o addirittura fondando ensemble come Chieftains, Planxty, Bothy Band e la Ceoltoiri Chualann del seminale Sean O’Riada. Dunque nell’ormai lontanissimo 1992 i tre amici si incontrano in studio di registrazione ed assieme al chitarrista Arty McGlynn, al violoncellista Neil Martin ed all’arpista e tastierista Noreen O’Donoghue suonano le tredici tracce contenute in questo straordinario disco pubblicato dalla storica etichetta dublinese Claddagh lasciando una testimonianza non solo del loro talento immenso che già conoscevamo ma della perfezione e brillantezza con la quale i tre affrontano questo repertorio; l’hornpipe “The Belharbour” (dal repertorio del suonatore di concertina Chris Droney) abbinato al reel “The Old Ruined Cottage in the Glen” sono splendidamente eseguite al flauto di Matt Molloy accompagnato dal sempre pregevolissimo tocco di Arty McGlynn alla chitarra, “The Turnibìng of the Geese” è la melodia di una ballata d’amore del repertorio sean-nos di Cork resa alla perfezione dal violino di Sean Keane accompagnato dal violoncello e dalla tastiera, “Eire” è un’altra melodia, stavolta eseguita da Liam O’Flynn con il supporto di arpa e tastiera ed infine voglio citare il reel e lo Strathspey che chiudono questo lavoro, “Sean Ryan’s Reel” e “The Grand Spey” suonati da Keane, O’Flynn e Molloy.

Disco da dieci e lode e, aggiungerei, commovente.

 

SUONI RIEMERSI: JUNIOR WELLS & BUDDY GUY “Alone and Acoustic”

SUONI RIEMERSI: JUNIOR WELLS & BUDDY GUY “Alone and Acoustic”

JUNIOR WELLS & BUDDY GUY “Alone and Acoustic”

ALLIGATOR Records, CD. 1992

di Alessandro Nobis

Originariamente pubblicato sul numero del maggio 1992 della rivista Folk Bulletin

71tzkdN7UuL._SX355_Registrato il 15 maggio 1981 durante una tourneè europea e finora pubblicato solamente in Francia per l’etichetta Isabel con il titolo “Going back”, questo “Alone and Acoustic” ci presenta la coppia più importante del blues elettrico chicagoano ovvero il chitarrista Buddy Guy (per referenze chiedere a Slowhand Eric Clapton) e l’armonicista Junior Wells. Qui i due si presentano straordinariamente in versione acustica, alla ricerca delle radici della musica che da decenni li vede protagonisti in modo diretto nell’ambito strettamente blues e indiretto in quello rock, visti gli innumerevoli guitar – heroes bianchi che hanno seguito le orme soprattutto di Buddy Guy, bluesman poco conosciuto dalla maggioranza del pubblico ma ritenuto figura essenziale da tutti gli addetti ai lavori ed appassionati della musica del diavolo.

Quindici tracce sono contenute in questo CD ripubblicato dalla chicagoana Alligator con ben cinque inediti in più rispetto all’originale, quindici brani che ci regalano un’ora di blues al vetriolo, quasi a dimostrare come sia importante l’essenzialita’ rispetto ad arrangiamenti troppo ricchi che non da oggi ammaliano intere generazioni di musicisti e di giovani. Strumenti acustici sì, certo, ma suonati con un cuore ed una grinta che non ha eguali e che non fanno certo rimpiangere le Stratocaster e le Telecaster che per una volta, dieci anni fa, Buddy Guy ha lasciato in qualche angolo del Southside. Classici come “Boogie Chillen” e “Rollin’ and Tumblin’”, “You don’t love me”, “Catfish Blues” e “That’s all right” sono brani che restano nella memoria di chi ascolta ed attraverso i quali si ripercorre la lunga e sofferta strada dell’inurbamento di questa straordinaria musica.

Un disco da cinque stelle che sento di consigliare a chiunque. In attesa di incontrare Buddy Guy e Junior Wells su qualche palcoscenico italiano.

ANDY IRVINE & DAVY SPILLANE “East Wind”

ANDY IRVINE & DAVY SPILLANE “East Wind”

ANDY IRVINE & DAVY SPILLANE “East Wind”

TARA Records, CD 1992

di Alessandro Nobis

(pubblicato in origine sul numero di settembre 1992 della rivista FOLK BULLETIN)

Finalmente viene coronato, con la pubblicazione di questo “Vento dell’est” (e quale poteva essere il titolo, se non questo?) il sogno dell’irlandese Andy Irvine, quello di registrare cioè un disco interamente dedicato alle musiche balcaniche da lui tanto amate e studiate e che spesso nei lavori precedenti hanno avuto degno spazio (come dimenticare le horo “Mominsko”, “Paidusko” e “Smeceno”?).

Ed in effetti questa osmosi, tanto agognata, offre un risultato più che dignitoso da collocarsi nel novero dei migliori prodotti di Irvine, superiore forse anche al suo recente “Rude Awakening”; grande merito della buona riuscita di questo “East Wind” va comunque sia a Davy Spillane (la cui esuberanza è splendidamente “frenata” dalla produzione di Bill Whelan) che ai musicisti ospiti, nientedimeno che la magiara Marta Sebestyen e il bulgato – leader degli Zsaratnok – Nikola Parov, le gemme più splendenti della musica balcanica di stampo tradizionale i quali, con Noel Eccles, Martin O’Connor, Tony Molloy e Bill Whelan arricchiscono la musica con i loro sempre splendidi e opportuni interventi.

Ottime l’iniziale “Xhetvorno Horo” – con le uilleann pipes di Spillane in evidenza – ,la canzone bulgara “Kadana”, eseguita dal trio Sebestyen Parov Whelan, pregevole l’arrangiamento per uilleann pipes e tastiere della struggente “Illyrian dawn”, e davvero particolare l’esecuzione di “Dance of Suleyman” con i brevi ma efficaci interventi dei fiati e della chitarra di Anthony Drennan.

Purtroppo un “supergruppo” destinato a rimanere “sulla carta” (o meglio su CD), date che sembra quanto meno improbabile ipotizzare un tour per questi super-impegnati musicisti.

Ma la speranza, si sa, è l’ultima a morire.

SUONI RIEMERSI: SEDON SALVADIE “Faliscjes”

SUONI RIEMERSI: SEDON SALVADIE “Faliscjes”

SUONI RIEMERSI: SEDON SALVADIE “Faliscjes”

RIBIUM, Audiocassetta 1992

di Alessandro Nobis

Il 1992 era il decimo anniversario della costituzione della Sedon Salvadie, gruppo dell’area nord orientale italiana che si occupava in modo serio ed approfondito del recupero della tradizione musicale di quell’area e che nelle cui file avevano fatto parte straordinari musicisti e ricercatori come Lino Straulino, Giulio Venier e Maria Scuntaro, tanto per citarne tre.

All’epoca dell’incisione di questo quarto album “Faliscjes” ne facevano parte Paola Biasutti (voce), Andrea Del Favero (armonica, organetto, percussioni e liron), Dario Marusic (violino, voce e fiati) e Gianni Brianese (basso e basso tuba). Il repertorio del disco in questione varia intelligentemente tra i più conosciuti canti narrativi come “Donna Lombarda” e “Un ciant a la cjargnele”, brani tradizonali rivisitati come “Maladet Napoleon” (inventore della leva obbigatoria) e “Aghe aghe” eseguito a cappella, canti religiosi e brani originali come i due che aprono e chiudono l’ascolto del disco e gli arrangiamenti rendono questo repertorio particolarmente gradevole ed interessante. Per tutti.

sedon-salvadieLa Sedon Salvadie è stato uno dei gruppi più significativi del folk revival italiano ed ha certo contribuito a far riscoprire – ed a fermare su supporti sonori – la lingua ed il repertorio orale di un’area che fino ai primi anni Ottanta era stato dimenticato o eseguito solamente da portatori originali. Naturalmente, come altri gruppi come La Ciapa Rusa, il Canzoniere Veronese o i Suonatori delle Quattro Province non godettero di grande popolarità al di fuori del circuito degli appassionati e dei frequentatori dei folk festival – almeno in Italia – e mamma RAI preferiva invece insistere in modo testardo con la promozione di gruppi che provenivano dall’Italia Meridionale di livello artistico eguale a quelli come la Sedon Salvadie.

Da riascoltare assolutamente.