GABBY FITZGERALD “Elizabeth Née Ellis”

GABBY FITZGERALD “Elizabeth Née Ellis”

GABBY FITZGERALD “Elizabeth Née Ellis”

Autoproduzione. CD, 2019

di Alessandro Nobis

29994-1024x918.jpgQuesto brillante “Elizabeth Nee Ellis” è la seconda autoproduzione del piper dublinese Gabriel “Gabby” Fitzgerald che segue il precedente “Black Dog Island” del 2017. Veramente considerare Fitzgerald solamente un “piper” è del tutto limitante nei suoi confronti: l’appellativo di polistrumentista e compositore sono a mio avviso i termini più adatti a definire questo musicista irlandese che nei panni di specialista delle uilleann pipes evidentemente si sentiva un po’ sacrificato. Ottimo piper, ma anche un ottimo songwriter ed un altrettanto ottimo suonatore di bouzouky e flauto, di armonica a bocca, mandolino e chitarra. Anche se in queste registrazioni si fa accompagnare da musicisti ospiti, l’impressione è che dal vivo sia perfettamente in grado di presentare il programma di questo lavoro, dedicato alla madre, nella maniera più efficace possibile.

Mi piace definire “Elizabeth Nee Ellis” una sorta di compendio della musica irlandese dei nostri giorni per la varietà delle tipologie musicali che Fitzgerald ha con grande sensibilità messo assieme: il canto narrativo, la ballata autobiografica di “Down on my street” e di “My suitcase and me”, c’è l’ispirazione della tradizione in “Tribute to Liam O’Flynn” e di “Stariling Murmurations” c’è il brano in due parti, il più significativo del disco che a mio modesto avviso riflette perfettamente il lavoro di Gabriel Fitzgerald, un tributo alla madre Elizaberth Née Ellis: la prima parte è una evocativa slow air magistralmente eseguita alle pipes, la seconda con le ulleann accompagnate dal bozouky in una suite di una Marcia e della Jig “Flight to Eternity” che racconta il “passaggio” della madre.

E’ vero, Gabby Fizgerald non è ancora conosciuto in Italia, ma può essere preso come esempio del folto numero di musicisti irlandesi che svolgono un lavoro egregio di nuova composizione e tradizione al momento lontani dallo sfolgorante music-business: clubs, piccoli festivals, uso intelligente dei social: scoprirlo per me è stato un grande piacere e se anche voi avrete un po’ di curiosità sarete d’accordo con me.

https://www.facebook.com/gabby.fitz1?fref=search&__tn__=%2Cd%2CP-R&eid=ARAaZnmGqfM8jE8iMYKnp9enCbzy7jAP_iL-2DG03PUch8g11cLyJt3rOQahfDD2J-Kg3D745fTD3Tqi

 

www.gabbyfitzgeraldmusic.com

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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GIOVANNI GHIZZANI “Lost in the Supermarket”

GIOVANNI GHIZZANI “Lost in the Supermarket”

GIOVANNI GHIZZANI “Lost in the Supermarket”

DODICILUNE RECORDS CD Ed432, 2019

di Alessandro Nobis

Non succede così frequentemente nel mondo della musica afroamericana che una cantante scriva con questa qualità della musica assieme ad un pianista e abbia come compagni di viaggio una sezione ritmica (il pianoforte di Ghizzani titolare del combo, il contrabbasso di Kim Baiunco e la batteria di Giuseppe Sardina) e due strumenti solisti come il sassofono e la chitarra. Penso di poter definire Anaïs Del Sordo atipica per la sua capacità improvvisativa come atipica è la sua scelta di destinare alla voce – la sua –  la parte di un altro strumento solista. Non è quindi in questo “Lost in the Supermarket” il gruppo ad accompagnare la voce solista, ma la stessa voce che entra a far parte del quartetto o quintetto, nelle quattro tracce alle quali danno il loro decisivo apporto il chitarrista Alain Pattitoni o il clarinettista Daniele D’Alessandro.

Certo siamo nel mondo del mainstream, ma di quello che preferisco, ovvero quello disegnato partendo dalla propria cultura musicale e dalla propria sensibilità, e mi sembra inutile parlate di preparazione musicale dei musicisti, viste l’intensità e l’interplay che emergono ascolto dopo ascolto. Ghizzani scrive la musica, Anaïs Del Sordo le parole e le “improvvisazioni” – e lo dico sapendo di comporre un ossimoro -; mi sono piaciute le due parti di cui è composto “Flows” con la sottile intro del piano ed il vocalizzo della voce che caratterizzano la prima parte e l’incalzare della ritmica che apre la seconda con un bel solo di Anaïs Del Sordo. Notevoli l’eterea ballad che segue, “Hope” e “Living for Tomorrow” con il brillante e lungo solo di voce che anticipa quelli del pianoforte e della chitarra “sporca” di Alan Pattitoni, brillante strumentista che in seguito dialoga con la voce.

 http://www.dodicilune.it

TERREMOTO 1891 (quotidiano Arena, settima parte)

TERREMOTO 1891 (quotidiano Arena, settima parte)

TERREMOTO 1891 (settima parte)

ARENA, 9 – 10 GIUGNO 1891

IL TERREMOTO DEL 7 – SUI LUOGHI DEL DISASTRO

A TREGNAGO

Ed ora, dobbiamo noi dare una descrizione materiale del disastro?

Quando s’è detto che la desolazione è generale, che non una casa è illesa e che le meno guaste esternamente sono spaventevolmente rovinate all’interno, non vi sarebbe altro da aggiungere.

Però ci fermeremo alcun poco su quanto ci ha maggiormente colpito in quell’ammasso di macerie, di muri screpolati, di spigoli aperti, di frontoni caduti, di pietre divelte, che è formato da Tregnago, Badia Calavena  le loro frazioni.

9.10.6.1891 pag 2A Tregnago, la casa della Pretura è in uno stato deplorevole. Dall’attica sono cadute le pesanti decorazioni, i muri maestri sono fuori di piombo, i soffitti squarciati, e la scala è in pezzi. Fu subito sgomberata, perché minaccia di rovinare completamente.

La casa Castelli (droghiere, salumaio, chincagliere) esternamente non presenta grandi screpolature. Ma l’interno fa allibire. Il muro della facciata è letteralmente staccato da resto della fabbrica e tutti i muri trasversali sono spaccati dai tetti alle fondamenta, e le camere ingombre di calcinacci, di pezzi di soffitto. Gli architravi degli usci e delle finestre sono tutti spostati, e molti spezzati.

In peggiori condizioni ancora si trova la casa al N. 11, di G. Vinco, negoziante di pellami. Fu chiusa e puntellata da ogni parte perché non è possibile entrarvi senza esporsi a manifesto pericolo.

Tagliata a fette dall’alto in basso è la casa dell’esattore Colombari. I muri maestri sonostrapiombatiin modo spaventevole, le volte spaccate, le scale inservibili, e ad ogni tratto si presenta una nuova apertura.

Così pure è ridotta in condizioni da titubare ad entrarvi, la casa adibita ad uso delle scuole comunali. V’hanno crepe attraverso le quali passa il corpo di un fanciullo.

Né è a dirsi in quale stato si trovi la casa del famoso salumiere Rinaldi, la farmacia, la casa Doria, la casa Massalongo, la villa Franchini, la villa del medico. Dappertutto crepacci, muri sfasciati, porte divelte, pezzi di tetto precipitati.

Nel mezzo del paese, talchè ingombra la circolazione, cadde una casa, fortunatamente non abitata, le cui macerie i soldati del genio stanno ora sgomberando.

Danneggiata in modo notevole fu la frazione dei Colognato, dove una casa è precipitata e le altre quasi tutte sono a tal partito da augurarsi abbiano a cadere per evitare eventuali disgrazie.

Ma ripetiamo, non è possibile accennare alle case danneggiate: tutte lo sono, e tutte hanno bisogno di lavori radicali, moltissime d’essere in gran parte abbattute.

A MARCEMIGO

Da Tregnago passammo nella vicina frazione di Marcemigo.

Qui, la casa al N. 48 è quella che precipitò, travolgendo nella rovina la povera Roncari Teresa, ed uccidendola. Il piano terreno è un immenso monte di rottami, di sotto ai quali si scorge, in pezzi, il letto nel quale dormivano i coniugi Roncari e dal quale fu estratta, orribilmente pesta, la povera Teresa.

Alcuni contadini presenti ci narrano che allorquando cadde la casa essi credettero al finimondo. Balzarono in istrada gli uni, nel cortile gli altri, ed accorsero alle grida disperate che il Roncari mandava di tra le macerie.

salveme! aiuto! salveme! fè a pian! no me stè a copar! fe a pian! moro! – gridava il tapino, che si trovava ad avere per miracolo il capo protetto dal vano del secchiaio nel quale, non si sa come, s’era a metà introdotto, mentre sulle gambe e sulle spalle gli incombeva il pondo immane delle travi, delle tegole e dei sassi.

Lavorando appena rischiarati da lumicini ad olio, quei bravi terrazzani riuscirono in breve ora ad estrarre vivo il povero Roncari, mentre dopo un lavoro più lungo e più difficile poterono finalmente scoprire il cadavere della infelice Teresa, colle gambe trattenute sul letto da un enorme trave e il corpo rovescioni, letteralmente coperto da grossi pezzi di muro. Il Roncari era tanto inebetito dallo spavento provato, che allorquando gli dissero che sua moglie era morta, non seppe trovare una lacrima, un lamento, ma balbettò, cogli occhi sbarrati: Povareta!

E ieri il misero frale di questa donna di 45 anni era là, disteso sur un po’ di paglia, sotto un porticato del meschino cortile, con accanto la bianca cassa di abete che sull’imbrunire l’avrebbe rinchiuso per servirgli da riparo alla terra della fossa.

Quale funereo spettacolo!

Qui una casa crollata, più in là un vasto porticato di certo Biasioli, rovinato, accanto due case squarciate, più su un muro di facciata a mezzo caduto lasciando scorgere l’interno della camera, un poco altre dieci, venti case puntellate, mancanti di parte del tetto, prive delle finestre, o comunque malconcie, e di faccia, dormente nella pace infinita della morte. Indifferente ormai alle lacrime, alle miserie prodotte dal disastro, la vittima di esso, Teresa Roncari, giacente accanto al feretro!

E tutti que’ contadini guatavano la morta, rivolgevano gli occhi alle proprie case cadute o cadenti, e rabbrividivano, pensando che solo un miracolo ha fatto si che essi non si trovassero in quello stesso momento, allineati vicino alla morta Teresa, pronti per essere rinchiusi nella cassa funerale!

Povera gente”

*

Ma la via lunga ne sospingeva.

Il dettaglio era per ogni dove eguale: rovina, desolazione, pianto, case inabitabili, famiglie intiere, posseditrici esclusivamente della sfasciata catapecchia e di un orticello, o di un campo, o di un gerbido, che pensavano, con terrore, all’impossibilità di rifabbricarsi la misera casetta.

A Cogòlo, a Scorgnan, ai Finetti, frazioni tutte di Tregnago la scena è identica di quella di Marcemigo.

Due case senza tetto a Cogòlo; il campanile spostato la chiesa rovinata e chiusa al culto, musri di cinta sventrati come da cannoante, due porticati in frantumi; la casa dell’assessore Marani in stato da far pietà, due case rovinate ai Tessari.

L’ultima casa di Cogòlo verso Badia, al primo urto del terremoto si sfasciò. Dormivano al primo piano parecchie persone che si poterono salvare non si sa ancora in qual modo. Una però mancava all’appello, ed era una ragazza di 22 anni. Cercata fra i rottami, fu trovata in letto, coperta di macerie, ma viva. E in che modo? Due travi, grossissime, del tetto, erano cadute contemporaneamente sul letto, proprio accanto ai due lati della sua testa, una a destra e l’altra a sinistra facendole schermo. Così i materiali non la colpirono. Questa ragazza oggi ha gli occhi sbarrati e pare sorpresa da ebetismo.

Qui, come a Marcemigo, come in tutte le altre frazioni, i lavori dei campi sono abbandonati.

I contadini si aggirano sulla via, attorno alle tende, coi bimbi in braccio, istupiditi, e non torvano la forza di andare in campagna e di lavorare.

QUI LA PRIMA PARTE: (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/08/30/terremoto-verona-1891-quotidiano-arena-prima-parte/)

QUI LA SECONDA PARTE (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/09/20/terremoto-verona-1891-quotidiano-arena-seconda-parte/)

QUI LA TERZA PARTE (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/09/29/terremoto-1891-quotidiano-arena-terza-parte/)

QUI LA QUARTA PARTE (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/10/05/terremoto-verona-1891-quotidiano-arena-quarta-parte/)

QUI LA QUINTA PARTE (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/10/25/terremoto-1891-quotidiano-arena-quinta-parte/)

QUI LA SESTA PARTE (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/11/10/terremoto-1891-quotidiano-arena-sesta-parte/)

 

 

 

 

FEDERICO MOSCONI “Light Not Light”

FEDERICO MOSCONI “Light Not Light”

FEDERICO MOSCONI “Light Not Light”

SHIMMERING MOODS RECORDS. CD, 2019

di Alessandro Nobis

La musica ambient è un po’ al di fuori della mia “confort area”, della musica che abitualmente ascolto come forse avrete già intuito se siete già capitati dalle parti di questo blog. A differenza di altri linguaggi musicali pur molto complessi, questa necessita di ancora più ascolti se si vuole minimamente capire la sua essenza, e può condurre chi ne fruisce in modo adeguato in luoghi immaginari che la tua fantasia elabora e crea di volta in volta: insomma si può andare parecchio al di là di un mero “mi piace”.

Questo nuovo lavoro del compositore e chitarrista Federico Mosconi, musicista piuttosto eclettico, è stato realizzato in cinquanta copie fisiche, numerate a mano come manualmente è stato composto il raffinato packaging con una cura ed attenzione che contraddistingue parecchi musicisti che calcano i sentieri ambient. “Al solito” è musica di grande effetto, costruita su più piani e tra i lavori che ho ascoltato rappresenta a mio avviso il lavoro più chitarristico di Mosconi; per questo ritengo che i sei minuti di “Storm not Storm” ed i sette di “Melody not Melody” siano tra le tracce che compongono “Light not Light” quelle che riassumono la storia musicale di questo compositore, ovvero un delicato equilibro tra la chitarra classica, l’elettronica ed i suoni naturali filtrati e modificati dalle “macchine”. In un tempo, il nostro, dove per autodefinirsi musicisti spesso basta saper girare qualche manopola di una qualche diavoleria elettronica, la preparazione, la consapevolezza e la concretizzazione di un’idea e di un progetto mi sembrano aspetti da sottolineare che valgono per Federico Mosconi (tra l’altro eccellente chitarrista classico) e per i musicisti che come lui frequentano questo linguaggio musicale.

Gran bel lavoro.

Le copie fisiche di questo “Light not Light” credo siano esaurite – ma meglio provare a chiedere -, ma le tracce si possono trovare sul sito di Federico Mosconi. Entrambi qui sotto riportati.

Su Federico Mosconi potete leggere qui:

https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/11/02/dalla-piccionaia-the-cohen-underground-2018-2019/

https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/07/09/francis-m-gri-b-ue/

https://ildiapasonblog.wordpress.com/2015/12/31/federico-mosconi-the-soundtrack/

https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/04/14/federico-mosconi-colonne-di-fumo/

https://ildiapasonblog.wordpress.com/2017/10/27/il-diapason-intervista-federico-mosconi-e-roberto-galati/

https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/02/15/gri-mosconi-between-ocean-and-sky/

www.shimmeringmoods.com

https://federicomosconi.bandcamp.com/

 

 

MASCIO – LA NEVE “I THALASSA MAS”

MASCIO – LA NEVE “I THALASSA MAS”

MASCIO – LA NEVE “I THALASSA MAS”

MANITU RECORDS. CD, 2019

di Alessandro Nobis

Se dovessi mettere allineati tutti i lavori prodotti negli ultimi anni che vogliono raccontare il Mare Mediterraneo, le sue culture, le sue musiche ebbene la fila sarebbe parecchio lunga. Troppa autoreferenzialità e troppa ricopiatura calligrafica soprattutto. Francesco Mascio e Alberto La Neve, raffinati e colti chitarrista e sassofonista scelgono invece un’altra strada, più stimolante per chi la percorre e soprattutto per chi ascolta questo ““I THALASSA MAS”, “Il Mare Nostro”. Niente immaginarie crociere qui, ma “solo” l’interiorizzare delle radici mediterranee con lo scopo di comporre e suonare partendo dall’interplay tipico della musica afromericana nascondendo inserti più legati alle radici. Per essere chiari, nel brano eponimo la chitarra di Mascio sembra uscita dalla scuola del free inglese mentre il sax di La Neve cuce ritmi e melodie quasi etniche: è questo il brano che a mio avviso racchiude l’essenza di questo prezioso lavoro e se a questa citazione aggiungiamo “Cano” con la perfetta fusione tra la kora di Jali Babou Saho e la chitarra classica che invitano al dialogo la voce ancestrale di Saho con quella contemporamea di Fabiana Dota ed il coraggioso ma efficace arrangiamento del canto calabro composto da La Neve “Neglia I Luna” dove il testo in calabrese si scontra, si fonde e dialoga con i suoni distorti della chitarra elettrica e con il sassofono soprano ecco che capiamo di non avere affatto un “viaggio” nella musica mediterranea ma il frutto di una sua profonda rielaborazione “contemporanea” figlio si dell’eredità culturale ma anche di musiche altre. Un lavoro “estremo” direi, per questo ancora più affascinante e meritevole di più ascolti.

Di Alberto La Neve ho già parlato qui: (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/06/21/alberto-la-neve-night-windows/)

(https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/01/27/alberto-la-neve-fabiana-dota-lidenbrock/)

 

 

 

 

Succede a Verona: 1951, BERTO DA COGOLLO scrive al Prof. RENZO CHIARELLI

Succede a Verona: 1951, BERTO DA COGOLLO scrive al Prof. RENZO CHIARELLI

Succede a Verona: 1951, BERTO DA COGOLLO scrive al Prof. RENZO CHIARELLI

di Alessandro Nobis

Quando risalite la Val D’Illasi e attraversate il piccolo centro di Cogollo, sulla vostra destra noterete una casa con la facciata dipinta di colore rosso; è la casa dove il 9 settembre del 1887 nacque Da Ronco Roberto. Quella che vedrete fu molto probabilmente parzialmente ricostruita dopo il terremoto del dicembre del 1891 che scosse tutto l’est veronese, ma comunque è l’edificio natale di Da Ronco Roberto, meglio conosciuto come “Berto da Cogolo”. La sua famiglia si trasferì da Gemona, nel Friuli, nel 1621 quando già da tre secoli da generazioni si tramandava l’arte di Vulcano.

La lettera che qui riporto, inedita, è una breve autobiografia probabilmente richiesta dall’indimenticato Prof. Renzo Chiarelli, a quel tempo (era il 1951) un funzionario della Soprintendenza alle gallerie d’Arte di Firenze e che in seguito ricoprì la carica di Soprintendente a Verona. Alla data di questa lettera, Berto da Cogolo era già parzialmente consumato dalla malattia che il 26 novembre del 1957 lo portò alla morte.

Sottolineo che nell’autobiografia l’artista evita accuratamente di fare riferimento al trattamento persecutorio che il regime fascista gli riservò sin dal 1922 quando fu costretto a dimettersi dalla carica pubblica che ricopriva presso il Comune di Tregnago.

Una biografia dettagliata di Berto da Cogolo è consultabile qui: http://www.veja.it/2017/05/21/roberto-ronco-detto-el-berto-cogolo-geniale-artigiano-del-ferro-battuto/

DA RONCO ROBERTO, (detto “BERTO DA COGOLO” aggiunto a penna sulla carta intestata).

nato 9 settembre 1887 (a penna)

Nato da padre fabbro, i miei vecchi oriundi da Udine. A 12 anni andavo a piedi tutte le domeniche da Cogolo alla scuola di disegno di Soave che dista circa 20 km da Cogolo. A 15 anni cominciavo a fare qualche lavoretto in ferro battuo e tutti i miei lavori andsavano venduti. Nel 1908 ero a Venezia in Calle Larga S.Marco dove lavoravo per la ditta Rattocchio Ferdinando, poi in Calle delli Specchieri per Bazzi – Bottacini, ecc. indi ai ( servizi) di Giacomo Dal Prà come incisore – modellatore, lavoravo in armi antiche (imitazione) corazze armate, cancelli, ferriate ecc….. tutto in stile originale.

Alla sera per mezzo di un Proff che mi sfugge il nome frequentavo l’Accademia di Belle Arti ed ebbi i miei diplomi. Nel 1912 – 13 – 14 lavoravo a Parigi per gli antiquari con cofanetti in ferro – statue primitive e chiavi – stemmi – trofei tutti di mia invenzione, acquistando tanto nome. Venni a Verona e cominciai le imitazioni delle barriere delle Arche Scaligere. Molti miei lavori andaro(no) in America, Inghilterra, Germania, ecc….. Mi ero specializzato in Alabarde, corazze, elmi, armature complete cesellate, pugnali della misericordia con impugnatura traforata e cesellati in diversi stili e molti di questi se ne trovano tuttora nei nostri musei e stranieri. Poi lavorai lo stile libertino e mi guadagnai una medaglia d’oro all’esposizione delle arti a Venezia.

Poi una a Parigi un’altra a Verona. Dal 935 – 40 andavo alla domenica alla mia vecchia scuola di Soave come insegnante del ferro battuto.

Ora sono fuori combattimento e quasi incapace di scrivere

Ringraziamenti infiniti

Roberto Da Ronco

25 / 9 / 51

SÉAMAS MAC AONGHUSA (SEAMUS ENNIS) “Strains On Wind Once Blown – Vol. 1: The Pure Drop”

SÉAMAS MAC AONGHUSA (SEAMUS ENNIS) “Strains On Wind Once Blown – Vol. 1: The Pure Drop”

SÉAMAS MAC AONGHUSA (SEAMUS ENNIS)

“Strains on Wind Once Blown. Volume 1; the Pure Drop”

TARA RECORDS 1077. LP, 1974

di Alessandro Nobis

Non c’è mai stata nella musica tradizionale irlandese una personalità così forte ed importante come quella di Séamas Mac Aonghusa, Seamus Ennis.” Così lo definisce il piper John McSherry nel suo importante volume “The Wheels of the World” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/02/09/colin-harper-john-mcsherry-the-wheels-of-the-world/) la cui copertina ritrae appunto Ennis mentre viene registrato da Jean Ritchie: narratore, etnomusicologo, ricercatore, conduttore radiofonico e soprattutto straordinario piper, Seamus Ennis è stato uno dei “fari” che hanno illuminato la storia della musica popolare irlandese nel XX° secolo, e continua a farlo visto che al suo lavoro come quello di William Clancy o Sean O’Riada – per citare due figure fondamentali – fanno riferimento anche le nuove generazioni di pipers e musicisti tradizionali in generale.

Molto del repertorio che suono qui l’ho appreso da mio padre” scrive nell’interno della copertina del disco che contiene le sue registrazioni del 1973 e pubblicata dalla benemerita Tara l’anno seguente e che riporta sul retro uno scritto di Liam O’Flynn. Questo lavoro, uno dei più alti esempi di musica per uilleann pipes mai registrati, contiene quindici tracce tra le quali ve ne voglio segnalare alcune per me particolarmente significative del lavoro di ricerca e di interpretazione. Inizierei con le due gighe in 6/8 “Chase me Charlie & The Dingle Regatta (Two Single Jigs)”, una delle 212 arie che Ennis trascrisse ascoltando tale Colm Keane di Glynsk nei pressi di Carna nel Connemara (costa occidentale), e quindi il set di reels “The Pure Drop & The Flax in Bloom”, una sorta di passaggio per i pipers che si trova nella raccolta O’Neill (1903). Del repertorio tramandatogli dal padre ecco la slow air “The Fairy Boy” (una melodia il cui testo era cantato in irlandese) ed il set di hornpipes “The Groves Hornpipe & Dwyer’s Hornpipe”.

Ennis non ha una corposa discografia alle spalle ma la sua importanza travalica l’aspetto prettamente strumentale visti i suoi interessi che abbiamo citato in apertura. Il suo set di cornamuse, che il padre James liutaio e piper aveva costruito nel 1908 (il padre era considerato l’ultimo rappresentante della vecchia scuola di pipers, la madre era invece una violinista della Contea di Mo

Wheels
SEAMUS ENNIS & JEAN RITCHIE

naghan), andò in eredità al suo grande amico Liam O’Flynn che per tre anni condivise con lui un appartamento, fino a quando si trasferì in un caravan a Naul in un appezzamento che aveva acquistato. Come racconta Peter Browne, “il set venne lasciato alla morte di O’Flynn a Páraic MacMathúna, figlio del collezionista ricercatore e speaker radiofonico della RTE Ciarán; al 100° anniversario della nascita di Seamus Ennis, vennero suonate da valenti pipers al Seamus Ennis Centre di Naul, nella Contea di Dublino, area di origine della famiglia Ennis”.

Pensate che Seamus Ennis si esibì al di fuori dell’Irlanda, solamente nel Regno Unito ed a Rotterdam, nel 1976, durante un festival di musica “celtica” (il virgolettato è di John McSherry) e fu invitato anche ad una edizione del Newport Folk Festival. Di lui Paddy Glackin dice a John McSherry che “quando Seamus Ennis saliva sul palcoscenico pur esibendosi da solo con la sua personalità e carisma riempiva l’intero spazio, catturando la totale attenzione del pubblico presente”. O’Flynn racconta come Ennis fosse uno strumentista insuperato nella tecnica e nell’espressività: “il suo stile era impeccabile, aveva il totale controllo dello strumento ma non gli piaceva stupire il pubblico solamente con la tecnica alla quale preferiva l’eleganza”.

Una settimana prima della sua dipartita O’Flynn e Glackin, lo accompagnarono per una visita medica: infinito rispetto ed amicizia verso un uomo che seppe trasmettere la sua eredità musicale ed il suo contagioso entusiasmo alla generazione successiva.

TRACK LIST:

  1. The Pure Drop & The Flax in Bloom (Two Reels)
  2. The Fairy Boy (Slow Air)
  3. The Groves Hornpipe & Dwyer’s Hornpipe (Hornpipes)
  4. O’Sullivan the Great (March)
  5. When Sick, Is it Tea You Want? & The Humours of Drinagh (Double Jigs)
  6. By the River of Gems & The Rocky Road to Dublin (Slow Air and Slip-Jig)
  7. Ask My Father & Pat Ward’s Jig (Two Single Jigs)
  8. Valencia Harbour (Slow Air)
  9. The Standing Abbey & The Stack of Barley (Hornpipes)
  10. The Leitrim Thrush & Miss Johnson (Two Reels)
  11. The Return From Fingal (March)
  12. Chase me Charlie & The Dingle Regatta (Two Single Jigs)
  13. White Connor’s Daughter, Nora (Slow Air)
  14. Slieve Russell & Sixpenny Money (Two Double Jigs)
  15. Stay for Another While : I Have No Money & The Cushogue (Three Reels)
  16. The Brown Thorn (Slow Air)

 

 

 

TERREMOTO 1891 (quotidiano Arena, sesta parte)

TERREMOTO 1891 (quotidiano Arena, sesta parte)

TERREMOTO 1891 (quotidiano Arena, sesta parte)

ARENA, 9 – 10 GIUGNO 1891

IL TERREMOTO DEL 7 – SUI LUOGHI DEL DISASTRO

IL TERRORE !

Impressionati dalle notizie che ci telegrafano e scrivevano i nostri egregi corrispondenti da Tregnago e Badia Calavena, ieri ci siamo decisi a recarci sui luoghi onde persuaderci, de visu, della descritta gravità della sciagura.

Risultato della nostra gita, triste assai, sono queste note farraginose, buttate giù colla tiranna dell’ora alla gola, ma esatta fotografia delle nostre impressioni e della verità.

*

Il ridente paese di Tregnago, l’incantevole Badia Calavena dolcemente adagiata in fondo alla valle, quasi sentinella avanzata ai piedi della valle, quasi sentinella avanzata ai piedi delle alte cime che formano i contrafforti ai Lessini, non sono più riconoscibili.

Sui volti di quei robusti montanari non splende più la intelligente svegliatezza; il loro occhi sono atoni, le loro fisionomie senza espressione, i movimenti tardi, e paion diventati automi senza volontà e senza energia.

L’orribile spavento provato la notte del terremoto li ha come inebetiti, e lo scamato pericolo personale, reso ora più manifesto dal misero stato in cui vedon ridotte le case loro, li mantiene in quell’intontimento che finisce per renderli indifferenti a quanto avviene attorno ad essi.

Qualunque domanda loro rivolgiate non ha pronta evasione: sembrano svegliarsi da un sonno continuo quando odono la vostra voce a meravigliarsi che qualcuno parli loro.

Le donne specialmente, i bambini, sussultano se li toccate o li interrogate alle spalle, e cofessano che ad essi sembra di provare incessantemente l’impressione indescrivibile provata l’altra notte quando furono balzati di letto, e udirono le case rovinare, i muri screpolarsi, i vicini, i parenti caduti sotto le macerie invocare soccorso.

Essi si aggirano, con la tenace temerarietà del contadino, attorno alle povere casette sconquassate nelle quali sarebbe follia entrare, e guardano con occhio lacrimoso la rovina dell’unica loro possessione, lo sfacelo delle mura fra le quali sono nati, hanno pianto ed hanno amato.

Oh! Quanto urgente, o lettori pietosi, è il soccorso per quella gente; quanto necessario il provvedere!

I soldati del genio, comandati dall’egregio capitano Messina e dall’infaticabile tenente Biancolini, abbattono case pericolanti, sgombrano delle cadute, estraggono e consegnano ai proprietari che ansiosamente le attendono, le suppellettili, le cose più care, guaste, rovinate, distrutte, di sotto ai rottami; erigono tende, portano paglia, confortano colla bontà, col lavoro, coll’assistenza fraterna i poveri colpiti dal terremoto.

Non è un luogo comune della rettorica lo sciogliere un inno all’esercito, a questa che è la più salda, la più immacolata delle nostre istituzioni, e che troviamo sempre sul nostro cammino, là dove c’è una lacrima da asciugare, un dolore da lenire, una sventura da mitigare.

Evviva il soldato italiano!

*

Da tre notti a Tregnago ed a Badia non si dorme al coperto.

I quattro quinti delle case furono dal Genio Civile dichiarate inabitabili, e nelle altre il terrore impedisce agli inquilini di pernottare.

Vasti e numerosi attendamenti militari e privati albergano le centinaia le centinaia di persone prive di alloggio, e sotto le piccole tende dei soldati, e sotto quelle di ogni foggia, erette li per li dagli abitanti stessi, si vedono intiere famiglie, con materassi, sedie, poltrone, utensili da cucina, il tutto ammonticchiato come Dio vuole.

E l’altra notte e ieri sera piovve lungamente, dirottamente, e le tende non bene ripararono dall’acqua i poveri inquilini di esse, talchè dopo un po’ di tempo la paglia, i materassi, le persone giacevano in pozzanghere.

– Io mi sono svegliata – ci diceva una bella sposa di Badia Calavena, ai pianti dei miei tre bambini, che erano addirittura coricati nell’acqua; e al di fuori della tenda pioveva peggio che dentro, non potevo quindi uscire, perciò ho dovuto tenermeli, così bagnati, tutta notte sulle ginocchia. Dio provvederà a salvarli da qualche terribile malattia!

Ed aveva ragione la poveretta.

Una malattia, terribile, spaventosa per chi ha figli, è scoppiata pur troppo a Tregnago: la difterite!

Ieri i due casi erano in cura, ed uno dei colpiti stava per morire.

Il valente e zelantissimo dott. Castelli si fa in quattro, sorveglia, disinfetta, isola, cura con amore e con scienza, ma purtroppo le sue forze non potranno arrestare il male se avrà ad estendersi.

E il cuore si agghiaccia al penare che serpeggia la difterite in una popolazione costretta a dormire, a vivere agglomerata sotto le tende, senza agi, senza comodità, senza regole né di pulizia né di igiene.

Il Sindaco di Tregnago, avv. Cavaggioni, quello di Badia, signor Grisi, i due Segretari, i due medici, le autorità tutte gareggiano di zelo, di attività, di energia, ma la bisogna è vasta e grande, il disastro ha proporzioni forti, e per ciò che riguarda le case danneggiate non si sa da quale parte incominciare a metterci le mani.

QUI LA PRIMA PARTE: (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/08/30/terremoto-verona-1891-quotidiano-arena-prima-parte/)

QUI LA SECONDA PARTE (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/09/20/terremoto-verona-1891-quotidiano-arena-seconda-parte/)

QUI LA TERZA PARTE (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/09/29/terremoto-1891-quotidiano-arena-terza-parte/)

QUI LA QUARTA PARTE (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/10/05/terremoto-verona-1891-quotidiano-arena-quarta-parte/)

QUI LA QUINTA PARTE (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/10/25/terremoto-1891-quotidiano-arena-quinta-parte/)

 

GATOS DO MAR “La Sindrome di Wanderlust”

GATOS DO MAR “La Sindrome di Wanderlust”

GATOS DO MAR “La Sindrome di Wanderlust”

RadiciMusic Records. CD, 2019

di Alessandro Nobis

Vengono dall’area metropolitana di Napoli Annalisa Madonna, Gianluca Rovinello e Pasquale Banincasa, i “Gatos do Mar” e questo “La Sindrome di Wanderlust” è il loro secondo brillante episodio dopo “La Zattera”. Anche i Gatos Do Mar procedono lungo un linguaggio che nasce dalla combinazione di tradizione con sonorità e composizioni che vengono da culture altre. La cifra stilistica del trio si identifica a mio avviso con la capacità di equilibrare atmosfere diverse con arrangiamenti interessanti e piuttosto originali: notevoli “Violeta”, il brano dedicato a Violeta Parra che racconta del suo ultimo giorno di vita con il gioco arpa – percussioni ed il solo al sax di Pino Ceccarelli e la voce di Annalisa Madonna che fa propria anche la nostalgica “Sodade” di Cesaria Evoria. Si parla di nostalgia, di viaggi (La Sindrome di Wanderlust è la sindrome del viaggiatore), di lontananza ma anche di vita nuova come nella splendida e dolcissima ninna nanna “Del Leone” con un carillon che invita il bambino al sonno, della cultura Yoruba che dà spunto a Malashaima, isola immaginaria dove naufragano i musicisti di tutto il mondo, con un significativo solo di Luigi Esposito alla fisarmonica e la suggestiva ed efficace polifonia.

Si parte dal porto di Napoli quindi e si viaggia nelle culture atlantiche con la terra di origine nell’anima (la ballata “’Noppa Funtana” e “Jemanjà”) e soprattutto con il timone ben saldo e con una combinazione di suoni originale nella quale l’arpa di Gianluca Rovinello e la voce di Annalisa Madonna con le coloriture del percussionista Pasquale Benincasa fanno di questo “La Sindrome di Wanderlust” un lavoro da ascoltare con tutta l’attenzione che merita e che apprezzerete.

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CARLO RISPOLI “The Cruise of Pequod”

CARLO RISPOLI “The Cruise of Pequod”

CARLO RISPOLI “The Cruise of Pequod”

Edizioni Segni D’Autore, 2019. 210 x 297, 86 pagine, € 19,90

di Alessandro Nobis

Nel bel mezzo dell’immenso oceano letterario immaginario e reale disegnato tra l’“Isola del Tesoro” e “Moby Dick” Carlo Rispoli (illustratore, sceneggiatore e narratore della storia di John Silver) immagina lo scorrere della sorprendente ed originale trama di “The Cruise of Pequod” che inizia esattamente dove terminava il precedente “La Isla Desconocida” (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/05/14/carlo-rispoli-la-isla-desconocida/)ovvero quando “Barbecue” Long John Silver lascia l’isola a bordo di una piccola barca e viene raccolto da Shorty, marinaio attorno al quale ruota questo avvincente romanzo grafico.

mpbyTra ammutinamenti e contro ammutinamenti, tra citazioni latine e bibliche, le tavole talvolta appena abbozzate e rigorosamente in bianco e nero, i dialoghi come nello stile di Rispoli efficaci nella loro essenzialità; con il leviatano Mocha Dick sempre in agguato sotto il pelo dell’acqua, si scopre che il Capitano Achab, quello del Pequod, non è più a bordo della baleniera e che il suo posto è stato preso da Mademoiselle Ahab, defestrata dal suo incarico dalla ciurma messa nelle mani di Silver, a sua volta “buttato a mare” dal Marinaio Shorty, l’unico sopravvissuto della ciurma del vecchio Pequod del Capitano Achab.

Long John Silver viene lanciato in mare in un sacco di iuta e misteriosamente si risveglia sull’Isola e ricorda questa avventura: ma è successo veramente o è stato tutto un sogno? Scegliete voi, naturalmente.

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