LUIGI CATUOGNO “The neverending strings”

LUIGI CATUOGNO “The neverending strings”

LUIGI CATUOGNO “The neverending strings”

Autoproduzione, CD 2018

di Alessandro Nobis

C’è ancora in giro qualcuno che ritiene le musiche di Bob Dylan facili da suonare, semplici anche per un novellino della chitarra – sulla bellezza dei testi nessuno ha invero da obiettare -; quindi o questa “diceria” è del tutto pretestuosa oppure Luigi Catuogno, valente quanto superbo chitarrista di formazione classica con un passato nei Viulan e di nascita caprese – trapiantato nel modenese – ha con questo suo lavoro compiuto una sorta di miracolo. Al solito “in medio stat virtus”, ovvero le melodie non sono per nulla elementari e Catuogno ha fatto un profondo lavoro di rivisitazione trasformando quattordici brani dello sterminato songbook dylaniano in bellissimi brani “classici”.

Naturalmente per noi – non dylaniani nè dylaniati ma semplicemente estimatori di Robert Zimmerman – è gioco facile indovinare i brani, anche fuorviante per certi versi perchè può divcopertina-1.jpgentare un pericoloso gioco mnemonico; proviamo invece ad apprezzare i brani di Catuogno come farebbe un appassionato che di Dylan non ha mai ascoltato – non sentito – nulla o quasi. Ecco che quindi che la nebbia si dipana e le quattordici tracce si manifestano nella loro autentica bellezza e ricercatezza, alcune sembrano uscire da intavolature rinascimentali come “Blind Willie McTell”, “Sara” o “To Ramona”, altre come “The Lonesome Death of Hattie Carroll”, “North Country Blues” o ancora “Man Gave Name to All Animals” da repertori del folklore anglosassone (da dove, comunque, Mr. D. si è spesso abbeverato).

Bel lavoro, spero caldamente abbia il riscontro che merita.

http://www.luigicatuogno.com

 

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ALBERTO LA NEVE & FABIANA DOTA “Lidenbrock”

ALBERTO LA NEVE & FABIANA DOTA “Lidenbrock”

LA NEVE / DOTA “Lidenbrock”

Manitù Records, CD 2017

di Alessandro Nobis

Nel 1974 ci aveva provato il tastierista degli Yes, Rick Wakeman, a portare in musica uno dei capolavori della letteratura fantastica di metà Ottocento, quel “Viaggio al Centro della Terra” che, pubblicato nel 1864, affascinò ragazzi e uomini di numerose generazioni; un lavoro, quello di Wakeman, appesantito a mio avviso da arrangiamenti ridondanti che coinvolgevano un gruppo rock ed un’orchestra sinfonica nonostante la bontà della musica scritta. Mi risulta che Wakeman sia stato l’unico musicista a cimentarsi con quel testo di Jules Verne, a parte naturalmente il sassofonista Alberto La Neve e la vocalist di Fabiana Dota che hanno pubblicato qualche mese or sono questo “Lidenbrock”, un lavoro che si fa ascoltare molto piacevolmente per le soluzioni musicali scelte per cercare di illustrare attraverso la musica questo viaggio al centro della Terra del Professore tedesco; ricordiamo che Otto Lidenbrock ebbe l’idea di compiere questa avventura grazie alla scoperta di un manoscritto in runico scritto da Arke Saknussen e che, una volta entrato in un vulcano islandese, dopo mille peripezie uscì da un altro vulcano ben lontano, lo Stromboli.

La suite composta da Alberto La Neve si compone di 4 movimenti (“Dèpart”, “Islande”, “Sneffels” e “Retour”) nei quali la combinazione tra strumenti acustici (il sassofono e la voce, cantata e recitata) e l’elettronica trova sempre il suo equilibrio rendendo omogeneo e continuo il filo del racconto musicale e lo spirito che permea “Lidenbrock”. Anche perché la composizione di questo duo è cosa tutto sommato rara in ambito jazzistico, e non solo (mi è venuta in mente la coppia Surman / Krog) e translare in musica un testo letterario non deve essere cosa facile: occorrono idee, capacità tecnica e di dialogo, immaginazione, i giusti compagni di viaggio, un certo gusto per l’improvvisazione e la conoscenza delle potenzialità dei marchingegni elettronici che vanno tenuti “a debita distanza”. “Lidenbrock” ha tutte queste caratteristiche, ma soprattutto il suo ascolto ti fa venir voglia di riprendere in mano il libro di Verne e di rileggerlo, con gli occhi di adulto.

Ben fatto.

WWW.MANITURECORDS.COM

 

EDUARDO PANIAGUA “Cantigas de Ultramar”

EDUARDO PANIAGUA “Cantigas de Ultramar”

EDUARDO PANIAGUA “Cantigas de Ultramar”

PNEUMA RECORDS, 2CD 1530, 2017

di Alessandro Nobis

Le tredici Cantigas raccolte in questo doppio CD curato come al solito egregiamente da Eduardo Paniagua narrano dei (presunti) miracoli compiuti dalla Vergine Maria nell’oriente cristiano (all’epoca dei fatti, ovvero prima del XIII secolo, quando Alfonso El Sabio – 1221 – 1284 – raccolse questa enorme di testi) del Mediterraneo: il primo riguarda Costantinopoli e dintorni, il secondo la Siria ed il Medio Oriente. La raccolta delle Cantigas, conservata a Madrid ed in parte a Firenze, come ho già accennato in precedenti occasioni contiene solamente testi mentre le musiche sono state realizzate basandosi da punto di vista esecutivo sulla melodia monodica gregoriana e trobadorica e strumentale sulle miniature che accompagnano i testi e sugli strumenti tradizionali di area mediterranea sopravvissuti nei secoli.cantiga_9

Tra queste Cantigas presenti in questo doppio CD segnalo “Emperador Juliano, Milagro de San Basilio” (CSM 15), narrante la leggenda che glorifica la vita di San Basilio, Patriarca della Chiesa d’Oriente (329 – 379), che persuade l’Imperatore Giuliano l’Apostata a rinunciare all’assedio della sua città, Cesarea – l’attuale Kayseri in Turchia – durante la sua marcia verso la Persia. La Vergine invita san Mercurio di Cesarea a lasciare la sua tomba ed a sfidare a duello l’Imperatore; così fa e l’Imperatore viene ucciso, convincendo con questo miracolo gli abitanti di Cesarea rimasti ancora pagani a convertirsi al Cristianesimo. L’origine di questa Cantiga è quindi molto remota, ed ha viaggiato nella memoria orale e forse anche in qualche manoscritto per dieci secoli prima che Alfonso X El Sabio, l’abbia raccolta, fatta trascrivere e adornare di miniature consegnandola al Tempo per altri ottocento anni.

Questa raccolta, come quella delle Cantigas De Amigo (raccolta di canti profani), è pertanto fondamentale non solo per il suo valore linguistico e musicologico, ma anche per quello storico e sociale ed il tentativo di Paniagua e di altri studiosi di restituirci questo testi affiandoli a melodie è encomiabile e preziosissimo. Un autentico tesoro che ha miracolosamente attraversato il tempo e che chiede di essere riscoperto.

 

DALLA PICCIONAIA “The Storytellers”, Live at Cohen Verona, 18 gennaio 018

DALLA PICCIONAIA “The Storytellers”, Live at Cohen Verona, 18 gennaio 018

DALLA PICCIONAIA The Storytellers, Cohen Verona, 18 gennaio 2018

di Alessandro Nobis (foto di Nicola C. Salerno)

Mi hanno confessato a fine concerto che era la seconda volta che suonavano insieme.

Ora, i casi sono due: o hanno mentito sapendo di farlo oppure la scintilla che raramente scocca sin da subito tra musicisti è stata ben luminosa ed ha fatto in modo che il concerto visto al Jazz Club del Cohen lo scorso giovedì sia stato uno dei più avvincenti ed interessanti visti negli ultimi tempi, almeno da scrive, in ambito jazz. A parte la struttura del trio e la fine tecnica (Paolo Bacchetta alla chitarra, Zeno De Rossi alla batteria e Giulio Stermieri all’organo) quello che mi ha maggiormente colpito è stata la capacità per tutti gli ottanta minuti del concerto – consumati in un attimo, altro segnale della bontà del progetto – di suonare “veramente” insieme, come se il trio fosse un unicum dove ogni sua parte dà il suo apporto con grande rispetto verso la personalità degli altri.

Temi, dialoghi, conoscenza profonda del linguaggio comune, improvvisazione e assoli sempre misurati, jazz non sempre facile ma che è piaciuto parecchio al pubblico sia dei jazzofili più legati al jazz classico che a quelli più esigenti dal palato fino; un audience attenta che ha saputo apprezzare le dilatazione dei temi di Bacchetta e di De Rossi ed il grande rispetto che il trio ha avuto per due autori / musicisti tra quelli che più hanno ispirato ed influenzato in fase compositiva ed esecutiva la loro musica, ovvero Bill Frisell (il concerto si è aperto con “Blues Dream”) e Paul Motian, del quale hanno eseguito – meglio interpretato – ben cinque composizioni (“White magic”, “Dance”, “Once Around the Park”, “Circle Dance” ed il calypso “Mandevilel” che ha chiuso il bel concerto). Bravi, sarà stata anche la seconda volta che suonavano insieme (forse) ma a questo punto la registrazione di un disco è la parola d’ordine: magari presentarlo al Cohen……… che ne dite, “Storytellers”?

 

KRISHNA BISWAS “Panir”

KRISHNA BISWAS “Panir”

KRISHNA BISWAS “Panir”

RADICIMUSIC, CD, 2017

di Alessandro Nobis

Krishna Biswas, raffinato chitarrista e compositore fiorentino, ha trovato un modo personale per uscire dalle rigide “gabbie” all’interno delle quali sono cresciuti e sviluppati nel tempo i più diversi generi musicali, ovvero modificando dall’inizio il processo creativo / compositivo, uscendo dagli schemi delle accordature più utilizzate creandone di nuove, cambiando alla radice le possibilità sonore di una chitarra acustica. Questo suo recente lavoro, pubblicato dalla Radici Music Records con la quale Krishna collabora da qualche tempo, mi ha riportato ai tempi della DDD di Riccardo Zappa e dei chitarristi che per quella label milanese incidevano, tutti eccellenti strumentisti e compositori come questo strumentista fiorentino; tre brevi suites (12 brani) sono il succo di questo “Panir”, ognuna eseguita con diversa accordatura ed ognuna caratterizzata da coloriture e da un modo di raccontare la propria musica, come la pacatezza dell’iniziale suite “Verde” o l’introspezione di “Nero”. Un lavoro che a mio avviso si stacca in toto dal virtuosismo autoreferenziale che spesso si trova nei dischi di chitarra acustica – e non solo – e che qui mette invece alla luce il notevole talento esecutivo e compositivo, le due doti che preferisco, di Krishna Biswas che merita senz’altro l’attenzione di musicisti e di direttori artistici di festival non sempre attivi nella ricerca di musicisti – e sono convinto siano molti – di qualità.

http://www.radicimusicrecords.it

 

 

 

 

 

 

 

 

 

MSHAKHT & NEW LANDSCAPES “Walking Sounds”

MSHAKHT & NEW LANDSCAPES “Walking Sounds”

MSHAKHT & NEW LANDSCAPES “Walking Sounds”

CALIGOLA RECORDS, 2017

di Alessandro Nobis

“Canzoni dal Kurdistan iracheno all’Italia”, questo il sottotitolo di un progetto pensato da Luca Chiavinato del trio New Landscapes e realizzato in una sua prima parte nel Kurdistan iracheno, ad Ebril, ed in una seconda in Italia. L’idea di unire giovani musicisti di diversi Paesi sciaguratamente e forzatamente ospiti del campo profughi di Domiz e di formare un ensemble, chiamato Mshakht, è stata senz’altro vincente e mi auguro venga replicata anche altrove, e la qualità della musica registrata lo sta a testimoniare: senza tanti fronzoli, con tanta sincerità, bravura e passione e soprattutto con grande comunicazione tra diverse persone unite da tragici eventi storici. Caligola2235_DigifileEsterno copia (1)Qualche concerto, qualche frammento ambientale a microfoni aperti e poi la registrazione professionale, l’apertura di corsi di strumento nei centri aperti dall’ONG “Un ponte per …” e poi il trasferimento in Italia dove il trio New Landscapes ha sapientemente e delicatamente inserito suoni che affiancano quelli più etnici provenienti dal Kurdistan; e così Luca Chiavinato (liuto e liuto arabo), Francesco Ganassin (clarinetti ed elettronica) e Silvia Rinaldi (violino) con altri ospiti hanno generato degli “ovedubs” che permeano tutto il disco andando non a soffocare i suoni originali ma realizzando un lavoro di tutto rispetto per il valore culturale ma anche per il piacere che si prova durante l’ascolto. L’inserimento della batteria, di tastiere e del clarinetto nel brano eponimo con il testo cantato a più voci, il pianoforte affiancato all’oud in “Comunication Breakdown”, il violino, il pianoforte e l’elettronica in “Garam Masala” la sensazione di festa nella conclusiva “Domiz Camp Soundscape 4” che per un poco lascia da parte la grama vita quotidiana dei campi profughi in questa terra che “esiste ma non esiste”.

Un bel lavoro davvero, un ponte tra due mondi che distano solo un paio d’ore di volo e che è già stato presentato in Iraq ed in Kurdistan ma che contiamo di vederlo anche presentare nel nostro Paese come merita. Grazie a New Landscape ed alla ONG “Un ponte per ……” per aver reso possibile questa esperienza che come ho detto può anzi deve essere proseguita e replicata.

Riportare la musica e la cultura in cima alle esigenze dell’uomo assieme a quelle di una vita dignitosa aiuta a ridurre le brutture di questi tempi.

Alessandro Nobis

ALBOKA “Lurria Ur Haize”

ALBOKA “Lurria Ur Haize”

ALBOKA “Lurria Ur Haize”

AZTARNA RECORDS, 2017

di Alessandro Nobis

Di tutto possiamo dire dei baschi Alboka tranne che siano un gruppo prolifico dal punto di vista discografico: fondati nel 1994, hanno sfornato, con questo “Lurra Ur Haize”, cinque lavori (“Alboka” nel 1994, “Bi Beso Lur” nel 1998, “Lorius” nel 2001 e “Lau Anaiak” nel 2004). D’altro canto possiamo altrettanto dire che quando Alan Griffin e Joxan Goikoetxea decidono che sia venuto il momento di registrare come gruppo lasciando da parte – o vivendo in modo parallelo – i loro impegni, essi siano insegnamento, progetti solistici, collaborazioni con altri musicisti, lo fanno nel migliore dei modi producendo musica di grande qualità nel solco della tradizione “Alboka” ovvero andando a pescare nella ricca tradizione basca e scrivendo nuova musica. Alboka_LurraUrHaize_BajaAnche questo nuovo lavoro segue questa linea, forse ancor più dei precedenti visto che sulla base di un quartetto base (con i due ci sono anche due amici di vecchia data, i bravissimi Juanjo Otxandorena al bozouki e Xabi San Sebastian al canto) un congruo numero di ospiti contribuisce ad arricchire il suono delle varie tracce. “Beira finezko danborra” ha l’incedere di un canto rinascimentale, “Ezkutari” composta da Goikoetxea sembra l’incontro tra l’Andalusia ed Euskadi grazie alla chitarra di David Escudero ed alle percussioni di Oscar de la O, “Txipititxonian” è un tema da danza condotta dalle sempre efficace fisarmonica di Goikoetxea con i cammei di Silvio e Nanni Teot degli Uaragniuan, “Agustina Antonia” un canto narrativo con l’intro della fisarmonica e la splendida interpretazione vocale di Xabi San Sebastian. Insomma, una altro gran bel lavoro che conferma il grande valore del progetto Alboka, uno dei gruppi simbolo della rivalorizzazione del patrimonio basco assieme a Xarnege e Aintzina.

Peccato che tutte le note a corollario del Cd siano in Lingua Basca ……………….. magari almeno in castigliano se non in inglese si potevano inserire. Vabbè, peccato veniale. Fu solo pigrizia?

http://www.aztarna.com

GHIGLIONI – POTTS – LENOCI “No Baby”

GHIGLIONI – POTTS – LENOCI “No Baby”

GHIGLIONI – POTTS – LENOCI “No Baby”

DODICILUNE RECORDS. CD ED377, 2017

di Alessandro Nobis

La parola d’ordine di questo “No Baby”, registrato nel 2015 e pubblicato sul finire dell’anno scorso dalla Dodicilune, è “dialogo” (“interplay” per gli irriducibili anglofoni); in realtà il dialogo dovrebbe essere uno dei cardini della musica afroamericana, ma sappiamo tutti benissimo che spesso questo viene meno quando il virtuosismo, o meglio il desiderio di dimostrare le proprie capacità, cozza contro la voglia di dialogare tra musicisti. Qui invece i tre protagonisti – Tiziana Ghiglioni, Steve Potts (sassofono) e Gianni Lenoci (pianoforte) danno una preziosa lezione di come, pur essendo tutti musicisti di gran levatura, si possa sacrificare le proprie individualità mettendole invece al servizio dei compagni viaggio, soprattutto quando si affrontano autori come Mal Waldron, Steve Lacy od Ornette Coleman che hanno illuminato una via ben precisa all’interno della musica afromericana; paradigmatica per quanto detto in apertura può essere considerata la rilettura della magnifica ballad di Coleman “Lonely Woman” (1959) qui proposta in una versione con il testo scritto nel ’61 da Margo Guryan, su invito di John Lewis nella quale, pur rispettando la scrittura colemaniana, si apprezza il cantato all’unisono con il sax di Potts e dove si respira aria di libertà esecutiva. Inoltre quattro brani originali scritti a quattro mani dalla sempre brillantissima Ghiglioni e da Lenoci, tra i quali segnalo “Fagan” ed uno composto dal pianista dedicato a Waldron: “Mal Walking”, bellissima ballad con in evidenza soprattutto il sax di Steve Potts (ricordiamolo allievo di Dolphy  e collaboratore di Steve Lacy) ed il pianoforte.

THE ROLLING STONES “On Air”

THE ROLLING STONES “On Air”

THE ROLLING STONES “On Air”

POLYDOR RECORDS. 2LP, CD, 2CD 2017

di Alessandro Nobis

Narra la leggenda (o racconta la storia) che sul finire degli anni Cinquanta a Dartford, una cittadina della provincia inglese, due imberbi ragazzini aspettassero il titolare di un negozio di elettrodomestici prima dell’apertura per essere i primi a “sondare” le novità a 45 giri di blues, di rhythm’n’blues, di soul che una volta la settimana arrivavano via posta dalla lontana America: Muddy Waters, John Lee Hooker, Wilson Pickett, Wille Dixon, e poi di corsa via a casa con tutto il week end a consumare i 45 giri sul giradischi e soprattutto a provare i brani.

I primi vagiti degli Stones di Keith Richards, Brian Jones e Mick Jagger sono tutti lì, all’insegna della musica nera americana, e queste preziose registrazioni provenienti dagli archivi della BBC e contenute in questi due ellepì sono l’ulteriore testimonianza di tutto questo, nel nome del blues, del soul e del rhythm’n’blues. Dal 1963 al 1965, quindi prima della pubblicazione di “December’s Children”, trentatrè tracce – probabilmente già edite in bootleg vari – di rivisitazioni sincere, riuscite ma tutto sommato abbastanza calligrafiche – come si usava agli albori del British Blues – di Chuck Berry, Solomon Burke, Willie Dixon, Jimmy Reed, Ellis McDaniel a.k.a. Bo Diddley, Wilson Pickett, Hank Snow e Rufus Thomas, le radici dei Rolling Stones sulle quali poi la band inglese ha saputo edificare la sua storia senza mai dimenticarle; solamente tre gli originali, ma sono “(I can’t get no) Satisfaction”, “The Last Time” e “Little by Little”! Da lì a qualche anno gl Stones saranno a Chicago dai fratelli Chess, a registrare con i loro – ed i nostri – eroi…….

Un doppio ellepì CD non solo per i “completisti” per avere un chiaro sguardo su quegli anni nei quali i musicisti inglesi intelligentemente andavano alla scoperta della musica di matrice blues d’oltreoceano.

Tutto sommato invece inutile a mio avviso la versione di un solo CD che contiene il primo dei due dischi. Lasciatela perdere e concentratevi sul doppio.