WERNYHORA “Toloka”

WERNYHORA “Toloka”

WERNYHORA “Toloka”

Polskie Radio Records · CD · 2022

di alessandro nobis

Questo splendido secondo disco di Daria Kosiek (voce), Anna Oklejewiez (violino, viola da gamba, violoncello e rebeca) e Maciej Hanna (ghironda) è stato per me una autentica e bellissima sorpresa; in quel di San Daniele Del Friuli, nell’ambito di Folkest, avevo avuto l’opportunità di assistere ad un loro show case nella splendida chiesa di Sant’Antonio Abate che, tra l’altro, ospita un ciclo di affreschi del pittore cinquecentesco Martino da Udine, a.k.a. Pellegrino da San Daniele”: location ideale per la musica del trio Wernyhora che ha presentato brani della tradizione polacca in particolare dell’area carpatica vicina all’Ucraina.

Straordinaria la loro performance come lo è questo disco che ci fa compiere un viaggio nel tempo e nello spazio di una regione che probabilmente pochi conoscono.

La scaletta dei brani ci rivela che questo straordinario “Toloka” è in realtà un omaggio all’etnografo polacco Henryk Oskar Kolberg (1814 · 1890) che tra il 1857 ed il 1890 (coevo quindi ad altri etnografi europei come Francis Child, Ettore Scipione Righi e Costantino Nigra per citarne tre) pubblicò la sua monumentale opera “Lud” (“persone“) che racchiude tra l’altro 12.000 canzoni, 1.250 racconti tradizionali e 670 racconti fiabeschi di ogni regione della Polonia; degli undici brani presenti ben sette provengono infatti da questa raccolta, due sono registrazioni sul campo e due sono interpretazioni di melodie apprese da portatori. In particolare meritano una citazione il canto mariano natalizio “Maryja czysta” · “Mary The Virgin” dal repertorio della portatrice Anna Wozniak, con un arrangiamento che coinvolge anche il percussionista Wojeiech Lubertowiez e la “murder ballad” “Oj, w nocy” · “Oh at Night” dal repertorio di un’altra portatrice, Maria Musiak.

Tra i brani provenienti dalla raccolta Kolberg segnalo “Bylo nie kopac” · “It was not to dig” con un bel arrangiamento per ghironda e viola da gamba ad accompagnare la voce, e la ballad “Smukek · Sorrow” con pizzicato di viola, ghironda e canto.

Un repertorio molto interessante, livello esecutivo altissimo che valorizza al meglio il repertorio, insomma un disco da cercare assolutamente (e se sono lo trovate, lo potete intanto ascoltare su Spotify), e la voce di Daria Kosiek è davvero straordinaria, mi ha ricordato nella modalità esecutiva e nella tonalità l’ungherese Marta Sebestyen.

http://www.wernyhora.eu

This brilliant second album by Daria Kosiek (vocals), Anna Oklejewiez (violin, viola da gamba, cello and rebeca) and Maciej Hanna (hurdy-gurdy) was a real and beautiful surprise for me; in San Daniele Del Friuli, as part of Folkest, I had the opportunity to attend one of their show cases in the splendid church of Sant’Antonio Abate which, among other things, houses a cycle of frescoes by the sixteenth-century painter Martino from Udine, a.k.a. Pellegrino da San Daniele”: ideal location for the music of the Wernyhora trio who presented pieces of the Polish tradition, especially from the Carpathian area close to Ukraine.

Their performance is extraordinary, as is this record which takes us on a journey through time and space in a region that probably few know.

The track list reveals that this extraordinary “Toloka” is actually a tribute to the Polish ethnographer Henryk Oskar Kolberg (1814 · 1890) who between 1857 and 1890 (therefore contemporary with other European ethnographers such as Francis Child, Ettore Scipione Righi and Constantine Nigra to name three) published his monumental work “Lud” (“people”) which contains among other things 12,000 songs, 1,250 traditional tales and 670 fairy tales from every region of Poland; of the eleven pieces present, seven come from this collection, two are field recordings and two are interpretations of melodies learned from carriers. In particular, the Marian Christmas song “Maryja czysta” “Mary The Virgin” from the repertoire of the bearer Anna Wozniak deserves a mention, with an arrangement that also involves the percussionist Wojeiech Lubertowiez and the “murder ballad” “Oj, w nocy” ” Oh at Night” from the repertoire of another bearer, Maria Musiak.

Among the pieces from the Kolberg collection I point out “Bylo nie kopac” · “It was not to dig” with a nice arrangement for hurdy-gurdy and viola da gamba to accompany the voice, and the ballad “Smukek · Sorrow” with pizzicato viola, hurdy-gurdy and I sing.

A very interesting repertoire, very high executive level that makes the most of the repertoire, in short, an album to absolutely look for (and if you find it, you can listen to it on Spotify in the meantime), and Daria Kosiek’s voice is truly extraordinary, she reminded me in Hungarian Marta Sebestyen in performance and tonality.

DEL PIANO · OLIVIERI · MAZZA · MARINI “Double 3”

DEL PIANO · OLIVIERI · MAZZA · MARINI “Double 3”

DEL PIANO · OLIVIERI · MAZZA · MARINI “Double 3”

CALIGOLA RECORDS. CD, 2022

Nel 2022 la casa discografica Caligola ha pubblicato queste registrazioni risalenti al maggio dell’anno precedente che vedono coinvolti il bassista Roberto Del Piano, il batterista Alberto Olivieri e due sassofonisti, l’altoista Cristina Mazza ed il baritonista Bruno Marini: fin qui niente di strano senonchè la particolarità di queste incisioni sta nella loro costruzione, ovvero una sezione ritmica, affidabile ed affiatata · Olivieri e Del Piano · che lungo tutta la durata del disco dà il suo sostanziale e creativo contributo alternativamente a Cristina Mazza e a Bruno Marini. Un “Double 3” appunto, che disegna in modo chiaro a mio modesto parere gli stili dei due sassofonisti, il primo molto legato al linguaggio free ed in particolare alla lezione di Ornette Coleman, il secondo più vicino al jazz “maistream”; tutte · o quasi · le tracce si fondano su elementi prima abbozzati ed in seguito sviluppati con grande libertà in una “take” durante la session del 19 maggio nello studio veronese Brazz di Alberto Olivieri. Creazioni spontanee ma interne ai diversi idiomi utilizzati mi verrebbe da dire, “improvvisazione idiomatica” la definisce Derek Bailey. Il “quasi” citato prima si riferisce alla rilettura di “Beauty is a Rare Thing” di Ornette Coleman, un brano, una ballad scritta ed incisa nel 1961 che il sax di Cristina Mazza riporta ai nostri giorni con una versione intensa e rispettosa arricchita da due bei soli di basso elettrico; e a proposito dei brani dove il sax è quello dell’altoista, è obbligo citare “Forgotten Names” per la sua espressiva performance vocale dedicata alle vittime dimenticate di ogni tipo di violenza, un’improvvisazione che personalmente mi ha ricordato a tratti i canti propiziatori dei nativi americani, è questo il brano che preferisco tra i quattro di questo “Double 3” che vedono coinvolta Cristina Mazza.

Bruno Marini è il solista delle rimanenti cinque tracce; notevole mi pare “Endemic” con l’apertura affidata al delicato drumming di Olivieri per poi dipanarsi in un lungo assolo interrotto solamente da un efficace intervento del basso elettrico, ma mi permetto di sottolineare altri due brani che ritengo significativi, ovvero “Flute and Cats” dove il multistrumentista imbraccia il flauto traverso · che se non ricordo male è uno dei suoi primi amori musicali · con grande autorevolezza e sensibilità · e qui ciascuno potrà trovare i suoi riferimenti peraltro a mio avviso evidenti con i grandi flautisti del passato · e “Sunset Enigma“, splendida ballad composta da Marini ed eseguita al pianoforte, un Marini pianista che sorprenderà molti appassionati di jazz per il suo tocco essenziale e gradevolissimo sulla tastiera.

Un bel disco davvero disco che mi sento di consigliare a tutti gli appassionati, considerato che la sua reperibilità è tutto sommato facilee ed anche per il prezzo di fascia media, cosa che non guasta mai di questi tempi.

GIULIO REDAELLI “Tempo Sospeso”

GIULIO REDAELLI “Tempo Sospeso”

GIULIO REDAELLI “Tempo Sospeso”

AUTOPRODUZIONE. CD, 2022.

di alessandro nobis

Giulio Redaelli, fine chitarrista fingerpicking, fa parte dell’Associazione Zonacustica il che tradotto in semplici parole significa grandi e piccoli significativi festival, altrettanto significative rassegne, club dove le persone sono davvero interessate alla musica che viene suonata sul palco, seminari, session informali il tutto con il comune denominatore lo stile “fingerpicking” con qualche rara intrusione di qualche “flatpicker” e questo “Tempo sospeso” è il suo quarto album dopo “Connemara” del 2008, “Aquiloni” del 2013 e il suo disco d’esordio “Blue-Eyed Duckling” del 2001, tutti autoprodotti.

Senza entrare nei tecnicismi esecutivi per i quali rimando ad altri con più competenze di me, questo è a mio modesto avviso davvero un bel lavoro che conferma il progetto musicale del chitarrista lecchese, ovvero composizione di nuovi brani a fianco di riletture di brani di altri autori, riletture mai troppo calligrafiche con arrangiamenti interessanti per le appropriate scelte timbriche degli strumenti che affiancano in modo discreto ma molto efficace la raffinata e precisa chitarra di Redaelli. A cominciare dal classico del texano Jerry Jeff Walker interpretato anche dalla Nitty Gritty Dirt Band, ovvero “Mr. Bojangles“: qui la scelta è stata quella di accompagnare la voce equilibrata, l’armonica e la chitarra con il calibrato Hammond di Marco Maggi ed il supporto del contrabbasso di Luciano Montanelli e quel che ne risulta è una rilettura intelligente che rispetta l’originale abbandonando gli accenti della country music a favore di un folk intimista e riflessivo che narra la storia di un diseredato conosciuto da J. J. Walker in carcere. “Sheebeg and Sheemore“, quasi un passaggio obbligato per i chitarristi, è uno standard del folk irlandese attribuito all’arpista Turlogh O’Carolan e Redaelli la esegue in completa solitudine in modo impeccabile; tra i brani originali “Foglie nel vento“, le slow air “Colori d’autunno” con la viola di Socrate Verona, l’aria danzante “Foglie al Vento” eseguita in solo e “Forse” con la fisa di Maggi son quelli che tengo a segnalare.

In realtà tutto il disco è estremamente piacevole, agli appassionati chitarra e della buona musica in generale lo consiglio caldamente come consiglio di contattare Giulio Redaelli per l’acquisto e per conoscere le date delle sue performance.

http://www.giulioredaelli.com

LIVIO BARTOLO VARIABLE UNIT “Star From Scratch”

LIVIO BARTOLO VARIABLE UNIT “Star From Scratch”

LIVIO BARTOLO VARIABLE UNIT “Star From Scratch”

Dodicilune Dischi. CD, 2022

di alessandro nobis

A leggerla prima dell’ascolto, la dotta presentazione di Davide Ielmini che accompagna la pubblicazione di questo “Star From Scratch” del compositore · chitarrista Lino Bartolo e della sua Variable Unit, potrebbe quasi intimorire un semplice ascoltatore come chi scrive ma se questa viene letta dopo numerosi ascolti la sua complessità si dipana, come del resto la musica di questi cinque movimenti che costituiscono questo lavoro. Sia chiaro, sono composizioni che necessitano di una grande attenzione per scoprirne i segreti o meglio ancora i dettagli; si gravita nell’ambito della musica contemporanea “sensu strictu” che tanto ha influenzato Bartolo sia durante i suoi studi che nel suo percorso artistico durante il quale, se consideriamo la sua giovane età non deve essere stato così lungo, ha intelligentemente saputo cogliere le lezioni di Shoenberg e Stockhausen come di Threadgill, Minton e Rypdal, linguaggi diversi ma che qui sono mutuati dal talento e dalle idee del compositore. Rigoroso radicalismo mi verrebbe da dire, nel quale le soluzioni timbriche giocano un ruolo fondamentale per colorare sia i momenti “obbligati” che quelli più “liberi”, ed i cinque compagni di viaggio ovvero Anais Drago al violino, Francesca Remigi alla batteria, Andrea Campanella ai clarinetti, Aldo Davide Di Caterino ai flauti e Pietro Corbascio alla tromba sono tra loro complementari e totalmente coinvolti nell’assecondare ed arricchire le idee di Bartolo: gli accordi di chitarra, gli archi e quindi la batteria nell’incipit del movimento conclusivo “Ending“, il clarinetto, il flauto e la batteria che danno il via al suggestivo quarto movimento “Scherzo” o ancora il lungo brano di apertura “Start” (significativi il dialogo chitarra · violino intorno al minuto quattro ed il solo di chitarra sul finire) che già al primo ascolto dà al fruitore le coordinate sulle quali si muove questo interessante progetto, secondo capitolo per la Dodicilune dopo “Don’t Beat a Dead Horse” del 2020. Decisamente da ascoltare e riascoltare ….. poi mi saprete dire.

EMILIO SALGARI “I Selvaggi della Papuasia”

EMILIO SALGARI “I Selvaggi della Papuasia”

EMILIO SALGARI “I Selvaggi della Papuasia”

a cura di Claudio Gallo e Giuseppe Bonomi

Oligo Editore. Vol. 12 x 16,5 pp. 53, € 12,00

di alessandro nobis

A centosessanta anni dalla nascita, e a centodieci dalla morte di Emilio Salgari viene pubblicato dalla Oligo Editore il primo racconto di quello che a ragione viene considerato uno dei maggiori autori della letteratura avventurosa: “I Selvaggi della Papuasia“, originariamente pubblicato tra il luglio e l’agosto 1883 dalla rivista “La Valigia” dell’editore milanese Garbini.

Questo volumetto “tascabile” il cui contenuto è in grado di farvi salire a bordo del brigantino olandese Haarlem agli ordini del capitano Wan Nordholm in un men che non si dica in un qualsiasi momento ed ovunque vi troviate, non è naturalmente inedito ma la cura con la quale gli studiosi Claudio Gallo e Giuseppe Bonomi hanno dedicato alla sua pubblicazione lo fa preferire alle altre ristampe al là delle belle, necessarie ed importanti pagine che i due curatori hanno scritto ed inserito in apertura, a mio modesto parere un viatico alla lettura ed al “viaggio” nei mari del Pacifico navigando tra le isole dei papuas.

Galeotto fu l’onomastico del Capitano sulla rotta da Mindanao alla Nuova Zelanda celebrato con abbondanti libagioni innaffiate da vini del Reno e della Spagna e dall’immancabile rhum naturalmente, ma a rovinare la festa ci si mise un vento notturno che spinse il brigantino e la sua ciurma ormai privata dei sensi ed in preda dei fumi dell’alcool sulle sabbie non lontane da una delle isole della Papuasia i cui abitanti su sei veloci piroghe non persero l’occasione di raggiungere la Harleem ormai bloccata e inclinata su un fianco. Battaglia, massacro, cannibalismo, estinzione dell’equipaggio e l’indomani fuga del fortunato Nordholm che per un mese vagò per i mari fino a quando ….

Segnalo infine che i due curatori hanno recentemente pubblicato sempre per “Oligo Edizione” una monumentale biografia del “Nostro” ovvero “Emilio Salgari · scrittore di avventure“, settecentotrentaquattro pagine per quella che a meno di ritrovamenti in archivi pubblici o nelle quasi sempre insondabili collezioni private viene considerata il definitivo racconto della vita di questo straordinario autore.

Senza il prezioso pluri · decennale lavoro di Bonomo e Gallo i dettagli, l’accurato metodo scientifico utilizzato per lo studio delle fonti e dei particolari della produzione letteraria di Salgari sarebbero ancora in parte sconosciuti, e a loro pertanto va tutta la nostra stima per la passione e dedizione nei confronti della divulgazione delle opere dello scrittore veronese.

Un lavoro lungo, difficile, minuzioso, credibile e attendibile quasi sempre non o poco riconosciuto economicamente, ma nel nostro Paese purtroppo questa è una consuetudine tanto da lanciare da qui l’idea di cambiare l’Art. 1 della nostra bellissima Costituzione in “L’Italia è una Repubblica Democratica fondata principalmente sul volontariato culturale“. E ciò è davvero triste.

Contatti con l’autore:

https://www.facebook.com/claudiomaxgallo

maxclaudiogallo@gmail.com

EDUARDO PANIAGUA “Cantigas De Huesca · Santa Maria de Salas, Reino de Aragón”

EDUARDO PANIAGUA “Cantigas De Huesca · Santa Maria de Salas, Reino de Aragón”

EDUARDO PANIAGUA “Cantigas De Huesca · Santa Maria de Salas, Reino de Aragón”

PNEUMA RECORDS 1650. 2CD, 2022

di alessandro nobis

Questa nuova pubblicazione della Pneuma Records ed in particolare di Eduardo Paniagua è dedicata ai miracoli che la Vergine Maria avrebbe compiuto nei pressi dell’eremo che si trova nei pressi della città di Huesca nel nord della Spagna, in Aragona. Ventitre canti narrativi, ventitré “folk songs” – secondo la definizione di A.L. Lloyd che definisce folk un testo che narra storie – che raccontano queste vicende, quegli accadimenti che in periodo storico così lontano da noi impressionavano le genti del villaggi più vicini e le comunità più lontane così da far crescere il desiderio di recarsi all’eremo in pellegrinaggio. Poco prima del 1200 il tempio venne chiamato “Nuestra Señora de Salas”, da quando cioè venne translata l’immagine di Maria con il Bambino · qualcuno asserisce ad opera di angeli · dal villaggio di Salas Atlas, e per l’occasione venne stabilito di ingrandire il tempio.

Spettrale e convincente la scelta timbrica la voce di Cesar Carazo accompagnata da flauti, viola, chalumelau e vihuela della Cantiga 189 “El Dragon de Valencia“: un uomo era in pellegrinaggio sulla strada per Valencia, e mente camminava nella foresta nella notte buia perse la via ed incontrò un drago che gli veniva incontro. A quel punto pregò la vergine Maria e con la spada uccise la bestia tagliandola in due ma del sangue avvelenato raggiunse il suo volto che si riempì di pustole sanguinolente, fino a quando raggiunse la meta, si avvicinò all’altare guarì grazie all’intervento della Vergine. Solenne l’esecuzione della Cantiga 118 presente sul secondo compact disc “La Mujer de Saragoza, niño nacido muerto redivivo en Salas” che racconta la storia di una sfortunata donna di Saragozza che dopo aver preso tre figli alla nascita rimane incinta del quarto e per ingraziarsi la Vergine le offre un bambino di cera fabbricato con il poco denaro in suo possesso: ma il neonato sfortunatamente nasce privo di vita ed a quel punto la donna disperata si rivolge a Maria che ridà la vita al neonato e assieme al marito porta il bimbo al santuario di Salas.

Racconti tra realtà e religiosità che Eduardo Paniagua in maniera sempre efficace porta dai tempi del più lontano medioevo ai giorni nostri, l’ennesimo doppio cd da ascoltare in modo approfondito, seguendo i testi e le sempre precise note allegate.

CESARE PASTANELLA “Music for Tales vol. 2”

<strong>CESARE PASTANELLA</strong> “Music for Tales vol. 2”

CESARE PASTANELLA “Music for Tales vol. 2”

Angapp Music. cd, 2022

di alessandro nobis

Non capita tutti i giorni di ascoltare della musica composta per spettacoli teatrali o per opere cinematografiche che viva di vita propria rispetto allo scopo della sua creazione. I due volumi che il compositore · percussionista · cantante Cesare Pastanella ha fin qui prodotto sono tra questi, e se ascoltati con attenzione rivelano una notevole cura nella composizione e soprattutto · a mio avviso · nella ricerca timbrica e negli arrangiamenti. Anche in questo secondo volume Pastanella non fa “tutto da solo” ma intelligentemente sceglie un piccolo combo di musicisti che si alternano nell’esecuzione dei brani come Nando DI Modugno (chitarre), Leo Gadaleta (flauto), Domenico Pastore (flauto e cornamusa), Francesco Cinquepalmi (basso) e due “voci” come quelle di Giorgio Pinardi e Rosanna D’Eccesiis: dieci tracce scritte per la maggior parte da Pastanella per due spettacoli teatrali, “Badù Re, anzi Leone” e “Il viaggio di Arjiun” prodotto dal teatro barese “Kismet OperA”, musiche che troverebbero la loro ambientazione ideale sul palco dei teatri, ma che qui sono raccolte assieme formando un insieme molto interessante e come detto autonomo che rivela il mondo sonoro pluri·etnico nel quale l’autore naviga traendone ispirazione creando nuovi paesaggi. Voglio citare solamente “The Awakening“, a mio avviso uno dei brani più interessanti tra suoni ambientali, artificiali e la voce di Ana Estrela ed il berimbau disegna un paesaggio di una giungla ancestrale, “Arjun” ha come protagonista il balafon africano e i fiati di Domenico Pastore · con una bella parte per la zampogna ·, “Trip through the savannah” aperto dalle percussioni etniche si caratterizza per le tracce sovraincise del canto evocativo (di Cesare Pastanella) e per il kaval di Leo Gadaleta con l’apporto ritmico della basso e della chitarra a dodici corde,  mentre “Mor” è un intricato paesaggio di suoni campionati e naturali sui quali la chitarra filtrata di Nando Modugno disegna i suoi arabeschi.

Come detto, musica che vive di vita propria che va ascoltata con la dovuta attenzione che merita.

DUCK BAKER “Contra Costa Dance”

DUCK BAKER “Contra Costa Dance”

DUCK BAKER “Contra Costa Dance”

Confront Recordings. CD, 2022 (1982)

di alessandro nobis

Rimasti chiusi in una scatola nel garage dell’amico Dix Bruce dal 1982 fino all’anno scorso, questi nastri erano nati come “demo” che però, sottoposti all’attenzione di diverse case discografiche, non vennero da queste ben accolte probabilmente perchè come scrive lo stesso Baker nelle note di copertina, “esulavano dallo stile di chitarra riconducibile alla “new · age” che stava prendendo piede nel mercato della musica acustica“; per farla breve questo avrebbe dovuto essere il seguito di “The Kid on the Mountain” pubblicato dalla Kicking Mule nel 1980 e dopo oltre quaranta anni, finalmente considerata la qualità della musica, questi dodici brani vedono la luce grazie alla Confront Recordings (ed anche a Dix Bruce naturalmente). Detto tra noi poi, a me onestamente questi nastri sembrano ben più che dei “demo” ma piuttosto un disco pronto per essere pubblicato, e lo dico sinceramente, da non musicista.

Gustiamoci quindi questi quarantasei minuti di “Demo Tapes“, queste dodici composizioni originali che ci riconsegnano un Duck Baker che rielabora tutte le sue precedenti letture della musica “americana” scrivendo ed improvvisando senza mai lasciarsi andare a puri esercizi stilistici: nella slow air di “The Flowers of Belfast” ed in “Highlands Spring” sembra di sentire l’eco della tradizione delle isole britanniche, splendida l’aria di valzer di “Waltz with Mary’s Smile” come l’atmosfera del brano che apre questa antologia di “demo”, ovvero “Putney Bridge” del brano eponimo, “Contra Costa Dance“.

Duck Baker nel suo peregrinare attorno al mondo ha tenuto un numero imprecisato di concerti, un numero sicuramente notevolissimo e quindi con tutta probabilità esiste un numero cospicuo di registrazioni di varia qualità dei suoi live come anche ci saranno dei nastri perduti · o presunti tali · come questi conservati da Dix Bruce ad Oakland, in California.

http://www.confrontrecordings.com

DALLA PICCIONAIA: INTERNATIONAL UILLEANN PIPING DAY in ITALIA

DALLA PICCIONAIA: INTERNATIONAL UILLEANN PIPING DAY in ITALIA

DALLA PICCIONAIA: INTERNATIONAL UILLEANN PIPING DAY in ITALIA

“Modena, 5 novembre 2022”

di alessandro nobis

Sabato 5 novembre sarà un giorno importante per gli estimatori della musica irlandese visto che si celebra la “Giornata Internazionale della Cornamusa Irlandese“; nel nostro Paese questo strumento e la musica che rappresenta come si sa sono molto amati almeno dal primo periodo del folk revival degli anni settanta quando il fenomeno della musica celtica iniziò ad avere un grande seguito in tutta Europa.

Quest’anno in Italia la giornata si terrà in quel di Modena (l’anno passato si tenne a Parma) ed è organizzata dalla I.U.P.A., acronimo di “Italian Uilleann Pipers Association” ·  fondata nel 2014 dal piper Nicola Canovi & Company · in collaborazione con la prestigiosa istituzione irlandese “Na Píobairí Uilleann” di Dublino che promuove e patrocinia questo importante avvenimento. Come nel 2021 arriverà per questo appuntamento un prestigioso piper e se nella passata edizione toccò a Mick O’Brien suonare e tenere un seminario a Parma quest’anno la scelta è caduta su Maitiú Ó Casaide di Ranelagh, nei pressi della capitale irlandese.

Come spessissimo succede in Irlanda, ma non solo, Maitiú Ó Casaide rappresenta la terza generazione di musicisti all’interno della sua famiglia e dopo aver studiato da giovanissimo il violino ed il tin whistle (lo strumento considerato propedeutico alle uilleann pipes) si avvicina alla cornamusa grazie allo zio Odhrán, componente del gruppo Na Casaidigh assieme ad altri cinque fratelli. Da lì in poi la sua vita musicale sarà totalmente dedicata al repertorio delle uilleann pipes seguendo gli insegnamenti dei grandi maestri e frequentando la “Na Píobairí Uilleann“; non ha mai fatto parte di ensemble particolarmente noti ma la sua attenzione si è rivolta soprattutto al repertorio solistico, alle session spesso informali ed alla didattica e quindi la scelta di invitarlo a Modena mi sembra particolarmente azzeccata.

A Modena quindi, presso lo spazio “La Tenda” in Viale Monza, che si trova all’angolo con Viale Monte Kosica, si terrà quindi questo importante appuntamento musicale, l’occasione sia per incontrare ed apprendere i segreti · o i primi rudimenti dello strumento · dal Maestro Maitiú Ó Casaide sia per incontrare altri musicisti appassionati di musica irlandese che suonano altri strumenti. Non a caso, sabato 5 dopo il concerto del piper ci sarà una session aperta a tutti i musicisti, una occasione da non perdere per “fare comunità” e per scambiare pareri e repertori. La giornata comunque si aprirà in mattinata con uno stage di uilleann pipes (tra le 10:00 e le 13:00) mentre nel pomeriggio alle 17:30 ci sarà la possibilità di incontrare Maitiú Ó Casaide per scambiare pareri per conoscere i “suoi” segreti tramandati dalla sua famiglia ed appresi dai grandi Maestri irlandesi. Alle 20:30 concerto e session come detto.

La mattinata della domenica prevede la conclusione dello stage e dell’incontro per quest’anno · con una lezione che si terrà dalle 9:00 alle 11:00.

Per partecipare al seminario di Maitiú Ó Casaide è previsto un contributo di € 5,00.

CONTATTO: NICOLA CANOVI 335 6837204

WEATHER REPORT “Live in Austria ’71”

WEATHER REPORT “Live in Austria ’71”

WEATHER REPORT “Live in Austria ’71”

Equinox Records. 2CD, 2022

di alessandro nobis

Quasi certamente queste registrazioni dal vivo sono cronologicamente le prime disponibili dei Weather Report ed appartengono alla tourneè di promozione dei loro primo epocale disco pubblicato nel febbraio del 1971 (il giorno 16, per dovere di cronaca). La line-up è quella con Miroslav Vitous, Alphonse Mouzon e Dom Un Romao oltre naturalmente alle due travi portanti Wayne Shorter e Joe Zawinul che lo aveva registrato (alle percussioni vi era però Airto Moreira al posto di Romao) e del quale ben cinque brani sono qui riproposti in chiave live ovvero con parecchi quanto notevolissimi momenti improvvisativi, una delle caratteristiche più importanti di questa prima fase dei Report. L’idea iniziale del W.R. era dunque quella di sviluppare una visione che sebbene nascesse dalle innovative idee del Miles Davis elettrico portasse un maggior sviluppo della parte ancor più creativa e quindi libera rispetto alla svolta che Davis seppe dare per primo al jazz ispirando così la nascita di una serie di gruppi i cui componenti erano passati dalla sua scuola.

Il doppio cd riporta il concerto che il quintetto tenne al Internationales Musikforum, Stiftshof di Ossiach, cittadina austriaca della Carinzia, che si tenne tra il 25 giugno e il 5 luglio del 1971, festival organizzato dal pianista Friedrich Gulda e che in cartellone ospitava nientemeno che i Pink Floyd, il trio Surman · Phillips · Martin ed i Tangerine Dream tra gli altri; il festival portò come possiamo immaginare grande scompiglio tra i residenti nella piccola cittadina alpina non abituata alla presenza di un numero enorme di persone soprattutto per i numerosi hippies là convenuti per il concerto dei Pink Floyd, tant’è che il festival nelle edizioni successive si tenne a Viktring.

Nel triplo ellepì edito dalla tedesca BASF Records nello stesso anno i compilatori inserirono uno dei brani che i Weather Report suonarono, ovvero una lunga versione di “Eurydice” di oltre 14 minuti (nella scaletta si riporta “Umbrellas” ma si tratta come detto in effetti di “Eurydice“, errore imperdonabile, e ci sono altre imprecisioni, di chi ha curato la pubblicazione questo CD); qui la qualità della registrazione è onestamente inferiore ma comunque apprezzabile (non si tratta delle registrazioni ufficiali BASF ma piuttosto di audio tratto da video o da trasmissioni radiofoniche), quello che conta è ovviamente la musica che ci regala un importante momento dello sviluppo di Zawinul & Co.. Le significative esecuzioni di “Morning Lake“, “Waterfall” e dell’allora inedito “Firefish” sono il punto di partenza dell’esperienza Weather Report che più avanti grazie soprattutto al genio di Zawinul cercherà in modo del tutto originale di combinare il jazz elettrico ai suoni provenienti dalle più diverse musiche etniche. Ma questa è un’altra storia, per ciò che mi riguarda i primi anni del gruppo resteranno nella storia del jazz per l’originalità del progetto e per la perfetta comunità di intenti dei cinque componenti.