FOLKEST · “44a EDIZIONE · 16 giugno · 4 luglio 2022” SECONDA PARTE

FOLKEST · “44a EDIZIONE · 16 giugno · 4 luglio 2022” SECONDA PARTE

FOLKEST · INTERNATIONAL FOLK MUSIC FESTIVAL

“44a EDIZIONE · 16 giugno · 4 luglio 2022”

SECONDA PARTE

di alessandro nobis

Il cuore “storico” di Folkest batte quindi nella bellissima Spilimbergo, ma nel frattempo dal 16 giugno sono già iniziati i concerti sul territorio, un aspetto che caratterizza un Festival di questa caratura. Portare la musica, in questo caso tradizionale o da questa derivata, nei grandi e piccoli Comuni del Friuli Venezia Giulia è sempre stata la missione di Folkest anche se non sempre le amministrazioni comunali sono disponibili a partecipare in modo significativo all’organizzazione degli eventi proposti dalla direzione artistica. Come detto la kermesse è iniziata il 16 giugno a Campoformido con Andrea Del Favero (organetto diatonico), Lino Straulino (chitarra e voce) e Totore Chessa (straordinario organettista sardo) e, guardando in avanti, tra gli eventi da evidenziare più di altri c’è quello a Gorizia di martedì 28 dove Roberto Tombesi, Laura Colombo e Corrado Corradi racconteranno la storia dello straordinario tour attorno al mondo della cantante lirica Adelaide Ristori negli anni anni 1874 e 1875 dettagliatamente raccontato nel taccuino di viaggio di Marco Piazza, oppure il concerto dei Calicanto a Qualso del 30, o ancora i tre concerti a Capodistria tra il 21 e il 23 prossimi con Roy Paci, lo sloveno Piero Pocecco e Posebon Gust e per finire, prima di Ferragosto, lo spettacolo del 12 a Udine di Antoine Ruiz al quale partecipa anche Edoardo De Angelis. Gran finale di questa 44a edizione sempre a Udine, in Piazza Libertà, con i friulani Bintars e la Sedon Salvadie, gruppo storico del folk revival italiano.

Folkest quindi a mio modesto parere, dovrebbe essere in misura maggiore di quanto lo è già vista la qualità e quantità delle proposte, un attrattore di turismo culturale legato non solamente all’aspetto musicale dell’intera regione friulana che al suo interno, profondo entroterra, che offre straordinarie bellezze naturalistiche e “bellezze” eno – gastronomiche di assoluto livello che sono purtroppo sconosciute ai più, come si dice. La musica, se di qualità, può fungere da volano all’economia dei piccoli produttori sparsi sul territorio? A mio avviso, e non credo di essere il solo ad esserne convinto, assolutamente sì a patto che “tutto” il territorio partecipi in modo ancor più costruttivo alla realizzazione di questo progetto che da oltre quaranta anni porta il nome del Friuli in giro per il mondo.

http://www.folkest.com

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FOLKEST · “44a EDIZIONE · 16 giugno · 4 luglio 2022” – PRIMA PARTE

FOLKEST · “44a EDIZIONE · 16 giugno · 4 luglio 2022” – PRIMA PARTE

“44a EDIZIONE · 16 giugno · 4 luglio 2022”

PRIMA PARTE

FOLKEST · INTERNATIONAL FOLK MUSIC FESTIVAL

“44a EDIZIONE · 16 giugno · 4 luglio 2022”

PRIMA PARTE

di alessandro nobis

Dopo le ristrettezze dovute al Covid, Folkest è ritornato alla sua dimensione storica confermandosi il Festival legato alla musica tradizionale “e dintorni” più importante e longevo del nostro Paese ed uno dei più importanti d’Europa. Questo perchè la competente Direzione Artistica di Andrea Del Favero e dell’entourage del festival, la parte che lavora tutto l’anno negli uffici di Spilimbergo ed il gruppo che gira il Friuli e la Croazia per allestire i palchi e per seguire i musicisti, applica a mio avviso in modo preciso gli imprescindibili pilastri che fanno una serie di concerti un Festival.

Ci sono i “grandi” concerti in piazza, con un biglietto d’ingresso, quelli sui quali l’organizzazione conta – e lo avrà certamente vista la qualità delle proposte – di avere un gran riscontro di pubblico: Jethro Tull (il 13 luglio al Castello di Udine), Judy Collins (sabato 2 luglio, nella magnifica cornice della piazza di Spilimbergo), Alan Stivell (sabato 16 luglio, al Castello di Udine), la band di raggae Mellow Mood, a Spilimbergo il 5 luglio) ed infine i Pink Planet, nella stessa location ma il 6 luglio).

Una delle iniziative più interessanti di Folkest – altro pilastro del Festival – sono senz’altro le serate alla fine delle quali viene assegnato il prestigioso Premio Alberto Cesa (quest’anno da venerdì 1 a lunedì 4 luglio, a Spilimbergo), pensato per valorizzare i progetti musicali che sappiano dare voce a una o più radici culturali di qualsiasi parte del mondo, organizzato sotto la supervisione della direzione del festival, dalla redazione di Folkbulletin e dall’Associazione Culturale Folkgiornale (ricordo che il vincitore parteciperà di diritto a Folkest 2023 e ricevere un premio da parte del Nuovo Imaie con una dotazione in denaro per la realizzazione di una tournée). E’ un’iniziativa che richiede un lungo lavoro di selezione del materiale, prima audio ed in una seconda fase dal vivo; vengono selezionati sei gruppi / musicisti e per questa diciottesima edizione i finalisti sono Andrea Bitai (Ungheria/Italia), Claudia Buzzetti And The Hootenanny (Lombardia), il Duo Pondel (Piemonte/Val d’Aosta), La Serpe D’oro (Toscana), il Passamontagne Duo (Piemonte) e i laziali Tupa Ruja.

Non meno importante sotto l’aspetto didattico e della divulgazione sono “Musica per Musicisti” e “Parole per Musica” che si terranno sempre a Spilimbergo nel primo weekend lungo di luglio; la prima consta di una serie di incontri con prestigiosi protagonisti della musica tradizionale ed acustica italiana come l’organettista Alessandro D’Alessandro vincitore della più recente edizione del Premio Nazionale Città di Loano, i chitarristi Franco Morone, Loula B, Gavino Loche mentre Chacho Marchelli, Beatrice Pignolo e Rinaldo Doro disquisirianno del canto epico-lirico e della polivocalità in Piemonte (sabato 2 luglio). Per finire un incontro dedicato al liutaio Wandrè.

“Parole per Musica”è invece il titolo di una serie di lezioni focalizzate sulla scrittura dei testi per canzone. Michele Gazich e Maurizio Bettelli presenteranno Canzone e poesia: la strana coppia, un dialogo con il critico Felice Liperi. I corsisti avranno la possibilità di ascoltare le loro esperienze di scrittura tra poesia e canzone e commentando esempi dei maestri del genere: da Brassens al sodalizio Dalla/Roversi, da Dylan al Beat fino al Post-moderno, e qui la cosa si fa interessante visto che gli iscritti si metteranno alla prova cimentandosi nella scrittura di un testo.

Altro pilastro di un vero festival a mio avviso è la presentazione di novità editoriali e discografiche, e a Folkest la sezione “Libri e Dischi” (sabato 2 al Teatro Miotto) consentirà al pubblico di incontrare il chitarrista Dario Fornara che presenterà il suo nuovo lavoro “Portata dal vento” e l’Adamantis Guitar Orchestra il loro recente “Cerclaria Lux“; inoltre l’Istitut Cultural Ladin di Vigo di Fassa presenterà Saggi Ladini curati da Cesare Poppi, che dialogherà con Daniele Ermacora. Ultimo incontro quello con Claudia Calabrese con il suo libro “Pasolini e la musica” con Elisabetta Malantrucco, Michele Gazich e Marco Salvadori.

Naturalmente per avere un quadro dettagliato del Festival è necessario consultare il sito http://www.folkest.com

(continua)

DAVID  BROMBERG “David Bromberg”

DAVID  BROMBERG “David Bromberg”

DAVID  BROMBERG “David Bromberg”

Columbia Records. LP 1971

di alessandro nobis

Gran chitarrista e ottimo compositore, David Bromberg ha sempre saputo stare in perfetto equilibrio tra la tradizione acustica e l’elettrificazione della musica americana, ed è per questo che ho sempre seguito e grandemente apprezzato la sua cinquantennale carriera nella quale ha registrato alcuni dischi che modestamente considero dei capisaldi di “Americana” (questo disco d’esordio, “Wanted Dead or Alive“, “Demon in Disguise” o il doppio live “How late’ll ya play ‘til” e ancora “Try me one more time” eccetera eccetera ….).

Naturalmente qui spiccano i due brani dove Bromberg suona con l’amico Norman Blake (e la foto nell’inserto la dice lunga sul rapporto tra i due), ovvero quelli registrati a Nashville: “The Boggy Road To Milledgeville (Arkansas Traveler)“, due chitarre (e che chitarre!) con il contrabbasso di Randy Scruggs per uno dei brani pià amati da Blake & C. e soprattutto “Lonesome Dave’s Lovesick Blues #3” con una sorta di Dream Team che prevede John Hartford al banjo, Norman Blake alla chitarra, Randy Scruggs al contrabbasso, Richard Grando al sassofono (e la presenza del sax in questo brano indica in modo chiarissimo l’idea di Bromberg ovvero quella di uscire dall’ortodossia di certo folk americano per cercare un nuovo suono, idea che si capisce anche dai musicisti scelti), Vassar Clements al violino e Tut Taylor al dobro.

Il “resto” è grande musica, dai brani originali registrati con la band elettrica come “Suffer To Sing The Blues” con l’armonica di Will Scarlett (lo ricordo ai tempi dei primi Hot Tuna) o acustici come “Pine Tree Woman” con Steve Burgh al basso o ancora i tradizionali “Mississippi Blues” (registrata anche nel 1940 da Blind Willie McTell) e “Dehlia” di Jimmie Gordon (che la registrò nel ’39).

Un disco d’esordio davvero interessante che ha aperto la carriera solista di Bromberg, carriera che prosegue ancora oggi più dal vivo che in studio; ho avuto la fortuna di apprezzare la sua musica in un paio di occasioni a Vicenza, grande emozione e grande comunicazione di questo musicista di Philadelphia, classe 1938. I due cammei di Norman Blake poi sono un vero e proprio valore aggiunto, mi domando se quelle session a Nashville sono ancora in qualche cassetto della Columbia: perchè non pubblicarle?

BOYS OF THE LOUGH “Midwinter Night’s Dream”

BOYS OF THE LOUGH “Midwinter Night’s Dream”

BOYS OF THE LOUGH “Midwinter Night’s Dream”

Blix Street Records. CD, 1994

di alessandro nobis

Dedicato alle tradizioni legate alla stagione invernale nelle terre del Nord” potrebbe essere il sottotitolo di questo gran bel lavoro dei Boys of the Lough che qui si presentano in quartetto (Christy O’Leary, Aly Bain, Cathal McConnell e Dave Richardson) e che presentano un repertorio che comprende brani provenienti dalle Isole Shetland, dalla penisola scandinava, dal nord est scozzese e dalla Contea irlandese di Wexford; il suono dei “Boys” è inconfondibile, possono cambiare i musicisti ma il carattere quasi cameristico, come ho detto in altra occasione, rimane inalterato. Come nella magnifica “That Night in Bethlehem” antica “Christmas Carol” probabilmente antecedente al 1691 quando vennero promulgate le Penal Laws che proibivano la composizione e l’esecuzione di canti natalizi, come scrive Donal O’Sullivan; questa è cantata in gaelico irlandese da Christy O’Leary e si caratterizza per lo splendido arrangiamento che mette in gran risalto il pianoforte di Henning Sommerro di Trodheim. Interessante la suite di danze “The Greenland man’s tune / Da Forfit O’ Da Ship Reel / Green Grow da Rashes Reel” non solo perchè provengono dal repertorio dei balenieri della Shetland ma anche perchè la prima è di origine Eskimo e la cui versione orifginale era cantata in Yaki; il violino  di Aly Bain e la chitarra dello straordinario chitarrista inglese Chris Newman, ospite graditissimo, fanno il resto evidenziando al meglio il fascino e la bellezza di queste melodie nordiche. Dalla Svezia il suggestivo ed evocativo set “Sankt Staffan Han Rider / Christmas day in the Morning / Trettondagsmarschen“, introdotto dal pianoforte e cantato da Christy O’Leary, che dalla sua Irlanda porta in dote “The Wexford Carol“, canto sulla natività la ciui prassi esecutiva si basa su quella del cantante dublinese Frank Harte: anche cui il fine cesello della chitarra di Chris Newman è il valore aggiunto al brano.

Spesso i dischi dedicati al Natale paiono raffazzonati per soddisfare le esigenze del consumismo legato a questa Festa; ci sono delle eccezioni e questo“Midwinter Night’s Dream” ne è la prova, sia per la qualità e raffinatezza del repertorio che per il marchio di garanzia dei “Boys of the Lough” sempre rigorosi ed allo stesso tempo piacevolissimi. Non ricordo infatti dischi “mediocri” nella loro poderosa discografia.

JOHN HENRY DEIGHTON (a.k.a. CHRIS FARLOWE) & THE THUNDERBIRDS

JOHN HENRY DEIGHTON (a.k.a. CHRIS FARLOWE) & THE THUNDERBIRDS

Chris Farlowe & The Thunderbirds “Buzz With the Fuzz”

Decal Records. LP, 1987

di alessandro nobis

Narra la leggenda che John Henry Deighton, classe 1943, ad un certo punto della sua appena iniziata carriera si inventò un nuovo nome e cognome, il primo suggerito da un amico ed il secondo ispirato dal chitarrista jazz Tal Farlow: Chris Farlowe appunto come tutti noi lo conosciamo, il cantante dei Colosseum dal 1970 ai giorni nostri.

E prima della band di Jon Hiseman? Parte di questo “prima” è racchiuso in questo vinile edito dalla Decal nl 1987 e raccoglie le registrazioni effettuate per la EMI dal contante con i Thunderbirds nel 1963 e pubblicate come singoli fino al 1965; la voce è potente, “nera” quasi travolgente nelle sue interpretazioni e se Farlowe è ancora attivo un motivo ci sarà anche se naturalmente ad ottanta anni suonati non si può pretendere che la voce resti quella di un tempo, lui lo sa e la usa in modo intelligente a quanto raccontano i report tedeschi sui recenti concerti dei Colosseum.

Dai Thunderbirds sono transitati lasciando una traccia significativa musicisti del calibro di Nicky Hopkins, Dave Greelskade, Carl Palmer e Albert Lee, e da cantante di skiffle degli inizi il baricentro della musica di Farlowe si è gradatamente spostato verso il blues, il rock’n’roll,  al soul  fino al rock venato di jazz come lo era quello della band di Hiseman; “Reelin’N’Rocking” di Chuck Berry del ’62, le due versioni dello straordinario slow blues “Stormy Monday Blues” di T-Bone Walker del ’65 che porterà in eredità ai Colosseum, i blues di “What you gonna do” e “Hound Dog” di Big Mama Thornton (la sua versione è su “Ball and Chain) con gli assoli di Albert Lee sono solo alcuni dei 45 giri di questo notevole “Buzz with the Fuzz“, antologia importante dei Thunderbirds, gruppo sciolto nel ’68 per le scarse vendite discografiche, e soprattutto per conoscere le origini del cantante londinese che dal ’70, come detto, andò a completare quella sorte di “Dream Team” che furono (e sono ancora) i Colosseum.

MASSIMILIANO CIGNITTI “Buio in Sala”

MASSIMILIANO CIGNITTI “Buio in Sala”

Massimiliano Cignitti “Buio in Sala”

DODICILUNE DISCHI 1299. CD, 2022

di alessandro nobis

Un quintetto (Massimiliano Cignitti al basso, Mauro Scardini alle tastiere, Giancarlo Ciminelli alla tromba e flugelhorn, Marco Guidolotti ai fiati e Marco Rovinelli alla batteria) con una nutrita serie di ospiti di gran caratura per una riuscitissima dedica al Cinema ed ai suoi più importanti protagonisti siano essi registi, autori di colonne sonore ed attori; non parliamo dell’ennesima riproposta dei “temi celebri dalle colonne sonore” ma di composizioni originali di Massimiliano Cignitti, fatte naturalmente tre debite eccezioni.

Gli arrangiamenti del bassista romano, Scardini e Nguyên Lê sono davvero indovinati e pur essendo omogenei nel suono globale riescono sempre a valorizzare nel migliore dei modi le composizioni come nella serrata black music di “Shaft is back” con i soli al piano elettrico di Scardini, di chitarra dello straordinario Nguyên Lê e del sax di Guidolotti o nella ballad ” O Venezia venusia venaga” che apre il lavoro, una delle “citazioni” in questo caso di Nino Rota con un arrangiamento cucito appositamente sul suono piuttosto riconoscibile della chitarra del franco – vietnamita. Il brano che magari non ti aspetti, anche se legato al cinema di Kubrick, è ovviamente la coltissima citazione di Bartok Béla, il secondo movimento di uno dei suoi capolavori, “Musica per Archi, percussioni e celesta“: la dimostrazione non solo dell’attenzione e profonda conoscenza che Cignitti & C. hanno del cinema ma anche della capacità di reinventare (ricostruire?) uno dei brani “intoccabili” con una lettura “diversa” fatta con i migliori crismi che trasporta questo brano dal 1936 al miglior jazz contemporaneo; qui ospite la batteria di Mark Colenburg ed i soli di chitarra e della tromba di Ciminelli. “Buio in Sala” con la voce di Valentina Petrossi è un appropriato e convincente spartito di Cignitti dedicato alla Dolce Vita ed al suo cinema, perfetto allora come ora per rifugiarsi nei propri sogni e purtroppo illusioni in un’Italia che viveva il suo “sogno globale” finito magari troppo presto.

Buio in Sala” è un altro di quei lavori piacevolissimi sin dal primo ascolto e la cui complessità ed intensità  invitano chi ne fruisce a reiterare gli ascolti alla scoperta dei suoi “angoli” nascosti.

RABIH ABOU KHALIL “Nafas”

RABIH ABOU KHALIL “Nafas”

Rabih Abou Khalil “Nafas”

ECM Records, CD 1988

di alessandro nobis

Nafas” del libanese Rabih Abou-Khalil penso sia il primo disco di musica di “ispirazione etnica” pubblicato dall’etichetta di Manfred Eicher ed è anche l’unico che il compositore e suonatore di oud ha pubblicato per lui (i successivi furono prodotti dalla tedesca Japo) ed è stato un prezioso punto di partenza per i “seguaci” dell’ECM per scoprire i suoni ed i colori della musica del Vicino Oriente che ha ispirato queste bellissime composizioni del quartetto formato oltre che dal libanese dal siriano Selim Kusur alla voce e nay, dall’americano Glen Velez ai tamburi a cornice (il bandair o forse un tar) e dall’armeno libanese Setrak Sarkassian al darabukka. A ben vedere non tutti i brani sono eseguiti da quattro musicisti, alcuni sono eseguiti in “solo” o in duo: “Awakening” e “Nandi” che aprono e chiudono il disco sono due magnifici ed evocativi brani eseguito da Glen Velez, la perfetta cornice all’interno della quale si sviluppa questo disco che come detto si ispira sì alla tradizione ma che anche la interpreta come nel caso di “Amal Hayati“, la melodia di una canzone scritta dall’egiziano Mohammad Abdul Wahab (1902 – 1991), considerato uno dei più importanti compositori di musica araba del novecento. I brani rimanenti sono tutte nuove composizioni o improvvisazioni (il linguaggio improvvisativo è molto usato dai musicisti di questa cultura musicale) e penso di poter dire che il duo di percussioni “Gaval Dance” rientri in questa tipologia esecutiva come anche le due parti in cui si divide “The Return” la prima in quartetto e la seconda in trio con lunghi e significativi assoli di oud nella prima e di nay nella seconda su di un complesso schema ritmico delle percussioni di Velez e Sarkassian.

Nafas” è il disco che mi ha dato l’opportunità di ascoltare la classe e la tecnica di Rabih Abou Khalil del quale, e lo dico con piccolo orgoglio, parecchi anni fa riusciì ad organizzare un suo concerto solista in un piccolo centro della provincia veronese, in una veste che mise in luce tutto il suo talento di improvvisatore e di compositore che comunque già avevo avuto modo di apprezzare in questo e nei suoi lavori successivi per la Enja Records.

SUCCEDE A VERONA: “Una tragica impressionante sciagura”, 6 giugno 1927, San Giorgio di Valpolicella

SUCCEDE A VERONA: “Una tragica impressionante sciagura”, 6 giugno 1927, San Giorgio di Valpolicella

SUCCEDE A VERONA: “Una tragica impressionante sciagura”, 6 giugno 1927, San Giorgio di Valpolicella

di alessandro nobis

Mi è capitato diverse volte di percorrere la stretta strada che da San Giorgio di Valpolicella conduce all’abitato di Monte ma non avevo mai rivolto la mia attenzione ad un monumento che si trova in corrispondenza di una stretta curva a sinistra. Divorato dalla curiosità durante il mio più recente passaggio sono sceso dall’auto per osservarlo da vicino, quasi un obelisco in rosso ammonitico con otto fotografie, una croce e la data del 6 giugno 1927: è il ricordo delle otto vittime di un pauroso incidente stradale dovuto principalmente alla superficialità ed alla sottovalutazione del rischio.

La cosa mi ha incuriosito non poco, ed ho quindi ricercato sulle pagine del quotidiano L’Arena altre notizie; in effetti il giornale veronese dedicò ben tre articoli al fatto, i giorni 7, 8 e 9 del giugno del 1927. Mi è sembrato doveroso riportare qui di seguito l’articolo pubblicato il giorno seguente, così se lo vorrete quando passerete avrete modo di soffermarvi o di rallentare.

“UNA TRAGICA IMPRESSIONANTE SCIAGURA PRESSO S. AMBROGIO”

Autocarro che precipita da una scarpata – Otto morti e sette feriti

Una gravissima, impressionante notizia giungeva ieri sera verso le 21 in città, causando una impressione penosissima. Essa accennava al capovolgimento di un autocarro, il quale, precipitando da una scarpata stradale in quel di S. Ambrogio aveva causato la morte di parecchi operai, alcuni dei quali appartenenti a quelle sezioni fasciste.

Del fatto si è interessata subito la Federazione e in breve, accorrevano sul sito in automobile spiccate personalità del Partito. La tremenda, disastrosa sciagura era avvenuta subito dopo il calar della sera lungo un tratto di strada in curva che si trova a breve distanza dal suddetto paese, e precisamente in località Fontana Caranzon.

Per venire ai particolari del disastro, diremo che il camion carico di blocchi pesantissimi di marmo, veniva dalle cave di Selva, diretto alla stazione ferroviaria, dovendo i blocchi essere spediti. Al volante era il proprietario del veicolo stesso, Alessandro Toffalori che ora è a contarsi tra le vittime. Aggiungiamo che per concessione dello stesso Toffalori, e come sovente avveniva, sull’autocarro, sedendo sopra i blocchi che essi avevano tolto dalle cave col sudor dei loro sforzi, avevano preso posto una ventina di operai che dovevano tornare alle loro abitazioni dove le famiglie li attendevano per la cena. Giunto il veicolo al punto fatale, si calcola che il guidatore abbia preso male la stretta curva. Una delle ruote, spinta sul ciglio stradale, ha causato il franamento d’un tratto di terreno, cosicchè il camion piegando rapidamente verso quel lato, si capovolse precipitando dalla scarpata nel campo sottostante, profondo circa 12 metri.

Non è a immaginarsi quanto possa essere stata raccapricciante la spaventosa scena che ha presentato poi lo spettacolo impressionante di vedere tutta quella povera gente schiacciata sotto la mole di quei blocchi, pesanti ciascuno parecchi quintali!

All’appello straziante dei feriti, che invocavano soccorso, si sono affrettati sul luogo molti, moltissimi artigiani. L’opera di soccorso fu iniziata tosto con fervore, e purtroppo, di sotto a quei massi, si cominciarono a togliere dei morti! Ciò che straziava l’animo era il penoso lamento dei feriti, che si sentivano oppressi sotto quel peso immane e che avevano chi un braccio, chi una gamba, chi i piedi, orribilmente schiacciati. I morti, tolti man mano di sotto a quella specie di valanga, in un primo tempo vennero adagiati in parte sull’erba, e ciò mentre si procedeva al trasporto dei numerosi feriti. Sul sito frattanto, giungevano fra i primi oltre alle autorità locali, ed ai militi della Croce Verde Righetti, Valente e Pavon, il voce segretario federale dottor Andreis, il sig. Alfredo Lippi, il delegato di zona sig. Talillo, il rag. Bruno Guarise, il fiduciario del Fascio di Parona sig. Pighi.

La scena era straziante! Intere famiglie di lavoratori erano accorse angosciate in cerca dei loro cari e si doveva usare a quegli infelici dolce violenza alla presenza della scena spaventosa.

I primi cadaveri estratti e riconosciuti dalla folla accorsa. sono quelli degli operai Lorenzo Zorzi del Fascio di San Ambrogio, quello del guidatore Toffalori, Pietro Olivieri altro fascista di San Giorgio, Lodovico Crescini, Zorzo Emilio di San Giorgio e Giovanni Coati di S. Ambrogio. Quei miseri corpi presentavano mutilazioni impressionanti, specie alle gambe. I feriti erano tutti gravi; due erano gravissimi. Uno di essi, Olivieri Alessandro del Fascio di San Giorgio, è stato trasportato subito alla propria abitazione, ma purtroppo, poco dopo cessava di vivere senza avere ripreso i sensi. Anche l’operaio Paolo Coato, ferito gravissimamente, è morto un’ora dopo che fu trasportato all’ospedale di Bussolengo, dove, i medici dott. Carteri e dott. Fiorini subito a lui si erano prodigati.

Altri feriti, oggetti di cure premurose dei medici dott. Segattini e dott. Ferrari, sono stati riconosciuti per Giovanni Zorzi, fascista di S. Giorgio, Giuseppe Grigoli, Lionello Coato, Domenico Vassanelli ed Antonio Sartori di S. Ambrogio. Fino a tarda ora, sul luogo del disastro è stato un continuo affluire di gente, la quale ore si interessa moltissimo delle condizioni dei feriti, tra i quali sono dei giovani, dei combattenti, dei padri di famiglia.

Il lutto per la tremenda sciagura è profondissimo in tutto questo vasto territorio. Nelle varie case dove la sciagura ha fatto capolino, sono scene di strazio. Sono bimbi che invocano vanamente il nome del loro papà, sono giovani donne, vecchi genitori, che dovranno indossare le gramaglie, e che nessuno lenimento sentono a tanto dolore dal conforto amorevole che amici cercano loro apportare con ogni premura, con frasi affettuose.

I nomi delle vittime riportate (con foto) sul monumento che riporta la scritta: “Dal lavoro tornanti ai domestici affetti sotto gli avulsi macigni travolti qui perivano“: Coato Gio Batta, anni 31; Conati Paolo, anni 36; Crescini Lodovico, anni 24; Oliviri Alessandro, anni 30; Olivieri Paolo, anni 52; Toffalori Alessandro, anni 30; Zorzi Emilio, anni 37; Zorzi Lorenzo, anni 41

LA LIONETTA “Danze e Ballate dell’Area Celtica Italiana”

LA LIONETTA “Danze e Ballate dell’Area Celtica Italiana”

LA LIONETTA “Danze e Ballate dell’Area Celtica Italiana”

SHIRAK Records. LP, 1978

di alessandro nobis

Sul modello di più celebri ensemble dell’area celtica, francese ma anche magiara che con dischi di grande qualità riportavano alla contemporaneità il patrimonio tradizionale delle loro aree di origine culturale, anche in Italia c’era chi si prefiggeva lo stesso obiettivo centrandolo spesso con risultati di ottima qualità: uno dei gruppi più interessanti certamente erano i piemontesi “La Lionetta” che nel ’78 pubblicavano il loro esordio discografico, questo “Danze e Ballate dell’Area Celtica Italiana” che dopo quarantacinque anni si fa ancora apprezzare per il contenuto e gli arrangiamenti.

Roberto Aversa (voce, chitarra acustica, tin whistle, cornamusa, percussioni, Maurizio Bertani (mandolino, flauto dolce, bombarde, metallofono, violino, voce), Marco Ghio (violino, tablas, voce), Vincenzo Gioanola (melodeon, accordeon, dulcimer, banjo, percussioni, voce) e Laura Malaterra (voce, chitarra classica, dulcimer, percussioni) pescano dal repertorio raccolto e studiato da Costantino Nigra e da quelli frutto delle ricerche loro e di Roberto Leydi e lo interpretano con una vasta gamma di suoni e di arrangiamenti per l’epoca del tutto innovativi.

Citate da Nigra ecco ad esempio il brano di apertura “Dona Bianca” (lezione astigiana di “Donna Lombarda“, Nigra 01, raccolta da Leydi), “Un’eroina” (Nigra 13) con la parte musicale arrangiata su una registrazione sempre di Leydi e ancora “Prinsi Raimund” (Nigra 06) probabilmente di origine francese ed inedita al di fuori dell’area piemontese; il repertorio “a ballo” proviene dalle valli del Piemonte orientale come la Varaita, la Grana e la Val di Susa e comprende la splendida giga di Sampeyre, una curenta occitana e di una suite per cornamusa della val di Susa ed infine un salterello diffuso nel nord Italia di origine medioevale.

A distanza di tutto questo tempo il valore della musica di gruppi come “La Lionetta”, ma potrei anche citare La Ciapa Rusa, i Calicanto o dei Suonatori delle Quattro Province (appartenenti ad una fase successiva del folk revival nord italiano), assume un valore ancora più alto di quello, peraltro notevole, dato all’epoca della loro pubblicazione: il valore di questi progetti ha attraversato il tempo e sono ancora una modello per quanti siano interessati alla riproposizione del materiale tradizionale in una chiave non ortodossa.