THE BOTHY BAND “Old Hag You Have Killed Me”

THE BOTHY BAND “Old Hag You Have Killed Me”

THE BOTHY BAND “Old Hag You Have Killed Me”

Mulligan Records. LP, 1976

di alessandro nobis

Dopo l’eccellente album eponimo pubblicato nel 1975 (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2020/05/14/suoni-riemersi-the-bothy-band-bothy-band/)

il sestetto irlandese The Bothy Band · in realtà un vero e proprio supergruppo vista la qualità dei musicisti · si reca in uno studio nel tranquillo Galles per registrare questo altrettanto splendido secondo album avvalendosi di Paddy Keenan (uilleann pipes, tin whistle), Matt Molloy (flauto, tin whistle), Kevin Burke (violino), Tríona Ní Dhomhnaill (voce, clavinet, harmonium), Mícheál Ó Domhnaill (voce, chitarra) e il fondatore Donal Lunny (voce, bouzouki, chitarra, bodhrán). Il repertorio come si conviene è quello dei temi a danze, dei canti narrativi, delle ballate e in questo ellepì spiccano su tutte “Fionnghuala“, cantato a cappella nello stile “Puirt a Beaul”, costruito attorno al suono delle parole piuttosto che al loro significato e veniva cantato soprattutto dalle classi lavoratrici meno abbienti, quasi un incitamento al lavoro insomma un “work song”. Tra i canti narrativi segnalo “The Maid of Coolmore“, splendido arrangiamento con la voce di Tríona ed il controcanto del violino di Kevin Burke di un canto di emigrazione presente in raccolte come quella di Roud (# 2493) o Henry (#H687) e “Tiochfaidh An Samhradh (Summer Will Come)“, antica canzone d’amore che Mícheál Ó Domhnaill imparò dalla zia Neili nella sua terra natale, il Donegal. Magnificamente eseguiti, ed arrangiati, i set di danze come i tre jig “Old Hag You Have Killed Me / Dinny Delaney’s / Morrisson’s” introdotti dall’harpsichord e dalle uilleann pipes di Keenan; in particolare il primo che dà il titolo all’album è piuttosto conosciuto, Willie Clancy, Eliot Grosso, Robbie Hannan ed il chitarrista americano Dan Crary ne hanno inciso versioni significative. Da ultimi voglio menzionare il jig di Leo Rowsome ed il set di 4 reels che apre il disco con magnifici interventi di Matt Molloy e Kevin Burke.

Sfortunatamente la band · che possiamo definire uno dei migliori ensemble del folk revival di matrice celtica · dopo aver registrato “Out of the Wind Into the Sun” nel 1978 si scioglierà l’anno seguente lasciando un album dal vivo  (“After Hours“) ed un CD di registrazioni effettuate dalla BBC pubblicato nel 1994.

After the excellent eponymous album released in 1975 (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2020/05/14/suoni-riemersi-the-bothy-band-bothy-band/)

the Irish sextet The Bothy Band · actually a real supergroup considering the quality of the musicians · goes to a studio in quiet Wales to record this equally splendid second album using Paddy Keenan (uilleann pipes, tin whistle), Matt Molloy ( flute, tin whistle), Kevin Burke (violin), Tríona Ní Dhomhnaill (vocals, clavinet, harmonium), Mícheál Ó Domhnaill (vocals, guitar) and founder Donal Lunny (vocals, bouzouki, guitar, bodhrán). The appropriate repertoire is that of dance themes, narrative songs, ballads and in this LP “Fionnghuala” stands out above all, sung a cappella in the “Puirt a Beaul” style, built around the sound of the words rather than their meaning and was sung above all by the less well-off working classes, almost an incitement to work, in short, a “work song”. Among the narrative songs I point out “The Maid of Coolmore”, a splendid arrangement with the voice of Tríona and the countermelody of Kevin Burke’s violin of an emigration song present in collections such as that of Roud (# 2493) or Henry (#H687) and “Tiochfaidh An Samhradh (Summer Will Come)”, an ancient love song that Mícheál Ó Domhnaill learned from his aunt Neili in his homeland of Donegal. Beautifully performed and arranged dance sets such as the three jigs “Old Hag You Have Killed Me / Dinny Delaney’s / Morrisson’s” introduced by the harpsichord and Keenan’s uilleann pipes; in particular the first that gives the album its title is quite well known, Willie Clancy, Eliot Grosso, Robbie Hannan and the American guitarist Dan Crary have recorded significant versions of it. Finally I want to mention the jig by Leo Rowsome and the set of 4 reels that opens the disc with magnificent interventions by Matt Molloy and Kevin Burke.

Unfortunately the band · that we can define as one of the best Celtic folk revival ensembles · after recording “Out of the Wind Into the Sun” in 1978 will dissolve the following year leaving a live album (“After Hours”) and a CD of recordings made by the BBC released in 1994.

DAVID MUNROW · THE EARLY MUSIC CONSORT OF LONDON “Instruments of the Middle Age and Reinassance”

DAVID MUNROW · THE EARLY MUSIC CONSORT OF LONDON “Instruments of the Middle Age and Reinassance”

DAVID MUNROW · THE EARLY MUSIC CONSORT OF LONDON “Instruments of the Middle Age and Reinassance”

EMI Records. Box con 2 LP + Libro. 1976

di alessandro nobis

Questo box set pubblicato nel 1976 (ma registrato tra il 1973 ed il 1974) ha segnato una svolta epocale per l’aver spalancato le porte del mondo allora poco frequentato della musica antica sia agli appassionati di musica classica che a quelli che a metà degli anni settanta seguivano il così chiamato movimento del “Folk Revival” inglese. Due i dischi, il primo dedicato al Medio Evo il secondo al Rinascimento che raccolgono i suoni degli strumenti ma anche altrettanti esempi del repertorio arrivato fino a noi attraverso preziosissimi manoscritti, dischi che si possono considerare il lascito testamentario di David Munrow scomparso in giovanissima età a trentatrè anni lasciando un vuoto enorme ma anche illuminando una via per lo studio e la valorizzazione di queste splendide musiche.

La vastità delle tipologie dei repertori presentate in una settantina di brani, la ricerca per ricostruire in modo credibile i suoni di un’epoca così lontana anche utilizzando strumenti alloctoni rispetto alle culture europee, il brio, la freschezza e la brillantezza esecutiva del Early Music Consort (nel quale militava anche Christopher Hogwood) e la cura nel comporre il volume di 97 pagine fanno come detto di questo “Instruments of the Middle Age and Reinassance” (stampato nel 2007 anche in compact disc) una sorta di Santo Graal che ha avvicinato allo studio di questi repertori numerosissimi musicisti di area classica e tradizionale. A questo proposito, per quanti volessero ascoltare le collaborazioni di David Munrow con i più prestigiosi musicisti dell’area della tradizione musicale inglese segnalo quelle con Shirley & Dolly Collins “Anthems in Eden” (1969), The Young Tradition “Galleries” (1969), Shirley Collins “A Favourite Garland” (1974), Ashley Hutchings “Rattlebone and Ploughjack” (1976), i Pentangle (il singolo “Wondrous Live” del 1971 incluso nel  cofanetto “The Time Has Come” 67 · 73 pubblicato nel 2007) e con “The Roundtable” nel loro “Spinning Wheel” del 1969.

Disco imperdibile. Cercate il cofanetto che come detto contiene il volume ma anche un folder di ulteriori sei pagine con i dettagli dei 71 brani presenti.

This box set released in 1976 (but recorded between 1973 and 1974) marked an epochal turning point for having opened wide the doors of the then little-visited world of early music to both classical music enthusiasts and those who seventy followed the so-called English “Folk Revival” movement. Two discs, the first dedicated to the Middle Ages and the second to the Renaissance which collect the sounds of the instruments but also as many examples of the repertoire that has come down to us through precious manuscripts, discs that can be considered the testamentary bequest of David Munrow who died at a very young age in thirty-three years leaving a huge void but also illuminating a way for the study and enhancement of this splendid music.

The vastness of the types of repertoires presented in about seventy pieces, the research to credibly reconstruct the sounds of such a distant era even using alien instruments compared to European cultures, the vivacity, freshness and executive brilliance of the Early Music Consort (in which Christopher Hogwood was also a member) and the care in composing the 97 pagesof the volume make this “Instruments of the Middle Age and Renaissance” (printed in 2007 also on compact disc) a sort of Holy Graal that has brought the study of these repertoires a large number of classical and traditional musicians. In this regard, for those wishing to listen to David Munrow’s collaborations with the most prestigious musicians in the area of ​​the English musical tradition, I point out those with Shirley & Dolly Collins “Anthems in Eden” (1969), The Young Tradition “Galleries” (1969) , Shirley Collins “A Favorite Garland” (1974), Ashley Hutchings “Rattlebone and Ploughjack” (1976), Pentangle (the 1971 single “Wondrous Live” included in the box set “The Time Has Come” 67 73 released in 2007) and with “The Roundtable” on their 1969 “Spinning Wheel”.

Unmissable album. Look for the box which, as mentioned, contains the volume but also a folder of a further six pages with the details of the 71 songs present.

OM “KIRIKUKI”

OM “KIRIKUKI”

OM “KIRIKUKI”

Japo – ECM Records. LP, 1976

di alessandro nobis

Tra i gruppi che in Europa, alla metà dei Settanta, avevano cercato di elettrificare il linguaggio del jazz spesso con splendidi risultati (ricordo solamente i Soft Machine, i Nucleus ma anche gli italiani Agorà e Perigeo) vanno annoverati a mio parere gli svizzeri OM, quartetto che in organico aveva il chitarrista Christy Doran (di oriìgine irlandese), il sassofonista e flautista Urs Leimgruber, il contrabbassista Bobby Burri ed il batterista Freddy Studer; questo “Kirikuki” registrato nel ’75 e pubblicato dalla Japo Records, affiliata ECM, è il loro album d’esordio e si pose all’attenzione degli appassionati per il progetto che viveva sì sulla scrittura della musica, composta quasi esclusivamente da Doran, ma anche di un’interessante prassi improvvisativa che arricchiva il tutto, a mio avviso del tutto evidente in “Lips” aperta da un espressivo solo al flauto di Leimgruber. Il suono appare certamente influenzato dal primo disco dei Weather Report (ad esempio le linee di soprano nel brano “Holly” che apre la prima facciata) e la classe di Doran e Leimgruber danno quel tocco di originalità alla musica del quartetto che rimane affascinante e fresca ancora dopo quasi mezzo secolo. L’ipnotica “Holly” che apre la prima facciata è l’episodio perfetto per “mostrare le carte” del suono di OM, e la chitarra di Doran, strumentista eccellente, in tutto il lavoro connette con i suoi accordi i tre compagni di viaggio che mostrano grande empatia ed un livello di interplay che fanno di questo “Kirikuki” uno dei più interessanti progetti prodotti alla metà dei Settanta dalla Japo – Ecm.

Karpfenteich” si apre con il trio che prepara un interessante interplay tra Doran e Leimgruber, anche la lunga “Hommage À Mme. Stirnimaa” si apre con una lunga introduzione del trio per poi aprirsi ai soli del sax tenore, naturalmente con il sempre straordinario apporto della simbiotica sezione ritmica che in tutti lavori di OM rappresenta l’essenziale dinamico e soprattutto creativo supporto al sound del gruppo.

Degli OM in CD non è stato pubblicato nulla delle incisioni effettuate per la Japo con l’eccezione di “A Retrospective” che l’ECM mise in catalogo nel 2006: contiene tutto il quarto album “Cerberus” oltre a “Holly” e “Lips” tratti da Kirikuki, “Rautionaha” dall’omonimo album del ’77 e “Dumini” da “With Dom Um Romao” del ’77.

Datevi da fare e cercate questo magnifico vinile.

NORMAN BLAKE “Live at McCabe’s”

NORMAN BLAKE “Live at McCabe’s”

NORMAN BLAKE “Live at McCabe’s”

TAKOMA Records. LP, CD, CS, 1976

di alessandro nobis

Alla fine dopo molte ricerche riuscii a scovare questo ellepì in un piccolo negozio di Padova un anno dopo la sua pubblicazione (i dischi della Takoma non erano pubblicati in Italia, si trovavano a fatica solo nel mercato dell’importazione) ma già dal primo ascolto ero stato ripagato della lunga attesa. E visto che Blake ora come allora non è mai arrivato per suonare dal vivo in Italia (ma credo nemmeno in Europa), questo live me lo tengo ben stretto visto anche il valore della musica che contiene; il disco inizia e finisce con Blake in completa solitudine, mentre gli altri brani vedono la presenza di Nancy Blake al violoncello, ed il repertorio comprende brani originali e splendide rivisitazioni di alcuni dei grandi classici del folk americano. Di questi ne segnalo due, una versione strumentale di “Arkansas Traveller” (che Blake ha inciso anche con Charlie Collins in “Whiskey Before Breakfast” dello stesso anno) che deriva da una versione di W. C. Peters pubblicata nel 1847 e l’altrettanto celebre “John Hardy” che racconta la storia di un lavoratore delle ferrovie che sotto l’effetto di un gran quantità di alcolici uccise tale Thomas Drew, e per questo venne impiccato davanti a tremila persone; la legenda narra che il giorno prima venne battezzato nel vicino fiume e per questo ebbe l’assoluzione divina per il suo crimine.

I brani in duo per violino e violoncello, scritti da Blake, rimandano ad uno splendido suono cameristico, originale, pacato e molto efficace come in “Dry Grass on High Fields” o il medley che include “Bully of the Town” e la fiddle tune irlandese “Bonaparte’s Retreat“, suono che verrà sviluppato con il “Rising Fawn String Ensemble”.

Considero questo “Live at McCabe’s” una delle migliori incisioni di Norman Blake dove il contributo della moglie Nancy si fa davvero consistente, come abbiamo avuto modo di constatare negli anni seguenti.

In the end, after much research, I managed to find this LP in a small shop in Padua a year after its publication (Takoma's records weren't published in Italy, they could hardly be found only in the import market) but already from the first listening I was the long wait paid off. And since Blake has never arrived to play live in Italy now as then (but I don't think in Europe either), I'm keeping this live very close to me also considering the value of the music it contains; the disc begins and ends with Blake in complete solitude, while the other songs see the presence of Nancy Blake on cello, and the repertoire includes original songs and splendid reinterpretations of some of the great classics of American folk. Of these I point out two, an instrumental version of "Arkansas Traveller" (which Blake also recorded with Charlie Collins in "Whiskey Before Breakfast" of the same year) which derives from a version by W. C. Peters published in 1847 and the equally famous " John Hardy" which tells the story of a railway worker who, under the influence of a large quantity of alcohol, killed a certain Thomas Drew, and for this he was hanged in front of three thousand people; legend has it that the day before he was baptized in the nearby river and for this he received divine absolution for his crime.

The duo pieces for violin and cello, written by Blake, refer to a splendid chamber sound, original, calm and very effective as in "Dry Grass on High Fields" or the medley that includes "Bully of the Town" and the fiddle tune Irish "Bonaparte's Retreat", a sound that will be developed with the "Rising Fawn String Ensemble".

I consider this "Live at McCabe's" one of Norman Blake's best recordings where the contribution of his wife Nancy is really substantial, as we have seen in the following years.

NORMAN BLAKE · RED RECTOR “Norman Blake & Red Rector”

NORMAN BLAKE · RED RECTOR “Norman Blake & Red Rector”

NORMAN BLAKE · RED RECTOR “Norman Blake & Red Rector”

County Records. LP, 1976

di alessandro nobis

Attribuito a Norman Blake ed al mandolinista del North Carolina Red Rector (1929 – 1990), questo ellepì si avvale anche della fondamentale opera della ritmica formata da Charlie Collins alla chitarra e da Roy Huskie Junior al contrabbasso, ed è l’unico lavoro di Blake pubblicato dalla County Records di Dave Freeman che nel 2018 ha chiuso i battenti. Le fonti dalle quali Blake e Rector hanno attinto per arrangiare i brani – nessuno è originale – ed inciderli in questo che resta dopo quasi mezzo secolo un meraviglioso lavoro, uno degli highlights della discografia di Norman Blake, sono numerose; alcuni brani sono classificati come “tradizionali” e quindi di autore sconosciuto, mentre altri sono stati registrati e composti in varie epoche da musicisti considerati “colonne” del folk americano. Immagino un lungo e certosino lavoro nella ricerca e trascrizione dei 78giri degli anni Venti e Trenta che fa di questo disco un doveroso e riuscito omaggio alle radici della musica americana. C’è “Denver Belle”, una fiddle tune del grande Kenny Baker, c’è “Darling Nellie Across the Sea” dal repertorio della seminale Carter Family (1929) e, sempre da quell’anno “Mississippi Sawyer” 78giri di esordio della string band – che suonava l’old time music – “The Hill Billies” e “Sweet Lorena” ballad cantata da Blake e scritta dai fratelli Henry e Joseph Webster con un bel solo di mandolino ed il preciso contrabbasso di Roy Huskie, lo splendido strumentale “Girl I Left Behind Me”, una dance tune con il perfetto alternarsi chitarra – mandolino, uno dei brani più significativi di questo album a mio avviso ed infine “Limehouse Blues” di Douglas Furber e Philip Braham suonato per la prima volta nel ’21 da Gertrude Lawrence e Jack Buchanam, con al solito strepitosi soli di Red Rector e Norman Blake.

Disco notevole, come detto uno dei più interessanti del chitarrista di Sulphur Springs che mette in luce anche il mandolinista Red Rector.

THE BATTLEFIELD BAND “Farewell to Nova Scotia”

THE BATTLEFIELD BAND  “Farewell to Nova Scotia”

THE BATTLEFIELD BAND  “Farewell to Nova Scotia”

Arfolk / Escalibur Records. LP, 1976

di alessandro nobis

Questo è il primo seminale lavoro del gruppo scozzese The Battlefield Band, allora composto da Alan Reid (tastiere), Brian McNeill (voce, violino) e Ricky Stars (voce e plettri) considerato in compagnia di Ossian, Silly Wizard e Boys of the Lough come il più rappresentativo ensemble della corrente musicale che ha saputo rinnovare lo straordinario patrimonio della tradizione musicale scozzese. Ricordo bene i loro concerti nel veronese (a Cadidavid il 30 ottobre del 1981, a Lugagnano l’8 giugno dell’84 ed in città il 9 dicembre dell’anno successivo): grande energia, impatto sonoro straordinario, repertorio scelto in modo preciso e non da ultimo, splendide e molto affabili persone.

Per questo loro primo disco risalente alla metà degli anni Settanta la “band” era in realtà un trio (McNeill e Reid, veri motori del gruppo, poi restarono lungamente nel gruppo), ma la qualità del suono, gli arrangiamenti e la delicatezza nell’esecuzione delle ballad e la purezza nell’esecuzione dei set di danze – scritte originariamente per highland bagpipes – erano qui già ben evidenti, eccome, e la perfetta sintonia tra McNeill e Reid, autentico marchio di fabbrica della band riconoscibile in tutti i lavori seguenti, ha saputo nei decenni accogliere il fior fiore della musica scozzese come Jamie McMenemy e Duncan McGillvray rivitalizzando un repertorio secolare intriso di Storia e di miscrostorie. Si viaggia dalla Scozia all’Irlanda fino alla Nuova Scozia canadese, come lascia presagire il titolo di questo loro album d’esordio.

Da oltre oceano proviene la ballata “Farewell to Nova Scozia”, un adattamento di “The Soldier’s Adieu” pubblicata a Glasgow nel 1903, la storia di un soldato che viene arruolato e lascia la sua terra forse per l’ultima volta per andare a combattere, mentre dallo scrigno musicale irlandese la Battlefield Band propone una ballata molto conosciuta, “Paddy’s Green Shamrock Shore” che racconta dell’emigrazione irlandese oltreoceano dovuta alla carestia che colpì l’isola nel diciannovesimo secolo: molti sognavano di ritornare prima o poi in Irlanda, pochissimi vi riuscirono. Del repertorio scozzese mi sembra importante segnalare il medley strumentale “The Highland Brigade Waterloo / The 74 Highlanders / The 93rds Farewell to Gibraltair”; la prima, un jig scozzese, fu composta da John Gow (1764 – 1826) che ricorda la Brigata scozzese che prese parte alla battaglia di Waterloo (18 giugno 1815) mentre la terza fu composta nel 1848 da John MacDonald per il 93° reggimento dei Sutherland Highlanders. Notevole anche “The Forfar Sodger” (raccolta Roud 2857) scritta da quello che è considerato “il poeta dei tessitori”, David Shaw (1786 – 1856) che ha “cucito” due testi di provenienza diversa, uno irlandese ed uno inglese.

Disco importante perché fondamentale nello sviluppo del “folk revival” della terra di Scozia.

Stranamente, nella discografia pubblicata nel sito del gruppo scozzese, di questo disco e del successivo “Wae’me for prince Charlie” non c’è traccia. Questo per la cronaca.

EDDIE & FINBAR FUREY “The Farewell Album”

EDDIE & FINBAR FUREY “The Farewell Album”

EDDIE & FINBAR FUREY “The Farewell Album”

INTERCORD RECORDS, 2 LP. 1976

di alessandro nobis

Questo doppio ellepì pubblicato dalla tedesca Intercord nel 1976 raccoglie le ultime preziose testimonianze sonore del duo formato da Finbar (Uillenann pipes, voce, chitarra e flauti) ed Eddie Furey (voce, chitarra, mandola e bodhran) con il supporto di Hannes Wader alla voce e chitarra; un disco live ed uno in studio per una delle formazioni che assieme ad altre influenzarono negli anni a seguire il movimento del folk revival irlandese, al di là dell’enorme talento di Finbar come suonatore di uilleann pipes (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/10/08/suoni-riemersi-finbar-furey-traditional-irish-pipe-music/). Il disco registrato dal vivo fu registrato nel giugno appunto del ’76 al Folk Club di Witten, dodici brani della tradizione irlandese vicino a folksongs del repertorio folk e di autori inglesi: “Lord Gregory” (“The Lass of Roch Royal” Roud 49 e Child 76) è uno degli standards del folk angloscotoirlandese, “From Clare to Here”. Scritta da Ralph McTell, è una canto legato ai sentimenti di un emigrato irlandese a Londra e “Still he Sings” del grande Allan Taylor racconta l’emozione per la nascita del primo figlio, un inno alla vita. Anche il pregevolissimo disco in studio registrato a Neukirchen contiene alcune preziose gemme e si apre con le pipes di Finbar Furey che accompagnano “Pretty Saro” (Roud 417), ballata di emigrazione anglosassone “ritrovata” nei Monti Appalachi da Ceci Sharp; “The Grave of Wolfetone” (la tomba di trova nella Contea di Kildare, a Sallins, è un canto dedicato a Wolfe Tone,  leader della rivolta anti-inglese del 1978 nella quale protestanti e cattolici si ritrovarono fianco a fianco nei combattimenti e tra gli strumentali particolarmente efficaci mi sono sembrati “Carsten’jig” (composto da Finbar e dedicato a Carsten Linde, produttore del disco) e “Graham’s Flat”, un’altra composizione del piper di Ballifermot.

Un doppio ellepì, prodotto in Germania, che fotografa la passione e l’amore verso la musica irlandese che nell’Europa continentale trovò il suo apice in quegli anni, e che ancora continua.

DUCK BAKER  “I’m coming Virginia 1976 – 2011”

DUCK BAKER  “I’m coming Virginia 1976 – 2011”

DUCK BAKER  “I’m coming Virginia 1976 – 2011”

Fulica Records. CD, 2020

di alessandro nobis

Im-Coming-Virginia copia“Rare and previously unissued swing guitar solo” recita il sottotitolo di questa nuova e preziosa raccolta di inediti del chitarrista americano Duck Baker che coprono il periodo tra il 1976 ed il 2011. In comune le venti hanno il jazz e lo swing e tutte sono state registrate tutte dal vivo, a partire da quelle provenienti dalla prima tourneè europea di Baker, appunto quella del 1976. Duck Baker ringrazia i numerosi “bootlegers” che al grido di “roll tour tapes on” hanno registrato i suoi numerosissimi concerti e che gli hanno fornito la materia prima per realizzare questo bellissimo lavoro: dalle registrazioni su cassetta a quelle su DAT fino a quelle in mp3 il lavoro di selezione è stato lungo e paziente vista la non sempre alta qualità delle registrazioni ma ne è valsa davvero la pena. Baker ha spessissimo frequentato i palcoscenici di teatri, festival e locali anche in Italia, e le testimonianze di questo sono tre: “Take the A Train” registrato alla Fontana di Avesa nel 2002, “The Deep Blue C” da un concerto fiorentino del 1983 e due brani da una esibizione a Varese, nel ’79. C’è solamente l’imbarazzo della scelta per segnalarvi i brani più succulenti riportati in questo CD che per sono il già citato brano di Ellington “Take the A Train” (fosse solo per ragioni affettive) ai quali aggiungo la sempre fresca e spumeggiante “Sweet Georgia Brown” – uno dei cavalli di battaglia di Baker, tuttora nel suo repertorio live – della premiata ditta Bernie & Pinkard, e naturalmente la ballad “I’m Coming Virginia” composta nel 1927 da Bix Beiderbecke.

Qui il Gospel, il Blues, il Jazz, il Ragtime e l’Early jazz ancora una volta riemergono dal tempo lontano grazie agli arrangiamenti ed alla tecnica di questo straordinario quanto poliedrico chitarrista della Virginia mostrando qui al meglio la sua lucida visione della musica afroamericana, visione che accanto a quelle del folklore americano ed irlandese ed a quella dell’improvvisazione sia idiomatica che più radicale (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/08/20/duck-baker-quartet-coffee-for-three/) ne fanno uno dei rappresentanti più autorevoli della musica per chitarra – ma non solo – che personalmente abbia ascoltato. 

 

DUCK BAKER “When you wore a tulip”

DUCK BAKER “When you wore a tulip”

DUCK BAKER “When you wore a tulip”

Southern Summer Records. CD, 1977, 2019

di Alessandro Nobis

Pubblicato nel 1976 dalla Kicking Mule Records, “When you wore a tulip” era il secondo significativo lavoro del chitarrista americano Duck Baker e conteneva tracce registrate durante il ’74 e ’75 (dalle session del primo album “There’s Something For Everyone in America”), oltre ad altre risalenti all’aprile del ’76; ora su iniziativa dello stesso Baker viene ristampato meritoriamente con l’aggiunta di cinque “bonus tracks” provenienti dalla registrazione di un concerto parigino sempre del 1976. “All’epoca dei fatti” Baker era già considerato uno dei più autorevoli ed originali interpreti dello stile fingerpicking, stile allora molto ancorato sulla riproposizione del folk anglo-scoto-irlandese, sia per il sua visione piuttosto legata all’improvvisazione, per lo stile applicato alla chitarra con corde di nylon ed infine per il repertorio che spazia dalle tradizioni musicali americane di origine europea al jazz.Interpretazione, arrangiamento, composizione e improvvisazione sono sempre stati quindi i punti cardinali della carriera del chitarrista della Virginia, e già a metà degli anni settanta era leggibile il suo progetto che tuttora porta avanti, da solo (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/03/10/duck-baker-plays-monk/) o con piccoli combo (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2019/08/20/duck-baker-quartet-coffee-for-three/).

DUCK_BAKER_WHEN+YOU+WORE+A+TULIP-590251.jpgQui troviamo brani che fanno parte del suo repertorio da sempre come “Back Home Again in Indiana” scritto da James F. Hanley & Ballard MacDonald o “Huneysuckle Rose” di Fats Waller vicino a sue composizioni come “Plymouth Rock” e “Rapid Transit Blues” ed a splendidi arrangiamenti di fiddle tunes come “Angeline the Baker” e “The Boys of Blue Hill”.

La chicca qui è la sequenza dei cinque inediti registrati a Parigi dei quali vanno citati almeno “Maple Leaf Rag” (Scott Joplin) e “Chicken Ain’t nothing’ but a bird” (letteralmente “le galline non sono altro che uccelli”) di Emmet Wallace, due straordinari arrangiamenti per chitarra acustica.

Mi domando, quando ascolto Duck Baker, come mai un musicista dei questo livello non faccia parte dei cartelloni dei festival jazz italiani “più autorevoli”.

 

 

THE BAND “The Last Waltz”

THE BAND  “The Last Waltz”

THE BAND  “The Last Waltz”

RHINO RECORDS, 4LP –  4CD + Blue Ray Disc – 2CD, 2016.

di Alessandro Nobis

Che “THE BAND” (Rick Danko, Levon Helm, Garth Hudson, Richard Manuel e Robbie Robertson) sia stato il gruppo che più di ogni altro ha incarnato la cultura rock americana per la sua capacità di fondere le più diverse musiche nate oltreoceano come il blues, il cajun, il country, la canzone d’autore, il rock’n’roll ed il gospel con un linguaggio sempre raffinato, colto, inimitabile (e inimitato) è un’idea che mi frulla in testa da anni, e so anche di non essere da solo a pensare questo. Che la notte del Thanksgiving del 1976 sia passata alla storia come “L’ultimo valzer” di questo quintetto è ormai scritto su tutti i libri di storia della musica rock, che quella sera chiuse il cerchio iniziato nel ’67 come “The Hawks”, gruppo che accompagnava Ronnie Hawkins.last-waltz-2003-cd

Quel concerto – vorrei evitare l’elenco degli ospiti e pertanto cito solamente Bob Dylan e Muddy Waters – vide la luce nel 1978 come triplo ellepì, poi come doppio CD e nel 2002 come quadruplo CD (per il 25° anniversario) contenente tutta la musica suonata quella notte e, come se non bastasse, venne pubblicato anche l’omonimo film girato niente meno che da Martin Scorsese: una pacchia per appassionati, garantisco io.

Ora, mi domando (retoricamente) che bisogno c’era di pubblicare lo stesso concerto in cofanetto di quattro ellepi, in due CD antologici, in un cofanetto di 4CD più il disco Blue Ray del film, “naturalmente” con una copertina diversa e con un prezzo che per le due edizioni più ricche si aggira sui 90 euro quando il cofanetto del 2002 si trova ancora e ad un terzo di quel prezzo? Un’operazione meramente commerciale ed a mio avviso una pubblicazione quasi inutile: dei tre formati disponibili salverei solamente il box con i 4 ellepi che contiene gli inediti mai pubblicati su vinile. Gli amanti della Band che ancora non avessero queste registrazioni ed i nuovi fans cerchino la versione CD del 2002; “The Last Waltz” è davvero un documento sonoro importante.