KUHN · FINCK · BARON · LOVANO “Mostly Coltrane”

KUHN · FINCK · BARON · LOVANO “Mostly Coltrane”

KUHN · FINCK · BARON · LOVANO “Mostly Coltrane”

ECM RECORDS. CD, 2009

di alessandro nobis

Cominciamo dalla fine, mescoliamo le carte · o la scaletta · e partiamo dai due brani che Steve Kuhn esegue in completa solitudine, ovvero “With Gratitude” e “Trance” contenuti in questo splendido lavoro registrato nel 2008 pubblicato l’anno successivo e dedicato “per lo più” all’interpretazione di brani di John Coltrane: in questi due tributi emerge tutto il lirismo del pianoforte di Steve Kuhn che in queste due occasione vuole rendere omaggio all’anima di uno dei grandi della musica del Novecento che ebbe occasione di incontrare brevemente in giovanissima età a New York e che evidentemente lasciò nel giovane Kuhn un imprinting decisivo nonostante la breve collaborazione artistica – fece parte infatti del quartetto e il suo posto venne preso da “tale” McCoy Tyner -.

Mostly Coltrane” è uno dei più profondi omaggi al genio coltraniano che mi è capitato di ascoltare, non solo per i brani originali a lui dedicati, ma per la rilettura, sensibile e del tutto convincente si alcune delle numerose perle che il sassofonista ha composto e naturalmente eseguito; quelle scelte da Kuhn coprono il periodo tra il 1960 (“Like Sonny“) ed il 1967 (“Configuration” e “Jimmy’s Mode“). Splendide a mio avviso “Crescent” che Trane incise nel ’64, un’introspettiva ballad che mette in tutta evidenza il delicato lirismo di Kuhn e di Joe Lovano (bellissimi i due assoli), il brano che apre questo “Mostly Coltrane” ovvero “Welcome” (da “Kulu Se Mama” del 1965) e “Central Park West” che il pianista ebbe modo di suonare assieme a Coltrane eseguita con grande pathos in duo da Kuhn e Lovano. Particolare l’utilizzo nella ballad “Spiritual” del suono alloctono del “taragot”, uno strumento ad ancia appartenente alla tradizione ungherese, che si adatta perfettamente al respiro della ballad.

Perfetto l’apporto del contrabbasso di David Finck e della batteria di Joey Baron che contribuisco in modo determinante alla riuscita di questo lavoro che modestamente ritengo sia da avere senza dubbi; un lavoro che testimonia come la musica di Coltrane possa in ogni momento riprendere vita e che dà un segnale a coloro i quali volessero riprendere i suoi spartiti e suonarli perpetuando il ricchissimo patrimonio che il sassofonista afroamericano ha lasciato a “tutti noi”.

Let’s start from the end, shuffle the cards and start from the two songs that Steve Kuhn performs in complete solitude, namely “With Gratitude” and “Trance” contained in this splendid work recorded in 2008 published the following year and dedicated ” mostly” to the interpretation of songs by John Coltrane: in these two tributes all the lyricism of Steve Kuhn’s piano emerges, who on these two occasions wants to pay homage to the soul of one of the greats of twentieth-century music who had the opportunity to meet briefly at a very young age in New York and which evidently left a decisive imprint on the young Kuhn despite the brief artistic collaboration, considering that he was part of the quartet and that his place was taken by “such” McCoy Tyner.

“Mostly Coltrane” is one of the most profound tributes to the Coltranian genius that I have ever heard, not only for the original pieces dedicated to him, but for the sensitive and completely convincing reinterpretation of some of the numerous pearls that the saxophonist has composed and of course performed and those chosen by Kuhn cover the period between 1960 (“Like Sonny”) and 1967 (“Configuration” and “Jimmy’s Mode”). Splendid in my opinion “Crescent” that Trane recorded in ’64, an introspective ballad that highlights the delicate lyricism of Kuhn and Joe Lovano (the two solos are beautiful), the song that opens this “Mostly Coltrane” or ” Welcome” (from “Kulu Se Mama” of 1965) and “Central Park West” that the pianist was able to play together with Coltrane performed with great pathos in duo by Kuhn and Lovano. Particular is the use in the ballad “Spiritual” of the allochthonous sound of the “taragot”, a reed instrument belonging to the Hungarian tradition, which adapts perfectly to the breath of the ballad.

Perfect, the contribution of David Fink’s double bass and Joey Baron’s drums which contribute in a decisive way to the success of this work which I modestly believe is to be had without a doubt; a work that demonstrates how Coltrane’s music can come back to life at any moment and that gives a signal to those who want to take up his scores and play them, perpetuating the very rich heritage that the African American saxophonist has left to “all of us”.

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DICK HECKSTALL · SMITH “A Story Ended”

DICK HECKSTALL · SMITH “A Story Ended”

DICK HECKSTALL · SMITH “A Story Ended”

Bronze Records. LP, 1972. Esoteric Records. CD, 2009

di alessandro nobis

Visto che il gruppo di John Hiseman a metà del 1971 si sciolse, Dick Heckstall · Smith, il sassofonista dei Colosseum e dello scenario del blues inglese · un nome per tutti la Graham Bond Organisation · decide di incidere un disco a proprio nome e “convoca” una serie di amici per registrare queste sei tracce da lui composte; se cercate i “Colosseum” ne trovate traccia (e che traccia!) nella lunga “The Pirate’s Dream” dove la band di Hiseman è quasi al completo, con Graham Bond all’Hammond e Chris Spedding alla chitarra e nella seguente “Same Old Thing“, composte come la precedente dal sassofonista con Clem Clempson e Hiseman ed eseguita da Paul Williams (voce), Caleb Quayle (chitarra), Mark Clarke (basso) e Rob Tait alla batteria oltre naturalmente a D. H·S. Inconfondibili soprattutto nel primo brano citato la sua costruzione, i passaggi strumentali e la voce di Chris Farlowe, un brano in perfetto idioma “Colosseum”.

Le altre quattro composizioni sono scritte da Heckstall · Smith e di queste voglio citare “What The Morning Was After” con il testo di Pete Brown, la brillante chitarra acustica di Caleb Quaye e due pianoforti, quello di Graham Bond e quello di Gordon Beck che ricordo essere uno dei più interessanti pianisti della scena del jazz europeo: è una ballad introdotta dal sax tenore con una bellissima parte di chitarra ed un importante ruolo dei pianoforti e con la voce di Williams perfettamente calibrata. Nella seconda parte il ritmo accelera ed il sax esegue un efficace “solo”, il ritmo quindi rallenta e lascia spazio alla chitarra che sottolinea la voce, bellissimo a mio avviso. Disco da riscoprire assolutamente, non solo per completisti, anche perchè nella versione CD della Esoteric Records sono presenti cinque brani inediti, tre esecuzioni live della band che Heckstall Smith mese assieme per promuovere il disco (“Moses in the Bullrushhourses“, “The Pirate’s Dream” e “No Amount of Loving“) e due registrazioni provenienti dal progetto “Manchild“, gruppo che presentava James Litherland alla voce e chitarra ma che non pubblicò nemmeno un singolo e la cui musica, diversa da quella alla quale ci aveva abituato il sassofonista, ruota attorno ad un robusto rock che al di là dei soli di sax a mio avviso decisamente non regge il tempo. Bene comunque la Esoteric ad inserire i due brani, è sempre interessante conoscere gli “sviluppi” post Colosseum.

CJANTÂ VILOTIS · ANTONELLA RUGGIERO 

CJANTÂ VILOTIS · ANTONELLA RUGGIERO 

CJANTÂ VILOTIS · ANTONELLA RUGGIERO 

“Cjantâ Vilotis”

Istladin.net CD + DVD, 2009

di alessandro nobis

A complemento della monumentale opera “Il Canto Popolare Ladino nell’inchiesta Das Vokslied in Österreich (1904 – 1915)”, tre volumi per un totale di duemilaquattrocento pagine curati da eminenti studiosi come Paolo Vinati, Silvana Zanolli, Barbara Kostner, Roberto Starec e Fabio Chiocchetti che rende merito alla ricerca del glottologo e ladinista austriaco Thomas Gartner incaricato dalla Corona Asburgica di coordinare e condurre in prima persona le rilevazioni sul canto popolare ladino nelle Valli Dolomitiche, del Friuli Orientale e della Val di Non*, su idea di Fabio Chiocchetti e di Renato Morelli venne formato un ensemble di musicisti per riproporre in chiave moderna alcune delle composizioni raccolte nei tre volumi, e come performer vocale venne fatta l’indovinata scelta di Antonella Ruggiero: conosciuta dai più per la sua appartenenza al raffinato gruppo pop dei Matia Bazar, la Ruggiero ha dimostrato nella sua lunga e diversificata carriera di avere una preparazione tecnica ed interpretativa di primissimo livello dando una fondamentale impronta al suono di quel gruppo, doti che unite alla sua estrema duttilità la fecero scegliere per interpretare un repertorio così “di nicchia” e lontano – soprattutto linguisticamente – dalle sue origini genovesi come. “CjantâVilotis”, non  sempre citato nella discografia della Ruggiero, è l’ennesima dimostrazione di come si possa partire dalle tradizioni popolari più pure per rinnovarle rispettandone le origini ed allo stesso tempo adattandole alla modernità con suoni ed arrangiamenti raffinati e sempre all’altezza; questo per le scelte timbriche e per i differenti background dei musicisti coinvolti, non sempre legati alla musica popolare e per questo un valore aggiunto al progetto. Del progetto hanno fatto parte Mark Harris (fece parte negli anni ’70 dei Napoli Centrale ed un musicista che ha collaborato con moltissimi musicisti italiani, da De Andrè a Vecchioni, da Pino Daniele a Edoardo Bennato per citarne qualcuno) e gli ensemble “Destràni Taraf” e “Marmar Cuisine”, Loris Vescovo, Ivan Ciccarelli e Caia Grimaz che si alternano nell’esecuzione del repertorio che comprende brani compresi nella ricerca di Gartner vicino ad altri comunque ad esso omogenei. Tra i primi doveroso segnalare la magnifica esecuzione vocale della lezione raccolta in Val di Non de “La pastora e il Lupo” (Nigra, 6) con Marke Harris al pianoforte ed il crescendo curato da Destràni Taraf (splendido l’intervento al sax soprano di Giordano Angeli ed alla tromba di Paolo Trettel), la villotta friulana “E sun che Riva” con il brillante intervento dei Marmar Cuisine dal sapore jazzistico Tra i brani allloctoni “Ciant de l’Aisciuda” costruito da Fabio Chiocchetti partendo da un frammento di Canori oltre mezzo secolo fa con la voce sempre precisissima della Ruggiero in gran evidenza nella sua estensione ed il pianoforte di Harris, la brevissima “Danza Rumena”, strumentale a cura dei Destràni Taraf e “La Biele Stele” (simile nei versi alla versione di Gartner) dove un ruolo importante lo trova la nickelarpa di Corrado Bungaro e con un significativo solo alla tromba (con sordina).

Disco, in conclusione, splendido per la concretizzazione dell’idea di translare ai nostri tempi la musica popolare raccolta oltre cento anni fa.

Non ho avuto la fortuna di conoscere Gartner, ma sono convinto avrebbe gradito il progetto.

*in realtà la ricerca riguardava tutte le regioni e nazionalità dell’Impero Asburgico

SUONI RIEMERSI: EDUARDO PANIAGUA “Trovadores en Castilla: Alfonso VIII y los Almohades”

SUONI RIEMERSI: EDUARDO PANIAGUA “Trovadores en Castilla: Alfonso VIII y los Almohades”

EDUARDO PANIAGUA · MUSICA ANTIGUA “Trovadores en Castilla: Alfonso VIII y los Almohades”

PNEUMA RECORDS 1010. CD 2009

di Alessandro Nobis

Registrato nel 2009, questo lavoro di Eduardo Paniagua inquadra un ben preciso periodo della storia ispanica, ovvero quello del regno di Alfonso VIII e dei rapporti burrascosi – per usare un eufemismo –  con la dinastia musulmana berbera degli Almohadi che regnava sul Marocco e sul Al Andalus, la parte della Spagna islamizzata, quindi dal 1158 al 1214, tutta la vita del sovrano considerato che fu nominato Re di Toledo e Castiglia all’età dei tre anni. Fu davvero uno strenuo nemico dei Mori, e durante il suo regno condusse due importanti scontri con l’esercito almohavide: la Battaglia di Alarcos del 19 luglio del 1185, dove l’esercito musulmano ebbe la meglio su quello cristiano ma che viste le enormi perdite fu costretto comunque a ritirarsi in quel di Siviglia e quella ancora più importante di Las Navas de Tolosa del 1212 quando guidò il suo esercito ed i crociati arrivati dal resto d’Europa su incitamento del papa Innocenzo III infliggendo una memorabile sconfitta alle milizie musulmane, una delle più importanti scontri della cosiddetta Reconquista che si concluse nel 1492.

Ma il Regno di Alfonso VIII si distinse anche per la passione del re verso le scienze e le lettere che lo portò a fondare a Palencia nel 1208 la prima università spagnola e questo lavoro vuole onorare anche questo aspetto di Re Alfonso, affiancando la poesia e la canzone trobadorica alla musica arabo-andalusa con la “solita” cura alla quale Eduardo Paniagua ci ha abituati che riguarda non solamente il repertorio ma anche la scelta timbrica degli strumenti, sempre convincente nonostante pochi siano i riferimenti testuali o iconografici ma che come sempre fa intelligentemente riferimento anche agli strumenti etnici nordafricani.

Due i brani che vorrei segnalare, “Bal m’es q’ieu chant e coindel” del “cavaliere” Raimon De Miraval ed il seguente, lo strumentale “Moricos”; del primo l’autore delle musiche e del testo è appunto il Cavaliere Raimon, che con questo brano scritto dopo la battaglia di Las Navas invita, quasi supplica re Pedro II di Aragona (che partecipò allo scontro) a liberare il suo castello a Miraval e le terre adiacenti allora occupati dai Franchi, mentre il secondo, strumentale, è eseguito da uno strumento davvero particolare, un flauto costruito con l’osso dell’ala di un avvoltoio con il ritmo sostenuto da una tamburo a cornice.

Disco splendido che con un altro cd, “La batalla de Alarcos” (PN 950) da’ un’immagine chiara della Spagna medioevale.