SANCTO IANNE “Scapulà”

SANCTO IANNE “Scapulà”

SANCTO IANNE “Scapulà”

Folk Club Ethnosuoni Dischi. CD, 2002

di alessandro nobis

Ho avuto la fortuna di assistere ad un paio di concerti di Sancto Ianne e quello che ricordo bene è la coesione dei suoni sospesi tra la modernità ed il patrimonio popolare e grande energia che trasmettevano al pubblico; a mio avviso uno dei migliori esempi di rilettura e di riproposizione della tradizione con una grande attenzione alle problematiche sociali della loro – e della nostra – terra. Scapulà fu il loro secondo disco e a vent’anni di distanza mantiene ancora la freschezza e l’attualità della loro musica, un peccato che dopo il terzo disco pubblicato quattro anni più tardi, “Mo siente” ed il seguente “Trase” (2013) il gruppo abbia fatto perdere le sue tracce, almeno dal punto di vista discografico.

Questo “Scapulà” è un disco che ti conquista in pochi secondi, la composizione originale che apre il disco la dice lunga sul progetto del gruppo beneventano, “’A Muntagna” parla per conto del Monte Tiburno che come tutte le montagne se potesse parlare, sulle vicende umane ne avrebbe di cose da raccontare osservate per millenni sempre in silenzio e la seguente “Paese Iastemmato”, altro originale, è una struggente ballata sul secolare fenomeno dell’emigrazione con la potente voce solista di Gianni Principe che affonda la lama nella ferita che ogni persona costretta a partire porta con sé per sempre: notevole l’arrangiamento dove il mandoloncello e la fisarmonica si incrociano a sostenere il racconto assieme all’incisivo basso elettrico. Tra la musica di derivazione popolare voglio segnalare “A Muntevergine”, straordinario ed antico canto che nella sua versione originale accompagna il cammino dei pellegrini verso il Santuario della Madonna di Montevergine e che, con la voce filtrata di Gianni Principe e le percussioni di Alfonso Coviello ci ricorda come ancor oggi in alcune aree sia ancora viva la tradizione legata al profano e in questo caso ai rituali religiosi e “Nun te ricuordi”, canto narrativo legato al rito della mietitura ma che, come in moltissimi canti tradizionali italiani ed europei, narra la vicenda umana di una ragazza che non trova marito.

Gianni Principe (voce e castagnette), Alfonso Coviello (percussioni), Ciro Maria Schettino (plettri), Gianni Cusani (basso), Sergio Napolitano (fisarmonica) e Raffaello Tiseo (violino) son i musicisti e compositori che diedero vita nel ’92 a questo progetto di caratura a mio avviso internazionale meritandosi con questo disco la segnalazione dell’autorevole rivista specializzata francese “Trad”.

Come è che si dice e che ci si augura, a volte ritornano ……….

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ROCCO NIGRO & RACHELE ANDRIOLI “Maletiempu”

ROCCO NIGRO & RACHELE ANDRIOLI “Maletiempu”

ROCCO NIGRO & RACHELE ANDRIOLI “Maletiempu”

DODICILUNE / FONOSFERE FNF117. CD, 2018

di Alessandro Nobis

Di Rocco Nigro vi avevo già parlato in occasione della significativa produzione da lui coordinata e pubblicata dalla Kurumuny “Canti contadini d’amore e di lotta (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2018/06/27/terra-pane-lavoro-canti-contadini-damore-e-lotta/); ora è la volta della sua più recente pubblicazione, per la Dodicilune / Finisterre, in collaborazione con il talento vocale di Rachele Andrioli e coadiuvato anche da Giuseppe Spedicato (basso) Vito De Lorenzi (percussioni), Massimo Donno (voce, chitarra acustica) del quale vi ho parlato qui (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/03/07/massimo-donno-partenze/), Massimiliano De Marco ( voce) e Valerio Daniele (chitarra elettrica).

Tra la cultura popolare e la nuova composizione le dodici composizioni di questo “Maletiempu” sono l’ennesima dimostrazione di quanto la musica tradizionale si possa definire “migrante”, sia nel tempo con la trasmissione orale che nello spazio con l’interpretazione personale di patrimoni provenienti da luoghi diversi: “Tanti suspiri” di origine corsa ma qui cantata in salentino, la lucana “Ninna Nanna”, la siciliana “Lu Cunigghiu”, le toccanti interpretazioni di “Cosa sono le nuvole” scritta a quattro mani da Paolini e Modugno e “L’Attesa” di (e con) Massimo Donno.

Ciò che ancora una volta brilla è l’efficacia comunicativa e della forza interpretativa di Rachele Andrioli e del sopraffino gusto di Rocco Nigro sia come strumentista che come arrangiatore e l’accoppiata fisa – voce che si avvicina alle prassi esecutive tradizionali, con tutta la loro antica e possente forza interiore: qualità che colorano tutto questo lavoro, ancor più negli episodi più legati alla tradizione popolare come, per citarne uno, la celeberrima “Tarantella del Gargano”.

Moderno ed ancestrale.

NANDO BRUSCO “Tamburo è Voce”

NANDO BRUSCO “Tamburo è Voce”

NANDO BRUSCO

“Tamburo è Voce” – Battiti di un cantastorie

TEATRO PROSKENION, CD, 2016

di Alessandro Nobis.

Ecco. C’è un sottile ma inossidabile filo diretto che lega la musica di Nando Brusco con il passato più ancestrale: sono gli strumenti che ha scelto per trasmettere le sue storie a chi le ascolta e di conseguenza dare loro la possibilità di passare da persona a persona da perpetuarsi così potenzialmente all’infinito. Sono gli strumenti che l’uomo probabilmente ha usato per primi, sono una voce e una percussione, il tamburo a cornice circolare con sonagli.

Nando Brusco è un cantastorie, come quelli che giravano in lungo ed in largo le piazze delle città e le piazzette delle contrade portando novità del “mondo”, raccontando storie tramandate e aggiornate ed anche facendo felici i più piccoli con filastrocche e ninne nanne.scansione-9-23-31-23

Questo disco, è bellissimo. Di una semplicità assordante e di una ricchezza inestimabile, dove la musica nella sua semplicità penetra come uno stiletto nella mente e riporta in un baleno ognuno nel proprio passato ed in quello della storia del nostro Belpaese.

Sette brani e mi permetto di segnalare, al di là della tecnica sopraffina che permette di colorare, accompagnare e ritmare i racconti, “A Fragalà” – toccante doveroso ricordo della dimenticata strage di Melissa del 1949 dove le forze dell’ordine uccisero Francesco Nigro, Giovanni Zito e Angelina Mauro che chiedevano solamente di poter lavorare la terra dei latifondisti –, “Punente e l’Isca” che ci narra delle capacità di “leggere” il tempo dei pescatori di Amantea o ancora “Sona Tamburo”, quasi un canto sciamanico che implora il tamburo di raccontare, di evocare storie antiche e di farlo attraverso il canto.

nandobrusco@mail.com

teatro.proskenion.eu

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SUONI RIEMERSI: CANZONIERE DELLA RITTA E DELLA MANCA “Malevento”

SUONI RIEMERSI: CANZONIERE DELLA RITTA E DELLA MANCA “Malevento”

SUONI RIEMERSI: CANZONIERE DELLA RITTA E DELLA MANCA “Malevento”

Robi Droli, ITALIA, 1994

di alessandro nobis

A ventidue anni dalla sua pubblicazione per conto della benemerita Felmay, mi sembra opportuno rispolverare questo lavoro dei beneventani componenti de Il Canzoniere della Ritta e della Manca. “Malevento” regge al suo ascolto tutto il tempo passato – cosa non così comune – e rappresenta certamente uno dei più fulgidi esempi del processo di “ricostruzione” della tradizione musicale del Sannio e dell’Italia Meridionale attraverso la composizione di nuova musica ispirata sì dalla tradizione ma aperta anche a suoni e idiomi musicali più vicini ai nostri giorni; operazione questa riuscita anche ad altri gruppi come i Sancto Ianne che al tempo di questa registrazione mettevano le basi al loro progetto musicale. ritta-mancaFossimo negli anni settanta chiameremmo questa musica con la sibillina definizione di “folk-rock”, ma il parallellismo con quanto succedeva in terra albionica con i Fairport Convention e compagnia bella non è concetto campato in aria ma basato su dati di fatto, ovvero come detto la combinazione di vecchio e nuovo. Lo stupendo brano conclusivo “Jesce sole” (Geppino Laudanna al pianoforte, Enzo Cerulo alla chitarra classica ed lo splendido cantare di Paola Tascione ed un pizzico di elettronica) e l’arrangiamento del tradizionale “Serenata del Gargano” sono a mio avviso i brani che perfettamente inquadrano la cifra stilistica e che meglio identificano l’innovativo progetto del Canzoniere della Ritta e della Manca.

Il disco è disponibile su iTunes. Ascoltatelo, non sembra abbia 22 anni, nient’affatto.

SANCTO IANNE “Trase”

SANCTO IANNE “Trase”

SANCTO IANNE

“Trase” CD FOLKCLUB ETHNOSUONI, 2013

PUBBLICATO DA FOLK BULLETIN, MARZO 2013

Con i piedi saldamente ancorati nella cultura popolare e la testa proiettata nel futuro, i Sancto Ianne pubblicano “finalmente” il loro atteso quarto lavoro, dopo il già splendido “Mo’ siente” del 2006. Il progetto del gruppo “sannitico” prosegue, con altre 14 composizioni originali, arrangiamenti molto curati ed efficaci, testi che rivelano una contemporaneità dei temi trattati – anche se alcune tematiche sono da considerare quasi “croniche” anche in altre aree del Bel Paese – , oltre ad alcuni cammei di ospiti tra i quali citiamo i pugliesi Maria Moramarco e Nico Berardi.

L’assoluta precarietà del lavoro, l’inquinamento diffuso ed incontrollato, lo spreco di un bene comune come quello dell’acqua potabile ovvero la totale mancanza di rispetto dell’ambiente in una terra altrimenti ricca di risorse di ogni tipo, come quella culturale, fanno di questo “Trase” una fotografia nitidissima di una realtà sistematicamente ignorata dalla stragrande maggioranza dei media. Temi di denuncia quindi in linea con il Sancto Ianne-Pensiero vicino ad altri nati dalla collaborazione con la Compagnia Stabile di Benevento (gli spettacoli “Madre natura madre Madonna” e “Valani”).

Dal punto di vista strettamente musicale, ci si trova la tradizione accanto alla modernità, gli strumenti più associati alle radici a fianco di quelli elettrici, i ritmi popolari (“Ci more e ci campa”) vicino a quelli dal sapore mediorientali ed al rap (la bellissima “Guardame sienteme”), diventato oramai linguaggio espressivo neo – popolare delle più giovani generazioni (“…….ù guaglione che ha perso la fiducia”, verso che la dice lunga…….): un puzzle già sperimentato in passato da altri con alterni risultati, ma che a nostro avviso qui trova alla perfezione la quadratura del cerchio.

Insomma, un gran bel capitolo dell’avventura del sestetto sannitico, che a nostro avviso con Ghetonia e Uaragniaun rappresenta il meglio della musica di derivazione popolare italiana. E non solo.