LÚNASA “Lúnasa”

LÚNASA “Lúnasa”

LÚNASA “Lúnasa”

AUTOPRODUZIONE. CD, 1998

di alessandro nobis

Passata l’epopea delle leggendarie band del folk revival come Planxty, Clannad, Bothy Band, De Danann (per citarne alcuni) o la fase più significativa dei Chieftains che tanto avevano dato in termini di ispirazione alle giovani generazioni di musicisti irlandesi e non solo, a metà degli anni novanta si formano i Lúnasa grazie alla convergenza di musicisti inglesi e naturalmente irlandesi, alcuni provenienti da giovani e ottimi gruppi come Flook o Grada. Lúnasa ha saputo nel corso degli anni rappresentare il simbolo migliore della tradizione musicale d’Irlanda, acclamato ed apprezzato in tutto il mondo – naturalmente anche in Italia – per l’energia trasmessa, la scelta del repertorio e la compattezza del suono ed il suo groove grazie alla presenza del contrabbasso che anche dei Clannad era un tratto caratteristico. Nel 1998 quindi i Lúnasa pubblicano in modo autonomo questo loro primo omonimo album dopo tre anni di prove e di session; della prima formazione fanno parte il piper John McSherry, il contrabbassista Trevor Hutchinson, il chitarrista Donogh Hennessey, il flautista Mike McGoldrick ed il violinista Sean Smith, una line-up molto diversa da quella attuale nella quale degli originali sono presenti solo Smith e Trevor Hutchinson.

Non tutti brani provengono dalla tradizione irlandese, nella scaletta sono presenti preziose riletture di autori francesi, bretoni, scozzesi oltre ad un brano – scelta inedita per un gruppo irlandese – di tradizione klezmer, mi limito a citare le riletture di Phil Cunningham (qualcuno se lo ricorderà con il fratello Johnny nei Silly Wizard) con lo slow reel “Hogties” abbianto a due jigs tradizionali, dello straordinario chitarrista francese Pierre Bensusan in “The Last Pint” con in grande evidenza i flauti di McSherry e di Mike McGoldricke del bretone Gillet Le Bigot di “Mì Na Samhna” splendidamente eseguita dalle pipes di John McSherry e dalla chitarra di Donogh Hennessey. Del materiale irlandese cito due brani, la splendida “Lord Mayo”, una marcia inserita nella raccolta di O’Neill aperta da McSherry con il supporto della chitarra, ed il reel scritto dal grande Frankie Gavin, “Alice’s Reel” che qui è abbinato al tradizionale fling una forma musicale legata alla Scozia “Terry Cuz Teehan’s“, composta da Terry Teehan, suonatore di concertina e di accordeon emigrato a Chicago alla fine degli anni venti e scomparso nel 1989 ricordato anche per la sua umanità nel accogliere immigrati irlandesi appena arrivati oltreoceano indicando loro i luoghi dove ricevere una primo aiuto da altri irlandesi: un grande suonatore ed un grande uomo quindi.

Disco magnifico che dava già una chiarissima misura del valore dei Lúnasa, un valore rimasto assolutamente inalterato nel tempo nonostante i cambi di line-up.

MILES DAVIS “The Bootleg Series volume 5: Freedom Jazz Dance”

MILES DAVIS  “The Bootleg Series volume 5: Freedom Jazz Dance”

MILES DAVIS  “The Bootleg Series volume 5: Freedom Jazz Dance”

COLUMBIA LEGACY 3 CD, 2016.

di Alessandro Nobis

Questo quinto volume della serie “Bootleg” pubblicata dalla Columbia Legacy non deve trarvi in inganno: si tratta non di nuove pubblicazioni ma di materiale già pubblicato nel 1998 dalla benemerita Mosaic Records in uno dei monumentali e succulenti cofanetti in vinile (10 LP in questo caso) – fuori catalogo da tempo – dedicati a Davis, ovvero “The Complete Studio recordings of the Miles Davis Quintet 1965 – June 1968” e contemporaneamente in un Box CD dalla stessa Columbia.190324922390

Detto questo, se non avete alcunchè nella vostra discoteca del dreamteam Carter – Davis – Hancock – Shorter e Williams (nemmeno “Miles Smiles”, per fare un esempio), questo triplo Cd dal prezzo accessibile fa per voi. Tre ore circa di registrazioni, di Alternate Takes, di indicazioni della voce Miles Davis verso i compagni che danno l’idea del work in progress di questo straordinario combo che in meno di quaranta mesi diede alle stampe dischi in studio come quello già citato, “E.S.P.”, “Sorcerer” e “Nefertiti”, oltre a fornire materiale per i seguenti “Miles in the Sky”, “Filles De Kilimanjaro”, “Water Babies” e “Circle in the Round” mentre dal vivo suonava brani del vecchio repertorio.

Come tutti gli appassionati di jazz sanno, siamo di fronte ad uno massimi livelli raggiunti dalla musica afroamericana in assoluto, musica che, come afferma il trombettista inglese Ian Carr nella sua biografia davisiana “servì a definire un’area di astrazione sonora a cui molti musicisti di jazz ancora si riferiscono”.

Per gioco segnalo “Footprints” di Eddie Harris, la shorteriana “Dolores” e “Country Son” dello stesso Davis nella quale la ritmica definisce parti e suono d’assieme.

E’ tutto oro che luccica, grasso che cola, cascata di diamanti, eccetera eccetera………fate un po’ voi.