ANDREW CYRILLE 4et “The Declaration of Music Indipendence

ANDREW CYRILLE 4et “The Declaration of Music Indipendence

ANDREW CYRILLE 4et “The Declaration of Music Indipendence

ECM Records, 2016

di Alessandro Nobis

Negli anni Sessanta ci fu un momento in cui alcuni batteristi di area jazz decisero di ampliare il loro spettro sonoro con percussioni di vario tipo, soprattutto etniche, che non facevano parte del classico “drum set” dei loro colleghi più legati alle forme di musica afromericana più classica. Come sapete non mi ritengo un profondo conoscitore del jazz ma tre nomi mi vengono in mente, Famodou Don Moye (classe 1946), Milford Graves (classe 1941) ed Andrew Cyrille (classe 1939): di quest’ultimo l’ECM ha pubblicato queste registrazioni datate 2014 che registrò come leader in compagnia di Bill Frisell, del cesellatore Richard Teitelbaum (tastierista legato alle migliori produzioni del free jazz d’oltreoceano) e del bassista Ben Street. Tra brani improvvisati, una composizione di John Coltrane – ma da lui mai incisa – e brani scritti dai magnifici quattro la musica scorre via fluida e sempre più penetrante ascolto dopo ascolto; bellissimi i due brani introdotti dalle percussioni di Cyrille (il brano d’apertura “Coltrane Time“ e “Dazzlin’”), “Kaddish” scritta ed eseguita in solo (a parte qualche pennellata sul finale di Teitelbaum) da Bill Frisell ed il brano conclusivo, quella “Song for Andrew) eseguita in quartetto che ti invita a riascoltare ed assaporare ancora una volta questo notevolissimo “The Declaration of Music Indipendence”.

Per me, sei stelle su cinque.

 

 

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JOHN RENBOURN & WIZZ JONES “Joint Control”

JOHN RENBOURN & WIZZ JONES “Joint Control”

JOHN RENBOURN & WIZZ JONES “Joint Control”

Riverboat Records, 2016

di Alessandro Nobis

Queste pregevoli registrazioni effettuate nelle prime settimane del 2015, poco prima della dipartita di John Renbourn, sono una sorta di testamento delle ultime gesta del chitarrista di Marleybone che nei suoi ultimi mesi aveva realizzato e perfezionato la sua collaborazione con un altro eccellente fingerpicker britannico, il finissimo Wizz Jones, bravissimo al pari di altri suoi colleghi, con una lunga carriera ma molto meno conosciuto.

renbourn-jonesCommentare un disco di John Renbourn senza ricordare affettuosamente la sua persona mi è difficile: tredici tracce dove le voci e gli strumenti si incontrano e dialogano alla perfezione, un pugno di brani scritti dal suo “pard” di una vita Bert Jansch, del blues arrangiato splendidamente (“Hey Hey” di Big Bill Broonzy, “Great Dream From Heaven” di Joseph Spence e “Getting There” di Mose Allison), le radici folk mai dimenticate (“Mountain Rag” di Archie Fisher) e la dylaniana “Buckets Of Rain” compongono il menù di quella serata che l’amicizia e la comunione di intenti hanno davvero reso speciale. Se amate il suono raffinato, il gusto e la musicalità di John Renbourn, questo dischetto fa per voi (o per noi). Conoscerete così anche la maestria di Wizz Jones che come il buon vino, invecchiando, migliora sempre più.

Amaramente credo che questa collaborazione avrebbe potuto proseguire se un infarto non avesse colpito Renbourn nella propria casa, proprio mentre si stava preparando per recarsi nel locale dove l’amico Wizz lo attendeva per un concerto. Strana la vita.

 

 

GIUSEPPE D’AVENIA D’ANDREA “Ballate d’argilla”

GIUSEPPE D’AVENIA D’ANDREA “Ballate d’argilla”

GIUSEPPE D’AVENIA D’ANDREA “Ballate d’argilla”

Autoproduzione, 2016

di Alessandro Nobis

Arriva dalla piccola e suggestiva cittadina lucana di Pisticci questa musica autenticamente artigianale di un ottimo e raffinato chitarrista – dallo stile dichiaratamente renbourniano vista la grazia e la delicatezza dei suoi arpeggi – Giuseppe D’Avenia D’Andrea; un’autoproduzione naturalmente confezionata con grande cura sia nella sua parte estetica – copertina cartonata, curatissimo libretto – che in quella musicale, legatissima alla terra lucana nei testi e naturalmente nei suoni. Sembrerebbe di no, ascoltando il brano che apre “Ballate D’Argilla”, ovvero “Gigantella”, un’osmosi tra una giga irlandese ed una tarantella eseguite principalmente dalle uilleann pipes di Troy Donockley e dalla zampogna di Giulio Bianco: brano intrigante, decisamente intrigante, che ti invita all’ascolto delle restanti nove tracce.ballate_dargilla-906x1024

Ottimo autore il chitarrista lucano, sia di musiche che di testi: mi sono piaciute molto la narrazione di “Ritorno a Itaca” aperto dalla lettura in griko di un frammento omerico, il richiamo della terra natia mai sopito nell’animo umano, e anche “Pakkiana”, figura che per l’autore rappresenta la “tradizione” che oggi non esiste più, catturata dal “blob” nei nuovi media (“Pacchiana, perché non ci sei più / A noi tutti il tuo bel vico manca”). Un disco sincero, con arrangiamenti molto curati e musicisti – Ninfa Giannuzzi e Simona Cava con le loro voci espressive su tutti – che perfettamente colorano le dieci tracce di questo “Ballate D’argilla”, per ciò che mi riguarda una delle migliori produzioni in ambito neo-tradizionale ascoltate negli ultimi mesi. Naturalmente per averlo, non resta che il sito del musicista.

 

http://www.giuseppedaveniadandrea.it

 

STEVE ELIOVSON “Dawn Dance”

STEVE ELIOVSON “Dawn Dance”

STEVE ELIOVSON “Dawn Dance”

ECM 1198, 1981. CD.

di Alessandro Nobis

Steve Eliovson è un mistero. Decine, forse centinaia di chitarristi affranti dalla sua subitanea scomparsa dal mondo musicale lo stanno cercando dal 1981, anno nel quale il lungimirante Manfred Eicher lo porta nei familiari Tonstudio Bauer di Ludwisburg affiancandogli uno dei migliori percussionisti allora in circolazione, l’alchimista Colin Walcott, e gli fa registrare queste dieci indimenticabili tracce diamantine che fanno di questo “Dawn Dance” una delle perle del catalogo ECM. Chitarrista acustico finissimo, compositore davvero interessante capace di dialogare con una personalità spiccata ma allo stesso tempo non invasiva come quella di Walcott – già allora “santificato” dagli estimatori degli Oregon e del jazz – Steve Eliovson rimane un caso di “missing in action” della musica degli ultimi decenni, visto che il suo talento avrebbe potuto regalarci altri momenti intensi come questo suo unico lavoro discografico. E ogni volta che infilo il CD nel lettore e sento suonare la sua chitarra che danza con le tabla in “Venice”, con le percussioni africane naturalmente in “Africa” o con i set di piatti in “Song for the Masters”, mi chiedo vanamente le cause di questo inopinato ritiro. Malattia? Disinteresse verso il music business? Amore? Attacchi di panico? Mal d’Africa, sua terra natìa? Grazie ad alcuni avvistamenti, qualcuno ha seguito le sue tracce fino in Sudafrica, distribuendo foto segnaletiche nelle scuole di musica e nei Caffè. Invano.

Ci penso e ci ripenso e mi sovviene anche che questo CD non è stato mai ripubblicato dal 1981. Scaramanzia Eicheriana? Mistero si aggiunge al mistero.

Non mi resta che riascoltarlo e me lo ri-godo. Fatelo anche voi.

CÙIG “New Landscapes”

CÙIG “New Landscapes”

CÙIG “New Landscapes”

CD, Autoproduzione, 2016

di Alessandro Nobis

Se capitate dalle parti di Armagh, in Irlanda del Nord, verso la metà del prossimo Novembre, non fatevi scappare – oltre al resto del programma – il concerto dei giovanissimi Cùig, che presenteranno questo loro recentissimo lavoro, “New landscapes”, “Nuovi Paesaggi”, titolo emblematico perché in due parole descrive perfettamente il progetto di questo quintetto proveniente dalle Contee nordirlandesi. Il CD – tutto strumentale – si chiude con “Napoleon’s 2.0” set composto di una “Power March” e da due “reels”, traccia già presente sul loro EP di esordio: qui ha un nuovo arrangiamento ed è anche impreziosito dalle uillean pipes di Jarlath Henderson. cuigLe altre nove tracce (i “nuovi paesaggi” di cui sopra) sono tutte originali per lo più composte dagli stessi Cuig, un altro segnale che il corso del folk irlandese seguito dai giovani musicisti sta andando nella direzione corretta, profonda conoscenza delle tecniche strumentali e dell’eredità dei “padri fondatori” e sopratturro scrittura di un nuovo repertorio presentato con arrangiamenti molto curati e con la presenza di strumenti e ritmi “alloctoni” come il banjo  e un’elementare batteria (“New Landscapes”) e l’inizio swingante di “Kent to Kintail”.

Un gran bel lavoro questo, ed è un vero peccato che queste autoproduzioni – come quelle dei Connla o dei Rèalta – non godano di una distribuzione al di fuori d’Irlanda, ma poco male, ci sono i siti web e le pagine dedicate sui social network, e spesso le produzioni si finanziano con il crowfunding. Sono giovanissimi, seguiamoli.

http://www.cuigmusic.com

https://www.facebook.com/Cuigmusic/

http://www.geomusic.it

DALLA PICCIONAIA: Diego Alverà racconta Walter Bonatti

DALLA PICCIONAIA: Diego Alverà racconta Walter Bonatti

DALLA PICCIONAIA: Diego Alverà racconta Walter Bonatti

di Alessandro Nobis

Da sempre il patrimonio culturale si è trasmesso – orizzontalmente e verticalmente – esclusivamente per via orale: dapprima tecniche per la sopravvivenza, poi ricordi, storie fantastiche o reali, racconti epici e fiabeschi e del sovrannaturale, canti narrativi, filastrocche e ninne nanne. Anche dopo l’avvento della stampa le classi meno abbienti – per lo più costituite da analfabeti – apprendevano da altre persone le storie ed anche gli avvenimenti storici e le cronache dai suonatori e dai cantastorie ambulanti che giravano di contrada in contrada.

La cultura popolare ha così viaggiato nel tempo e nello spazio – ed ancora oggi viaggia in certi contesti – ed il “raccontare storie”, lo “storytelling” come lo chiamano gli anglofoni, si è trasformato ed evoluto grazie alla tecnologia. Quello che un tempo erano le rappresentazioni grafiche che illustravano i vari racconti oggi sono immagini proiettate su uno schermo da un computer portatile; quello che un tempo erano i cantastorie girovaghi che si spostavano a dorso d’asino o con un carretto nelle fiere di paese oggi sono gli “storyteller”. Come Diego Alverà, che alla Coopera di Arbizzano – una piccola frazione che può essere considerata la porta della Valpolicella veronese – ha raccontato splendidamente le imprese, anzi “L’IMPRESA”, del bergamasco Walter Bonatti, classe 1930 (esploratore?, scalatore? reporter? giornalista?), attraverso il suo punto più triste suo malgrado, ovvero la sua avventura sul K2 quando venne ingiustamente accusato di non avere raggiunto Lino Lacedelli e Achille Compagnoni per rifornirli di bombole di ossigeno nella spedizione guidata e pensata da Ardito Desio (1954), e quello che lo ha proiettato nella leggenda, ovvero i travagliatissimi sei giorni all’assalto ed alla conquista in solitaria dell’impossibile parete del Petit Dru (1955), sul massiccio del Mont Blanc. Perseveranza fuori misura, perché l’alpinista bergamasco “Volle, volle, fortissimamente volle” arrivare là in cima, da quando da ragazzo vide quella montagna su di una copertina della Domenica Del Corriere disegnata da Walter Molino. Scalata che fu davvero un evento epico tanto più che l’erosione, anni dopo, fece crollare “quel” pilone che nessuno più riuscì a scalare.

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Un racconto serrato quello preparato da Alverà, un testo avvincente e puntuale nei riferimenti storici scritto con passione ed accortezza, una lettura fluida e convincente che ha saputo catturare la completa attenzione del folto pubblico. Un segno, questo, che dà la misura di quanto ci sia ancora la richiesta, ci sia ancora la voglia “atavica” di ascoltare e magari di riportare a casa – o a scuola – quando sentito. Una storia che gli appassionati di montagna già conoscevano ma che nelle parole del narratore si è rinnovata e materializzata ancora una volta. E’ questa la magia della cultura orale.

Nella prossima fermata delle quattro previste, organizzate bravamente dall’Agenzia di Comunicazione Pensiero Visibile, Diego Alverà ci racconterà di Niki Lauda e del Drake Enzo Ferrari ed in particolare del GP del Giappone 1976 quando il pilota austriaco ………………….. ci si vede il 16 ottobre. Alla Coopera di Arbizzano.

IL DIAPASON INTERVISTA FAVOLAVA’

IL DIAPASON INTERVISTA FAVOLAVA’

IL DIAPASON INTERVISTA FAVOLAVA’

Raccolta da Alessandro Nobis

Nel fitto programma dell’edizione 2016 del Tocatì  che si tiene a Verona dal 15 al 18 settembre nel centro storico, spicca un appuntamento, quello di giovedì 15 alla Sala Farinati della Biblioteca Civica di Verona con inizio alle 21. “Cecilia Gasdia racconta ……… Immagini da Turandot con i burattini di Favolavà” è un appuntamento a mio avviso fondamentale per gli appassionati di cultura popolare e quindi ho ritenuto opportuno rivolgere alcune domande ad uno dei responsabili di Favolavà, Marco Scacchetti, cogliendo l’occasione anche per parlare dell’attività di questo attivissimo gruppo di burattinai veronesi.

Al Tocatì ci sarà quindi il debutto di questo nuovo allestimento, con una edizione speciale vista la partecipazione di Cecilia Gasdia. Come è nata l’idea di mettere in scena la Turandot di Giacomo Puccini, e come ha accolto la proposta la cantante?

Abbiamo conosciuto Cecilia Gasdia tramite un’amicizia in comune, ci siamo incontrati un giorno, con molta semplicità, nella cucina della nostra amica. Sul bel tavolo di legno abbiamo montato uno dei nostri teatrini più belli ed abbiamo lasciato uscire dalle valigie/teatrino i burattini del Barbiere di Siviglia realizzati con la collaborazione del centro anziani di Cadidavid e da lì è nato il progetto di provare a trasporre l’Opera di Turandot in una rappresentazione con burattini. Cecilia Gasdia ci ha travolto con il suo entusiasmo e la sua generosità, si è da subito resa disponibile alla realizzazione dei preziosi costumi dei burattini, alla supervisione del canovaccio scenico e all’inserimento delle più famose arie musicali dell’Opera.14284849_549048651959150_1350633726_o

Come ho detto nell’introduzione è un appuntamento fondamentale per gli appassionati di cultura popolare. In passato, quando non erano disponibile apparecchi radio, la diffusione delle arie d’opera nelle città, nei paesi e nelle più lontane contrade, era affidata ai suonatori ambulanti ma anche alle compagnie girovaghe e di burattinai. Ritornando alla Turandot, che credo sia sta scelta considerando che ospite di questa edizione del Tocatì è la Repubblica Popolare Cinese, quali sono i quadri che metterete in scena?

E’ stata una elaborazione a quattro mani, io e la mia compagna Emanuela Bonizzato, ci siamo tuffati per giorni nel libretto dell’Opera poi c’è stata la creazione della partitura con i vari personaggi ed abbiamo pensato ad una versione semplice ma emozionante, con  la trama della storia che l’Opera rappresenta. Dovevamo pensare ad un canovaccio per burattini, quindi doveva essere efficace ed espressiva pur rispettando il filo di quello che sempre più diventava una fiaba da raccontare. Poi, grazie a Cecilia, che sarà la narratrice dell’ Opera / fiaba, sono state inserite con un lavoro certosino di registrazione le arie più famose dell’Opera di Puccini. Mi sono sorpreso io stesso, nel vedere come anche con alcuni piccoli burattini, si possa mantenere la forza e la carica emozionale di un’ Opera.

Chi sono gli artigiani che hanno costruito i burattini, la scenografia e preparato i costumi?

Una volta deciso il progetto, io ho realizzato in un paio di settimane le dodici teste dei personaggi, Cecilia, insieme alle costumiste di “Verona Accademia dell’Opera” ha realizzato i magnifici vestiti dei burattini… Io ed Emanuela, con Peppe Follo e Rosella Sterzi abbiamo lavorato sulla rappresentazione con la supervisione di Cecilia che ci ha magicamente trasportati nel mondo di Turandot.  I fondali sono stati dipinti uno da me (la Pagoda) ed uno da Emanuela (interno Palazzo Imperatore).

Avete già in programma altre repliche?

Sarebbe bello poterlo far vedere ancora. L’idea è poterlo rappresentare per i bambini o anche per gli anziani, vediamo intanto come andrà la “prima”. Sarebbe straordinario creare un nuovo filone di Valigie teatrino, con le opere liriche più famose… una sorta di….”Operavà “ ….ci stiamo pensando. L’evento è nato come sostegno di immagini alla narrazione di Cecilia, che parlerà della sua storia artistica e della sua straordinaria carriera… Il nostro incontro spero possa essere momento di scoperta e chissà… per noi è un nuovo prezioso contributo alla nostra “Miniera” di storie che diamo gratuitamente a disposizione delle famiglie che vogliono provare una sera a spegnere la TV e scoprire un modo magico di mettersi in gioco, col sostegno dei nostri teatrini e fiabe in valigia

Al Tocatì presenterete anche una mostra dei Teatrini d’Autore ed un’altra vostra idea, la Valigia del Teatrino delle Fiabe che ha avuto un notevole successo, visto che più di 500 famiglie ne hanno usufruito. Ce ne vuoi parlare?

E’ l’obiettivo principale del progetto: dare dei materiali ai genitori, le nostre valigie teatrino che sono anche realizzate da artisti, quindi arte nelle case appunto, che possano dare uno stimolo nuovo in famiglia, per mettersi in gioco e vivere un’ esperienza di “gioco espressivo condiviso” che è diverso dal gioco competitivo, dal gioco solitario  e dal videogioco. C’è un contesto da ricreare di condivisione… di empatia, in famiglia, nel condominio, in parrocchia al parco….si chiamano gli amici, si prepara quell’evento “magico” che fa si che diventi un’esperienza che resta nella memoria di tutti, a differenza delle storie televisive che non lasciano traccia… La mostra è nata insieme ad Anna Ballini della Galleria d’ arte Incorniciarte che si è attivata per coinvolgere una ventina di artisti  per  dipingere i teatrini che ho preparato per il progetto, a cui sono stati abbinati i burattini che ho realizzato con l’aiuto dei Centri per Anziani del Comune di Verona con cui abbimo promosso il progetto “ I Teatrini d’Autore con le Fiabe del Cuore”… le fiabe appunto scelte dagli anziani…. La stessa cosa ho fatto quest’anno, col progetto “ Baratto della Fiaba” che ha visto una decina di scuole veronesi e della provincia realizzare con me dieci nuove valigie con le nuove fiabe. Tutto questo va ad arricchire la miniera di teatrini a disposizione gratuita delle famiglie… Oltre alla mostra, proporremo degli spettacoli, con i nostri collaboratori Peppe Follo, Rosella Sterzi, Stefania Scalone, Emanuela Bonizzato e dei laboratori in cui i bambini potranno realizzare il loro burattino… aiutati dai volontari del gruppo

Come risponde la città ai vostri interventi?

Sono dieci anni che distribuiamo gratuitamente le valigie presso la sede in via Quattro Rusteghi 14 dove da sempre ci ospita e ci sostiene l’associazione marinamu ensemble a cui siamo grati per aver creduto nel progetto. In questi anni tante famiglie e tante scuole sono venute a prendere i nostri teatrini per creare una festa…. Più di 500 come dicevo, ma molti di questi  vengono un paio di volte l’anno ed ogni evento viene vissuto da 10, 20 persone, cosi nelle scuole… sono tantissimi quindi i veronesi che sono entrati “nell’ orbita fiabesca” di Favolavà.

Quali sono le prospettive del vostro lavoro futuro? So che cercate una sede ed un “teatro stabile”.

Fra tanti grandi sogni che si sono realizzati nel tempo, rimane forte la mia passione per il teatro di ricerca, i grandi maestri che si muovono ancora con incredibile umiltà e passione e che a volte, a Verona, riesco ancora ad applaudire e salutare. Quindi sogno un posto dove poter organizzare rassegne e seminari teatrali, una miniera volante, dove tutti possano venire a prendere le nostre valigie teatrino, dove possa esserci un laboratorio per realizzare le storie ma anche per dare a tutti i bambini la possibilità di creare il loro burattino “la città dei burattini” è il nostro obiettivo futuro, con la possibilità di realizzare laboratori volanti e giochi per far incontrare i bambini…attraverso l loro burattino !!!

Per contattarvi?

Abbiamo un sito, favolava.it dove è possibile vedere le fiabe disponibili e prenotarle e siamo presenti anche su Facebook. Per venire a prendere le valigie è necessario andare in sede presso l’Associazione Marinamu in Via Quattro Rusteghi 14 tutti i MARTEDI’ dalle 17 alle 19.30. Per contattarci: info@favolava.it  oppure Marco Scacchetti  3357291608

 

MIROSLAV VITOUS “Music of Weather Report”

MIROSLAV VITOUS “Music of Weather Report”

MIROSLAV VITOUS

“Music of Weather Report”

ECM 2364, CD. 2016

di Alessandro Nobis

Registrate ben 6 anni or sono, Manfred Eicher pubblica solo oggi queste tracce del sestetto capitanato dal bravissimo contrabbassista Miroslav Vitous, uno dei fondatori dei Weather Report, il più luminoso esempio – in tutte le sue, chiamiamole così, variazioni – di quel jazz elettrico nato dal seminale “Bitches Brew” del combo di Miles Davis. Vitous – è bene ricordarlo –  non ha mai collaborato con Davis, mentre gli altri due fondatori del gruppo, ovvero Joseph Zawinul e Wayne Shorter, sono stati collaboratori fondamentali del geniale trombettista americano.

E come si evince dal titolo, Vitus – che produce anche l’album – riprende alcuni temi di quel seminale gruppo, alcuni provenienti dal periodo in cui ne faceva parte – dall’esordio fino a “Mysterious Traveller”, dove in realtà suona solamente in “American Tango” –, altre posteriori ascrivibili invece al cosiddetto “periodo Pastorius”. Vi segnalo “Scarlet Woman reflections”, una rielaborazione in tre parti della composizione di Shorter, Zawinul e Alphonso Johnson, “Birdland Variations” del pianista austriaco, “Morning Lake” e “Seventh Arrow” dello stesso Vitous, le cui versioni originali erano nel disco d’esordio di quella straordinaria band.

Un progetto molto interessante, l’idea di riprendere in mano un repertorio così lontano nel tempo poteva essere rischiosa rischiando di cadere nella nostalgia, nella retorica e nella riproposizione calligrafica: non in questo caso, grazie anche ai compagni di viaggio – Robert Bonisolo e Gary Campbell (sassofoni soprano e tenore), Aydien Esen (tastiere) ed i due batteristi Gerald Cleaver e Nasheet Waits.

Se avete amato i Weather Report questo è un CD da ascoltare, a maggior ragione se di quelle registrazioni del “Bollettino del Tempo” non ne avete mai sentito parlare. Vi si apriranno in questo caso nuovi orizzonti.

RÉALTA “Clear Skies”

RÉALTA “Clear Skies”

RÉALTA “Clear Skies”. Autoproduzione, 2016

di Alessandro Nobis

Già ammirati in Italia la scorsa estate grazie al pluridecennale fiuto di Gigi Bresciani di GeoMusic – che nel suo roster ha altre due gemme del neo folk irlandese come i Connla e i Cuig – i Réalta sono un quintetto di base a Belfast che anche con il supporto dell’ “Arts Council of Northern Ireland” pubblicano questo loro notevole secondo lavoro, “Clear Skies”. Nato come trio che qualche anno fa aveva esordito con “Open the Door for Three”, i Rèalta si presentano con ben due pipers (Conor Lamb e Aaron O’Hagan) che gli appassionati italiani avevano conosciuto come membri dei notevoli Craobh Rua, un percussionista (Dermot Moynagh), una cantante – chitarrista (Deirdre Galway) ed un contrabbassista – banjoista e suonatori di bozouky (Dermot Mulholland) ed il repertorio di questo bel disco propone undici tracce: tre originali, un brano della tradizione asturiana e sette naturalmente del ricchissimo repertorio tradizionale irlandese. realtaSi è fatto un gran parlare di questo quintetto di Belfast per il suono che ripercorre quello degli storici ensemble degli anni settanta ed ottanta del folk revival irlandese almeno negli arrangiamenti, curatissimi, ed al suono, compatto e fresco e vivacissimo. Segnalo al solito un paio di brani: la bella ballad Kellwaterside proveniente dalla Contea di Antrim e la personale versione del brano settecentesco “Tabhair Don Do Làmh”, conosciuta anche “O’Neill’s March” (Chieftains) o “O’Neill Barrack Hill” (Les Musiciens de Saint-Julien” o un altro canto narrativo, “The Longford Weaver” dall’arrangiamento in perfetto stile Andy Irvine, non fosse altro per gli arpeggi di bozouky.

E così i Rèalta sono una delle più interessanti Realtà del folk irlandese – battuta inevitabile.

Saranno tra i protagonisti della prossima edizione novembrina del William Kenny Piping Festival. Well done.

http://www.realtamusic.com

DALLA PICCIONAIA: Enrico Breanza Trio, J.J.C. 30 agosto 2016

DALLA PICCIONAIA: Enrico Breanza Trio, J.J.C. 30 agosto 2016

DALLA PICCIONAIA: Enrico Breanza Trio, J.J.C. 30 agosto 2016

Cronaca di un concerto jazz che “non è mai avvenuto”.

di Alessandro Nobis

Una splendida serata sulle colline della bassa Valpolicella, per un nutrito nugolo di appassionati. Questo in estrema sintesi ciò che è avvenuto qualche giorno fa davanti ad una suggestiva dimora rurale che ha fatto da cornice ai suoi protagonisti: il chitarrista Enrico Breanza, il contrabbassista Attilio Zanchi ed il batterista Andrea Oboe che hanno tenuto una lezione su come “impossessarsi” di autori e dei loro “temi” che hanno segnato la storia della musica afroamericana prima smontandoli, poi rimontandoli e riportandoli ai nostri giorni. IMG_1570.jpgLe melodie di Chet Baker e Ralph Towner, di Duke Ellington e Wayne Shorter e di Miles Davis (o Bill Evans?) hanno fatto visita al J.J.C. attraverso la sensibilità di questo che mi farebbe molto piacere considerare come il nuovo e definitivo trio del chitarrista e compositore Enrico Breanza che per questo evento “speciale” si è soffermato alla rilettura di alcuni standard ma che, arricchito dalle sue composizioni originali, può volare ancora più in alto; rigore esecutivo ma anche improvvisazione, condivisione totale del progetto e sincretismo – al di là della cifra stilistica e tecnica che già si conoscono di Breanza, Zanchi e Oboe – sono gli aspetti che credo più di altre vadano sottolineati. Vedasi la libertà del primo segmento ed il rigore del secondo di “Footprints”, le due versioni di “Celeste” o la rivisitazione di “Blue In Green” con una superba intro di Zanchi.

Concludendo con una battuta, forse Enrico Breanza ha trovato la quadratura del cerchio in un triangolo. Staremo a vedere.

Non fornisco altri dettagli di tipo logistico, la “carboneria del jazz” ha le sue regole: sta a voi scoprirle.