IL DIAPASON INTERVISTA TERRENI KAPPA
Raccolta da Alessandro Nobis
E’ pronto da pochissimi giorni, e per ora solamente presso l’Associazione Artingegno a Verona in via Ludovico Cendrata 16, è disponibile “Ripples in the Lagoon” l’album di esordio del trio formato da Luca Crispino (contrabbasso), Roberto Zantedeschi (tromba) e Luca Pighi (batteria). Di questo bel disco, del pregevole jazz di nuova composizione che contiene ne avevo già parlato nelle scorse settimane (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/12/20/terreni-kappa-ripples-in-the-lagoon/), ma per saperne di più sul trio e sulla sua filosofia musicale ho pensato di rivolgere alcune domande ai tre musicisti.

– Prima ancora di ascoltare la musica mi ha incuriosito subito il nome che avete scelto per il trio. Diciamo che il limite della fantasia dei jazzisti con “Terreni Kappa” si sposta ancora più in avanti……….
Luca Pighi: Il nome è stato tratto dal film Zeder dell’83, di Pupi Avati, dove vengono menzionati i “Terreni Kappa”, terreni “singolari” che hanno la proprietà di reinfondere la vita a chi ne venga a contatto. Nel nostro caso i “Terreni” sono territori di esplorazione dei generi, senza porsi dei limiti ma altresi lasciandosi coinvolgere e dando nuova forma a stili musicali diversi, legando i brani in qualche modo ad uno scenario quasi cinematografico.
– La musica che suonate mi sembra già piuttosto matura per un lavoro d’esordio. Come vi siete incontrati e quando avete deciso di dare vita a questo progetto?
Luca Crispino: Mi sono trasferito da Padova a Verona circa tre anni fa, da qui, per motivi di lavoro, ho ricominciato a collaborare in varie formazioni musicali dove, in base all’occorrenza, mi alternavo tra chitarra e contrabbasso, anche se il mio strumento principale rimane la chitarra. In una di queste formazioni ho avut l’occasione di suonare e conoscere Roberto Zantedeschi e davanti ad una tazza di caffè, poco prima di suonare, nacque l’idea di collaborare per un progetto di musica di nuova composizione. Da lì a poco Roberto contattò il batterista Luca Pighi con il quale suonava già da diverso tempo nella band “Peluqueria Hernandez”. Ci fu subito sintonia ed iniziammo a lavorare all’album
– Tromba, contrabbasso e batteria è un trio inusuale per il jazz. Perché non un pianista?
Luca Crispino: Non è così inusuale, sicuramente non avendo uno strumento armonico il tutto risulta molto più complesso, ma ci ha molto stimolato perché ci ha portato a trovare nuove soluzioni compositive ed interpretative per riempire gli spazi vuoti che a volte si potevano creare, lasciando molto più spazio alla libertà nell’improvvisazione. Un altro motivo è sicuramente la volontà di non voler rovinare un equilibrio che si era andato a creare dal punto di vista lavorativo ed umano
– Nel brano che dà il titolo all’album c’è anche un po’ di elettronica, ben usata e calibrata. Quali sono i vostri trascorsi musicali? Solo jazz o anche altro?
Luca Crispino: Ho iniziato suonando progressive e blues approdando poi al jazz ed alla fusion, anche se in alcune occasioni mi esibisco in performance di musica sperimentale ed improvvisazione. Comunque ascolto i più svariati generi ed essendo di natura una persona molto curiosa cerco sempre di approfondire e suonare cose nuove.
Roberto Zantedeschi: Il mio background è fatto di ascolti principalmente jazz e latin/jazz come Dizzy Gillespie, ed musicisti del mainstream come Miles Davis, Chet Baker, Freddie Hubbard, per poi passare a trombettisti moderni come Tomasz Stanko, Kenny Wheeler e Terence Blanchard che tra l’altro è stato mio argomento di tesi al Conservatorio. Nel brano “Ripples in the Lagoon” emerge la voglia di esplorare nuovi territori con l’ausilio dell’elettronica, e questo è ciò che da subito ha creato l’intesa tra me e Crispino. Non volevamo però diventasse invadente, ma bensi un valore aggiunto al brano ed alla band. E’ appunto la ricerca compositiva ed improvvisativa che accennava Luca; questo dialogo fra le parti per far in modo che il tutto funzioni e stia in piedi anche con pochi strumenti a disposizione.
Luca Pighi: Il mio percorso musicale, inizia dal rock-progressive, con una band veronese chiamata “Francesco baracca Pilota” nel ’81 dopo un percorso di studi presso l’Accademia di musica moderna a Milano. Successivamente ho avuto modo di suonare in molte band veronesi e non, spaziando dal soul, R’nB al funk, con cantanti come Kay Foster e Ginger Brew e musicisti del calibro di James Thompson e Gianluca Tagliavini. Dal 2004 sono percussionista del gruppo “Peluqueria Hernandez”, band nella quale ho avuto modo di conoscere Roberto
– Ho apprezzato molto il fatto come le composizioni siano tutte originali. Quali sono state – se ce ne sono state – le fonti d’ispirazione per i due compositori, Luca Crispino e Roberto Zantedeschi? In certi momenti mi sembra di ascoltare certe atmosfere jazz che vengono dal nord, o mi sbaglio?
Luca Crispino: E’ difficile spiegarlo…..credo che la mia fonte d’ispirazione nasca principalmente dall’unione tra immaginario e stati d’animo, incidentalmente contaminata dai “vapori” dell’epoca in cui viviamo. Il processo di composizione nel complesso si è evoluto in maniera naturale e spontanea ed ognuno di noi ha contribuito nello sviluppo dei brani dell’altro lasciando largo spazio ad improvvisazioni e libertà d’ azione, per questo anche la scelta di registrare in presa diretta e con pochissimi take, agevolando così emotività ed istinto.
Roberto Zantedeschi: Quando scrivo generalmente mi lascio travolgere da un’immagine che mi ha colpito, da un mood particolare o da persone che incontro nella mia vita, cercando appunto di descrivere le emozioni che mi ha trasmesso quel particolare evento.
Di sicuro le influenze di un jazz nordico ci sono, di fatto, sono rimasto colpito da una band Norvegese che ho avuto modo di ascoltare in un concerto live l’estate scorsa che utilizzavano molto l’elettronica (anche se forse fin troppo per i miei gusti musicali).
– Il jazz italiano cresce continuamente di livello, eppure ai festival importanti i nomi in cartellone sono sempre quelli. Eppure in parecchie piccole produzioni come la vostra la qualità c’è, ed è anche alta. Avete tutte le carte in regola per uscire dal sottobosco ed emergere a livello italiano e non solo. Come pensate di muovervi? Solo social network – che a mio parere vanno bene per un contatto epidermico – o avete in mente qualcosa d’altro?
Luca Crispino: La musica nell’arco degli anni è cambiata, un musicista al giorno d’oggi oltre che al suonare si deve occupare di tutti quegli aspetti imprenditoriali quali raccogliere i contatti, organizzare le serate, creare la pubblicità e fare un vero e proprio lavoro di marketing. Per quanto riguarda i festival gli organizzatori di quest’ultimi hanno la tendenza, per ragioni commerciali, di andare sul “sicuro” e spesso e volentieri i nomi che appaiono sui cartelloni sono sempre gli stessi, senza nulla togliere all’indubbia qualità degli artisti. Non danno cosi spazio però a nuove proposte, mantenendo la situazione musicale sempre ferma e stagnante.