RUDY ROTTA “Now and then …….. and forever!”

RUDY ROTTA “Now and then …….. and forever!”

RUDY ROTTA “Now and then …….. and forever!”

ZYX RECORDS. CD, 2019

di Alessandro Nobis

Lo dico subito: vi confesso di non avere totale contezza della discografia di Rudy Rotta, valente chitarrista e compositore inopinatamente scomparso due anni or sono; tuttavia ho avuto più di un’occasione di seguire durante parecchi concerti la sua evoluzione musicale attraverso le varie line-up (da quella iniziale a quella più recente passando per quella acustica con il violoncello di Bruno Briscik), e quindi di ammirare la sua tecnica, la grinta sul palco e la cura con cui preparava gli arrangiamenti dei brani eseguiti dal gruppo: mi limito alla conoscenza dei suoi due primi lavori con la Rudy’s Blues Band (così allora si chiamava il suo gruppo) quando si dedicava in toto alla personale rilettura del miglior blues d’oltreoceano, e di questo suo ultimo “Now and Then …and Forever” pubblicato dall’etichetta tedesca ZYX e prodotto dall’Associazione Culturale Rudy Rotta in collaborazione con A-Z Blues, che evidenzia la grande lucidità e capacità con la quale Rotta stava proseguendo il suo cammino di allontanamento dallo schematismo del blues “classico”. Come leggere altrimenti il funk della lunga e trascinante “Bad Bad Feeling”, la delicata ballad pacifista acustica scritta a quattro mani con Deborah Kooperman “Winds of War” o il grido di “ricca solitudine” di “Money Money” (la bonus track che chiude il disco, con una rilettura del brano originale in chiave acustica suonata con lo slide).

Questo “Now and Then …and Forever!” è un disco “vero”, non un omaggio raffazzonato alla memoria di Rudy Rotta: registrato nel 2015, arrangiato dal chitarrista e magistralmente missato da Davide Rossi presenta nove brani dal suono compatto, potente, aggressivo con una band che, più che assecondarlo, contribuisce in modo convincente al progetto che comprende per lo più brani originali ma che mantiene vivo il cordone ombelicale con la musica del diavolo, non in modo calligrafico ma interiorizzando e quindi riproponendo in modo personale il repertorio scelto.

Ma non abbiate timore, il legame con le “dodici battute” c’è eccome, non è solamente nascosto nel pentagramma dei brani originali. Certo che il blues c’è, come è certo che non si tratta di letture pedisseque; del resto, quante versioni abbiamo ascoltato di “Crossroads” di Robert Johnson? Decine e decine, acustiche ed elettriche, europee ed americane eppure questa di Rotta brilla per originalità nel suono e nell’arrangiamento, e quanto è diversa dall’originale “Harlem Shuffle” di Bobby Byrd ed Earl Nelson resuscitata dagli Stones di “Dirty Work”?

Idee, il talento, il blues, il soul, il rhythm’n’blues ed il rock più sanguigno è quello che si trova in questo ottimo lavoro ed era ben chiara la strada che il chitarrista aveva iniziato a percorrere. Peccato se ne sia andato così presto. Davvero peccato.

www.facebook.com/rudyrottaofficial

 

 

 

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SUONI RIEMERSI: KEVIN CONNOLLY “Ice Fishing”

SUONI RIEMERSI: KEVIN CONNOLLY “Ice Fishing”

SUONI RIEMERSI: KEVIN CONNOLLY “Ice Fishing”

WEATHERVANE RECORDS, cd,  2015

di Alessandro Nobis

Purtroppo della canzone d’autore americana e dei suoi autori in Italia se ne sente troppo poco parlare dopo la fortunata stagione di Carlo Carlini, quando con grande passione e competenza cercava di organizzare – e organizzava –  tour di musicisti sconosciuti e noj. Di personaggi come Ellis Paul, Cormac McCarthy, Richard Shindell o Ray Bonneville se ne sente quasi mai parlare, come anche di Kevin Connolly, bostoniano, che molti anni fa non solo era ospite di rassegne o festival ma spese parte della sua vita stabilendosi sul suolo italico per qualche tempo. Mi è capitato tra le mani questa sua ultima produzione (non per caso, eh, l’acquistata sul suo sito internet) di tre anni fa, “Ice Fishing”, pubblicata tre anni fa ma praticamente sconosciuta in Italia che non fa che confermare lo stile tipico di Connolly, il suo raccontare storie (stavolta sono quattordici) tra semi-acustico ed elettrico, la sua notevole capacità di osservare “gli umani” e di raccontarli con i suoi testi e la sua musica.

In “Ice Fishing” c’è la collaborazione con il fratello Jim, polistrumentista, che da’ un forte contributo sia in termini di ispirazione “fraterna” che nel suono (Jim suona contrabbasso, pianoforte, banjo, percussioni, melodica e canta pure); i ricordi di “My Brother and me”, l’intimità di “Ice Fishing”, gli incontri con le varie umanità alla “Bus Station”, la solitudine “acustica” di “Suitcase and Rifle” suonata con una National ed accompagnata da un bel video (vedi link).

Un altro gran bel disco questo di Connolly, un’altra conferma di come la scena cantautorale di Boston e del New England sia ancora vivissima e capace di regalare storytelling musicali come queste quattordici tracce. Spero di rivederlo presto in Italia, sarà difficile, ma sognare costa poco.

https://www.kevinconnolly.com/video

 

THE ROLLING STONES “On Air”

THE ROLLING STONES “On Air”

THE ROLLING STONES “On Air”

POLYDOR RECORDS. 2LP, CD, 2CD 2017

di Alessandro Nobis

Narra la leggenda (o racconta la storia) che sul finire degli anni Cinquanta a Dartford, una cittadina della provincia inglese, due imberbi ragazzini aspettassero il titolare di un negozio di elettrodomestici prima dell’apertura per essere i primi a “sondare” le novità a 45 giri di blues, di rhythm’n’blues, di soul che una volta la settimana arrivavano via posta dalla lontana America: Muddy Waters, John Lee Hooker, Wilson Pickett, Wille Dixon, e poi di corsa via a casa con tutto il week end a consumare i 45 giri sul giradischi e soprattutto a provare i brani.

I primi vagiti degli Stones di Keith Richards, Brian Jones e Mick Jagger sono tutti lì, all’insegna della musica nera americana, e queste preziose registrazioni provenienti dagli archivi della BBC e contenute in questi due ellepì sono l’ulteriore testimonianza di tutto questo, nel nome del blues, del soul e del rhythm’n’blues. Dal 1963 al 1965, quindi prima della pubblicazione di “December’s Children”, trentatrè tracce – probabilmente già edite in bootleg vari – di rivisitazioni sincere, riuscite ma tutto sommato abbastanza calligrafiche – come si usava agli albori del British Blues – di Chuck Berry, Solomon Burke, Willie Dixon, Jimmy Reed, Ellis McDaniel a.k.a. Bo Diddley, Wilson Pickett, Hank Snow e Rufus Thomas, le radici dei Rolling Stones sulle quali poi la band inglese ha saputo edificare la sua storia senza mai dimenticarle; solamente tre gli originali, ma sono “(I can’t get no) Satisfaction”, “The Last Time” e “Little by Little”! Da lì a qualche anno gl Stones saranno a Chicago dai fratelli Chess, a registrare con i loro – ed i nostri – eroi…….

Un doppio ellepì CD non solo per i “completisti” per avere un chiaro sguardo su quegli anni nei quali i musicisti inglesi intelligentemente andavano alla scoperta della musica di matrice blues d’oltreoceano.

Tutto sommato invece inutile a mio avviso la versione di un solo CD che contiene il primo dei due dischi. Lasciatela perdere e concentratevi sul doppio.

 

PAOLO BACCHETTA “Egon’s”

PAOLO BACCHETTA “Egon’s”

PAOLO BACCHETTA “Egon’s”

AUAND, CD, 2015

di Alessandro Nobis

Palesemente – e dichiaratamente – ispirato dalle opere del pittore austriaco Schiele (1890 – 1918), prima folgorato dall’esperienza di Klimt ed in seguito protagonista di una via parallela all’espressionismo, la “via Viennese”, il chitarrista e compositore Paolo Bacchetta nel 2015 pubblicava per Auand questo lavoro introspettivo, suggestivo ed affascinante il cui titolo riporta appunto al mondo dell’arte europea a cavallo del 1900 ed il cui titolo, “Egon”, riconduce appunto al nome del sopracitato Schiele. music-3Entrato nello studio di registrazione con il batterista Nelide Bandello, il bassista Giacomo Papetti ed il fiatista Piero Bittolo Bon, Bacchetta (titolare anche del trio STORYTELLERS con Zeno De Rossi e Giulio Stermieri, al Cohen di Verona nel prossimo gennaio) ha proposto ai compagni di viaggio alcune “riflessioni” musicali e la bravura ma soprattutto la capacità di creare musica in collettivo hanno fatto il resto, confezionando un’ora di musica che se da un lato ha mantenuto le linee melodiche dall’altro lascia ampio respiro all’improvvisazione, la vera anima della musica afroamericana. Apprezzo sempre il lavoro di composizione e la ricerca di interazione e non so se questa formazione sia ancora oggi attiva: se lo fosse, auguro di avere il maggior numero di occasioni – leggi numero di concerti – per affinare ancor più il livello di interplay ma questa è una riflessione che riguarda un po’ tutto l’ambiente jazzistico italiano che a mio avviso merita la più alta attenzione di stampa (il catalogo AUAND si sfoglia sull’utilissimo e ricco di sorprese sito http://www.ijm.it), promoter e dei festival più prestigiosi. Di questo “Egon’s” mi sono piaciuti in particolare il brano eponimo dal ritmo incalzante e quasi “rock”, l’introspettiva “Harbor” con una bella intro di basso elettrico accompagnata dalle pennellate di Bandello e “Lovers” con l’ipnotico fraseggio della chitarra in dialogo con il sassofono di Bittolo Bon. Sì sono passati un paio d’anni, ma la buona musica non ha data di scadenza. Per fortuna!

BIGLIETTO PER L’INFERNO “Vivi. Lotta. Pensa.”

BIGLIETTO PER L’INFERNO  “Vivi. Lotta. Pensa.”

BIGLIETTO PER L’INFERNO  “Vivi. Lotta. Pensa.”

AMS RECORDS, CD – LP 2015

di Alessandro Nobis

Non fosse stato per l’inopinata chiusura nel ’75 della Trident Records (che aveva in catalogo otto titoli tra i quali Dedalus, The Trip, Semiramis, Opus Avantra, Eneide e Claudio Fucci oltre al Biglietto per l’Inferno) e che operava in modo del tutto originale sia nel campo del rock italiano che in quello della musica contemporanea, il gruppo lombardo avrebbe regalato alla musica non solo un album, quello del 74, ma avrebbe potuto ancor più sviluppare il proprio percorso musicale riscuotendo un successo di pubblico e di critica che altri gruppi invece ebbero, come si intuisce ascoltando anche “Il tempo della semina” registrato nel ’75 ma pubblicato solo nel ’92.biglietto-per-l-inferno-vivi-lotta-pensa

Fatta la premessa, e ascoltato questo “Vivi. Lotta. Pensa” anche se con colpevole ritardo, mi viene da dire che l’idea del tastierista Giuseppe Cossa (che suona anche l’organetto diatonico e la fisa) e del batterista Mauro Gnecchi, ovvero quella di riformare il gruppo con l’inserimento di strumentisti legati alla musica popolare per rileggere vecchie scritture con i testi di Claudio Canali (che nel frattempo si è fatto frate) è stata un’ottima idea che non solo ha restituito a nuova vita il Biglietto per L’Inferno (nome per la verità mai dimenticato dagli amanti del cosiddetto progressive rock) ma ha ridato nuova linfa al repertorio – ed ai concerti -, che spazia dai brani dei primi due album già citati con in più l’inedito “Narciso e Boccadoro”.

Oggi il Biglietto oltre ai due musicisti già citati ha in formazione Mariolina Sala alla voce, Pier Panzieri alle chitarre, Carlo Redi al violino e plettri, Renata Tommasella ai flauti, Enrico Fagnoni al basso, e Ranieri Fumagalli alla cornamusa; il gruppo ha naturalmente spostato il baricentro del suono da quello tipico della metà dei Settanta ad un altro più acustico ma per questo non meno affascinante, anzi; se le composizioni hanno retto tutto il tempo passato significa che la loro struttura era valida – ma questo, nel ’74, lo avevamo già inteso – ed è stata per me una sorpresa graditissima ascoltare ad esempio la cornamusa nel brano inedito, e la nuova ed inaspettata veste del lungo brano “L’Amico Suicida” dà l’esatta misura del lavoro che il gruppo lombardo sta facendo in questi anni recentissimi.

Il superbo lavoro di stesura degli arrangiamenti e la scelta di non essere una “Tribute Band” di se stessi ha pagato, perché a mio modestissimo parere questa è musica di alto spessore che va al di là delle “barriere” di genere, e vi confesso concludendo che l’etichetta “rock progressivo” non l’ho mai  intesa né tantomeno condivisa.

Evidentemente “Vivere. Lottare. Pensare.” fa bene alla mente, ed è uno slogan che tutti dovremmo adottare.

http://www.bigliettoperl’inferno.com

 

 

 

 

JOHN RENBOURN & WIZZ JONES “Joint Control”

JOHN RENBOURN & WIZZ JONES “Joint Control”

JOHN RENBOURN & WIZZ JONES “Joint Control”

Riverboat Records, 2016

di Alessandro Nobis

Queste pregevoli registrazioni effettuate nelle prime settimane del 2015, poco prima della dipartita di John Renbourn, sono una sorta di testamento delle ultime gesta del chitarrista di Marleybone che nei suoi ultimi mesi aveva realizzato e perfezionato la sua collaborazione con un altro eccellente fingerpicker britannico, il finissimo Wizz Jones, bravissimo al pari di altri suoi colleghi, con una lunga carriera ma molto meno conosciuto.

renbourn-jonesCommentare un disco di John Renbourn senza ricordare affettuosamente la sua persona mi è difficile: tredici tracce dove le voci e gli strumenti si incontrano e dialogano alla perfezione, un pugno di brani scritti dal suo “pard” di una vita Bert Jansch, del blues arrangiato splendidamente (“Hey Hey” di Big Bill Broonzy, “Great Dream From Heaven” di Joseph Spence e “Getting There” di Mose Allison), le radici folk mai dimenticate (“Mountain Rag” di Archie Fisher) e la dylaniana “Buckets Of Rain” compongono il menù di quella serata che l’amicizia e la comunione di intenti hanno davvero reso speciale. Se amate il suono raffinato, il gusto e la musicalità di John Renbourn, questo dischetto fa per voi (o per noi). Conoscerete così anche la maestria di Wizz Jones che come il buon vino, invecchiando, migliora sempre più.

Amaramente credo che questa collaborazione avrebbe potuto proseguire se un infarto non avesse colpito Renbourn nella propria casa, proprio mentre si stava preparando per recarsi nel locale dove l’amico Wizz lo attendeva per un concerto. Strana la vita.

 

 

JOHN EDWARDS & MARK SANDERS “Jems”

JOHN EDWARDS & MARK SANDERS “Jems”

JOHN EDWARDS – MARK SANDERS

“JEMS”
 – TREADER 024, CD, 2015

di Alessandro Nobis

Per come la vedo io, la combinazione percussioni – contrabbasso è una delle più stimolanti accoppiate della musica improvvisata o di “Instant Jazz” come qualcuno l’ha definito, per la gamma dei suoni che si possono “estrarre” dai due strumenti e soprattutto per le molteplici possibilità di interplay. Quando poi i due musicisti coinvolti sono del calibro di John Edwards (contrabbasso) e Mark Sanders (percussioni) il risultato è garantito, e questo “Jems” prodotto dall’intrepida etichetta di John Coxon (fondatore degli Spring Heel Jacks), è a mio avviso una delle migliori produzioni del  catalogo Treader, che dal 2004 ha pubblicato 24 titoli in otto uscite e caratterizzati da una semplice ma efficace linea grafica oltre che da un parco musicisti eccellente (cito solamente Evan Parker, John Tchicai, Matthew Shipp, Han Bennink e lo stesso Coxon). Questo “Jems”, registrato in studio, si compone di dodici tracce, testimonianza di una session negli studi londinesi di Hackney Road; certo, seguendo il pensiero di Derek Bailey l’accoppiata improvvisazione – registrazione risulta essere un ossimoro, e noi appassionati dovremmo ascoltare queste tracce una volta solamente e poi gettare via il CD. Visto che la musica improvvisata in quanto tale è irripetibile e nasce spontaneamente, già il secondo ascolto annullerebbe il concetto stesso di “Improvised Music”; ma questo concetto ultra-ortodosso del credo baileyano sento di ignorarlo e quindi mi autoconcedo la licenza di ascoltare e riascoltare John Edwards e Mark Sanders, in attesa magari di assistere alla creazione di questa musica dal vivo.

http://www.treader.org

WOODENLEGS “What are you looking for?”

WOODENLEGS “What are you looking for?”

WOODENLEGS

“What are you looking for?”
 – Autoproduzione CD, 2015

di Alessandro Nobis

Cinque musicisti triestini con il fuoco della passione per la musica irlandese: Alice Porro (flauti), Giovanni Gregoretti (contrabbasso e mandolino), Anselmo Luisi (percussioni, voce), Andrea Monterosso (violino, voce) ed infine Giovanni Settimo (chitarra e voce solista). Fin qua sembrerebbe uno dei tanti gruppi non irlandesi che propongono musica tradizionale dell’isola di Dublino, ma osservando invece la lista degli undici brani in scaletta si scopre che a parte tre, ovvero i tradizionali “Kid on the mountain”, “Follow me up to Carlow” e “Step it out Mary” di Sean McCarthy, gli altri sono tutte composizioni originali. woodenlegsComposizioni naturalmente scritte nel solco di quella tradizione celtica, cantate in lingua inglese, arrangiate secondo i dettami del miglior folk irlandese (in alcuni momenti si sente “profumo” di Waterboys) e suonate bene, decisamente bene. Gli strumentali (“What are you looking for, my friend”, “A light in the night” e “Festival day” ed il conclusivo “Gronte”) e le immancabili ballads, delle quali mi sono particolarmente gustato “The Village fair” e “Dancing in the mud”. Un gruppo da seguire e che fa sul serio, con le giuste credenziali per poter emergere come una più interessanti realtà del panorama celtico continentale.

Un disco pubblicato nel 2015, ma del quale ne parlo solo oggi: “ildiapasonblog” è uno “slow blog”, quindi……………..

http://www.woodenlegs.com

MORA & BRONSKI “2”

MORA & BRONSKI “2”

MORA & BRONSKI

“2”
 – AUTOPRODUZIONE CD, 2015

di Alessandro Nobis

Se volete fare un viaggio “lowcost” nella musica americana o se volete organizzare una serata all’insegna della storia della musica a stelle e strisce, procuratevi questo secondo episodio della Premiata Ditta Fabio Mora (voce) e Fabio “Bronski” Ferraboschi (chitarra acustica, steel, banjo, voce e armonica), o ancora meglio chiamate questi due musicisti.

Nella loro musica ci trovate di tutto: dai suoni in puro stile cajun al blues più sanguigno, dai padri della musica “americana” ai tradizionali che “vantano un numero illimitato di imitazioni”. UnknownMa attenzione non è un “mapazzone” come qualcuno può immaginare leggendo la scaletta, tutt’altro; e la cartina al tornasole che rivela qualità del lavoro non sono i brani accennati prima, ma le due composizioni originali scritte a quattro mani dai due musicisti, ovvero “Se vuoi andare vai” e “Nostra Signora dei Senza Nome”. Certo, seguono il solco della musica che i due amano suonare, ma l’arrangiamento delicato ed il sinuosità della melodia ci danno la cifra stilistica di quello che ascoltiamo. Certo, in “Mannish Boy” ci sono anche i preziosi cammei della chitarra di Lorenz Zadro (che appare anche negli omaggi a Jimmy Reed, Sam Chatmon e Lemmy Kilmister) ed il violino di Francesco Diddi che arricchiscono il suono d’insieme ma resta il fatto che questo disco è un sincero omaggio alle radici del folk americano. Mi aspetto a questo punto il prossimo lavoro, magari più dedicato a composizioni originali. Il suono c’è, la bravura anche, quindi……………..

ROBERTO DALLA VECCHIA & JIM HURST “Atlantic Crossing”

ROBERTO DALLA VECCHIA & JIM HURST “Atlantic Crossing”

JIM HURST – ROBERTO DALLA VECCHIA

“Atlantic Crossing”
 – AUTOPRODUZIONE CD, 2015

di Alessandro Nobis

Pubblicato lo scorso anno, questo lavoro nasce dalla collaborazione tra due chitarristi di ottimo livello, l’americano Jim Hurst e Roberto Dalla Vecchia, uno dei più attendibili ed accredidati predicatori del verbo della chitarra flatpicking del vecchio continente. Il titolo dà il senso di quello che si va ad ascoltare: non è solamente l’italiano che ricalca gli stilemi e le melodie del folklore americano, è la ricerca di un linguaggio comune partendo semplicemente dallo stile chitarristico utilizzato; nelle dieci tracce ci sono naturalmente alcuni classici – terreno di sfida tra i due come la celeberrima “Back to the Old Smokey Mountains ripresa da Chet Aykins – ma ci sono anche, e benvengano sempre, composizioni originali come “Moonlight Passage” di Dalla Vecchia o la conclusiva “Walking to Vicenza” del pluri decorato chitarrista del Tennessee. E sentire poi due doverosi omaggi all’epopea della Grande Guerra – arrangiati in modo originale da farli sembrare delle folksongs tradizionali nordamericane – come “Monte Pasubio” di Bepi De Marzi ed il tradizionale “Battaglione dei 7 Comuni” dà un valore aggiunto a tutto il valore di questa collaborazione, che mi auguro prosegua con la sincerità, passione ed intensità che sprizza dai solchi di questo “Atlantic Passage”.

Musica naturale, semplice e pura che arriva diretta alla mente – ed al cuore – di chi la ascolta.