SOSTIENE BORDIN: THE LOUNGE LIZARDS
“The Lounge Lizards”
EG RECORDS, LP. 1981
di cristiano bordin
Se c’è un gruppo che può dare l’idea della vitalità e dell’eclettismo della scena newyorkese degli anni ’80, quel gruppo potrebbe essere proprio i Lounge Lizards.
E del resto basta fare subito i nomi dei 5 protagonisti dell’album di esordio, che porta laconicamente il nome della band, per potersi orientare: Arto Lindsay, John ed Evan Lurie, Steve Piccolo e Anton Fier.
Arto Lindsay aveva già fatto un pezzo di storia della New York fine anni ’70: i Dna. Tra rumorismo, suoni abrasivi, strumenti percossi e brutalizzati più che suonati, urla lancinanti, quella che venne definita “no wave” fu un passo oltre il punk capace di produrre gruppi, personaggi- Lydia Lunch, ad esempio- e un album-manifesto come “No New York”.
Quella stagione produsse anche una vera e propria avanguardia artistica che prediligeva luoghi malsani, marginali, pericolosi come erano il Lower East Side e la Bowery dove c’era il CBGB’s, vero e proprio tempio per il punk della Grande Mela.
John Lurie, l’altra anima della band, ricorda così quei luoghi e quel periodo: “New York oggi ha certamente perso qualcosa. Per esempio, non è più pericolosa come una volta. Male. Prima dovevi essere un duro e avere carattere per abitarci. Ora sembra un grande shopping mall per gente che si fa pagare l’affitto da papà e mamma“.
E’ in questo contesto che nascono i Lounge Lizards.
Lindsay, dopo i Lizards, virò verso il Brasile ed i suoi suoni senza però dimenticare le stagioni precedenti e producendo moltissimo. Anche Evan Lurie e Steve Piccolo, che finì per trasferirsi in Italia, proseguirono tra jazz e avanguardia, mentre Anton Fier lo ritroviamo dietro la batteria di un gruppo anticipatore e abbastanza dimenticato, i Feelies.
L’album di esordio eponimo uscì nel 1981 e fu davvero un disco capace di lasciare il segno: copertina austera, in bianco e nero, con i 5 vestiti tutti in camicia bianca e cravatta nera.
Il primo brano, “Incident on south street” chiarisce tutto: le tastiere a fare da ritmica, il sax di Lurie protagonista, la chitarra di Lindsay da cui escono suoni secchi, abrasivi.
Sono le coordinate su cui articolerà il disco.
Ma i Lounge Lizards però non sono semplicemente jazz più no wave: sono qualcosa che ha che fare sia con il jazz, e parecchio, che con la no wave, molto meno ma proprio la chitarra ce la ricorda in più di un episodio, per arrivare a qualcosa di nuovo e di originale.
Alla base di tutto questo c’è il jazz: quasi distorto in forme nuove, come suonato tenendo ben presente la lezione di Thelonious Monk, omaggiato con le versioni di “Epistrophy” e “Well you needn’t“.
E, a proposito di jazz, in questo esordio troviamo il bop ma incrociamo anche il free, magari messo a confronto con il funk come in “Do the wrong thing“.
“The Lounge lizards” però è un album che ama mettere insieme atmosfere opposte, momenti quasi rumoristici come “Wangling” o “Remember Coney island” dove il drumming di Fier anticipa e può ricordare quello di Joey Baron possono convivere con aperture liriche come in “Conquest of rar” e con omaggi alla classicità come la splendida ed impeccabile “Harlem nocturne“.
Insomma, un gran disco, che ha ancora un grande futuro davanti a sè.
La band, purtroppo, produsse poco: altri tre album – “No pain for cakes” e “Voice of chunk” entrambi da riscoprire – e alcuni live.
Tenere insieme due personalità come Lindsay e Lurie non era semplice, erano i classici due galli nel pollaio: Lurie percorse la strada del cinema soprattutto con Jarmusch – “Stranger than paradise” e “Down by law” con Benigni, poi approdò in tv e ora si dedica alla pitturama ma in seguito una malattia lo costrinse ad abbandonare il sax e la musica.
Negli anni sono passati sul palco dei Lounge Lizards moltissimi altri musicisti: Marc Ribot e John Medeski tra gli altri ma il loro approccio sul palco però lo racconta bene Arto Lindsay in un’intervista: “Il fatto è che il pubblico dell’arte era troppo facile per noi e sembrava apprezzarci a prescindere Mentre in un posto come il CBGB dovevi sudare per guadagnarti attenzione e rispetto. Noi alla fine suonavamo rock’n’roll questo voglio che sia chiaro. Si, magari era una musica più storta e aperta della media ma tuttora mi considero un musicista rock’n’roll o “popular” che è meglio. Miles Davis la chiamava “social music” e penso sia un termine bellissimo“.
THE LOUNGE LIZARDS:
Basso – Steve Piccolo
Batteria – Anton Fier
Sassofono – John Lurie
Chitarra – Arto Lindsay
Tastiere – Evan Lurie
Produttore – Teo Macero
Registrato negli studi della CBS a New York il 21,22,28 e 29 luglio 1980.