SOSTIENE BORDIN: DEVO
“Q: Are we not men? A:We are Devo”
VIRGIN RECORDS. LP, 1978
di Cristiano Bordin
Se per produrre il disco di esordio di una band si offrono David Bowie, Brian Eno, Robert Fripp e Iggy Pop è facile prevedere che quell’album sarà destinato a restare nella storia. Ed è quello che è successo a “Q:Are we not men? A:We are Devo”. Se vogliamo tradurre in suoni una definizione come “new wave” la scelta può sicuramente cadere su questo disco.
L’anno era il 1978 e, per la cronaca, la gara tra i produttori la vinse Brian Eno che però dovette poi mediare parecchio con il quintetto di Akron, Ohio. “Q. are we not men? A: We are Devo” è insomma il classico disco capace di reggere i cambiamenti epocali che ci sono stati nella musica da allora ad oggi e quindi di diventare un disco senza tempo. I suoni- per quanto realizzati con le tecnologie e gli strumenti dell’epoca- sono ancora freschi e potenti come allora. Basta il riff di “Uncontrollable urge”, la voce schizoide di Gerry Casale, i cori- elemento importante dell’album- e si è pronti per un viaggio in un mondo alla rovescia e per un futuro inquietante anche se descritto con ironia. “Era un mongoloide/A nessuno importava/ Più felice di te e di me”: dice infatti “Mongoloid”.
Ma il viaggio nel futuro – o quello che sarebbe stato il nostro futuro senza che noi lo sapessimo – continua con l’episodio forse più celebre, una “Satisfaction” che da monumento della storia del rock si trasforma diventando un’altra cosa, lontano anni luce dall’essere una cover. Ma il 1978 conosceva anche l’esplosione del punk: c’è traccia di questo nel disco? Senz’altro, tenendo conto che “punk” per i Devo è una forma di espressione, un mezzo, non una gabbia, e che quindi finiscono per essere quelli che hanno tenuto davvero fede al senso originario di quel movimento. “Come back Jonee”, “Gut feeling” devono molto al punk, i riff sono secchi come epoca impone, ma poi c’è sempre qualche particolare, qualche invenzione che supera i clichè.
I cinque di Akron- i fratelli Casale, i fratelli Mothersbaugh con il batterista Alan Myers – hanno la capacità di reinventare e di rileggere suoni ed ispirazioni tra le più diverse: dai Kraftwerk al punk, dall’elettronica a Captain Beefhart alle sigle pubblicitarie. Ne esce un disco da ascoltare, quasi 45 anni dopo, tutto di un fiato fino al finale, più lento e avvolgente, di “Shrivel up”.
C’è un altro elemento importante che segna la storia di questo come dei lavori successivi: la visionarietà, il saper vedere un mondo che cambiava in peggio quando erano in pochi ad accorgersene. E in questa capacità c’entra anche il vissuto dei protagonisti. Il 4 maggio 1970 quando scoppia la rivolta studentesca alla Kent State in Ohio e la polizia spara Gerry Casale era lì. Se andiamo oltre le tute gialle, il gusto per lo show, gli occhiali bizzarri e i cappelli elicoidali scopriamo un gruppo che aveva una forte carica politica. “Sono sempre stato politicizzato – racconta in una intervista Casale – qualunque scelta che noi facciamo è politica, anche la più banale. Oggi stiamo assistendo ad una separazione tra i poveri e ricchi sempre più ricchi, antidemocratici per definizione. Siamo arrivati a questo punto per colpa del peggior capitalismo possibile”.
La devoluzione ha vinto come loro avevano previsto e anche in Usa se ne vedono i frutti come si è visto nei protagonisti dell’assalto a Capitol Hill: “Vogliamo parlare di quel tipo con l’elmo da vichingo? – continua Casale – Assolutamente incredibile, un vero subumano. “Are we not men“? Ecco spiegato il senso di un titolo come quello”.
Il cerchio si chiude, passato e presente con questo album si mescolano, la distopia è servita e la devoluzione continua a stravincere.
Loro, nel 1978, avevano già capito tutto…