SOSTIENE BORDIN: “CCCP 2024”

di cristiano bordin

Uno degli eventi musicali di questa primavera è stata senza dubbio la reunion dei CCCP. Prima la mostra “Felicitazioni! CCCP Fedeli alla Linea 1984 – 2024” a Reggio Emilia, tributo della loro città di origine ed evento da grandi numeri, poi le voci dei concerti a Berlino, dove era iniziato il loro cammino, esauriti in poche ore. I live berlinesi sembrano quasi un sondaggio, una specie di ricerca di mercato per verificare la “fedeltà alla linea” da parte del proprio pubblico. E, vista la risposta, l’operazione può seguire tutte le mosse consolidatissime da decenni nella storia del rock. Nella generazione che li ha visti in azione negli anni ‘80 l’effetto nostalgia stravince, chi li ha conosciuti nei due decenni successivi con la sigla CSI, ha voglia di rivederli nella loro veste storica.

E poi ci sono quelli che, per questioni di età, sono incuriositi di partecipare ad un loro concerto perché ne hanno solo sentito tanto parlare. Il gioco è fatto. Le prevendite vanno alla grande, Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Annarella Giudici, la “benemerita soubrette”, e Danilo Fatur,”artista del popolo”, saranno questa estate protagonisti sui palchi di mezza Italia. Ma i CCCP “punk filo sovietico e musica melodica italiana” come da copertina del loro primo singolo “Ortodossia” sono sempre stati, fin dai loro inizi divisivi, come si dice ora. A Bologna, nel concerto in Piazza Maggiore, era stata annunciata una contestazione per il prezzo del biglietto che superava i 50 euro. Contestazione che poi non c’è stata: la piazza dove 4 anni prima che muovessero i loro primi passi avevano suonato gratis i Clash era comunque strapiena. Ma alle contestazioni i CCCP ci sono abituati: a Verona – dove suonarono due volte per Verona Rock – ci fu chi srotolò davanti a loro uno striscione con su scritto “Cccp fedeli alla lira, compagni del dollaro”. Contestazioni che divennero un po’ un tormentone dei loro concerti tanto che presero pubblicamente posizione difendendo le loro ragioni e attaccando chi li contestava. Ma al di là di queste schermaglie, la critica forse più centrata all’operazione del loro ritorno sulle scene è stata l’esclusione, quasi una purga di staliniana memoria, per due membri del gruppo, i bassisti Umberto Negri – che compare assieme a tutti gli altri sulla copertina dell’album di esordio – e Ignazio Orlando che non suoneranno dal vivo né sono stati citati a nessun titolo nella mostra. Nonostante il contributo non indifferente, dato da entrambi, in periodi diversi, alla band.

E’ la solita “grande truffa del rock‘n’roll” la loro reunion o in qualche modo un tributo a un gruppo che, volenti o nolenti, ha portato qualcosa di nuovo nel panorama musicale del nostro paese, rivisitando il punk alla loro maniera? Probabilmente è una cosa e anche l’altra. Ferretti, Zamboni e soci possono anche non piacere o non stare simpatici, ma è innegabile che l’uscita del loro primo album è stata una rilettura originale del punk, adattato a tempi che erano ancora tempi di guerra fredda- “Voglio rifugiarmi sotto il Patto di Varsavia, voglio un piano quinquennale, la stabilità” recita “Live in Pankow”- ed a quello che era il loro vissuto e il loro contesto, “Lode all’Emilia Romagna la più filosovietica delle provincie dell’impero americano” si leggeva nelle pagine all’interno del loro lavoro di esordio.

La batteria elettronica che scandiva la ritmica, la voce salmodiante di Ferretti, la chitarra affilata di Zamboni e le evoluzioni sceniche dal vivo del duo Giudici-Fatur facevano dei loro concerti qualcosa di realmente diverso da tutto quello che si poteva vedere e sentire allora. Chi li vedeva dal vivo non poteva che restare colpito, quasi scioccato. Ed è quello che successe anche a me quando andai a vederli per la prima volta: non sapevo chi erano, non avevano ancora fatto uscire il loro primo lavoro, suonavano in un benemerito locale veronese, Il Posto, dove il punk o la nuova ondata musicale non era ancora arrivata. L’unico indizio, per quella lontanissima serata dei primi anni ‘80, era soltanto la locandina con la foto del bambino cinese con la lattina di Coca Cola e il nome del gruppo. Inevitabile la reazione a fine concerto: stupore, stordimento, incredulità, tutto riassumibile nell’espressione “Non ho mai visto nulla di simile”. Dopo quella sera li vidi diverse volte, seguiì il loro percorso iniziato con l’album di esordio “Affinità – divergenze tra il compagno Togliatti e noi”, diventato un classico del rock italiano degli anni ‘80. Percorso che proseguì con il secondo album, “Socialismo e barbarie” solido e ben fatto ma dove la sorpresa dell’esordio già diventava in qualche modo mestiere.

La terza uscita “Canzoni preghiere danze per il II° Millennio” rappresenta invece un disco senza una direzione precisa e quindi un passo falso, mentre riusciti, e anche divertenti, sono i due singoli che precedettero quell’album: il liscio di “Oh Battagliero!” e la cover di “Tomorrow” di e con Amanda Lear “Epica etica etnica pathos”, anche se porta la firma Cccp, segna già il passaggio alla fase successiva, quella dei CSI, in cui entrano Gianni Maroccolo e Giorgio Canali, e le trame musicali si arricchiscono delineando scenari musicali diversi e più complessi. Insomma inizia, un’altra storia, anche perché nel frattempo l’Urss non c’è più e dunque anche per i CCCP la sorte è segnata. Il legame con la politica e con la storia- lo dicono i nomi scelti- però è stato solo uno sfondo, usato con furbizia e con un’intelligente strategia comunicativa ed estetica.

Nonostante gli slogan, la simbologia usata, le falci e martello, il realismo socialista applicato al punk, i CCCP non si possono considerare un gruppo politico: non sono stati né gli Area degli anni ‘80, e neppure si può dire che abbiano operato fuori dal business o cercato strade nuove, fuori e contro il mercato, come altri gruppi pure facevano in quel periodo. Anche le posizioni di Ferretti – passato dalla litania di “Islam punk” alle convinte posizioni integraliste e ratzingeriane – stupiscono fino ad un certo punto: gli indizi di quel passaggio si possono trovare nel suo percorso e nei suoi testi anche quando la denominazione era CCCP. Resta il gusto dello slogan che rimane, in tempi e scenari mutati, un vero e proprio marchio di fabbrica. Adattabile poi ai cambiamenti senza nemmeno troppa fatica: da “Produci, consuma, crepa” a “Difendi, conserva, prega”, ultimo libro di Ferretti, il passo è comunque molto più breve di quello che può sembrare. Ma tutto questo fa ancora discutere, addirittura polemizzare provocando opposti schieramenti. Tutta acqua al mulino del gruppo che riesce 40 anni dopo a ripresentarsi sul palco. La loro ricomparsa sulle scene è “una questione di qualità” o una “formalità” come dice la loro “Io sto bene”? Ognuno troverà la sua risposta dopo averli rivisti sul palco dopo tanto tempo.

Ma il meccanismo e le regole delle reunion non ammettono troppe deviazioni da un percorso che è segnato. E le logiche di queste operazioni sono sempre quelle care al “Gattopardo”: tutto cambi, purché nulla cambi.

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