UARAGNIAUN “Malacarn”

UARAGNIAUN “Malacarn”

UARAGNIAUN

“Malacarn” Suoni della Murgia, 2012

PUBBLICATO DA FOLK BULLETIN nel gennaio 2013

Questo nuovo lavoro del gruppo di Maria Moramarco, Luigi Bolognese e Silvio Teot è una sorta di concept – album dove per una volta la storia scritta sui libri “ufficiali” lascia il posto alla Storia (quella con la “esse” maiuscola), ovvero quella legata alla vita delle persone comuni, travolte dagli avvenimenti dei loro tempi. Storie di persone “vere” che in sedici brani il gruppo di Altamura racconta in modo efficace passando da composizioni originali a interpretazioni di brani altrui, il tutto arricchito da un bel libretto con testi e note ai singoli brani.

Certo, qua e là brillano i cammei di Nico Berardi, Joxan Goikoetxea, Alfredo Luigi Cornacchia e di molti altri, ma sono solamente un valore aggiunto ad un lavoro straordinario che merita un grande plauso per la creatività, la rigorosità e per il grande amore e rispetto che gli Uaragniaun hanno avuto – sempre avuto – verso le loro radici e la storia che li ha – mi passino il termine – culturalmente generati. Ecco quindi le storie dei “Malacarn”, ovvero di briganti, di monache “per costrizione” e di garibaldine, di cantastorie e di personaggi usciti dal mondo contadino e da quello delle osterie. Al solito segnaliamo qualche brano che più ci ha incuriosito ed interessato di altri: scelta quanto mai difficile vista la qualità di questo nuovo CD, ma personalmente ci sono piaciute le storie più legate al brigantaggio ed al banditismo, come quella del Brigante Musolino (“Mi chiamano brigante”, una composizione questa di Otello Profazio) o di Chita Eustachio (“Chiarrid”, una sorta di Robin Hood materano) e “Trendacapille”, storia di faide e di vendette tra criminali. Efficace anche l’originale (testo di Maria Moramarco, musica di Silvio Teot e Luigi Bolognese) “Canzona per Rosalia” dedicata a Rosalia Motmasson, unica donna che partecipò alla spedizione dei Mille, moglie di Crispi che finì la propria vita con anni di accattonaggio nella Roma Capitale per la quale invece sacrificò gli anni della sua giovinezza.

Un disco di Folksongs, come direbbero gli americani spesso alle prese con questo tipo di narrazioni e di repertorio, un disco di grande musica, diciamo noi.

Pubblicità

TESI & VAILLANT “Veranda”

TESI & VAILLANT “Veranda”

RICCARDO TESI & PATRICK VAILLANT

“Veranda” – Silex, 1991

PUBBLICATO SU FOLK BULLETIN cartaceo , APRILE 1991

In concomitanza con la tourneè di fine gennaio è uscito sul mercato discografico francese (ed italiano d’importazione) questo “Veranda”, frutto della collaborazione di due tra i più intelligenti musicisti dell’area mediterranea. Sto parlando dell’organettista toscano Riccardo Tesi e del nizzardo mandolinista Patrick Vaillant che, grazie all’intervento di alcuni enti pubblici d’Oltralpe (con in testa il ministero della cultura) hanno realizzato questo CD, sicuramente uno dei miglior prodotti di questo inizio ’91.

Quattordici tracce (anche se sulla copertina sono quindici grazie all’ottusità dei legali di Michael Jackson – titolare dei diritti della Apple Music – che hanno impedito di pubblicare una magnifica cover di “Girl” di Lennon – McCartney intitolata “Nina” e che ho avuto la fortuna di ascoltare in concerto) tutte di ottimo livello, sia quelle prettamente tradizionali – “Nove dai Corporacions”, “Sestrina e Perigurdina” e “Polka” – sia le originali composte da Tesi e Vaillant ed eseguite sia in formazione a due organetto – mandolino che in quartetto. Ritengo che questa presenza massiccia di “originali” sia il dato più significativo – al di là dell’eccellente registrazione e dell’abilità strumentale che già conoscevo – che ci consente di ascoltare ed apprezzare il notevole sforzo compositivo prodotto dai musicisti, che si confermano anche arrangiatori di primissimo piano, sfruttando appieno le qualità sonore del percussionista spagnolo Sandy Rivera e del fiatista Daniel Malavergne; brani come “Monzuno e dintorni”, “Tricot Marin” o le ballate “Felis Galean” e “Lu ferhols son fach per sautar” (ma il discorso si può tranquillamente allargare a tutto il disco) sono vere gemme di quella che viene definita “nuova musica popolare” o “Trad”, una musica cioè che se ha come punto di partenza le diverse tradizioni (italiane e nizzarde) si sviluppa in una sorta di musica totale che tiene conto delle diverse sensibilità e influenze dei singoli compositori. Un prodotto, questo splendido “Veranda”, che potenzialmente ha la possibilità di farsi apprezzare da un pubblico molto più vasto di quello limitato dagli appassionati di musica tradizionale: il punto interrogativo è chiaramente quello della distribuzione, punto dolente (ed anche “palla al piede”) dei musicisti italiani non solo tradizionali, che spesso (o quasi sempre) vanifica il lavoro di questi ultimi, “costretti” a vendere i loro prodotti solamente ai concerti.

SIMONE VALBONETTI & CRISTIANO DA ROS

SIMONE VALBONETTI & CRISTIANO DA ROS

SIMONE VALBONETTI & CRISTIANO DA ROS

“Tales” – Baraban Records, 2014

PUBBLICATO SU FOLK BULLETIN MAGAZINE, OTTOBRE 2014

Beh, c’è stata la generazione degli Andrea Carpi, di Giovanni Unterberger e di Maurizio Angeletti, quella di Riccardo Zappa con la sua Drogheria di Drugolo e quella di Franco Morone e Walter Lupi: oggi è il turno, nell’ipotetico “gotha” della chitarra acustica italiano e non solo, di una serie di strumentisti – compositori di gran valore, tra i quali, per non far torto agli altri e perché sto parlando di lui, c’è il milanese Val Bonetti.

A quattro di distanza dal già molto significativo esordio di “Waits” sforna in queste settimane “Tales”, che finalmente ci riconsegna un chitarrista in gran forma, bloccato suo malgrado per un lungo periodo da problemi fisici alla mano ora risolti completamente. Lo fa collaborando con il contrabbassista Cristiano Da Ros e letteralmente creando le nove tracce di questo gran bel disco: bastano le chitarre acustiche, la resofonica ed un contrabbasso – preciso, discreto e da vero jazzista in grado di prendersi il suo spazio con “gustosi” soli – a “riempire” di musica lo spazio nel quale si ascoltano questi “racconti”. Che si parli in idioma jazz (l’introduttiva “Yogurth, Garlic and Cucumbers”), blues (lo slow blues di “Old saxophone Blues”) o di immaginari paesaggi cooderiani (“Afa”, composizione di Da Ros), ciò che risalta è la qualità del dialogo chitarra – contrabbasso, un’efficace conversazione che come tale alterna momenti pacati e riflessivi ad altri più intensi e vivaci.

Ai tempi dei sopracitati musicisti esistevano ancora quegli spazi che noi “umani” chiamavamo “negozi di dischi”, oggi per un musicista non resta che promuovere il suo “prodotto” sul web o negli sparuti concerti che riesce a fare in questi tempi davvero grami. Val Bonetti è a mio avviso uno strumentista di livello straordinario, con ottime idee – e chiare – su come realizzare la sua musica, e dovrebbe essere invitato dove meriterebbe, ovvero i grandi festival e le grandi rassegne di chitarra internazionali.

E’ facile darmi ragione, basta ascoltare “Waits” e questo bellissimo “Tales”. Provare per credere, diceva quel tale…….

 

CONTRADA LORI’ “Doman l’è festa”

CONTRADA LORI’ “Doman l’è festa”

CONTRADA LORI’

“Doman l’è festa” – Vaggimal Records, 2014 – Distribuzione Audioglobe

PUBBLICATO SU FOLK BULLETIN MAGAZINE, Gennaio 2014

A qualche anno dalla pubblicazione di “Varda che bela luna” dei Folkamazurka, finalmente un altro ensemble veronese “dedicato” alla musica tradizionale ed ai suoi dintorni pubblica del materiale nuovo, ed alquanto interessante. E’ la Contrada Lorì, che prende il nome appunto da una contrada del piccolo paese di Avesa, un borgo a nord della città di Verona. Si definiscono “manutentori” della musica popolare, con una simpatica ma efficace espressione che rende benissimo l‘idea del progetto alla base di questo “Doman l’è festa”, ovvero quella sì di avere le radici nella cultura popolare, ma anche e soprattutto di avere le idee chiare su come comporre nuovi testi e nuove musiche. Certamente un’idea non nuova né in Italia né all’estero, ma è solamente così che la tradizione può viaggiare nel tempo ed autoalimentarsi senza essere incatenata in pedisseque esecuzioni fedeli all’originale dei portatori. Per restare in “officina”, Contrada Lorì “fa il tagliando” alla “Sonada del magnatismo”, ad una Manfrina (nascosta alla fine dell’ultima traccia) riprese dal repertorio del chitarrista – mandolinista Arturo Zardini della Valpolicella ed a “Contra marso”, “la chiamata di marzo” che racconta di quando i ragazzi da un versante chiamavano le ragazze da maritare che abitavano sul versante opposto della valle: due arrangiamenti indovinati sia dal punto di vista musicale che vocale, una bella sorpresa davvero.

Il “resto” del disco sono nuove composizioni: belle melodie, arrangiamenti curati e tanta passione. La Contrada scherza talvolta (“Piutosto”), si concede l’inno di Avesa (“Mi son de Avesa”), e lo fa sempre con misurata ironia: d’altro canto ci regala alcune gemme come – mi permetto di segnalare – “Vorìa vegnar grando”, “Doman l’è festa” ed ancora “Va, bogonela va!”.

Contrada Lorì, buona la prima.

 

“Hunger and Love”: Tribute to Billie Holiday 1915 – 2015″

“Hunger and Love”: Tribute to Billie Holiday 1915 – 2015″

AA.VV.

“HUNGER AND LOVE: TRIBUTE TO BILLIE HOLIDAY 1915 – 2015” – DODICILUNE DISCHI, 2CD, 2015

PUBBLICATO DA FOLK BULLETIN, Autunno 2015

Se volete sapere come è la salute della voce femminile del jazz italiano, questo doppio CD ve ne dà luminosa e dettagliata prova. Ventiquattro voci per ventiquattro cammei del repertorio di Lady – D. Canzoni scritte da lei (poche) e soprattutto “per” lei da autori come Charlie Mingus o Frank Sinatra, per fare due esempi. E’ una produzione dell’etichetta salentina Dodicilune, fiore all’occhiello del panorama jazz nostrano, e non solo. Ne parlo qui, sul Folk Bulletin, perché lo straordinario talento di Billie Holiday ha influenzato anche musicisti dell’area folk, nello specifico di quella dei folksinger d’oltreoceano, come ad esempio Dave Van Ronk e Karen Dalton. E quindi tra le due dozzine di tracce vi voglio segnalare quelle più vicine a questo mondo, quello dei fumosi folk club neworkesi che negli anni cinquanta e sessanta hanno visto nascere decine e decine di autori ed interpreti: qualcuno entrato nella leggenda, molti caduti nell’oblio nonostante i loro “numeri” evidenziati anche dalle registrazioni

E per tornare a Van Ronk e Karen Dalton ecco “God Bless The child” scritta nel 1939 da Arthur Herzog, interpretato dalla salentina Elisabetta Guido e Angelo Mastronardi al pianoforte, e quindi “Left alone” – una delle sette canzoni scritte dalla Holiday ma mai da lei registrata – scritta a quattro mani con il pianista Mal Waldron proposta da Antonella Chionna e Andrea Musci alla chitarra, e ancora la sorprendente versione al sapore africano di “My old flame” di Lisa Maroni e Baba Sissoko ak rigoni ed al tamani. E mi fermo qui.

Insomma, una bella idea quella di ricordare Billie Holiday – quanti in Italia ci hanno pensato ? – ed ancor più quella di coinvolgere quanto di meglio il jazz vocale di casa nostra offra a tutt’oggi. E le voci hanno riposto offrendo intepretazioni molto significative, da quelle più legate al jazz cosiddetto mainstream a quelle più intimiste, ma tutte contraddistinte da bravura, professionalità e grande rispetto verso il songbook di questa straordinaria figura della musica del secolo scorso, scomparsa troppo presto a New York nel 1959.