EMANUELE SARTORIS “I Nuovi Studi”
DODICILUNE RECORDS, CD Ed415, 2018. Distribuzione IRD.
di Alessandro Nobis
Il termine “Third Stream” in ambito jazzistico racconta di una musica che contiene elementi “classici europei” vicino ad elementi “afroamericani” e lo strumento che meglio può rappresentare questo linguaggio è senz’altro il pianoforte, per la sua estensione e per il fatto che chi lo suona ha molto probabilmente fatto studi classici. Avevo già parlato di questa “terza corrente” in occasione della pubblicazione del pianista Ran Blake ed ora, al di qua dell’oceano, mi trovo a provare di descrivere questo bel lavoro dell’eccellente pianista Emanuele Sartoris, pubblicato dalla Dodicilune. Ho citato l’oceano non a caso ma pensando che mentre i jazzisti come Ran Blake hanno come riferimento la storia della musica afroamericana, quelli europei percorrono la strada avendo alle spalle una storia e cultura musicale completamente diversa.
Quindi il risultato non può che essere diverso a parità di obiettivo e di concetto e l’ascolto del disco mette in risalto oltre alla bravura ed al tocco del pianista anche il coraggio di un musicista che con gran perizia, rispetto e sensibilità riesce a rendere omogeneo un repertorio che pone “a tu per tu” le sue composizioni con quelle di “mostri sacri” come Frederic Chopin (Studio Opus 25 Nr. 2), Alexander Skryabin (Studio Opus 8 Nr. 2), Bill Evans e Franz Liszt (I preludio, studi trascendentali), i fari che guidano ed illuminano il pensiero musicale di Sartoris; del resto, mi sembra di poter dire che l’interpretazione dell’evansiana “Comrade Conrad”, una delle ultime scritture registrate in vita dal pianista americano sembra quasi chiudere il cerchio unendo alla perfezione i linguaggi delle classiche europea ed afromericana lasciando al suo interno l’artista che la suona, anzi che la fa sua. Disco intenso, importante, una musica alla continua ricerca della perfezione e di un qualcosa che vada oltre i canoni dei linguaggi che ho citato anche in apertura, e la scelta della parola “Studi” va in questa direzione: musica che non stanca mai, che raccoglie un’eredità secolare e che nella rielaborazione personale si (e ci) proietta in avanti.