PIEMME VOCI, 2017. Pagg. 344, € 18,50
di Alessandro Nobis
Esterno: argine del torrente Cròstol, pomeriggio inoltrato.
Piano Medio: una ragazza è intenta a raccogliere essenze vegetali per preparare i decotti. All’improvvisano passano correndo a perdifiato due uomini (tali Carpi Mauro e Frizzi Arturo) con due strumenti a tracolla inseguiti a breve distanza da due Dragoni Ducali.
Una scena che potrebbe essere l’inizio di un film dei Fratelli Cohen, ma che invece rappresenta l’inizio di un interessante volume scritto da Maurizia Giusti a.k.a. Syusy Blady nel quale si narrano le vicende di Santa Vittoria di Gualtieri, vicende che in centocinquant’anni hanno fatto conoscere questo piccolo centro del reggiano come “Il Paese dei Cento violini”. Si parte dalla prima metà del diciannovesino secolo e si arriva ai primi anni Sessanta quando prima il “Boogie Woogie” e poi il “rock’n’roll” – e poi la musica non suonata dal vivo – costrinse praticamente a mettere la parola “fine” alle “sale da ballo” così frequenti in quella parte della valle del Po’ mettendo in crisi tutti i musicisti che avevano come prima o seconda attività il suonare accompagnando il ballo. Qualcuno smise di suonare, qualcuno ritornò a fare il bracciante a tempo pieno e qualcun altro diventò insegnante, come Arnaldo Bagnoli.
E durante la lettura mi sono venuti in mente anche Domenico Anselmi a.k.a. “Minci”, fisarmonicista della montagna veronese anche lui come i violinisti di Santa Vittoria bandito da preti e arcipreti a causa del loro suonare durante le ore dei divini uffizi o anche solamente nelle feste popolari e per questo era chiamato “il campanar del diaolo” e le saghe di famiglie come quelle dei Rowsome e dei Vallely – irlandesi – e degli Watson e Seeger – americane – che dovremo sempre ringraziare per aver saputo nei decenni salvaguardare e rinnovare un repertorio di tradizioni che avremmo altrimenti perduto.
L’autrice racconta in modo appassionato, consapevole e credibile del “ieri” e dell’”oggi” in brevi capitoli che ho personalmente visto come una raccolta di acquerelli, di nitide fotografie nei quali si cela un modo di microstorie che andrebbero raccontate nelle aule delle scuole: quella dei due amici suonatori che attraversano di nascosto il confine con l’Impero Asburgico portandosi gli strumenti di lavoro (non la carriola o la vanga, ma il violino), o quello dove si narra dei moti e dei morti (257) per la tassa sulla carne macinata del 1868 e quella di quando, ai nostri giorni, Ivonne Bagnoli apre il baule “del tesoro” con un fiume di spartiti manoscritti del nonno.
Sì, si legge tutto d’un fiato questo importante volume, divulgativo, storicamente ben documentato che si rivolge – avendone tutte le qualità e potenzialità – al grande pubblico dei curiosi e degli addetti ai lavori che avevano fino ad oggi a disposizione il solo “Socialismo a passo di valzer: storia dei violinisti braccianti di Santa Vittoria” di Carmelo Mario Lanzafame, diventato quasi introvabile.
Ma fortunatamente la storia non finisce dove finisce la narrazione, continua grazie agli spartiti dei Bagnoli, alla voglia, alla bravura ed alla passione dei “Violini di Santa Vittoria” che con il loro spettacolo (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/06/12/dalla-piccionaia-i-violini-di-santa-vittoria/) ed il loro cd (https://ildiapasonblog.wordpress.com/2016/04/29/i-violini-di-santa-vittoria-denominazione-dorigine-popolare/) fanno conoscere nel migliore dei modi la tradizione violinistica così particolare di questo angolo del reggiano. Che possa perpetuarsi bel tempo.